sabato 1 aprile 2017

Salmerìa 13.2017

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Obice: Non abbiate paura: La nostra riflessione per la veglia in favore dei martiri cristiani

Abbiamo avuto l'onore di essere invitati a scrivere una riflessione per la veglia che la Diocesi di Torino ha organizzato venerdì scorso in favore dei martiri cristiani di tutto il mondo, ne riportiamo il testo qui.


Le persecuzioni hanno segnato profondamente la storia del cristianesimo fin dai suoi esordi. I cristiani sono i più perseguitati al mondo. Non c'è punto della geografia mondiale dal quale attualmente non siano state introdotte cause di martirio presso la Congregazione dei Santi. Pensiamo al clima difficile in Africa, Medio Oriente, Asia, ove l'islam mostra un volto poco caritatevole. E pure nei continenti “anticamente” cristiani, come l'Europa, l'America non mancano le persecuzioni; in una forma più sofisticata, subdola, certo, ma non meno violente, poiché la parola ferisce come la spada. Il Center for study of Global Christianity ha rilevato che nel 2016 90 mila cristiani sono stati uccisi per la loro fede, cioè un morto ogni 6 minuti. Inoltre, risulta che in 102 paesi del mondo fra i 500 e i 600 milioni di cristiani non possono professare liberamente la loro fede. Lo confermano gli attacchi continui al nostro diritto di esserci pubblicamente, nella società civica, per il bene comune; diritto ben rappresentato dalle libertas ecclesiae e libertas educandi.


A conferma dell'intuizione di Giovanni Paolo II prima, di Benedetto XVI e di Papa Francesco dopo: il martirio è una grande realtà del cristianesimo e le violenze contro i cristiani sono più numerose oggi che in passato. Certamente ogni caso di martirio può essere esaminato da punti di vista diversi, perché spesso le circostanze sono diverse, ma il fondo della questione del martirio, ciò che tecnicamente chiamiamo "la causa formale", è sempre la stessa: la fede in Cristo e l'adesione del cristiano a Cristo nella Sua Chiesa.


Di fronte ad una situazione così difficile, possiamo continuare a Sperare? Certo, perché Dio è così onnipotente e supremamente buono da trarre dal male stesso il bene. Non a caso, la morte fisica morale dei martiri di ieri e di oggi, è sempre stato ed è semente per la nostra chiesa; ed è proprio grazie all'offerta della loro vita che lo Spirito Santo suscita sempre nuove vocazioni, nuovi germogli di una fede che non si esaurisce nonostante le persecuzioni, nonostante le difficoltà. Disponiamoci in ascolto della Parola di Dio rimanendo in Adorazione davanti a Gesù Eucaristia, vero e unico alimento per la nostra fede e ascoltiamo le parole dei martiri che non hanno esitato di consegnarsi alle mani dei persecutori pur di rimanere fedeli al Vangelo che annunciavano.


Le tracce del loro sangue hanno sempre aperto il cammino ad un futuro splendido, permettendo ad altri di mietere i propri copiosi frutti seminati e cresciuti nelle sofferenze. Perché sono sempre rimasti fedeli a Cristo, alla Chiesa a Maria santissima e al popolo cristiano, non solo con la Speranza, bensì anche con la Fede e la Carità. Virtù alimentate dalla certezza di non soffrire inutilmente e di Risorgere. Ha detto Cristo (Luca 21,11-19): «Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. Questo vi darà occasione di render testimonianza. Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime».

Il martirio dei nostri fratelli in Medio Oriente e nel resto del mondo alimenti le nostre Fede Speranza e Carità, affinché in ogni ambiente, dall'università al luogo di lavoro, possiamo “fare – come ci ricorda anche Tolkien nel Signore degli Anelli - il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita da coltivare”.





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giovedì 30 marzo 2017

Cappellano militare: Il peso della fede

C’è chi pensa che la vita sia una successione di momenti da afferrare con leggerezza, mentre si tratta di immergersi continuamente nella densità dell’eterno; c’è chi va in giro ad ascoltare parole che scivolino ad accarezzare sentimenti e convinzioni, mentre bisogna lasciare che cadano sul fondo del cuore e ne frantumino la durezza; c’è chi ama scorgere volti, mentre è necessario cercare la verità della persona per amarla.

Sì, la Fede ha questo peso, il peso della croce: porta dell’Eterno, spada che trafiggendo scrive la Parola, squarcio del velo che copre il Volto.

