giovedì 30 marzo 2017

Obice: La guerra ai nuovi media e alle “fake news”: una lettura di tipo politico e tecnologico

Non vi chiamano Contraffatte News Network per niente!



È da quando Hillary Clinton ha perso le elezioni americane che sentiamo ossessivamente parlare di “fake news”, e dei tentativi per fermarle da parte di governi, organismi sovranazionali, organismi e fondazioni indipendenti (sì, come no… vero Soros?) e chi più ne ha più ne metta.

È singolare che la guerra alle “fake news” venga condotta da soggetti che hanno utilizzato la menzogna sistematica come mezzo di lotta politica: basti pensare che gli stessi che invocano oggi la chiusura dei blog alternativi sono gli stessi che hanno combattuto per la legalizzazione dell’aborto inventandosi cifre a caso artatamente gonfiate relativamente agli aborti clandestini, e potremmo trovare esempi a bizzeffe.

Ma non è questo il punto, dato che l’ipocrisia dei liberal è evidente a chiunque non abbia etti di crudo sugli occhi. La questione è: perché i media mainstream tradizionali si prestano ad autentiche prostitute della politica in questo tentativo di censura?

Per capire questo, bisogna prima rendersi conto della bancarotta economica e morale dell’informazione mainstream mondiale, non solo di quella italiana. Gli esempi sono numerosi e documentati, eccone alcuni:

- Germania: qualche anno fa il giornalista Udo Ulfkotte rende noto che i principali editorialisti tedeschi sono al soldo della CIA e che lui stesso ha preso soldi da tale agenzia. Immediatamente viene trattato come un appestato dai salotti dell’informazione tedesca, e al momento della sua morte (qualche mese fa) tutti i suoi ex-colleghi si ritrovano allegramente su Twitter a festeggiare l’evento;

- Italia: gli esempi si sprecano, ma per rimanere attuali basta guardare cosa sta accadendo al Sole 24Ore. Mi raccomando, FATE PRESTO!

- Gran Bretagna: anni dopo la morte di Jimmy Savile (noto DJ inglese) si viene a sapere che egli era un pedofilo e un necrofilo, e che i crimini di cui si sarebbe macchiato sarebbero stati consumati all’interno dei palazzi della BBC, con la complicità e copertura dei colleghi che sapevano. Sì, la stessa BBC che ha prodotto il documentario sui preti pedofili “Sex Crimes and the Vatican” (evidentemente di pedofilia se ne intendevano per esperienza);

Potremmo andare avanti per ore, ma il succo è sempre lo stesso: i principali operatori dell’informazione sono deboli e ricattabili, sia dal punto di vista economico che morale. Questo porta ovviamente i gestori degli stessi a cercare rifugio e protezione nella politica.

Un esempio è dato dal caso italiano, dove tutti i gruppi editoriali stampano in perdita e ci rimettono tantissimi soldi tutti gli anni. Il meccanismo che si crea è semplice: in cambio del finanziamento pubblico alla stampa, il prodotto stampato sarà conforme ai desiderata del Governo e dei capi di partito di turno. E non è un complotto: basta leggere i maggiori giornali italiani per accorgersi che non viene espresso un solo concetto originale e differente, se si confrontano tutti i quotidiani. La stampa diventa così un autentico megafono del pensiero unico.

In questo panorama da ventennio mascherato da democrazia irrompe però un importante attore: l’informazione autonoma gestita dai blog indipendenti e dai giornalisti indipendenti. Ovviamente, questi cattivoni inaffidabili (che possono esserlo davvero, non è che sono tutti bravi per forza) rischiano di rubare terreno e risorse agli ormai inaffidabili e sbugiardati media mainstream, e quindi parte la guerra.

Una guerra che non ha come scopo la ricerca della verità, ma che ha come scopo il mantenimento dello status quo e delle quote di mercato riservate ad ogni editore asservito al Potere. In questo conflitto, prende parte anche l’informazione televisiva, dato che anche essa si sente minacciata dal ruolo che si stanno ritagliando nuovi attori come RT (Russia Today, con un seguitissimo canale YouTube) e le decine di vlogger che ormai popolano la rete e che sono incredibilmente più affidabili dei telegiornali.

In un Paese demograficamente vecchio come l’Italia, purtroppo, la televisione avrà vita lunga per molti altri anni. Molti adulti non sono avvezzi a YouTube et similia, e quindi continueranno ad abbeverarsi alle fonti tradizionali. Tuttavia i giovani possono essere il motore di una rivoluzione: basta vedere come alcuni video su YouTube ottengano molte più visualizzazioni di tanti programmi televisivi.

Un altro conflitto, venuto fuori ultimamente, è quello tra i media mainstream e il mondo videoludico. Questo conflitto è documentato dal fatto che ogni volta che accade un fatto di cronaca si vada ad accusare il videogioco al quale il disgraziato di turno giocava, e che poi da lì parta un’offensiva verso tutti i videogiocatori e i videogiochi in generale.

Non è mia intenzione parlare della questione educativa, che mi riservo di approfondire in futuri articoli, ma di far luce sul fenomeno economico-culturale che c’è dietro a questo conflitto.

A mio avviso, la ragione principale è di tipo economico: l’industria videoludica mondiale ha un fatturato enormemente superiore a quello di Hollywood da diversi anni, quindi più gente gioca ai videogiochi e meno torta c’è per i produttori cinematografici.

Possiamo poi passare al fattore culturale: la televisione e il cinema sono stati e continuano ad essere i mezzi attraverso i quali si esercita l’egemonia culturale di gramsciana memoria. I videogiochi sono invece un ambiente ancora abbastanza non occupato dal politicamente corretto e quindi si capisce che creino fastidio agli occhi dei ben pensanti.

Mi vengono in mente dei recenti casi relativi alla Rai. Non guardo la televisione da ormai cinque anni, quindi se non li avessi letti su Internet non saprei nulla al riguardo.

In alcuni degli ultimi episodi del commissario Montalbano vengono fatte delle subdole operazioni di propaganda:

- In uno, il colpevole alla fine risulta essere un politico che difende la cosiddetta “famiglia tradizionale” (fantasia portami via);

- Nell’altro, viene alla luce un caso di incesto che alla fine non viene stigmatizzato da nessuno, perché “pur sempre una forma di amore è”.

Per concludere, la battaglia è quella per le menti degli esseri umani, c’è poco da fare. Un’ulteriore considerazione che vorrei fare è la seguente: il cambiamento epocale che stiamo vivendo, dal punto di vista dei nuovi media (video, videogiochi, citizen journalism, etc.) non è ancora stato recepito, e i vecchi attori del sistema difendono con le unghie e con i denti le rendite di posizione accumulate nei lunghi anni di flirt col Potere. Se la vediamo così, la loro reazione è più che comprensibile. Tuttavia, le loro falsità sono quotidianamente esposte e smascherate, e se non capiscono l’antifona, saranno spazzati via.

E' ufficiale, c'è poco da fare!!!






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