La croce ha il peso della Salvezza, perché porta il peso del Salvatore: dolce peso, ma pur sempre un peso, perché ciò che conta ha peso e dà peso.


Don Carlo Pizzocaro






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Obice: La guerra ai nuovi media e alle “fake news”: una lettura di tipo politico e tecnologico

Non vi chiamano Contraffatte News Network per niente!



È da quando Hillary Clinton ha perso le elezioni americane che sentiamo ossessivamente parlare di “fake news”, e dei tentativi per fermarle da parte di governi, organismi sovranazionali, organismi e fondazioni indipendenti (sì, come no… vero Soros?) e chi più ne ha più ne metta.

È singolare che la guerra alle “fake news” venga condotta da soggetti che hanno utilizzato la menzogna sistematica come mezzo di lotta politica: basti pensare che gli stessi che invocano oggi la chiusura dei blog alternativi sono gli stessi che hanno combattuto per la legalizzazione dell’aborto inventandosi cifre a caso artatamente gonfiate relativamente agli aborti clandestini, e potremmo trovare esempi a bizzeffe.

Ma non è questo il punto, dato che l’ipocrisia dei liberal è evidente a chiunque non abbia etti di crudo sugli occhi. La questione è: perché i media mainstream tradizionali si prestano ad autentiche prostitute della politica in questo tentativo di censura?

Per capire questo, bisogna prima rendersi conto della bancarotta economica e morale dell’informazione mainstream mondiale, non solo di quella italiana. Gli esempi sono numerosi e documentati, eccone alcuni:

- Germania: qualche anno fa il giornalista Udo Ulfkotte rende noto che i principali editorialisti tedeschi sono al soldo della CIA e che lui stesso ha preso soldi da tale agenzia. Immediatamente viene trattato come un appestato dai salotti dell’informazione tedesca, e al momento della sua morte (qualche mese fa) tutti i suoi ex-colleghi si ritrovano allegramente su Twitter a festeggiare l’evento;

- Italia: gli esempi si sprecano, ma per rimanere attuali basta guardare cosa sta accadendo al Sole 24Ore. Mi raccomando, FATE PRESTO!

- Gran Bretagna: anni dopo la morte di Jimmy Savile (noto DJ inglese) si viene a sapere che egli era un pedofilo e un necrofilo, e che i crimini di cui si sarebbe macchiato sarebbero stati consumati all’interno dei palazzi della BBC, con la complicità e copertura dei colleghi che sapevano. Sì, la stessa BBC che ha prodotto il documentario sui preti pedofili “Sex Crimes and the Vatican” (evidentemente di pedofilia se ne intendevano per esperienza);

Potremmo andare avanti per ore, ma il succo è sempre lo stesso: i principali operatori dell’informazione sono deboli e ricattabili, sia dal punto di vista economico che morale. Questo porta ovviamente i gestori degli stessi a cercare rifugio e protezione nella politica.

Un esempio è dato dal caso italiano, dove tutti i gruppi editoriali stampano in perdita e ci rimettono tantissimi soldi tutti gli anni. Il meccanismo che si crea è semplice: in cambio del finanziamento pubblico alla stampa, il prodotto stampato sarà conforme ai desiderata del Governo e dei capi di partito di turno. E non è un complotto: basta leggere i maggiori giornali italiani per accorgersi che non viene espresso un solo concetto originale e differente, se si confrontano tutti i quotidiani. La stampa diventa così un autentico megafono del pensiero unico.

In questo panorama da ventennio mascherato da democrazia irrompe però un importante attore: l’informazione autonoma gestita dai blog indipendenti e dai giornalisti indipendenti. Ovviamente, questi cattivoni inaffidabili (che possono esserlo davvero, non è che sono tutti bravi per forza) rischiano di rubare terreno e risorse agli ormai inaffidabili e sbugiardati media mainstream, e quindi parte la guerra.

Una guerra che non ha come scopo la ricerca della verità, ma che ha come scopo il mantenimento dello status quo e delle quote di mercato riservate ad ogni editore asservito al Potere. In questo conflitto, prende parte anche l’informazione televisiva, dato che anche essa si sente minacciata dal ruolo che si stanno ritagliando nuovi attori come RT (Russia Today, con un seguitissimo canale YouTube) e le decine di vlogger che ormai popolano la rete e che sono incredibilmente più affidabili dei telegiornali.

In un Paese demograficamente vecchio come l’Italia, purtroppo, la televisione avrà vita lunga per molti altri anni. Molti adulti non sono avvezzi a YouTube et similia, e quindi continueranno ad abbeverarsi alle fonti tradizionali. Tuttavia i giovani possono essere il motore di una rivoluzione: basta vedere come alcuni video su YouTube ottengano molte più visualizzazioni di tanti programmi televisivi.

Un altro conflitto, venuto fuori ultimamente, è quello tra i media mainstream e il mondo videoludico. Questo conflitto è documentato dal fatto che ogni volta che accade un fatto di cronaca si vada ad accusare il videogioco al quale il disgraziato di turno giocava, e che poi da lì parta un’offensiva verso tutti i videogiocatori e i videogiochi in generale.

Non è mia intenzione parlare della questione educativa, che mi riservo di approfondire in futuri articoli, ma di far luce sul fenomeno economico-culturale che c’è dietro a questo conflitto.

A mio avviso, la ragione principale è di tipo economico: l’industria videoludica mondiale ha un fatturato enormemente superiore a quello di Hollywood da diversi anni, quindi più gente gioca ai videogiochi e meno torta c’è per i produttori cinematografici.

Possiamo poi passare al fattore culturale: la televisione e il cinema sono stati e continuano ad essere i mezzi attraverso i quali si esercita l’egemonia culturale di gramsciana memoria. I videogiochi sono invece un ambiente ancora abbastanza non occupato dal politicamente corretto e quindi si capisce che creino fastidio agli occhi dei ben pensanti.

Mi vengono in mente dei recenti casi relativi alla Rai. Non guardo la televisione da ormai cinque anni, quindi se non li avessi letti su Internet non saprei nulla al riguardo.

In alcuni degli ultimi episodi del commissario Montalbano vengono fatte delle subdole operazioni di propaganda:

- In uno, il colpevole alla fine risulta essere un politico che difende la cosiddetta “famiglia tradizionale” (fantasia portami via);

- Nell’altro, viene alla luce un caso di incesto che alla fine non viene stigmatizzato da nessuno, perché “pur sempre una forma di amore è”.

Per concludere, la battaglia è quella per le menti degli esseri umani, c’è poco da fare. Un’ulteriore considerazione che vorrei fare è la seguente: il cambiamento epocale che stiamo vivendo, dal punto di vista dei nuovi media (video, videogiochi, citizen journalism, etc.) non è ancora stato recepito, e i vecchi attori del sistema difendono con le unghie e con i denti le rendite di posizione accumulate nei lunghi anni di flirt col Potere. Se la vediamo così, la loro reazione è più che comprensibile. Tuttavia, le loro falsità sono quotidianamente esposte e smascherate, e se non capiscono l’antifona, saranno spazzati via.

E' ufficiale, c'è poco da fare!!!






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mercoledì 29 marzo 2017

Congedo con onore: Orwell 1984: Buone notizie!







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Cappellano militare: L'imitazione

Nella sua Poetica, Aristotele sostiene che la più grande forma di "mimesi", cioè di imitazione creativa, sia la metafora.

«La metafora è la sovrapposizione [ad un segno linguistico] di un segno linguistico che usualmente indica altro» [Aristotele].

Per imitare in modo creativo non è richiesto di divenire identici e nemmeno di farsi sostituire dall'altro: per creare imitando è necessario semplicemente essere dell'altro. Appartenersi, nella reciproca diversità, senza sostituirsi mai e senza fare dell'altro la sostituzione a qualcosa (o qualcuno) che ci manca: è la misteriosa tensione della filiazione, paradigma di ogni autentico amore.


Don Carlo Pizzocaro






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martedì 28 marzo 2017

Cappellano militare: L'eroe

Gesù rimette in piedi quell'uomo prima di guarire le sue gambe.

«Vuoi guarire?»: forse non si ricordava nemmeno di avere in sé un desiderio profondamente alto, forse non si ricordava di poter ancora volere qualcosa nella sua vita.

Rimettendo in piedi la volontà di un uomo che si era ridotto a "lasciarsi vivere", Cristo lo trasforma da vittima ad eroe: ecco cosa fa il Re nel cuore del suo condottiero. Perché i cristiani non sono vittime, possono solo essere eroi e l'eroe sa che cosa vuole.

«Chi vuole altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che si voglia» [s. Filippo Neri].


Don Carlo Pizzocaro






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lunedì 27 marzo 2017

Cappellano militare: L'arte della fiducia

«credette alla parola [...] e si mise in cammino». Vera pazzia: camminare soltanto su una parola.

Non ci sono visioni e nemmeno garanzie, ma solo una parola. Quanto deve essere grande e sicura una strada, per giungere alla meta? Tecnicamente basta anche solo una corda, se ci si fida a camminarci sopra.

È un'arte della fiducia il funambolismo, ma è soprattutto una passione, perché se cammini su una corda soltanto, questa non taglia l'orizzonte come farebbe una strada qualunque, ma lo disegna trasfigurando tutto in Bellezza.

Solo chi si fida ha una vita bella, perché serve un cuore grande, libero da preoccupazioni, per abbracciare un orizzonte intero.


Don Carlo Pizzocaro






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domenica 26 marzo 2017

Lettera dal fronte: Dacci oggi la nostra eresia quotidiana/02: Luteranesimo un tanto al chilo

Anno Domini 2017: 500 anni ci separano dalla riforma di Lutero, 300 dalla fondazione della prima loggia massonica speculativa e 100 sia dalla rivoluzione russa che dalla rotta di Caporetto. Non c’è che dire: siamo in buona compagnia per poter rafforzare la nostra fede e dedicarci allo studio della storia. E’ innegabile, tuttavia, che oggigiorno la cultura dominante ci porta a non ricordare questi eventi che, benché uno più drammatico dell’altro, fanno parte della nostra storia e della nostra identità di cristiani, italiani, europei. Similmente, non è ben chiaro se-come-perché commemorare e/o celebrare e/o ricordare (e volutamente uso questi termini che, avviso fin da subito, non ritengo essere sinonimi) questi anniversari da un punto di vista cattolico. Occorre dunque cercare di fare chiarezza in un’epoca di dubbi e di falsità dilaganti: sarebbe bellissimo analizzare ogni singolo anniversario di questo nostro martoriato 2017 ma preferiamo dedicarci, almeno in questa rubrica, al cinquecentesimo della riforma protestante.

In un prossimo articolo ci ripromettiamo di parlare dei semi protestanti disseminati oggigiorno dappertutto anche in molti componenti della Chiesa Cattolica (la quale, Corpo Mistico di Cristo, è sempre santa per opera dello Spirito Santo): piuttosto, ora, riteniamo doveroso fare alcune precisazioni lessicali che renderanno maggiormente capibile la nostra ermeneutica delle tendenze protestanti all'interno della Chiesa e, allo stesso modo, è nostro dovere capire cosa sta succedendo attorno a noi in occasione di questo centenario.

Da un punto di vista storico e storiografico, il termine di Riforma Protestante è ormai diventato di uso comune e generalizzato: alcuni storici hanno provato ad usare il termine di Rivoluzione Protestante ma non sono generalmente seguiti dalla massa degli studiosi. Essendo questo un articolo di Storia della Chiesa, che analizza ogni cosa alla luce del Catechismo della Chiesa Cattolica, preferisco usare il termine classico di riforma ma rigorosamente in corsivo e minuscolo riprendendo in un certo senso il termine con cui la Santa Sede ha per secoli definito i figli ed i nipoti di Lutero («i cosiddetti riformati»).

Non penso sia necessario spiegare il perché tutti i fedeli cattolici non possano celebrare questo anniversario: il concetto rimanda infatti alla festa ed alla solennizzazione di eventi che sono sia unitivi che comuni (qualità decisamente assenti negli eventi della riforma). Il concetto di commemorazione, invece, potrebbe essere utilizzato a patto tuttavia di non dargli il carattere sacro e liturgico che la Chiesa attribuisce ad alcune celebrazioni come la Commemorazione di tutti i fedeli defunti o la Commemorazione di un Santo durante un Tempo Forte. Bisognerebbe invece, a mio modesto parere, utilizzare il verbo ricordare (purché scevro dal carattere sacrale e liturgico, utilizzato in particolare nella Santa Messa, di rendere presente) inteso da un punto di vista storico: è innegabile che la riforma sia avvenuta, è altrettanto innegabile il fatto che – ci piaccia o non ci piaccia – perduri ancora oggi e che, pertanto, è nostro dovere analizzarla in ogni sua componente compresa la prospettiva futura di convivenza (perché l’epoca degli Stati confessionali è ormai tramontata da tempo) che la Chiesa ha sempre denominato tolleranza . Utilizzando la categoria storica del ricordo (il fare dunque memoria) si potrà parlare in piena coscienza, con meno acredine possibile, delle gravi colpe degli uomini della Chiesa del XVI secolo, di dottrine peregrine che all'epoca si insegnavano in ogni dove, dei morti dell’una e dell’altra parte, degli errori dottrinali di Lutero, ma anche dell’opera e dell’insegnamento dei Santi della contro-riforma, etc.

Per far questo però è necessario precisare due cose: 1) è impossibile cancellare 500 anni di storia (basti pensare che è difficile parlare in maniera serena di eventi ben più recenti e cronologicamente più modesti come il ventennio fascista) e 2) si è trattata di un’eresia all'interno della Chiesa Cattolica che si è propagata in tutto il mondo dando vita a numerosissime denominazioni cristiane che, secondo il loro modo di vedere, si riconoscono come l’unica vera Chiesa di Cristo.

Se non si parte da questi dati di fatto stiamo solamente rimestando l’acqua nel mortaio. Alla luce di quanto detto, è chiaro come il sole come si deve vivere questo triste anniversario: con mestizia ed il ritorno alla vera fede. E dobbiamo farlo con il cuore che gronda sangue perché non solo la Chiesa è ancora oggi lacerata nella sua unità ma anche perché ci sono milioni di anime che non possono attingere ai fiumi d’acqua viva che da essa sgorgano per mezzo dei Sacramenti: riflettiamo mai abbastanza a come siamo “fortunati” noi cattolici? Noi abbiamo la possibilità di stare bocca a bocca (etimologia di adorare) a Cristo nella Santa Eucarestia, i protestanti no; noi possiamo dire correttamente di aver avuto i peccati perdonati nella Confessione, i protestanti si devono appellare ad un atto di fede talmente puro per essere giustificati che è difficile solo immaginarlo; noi cattolici possiamo ricorrere al Magistero quando non comprendiamo appieno né la dottrina né la Sacra Scrittura, i protestanti invece sono lasciati come pecore senza pastore in balia dell’una o dell’altra corrente dominante; noi cattolici abbiamo la grazia di poter onorare la Vergine Maria, avendo in lei una sicura Avvocata presso suo Figlio, mentre i protestanti non riconoscono nessun intermediario tra Dio e l’uomo che non sanno (letteralmente) a che santo votarsi. Pensiamo mai a queste grazie come anche alle altre centinaia di cui è oggetto e deposito la Chiesa Cattolica? Contemporaneamente – repetita iuvant – soffriamo per tutte le anime delle chiese protestanti che non hanno nulla di tutto questo? Similmente, pensiamo mai al fatto che Lutero e tutti gli altri riformatori partivano da una critica feroce alla Chiesa che, all’epoca, appariva loro come una turba di uomini e donne alla ricerca non tanto della gloria di Dio bensì di quella del Mondo? E ci fermiamo mai a pensare adeguatamente al fatto che se queste persone hanno potuto confondere e travisare la sana dottrina l’hanno potuto fare perché non l’avevano degnamente studiata, compresa, amata e vissuta? Come non temere che l’abbandono degli studi di tutte le scienze sacre potrebbe generare sempre nuovi Lutero e Calvino? Come non avere paura della scarsa fedeltà dei religiosi pensando a tutti i conventi tedeschi che si svuotarono in brevissimo tempo a seguito delle prediche dei vari predicatori di turno?

Ma se è chiaro in che modo è possibile parlare del centenario della riforma, è altrettanto ovvio cosa sia da evitare. E qui, dispiace dirlo, siamo dinanzi veramente all'assurdo in quanto – è innegabile – ci sono fior fiore di prelati e di cosiddetti laici impegnati che tutto fanno tranne che ricordare: anzi, la riforma è esaltata, celebrata, lodata, festeggiata fin nei più piccoli consessi ecclesiali di tutte le Diocesi cattoliche. Si moltiplicano come funghi i gruppi ecumenici per preghiere in comune e per poter partecipare ad incontri organizzati quasi sempre dalle chiese protestanti con l’invito rivolto al parroco di turno, sempre presente a porgere il saluto dei cristiani altri (ebbene si: ci chiamano così) blaterando di cose che magari loro neanche conoscono. Ma attenzione: non dobbiamo solamente stigmatizzare questi comportamenti ma anche riflettere sul fatto che le chiese protestanti stanno lavorando alacremente per questo centenario togliendoci ogni possibilità di parola. Ebbene si, signori: noi cattolici non ci siamo interessati della questione, o se si è fatto abbiamo davanti ai nostri occhi gli esempi di cui sopra, cosicché le chiese protestanti di varia denominazione stanno letteralmente impadronendosi del centenario, mostrandosi quindi non come una eresia che a sua volta ha prodotto la nascita di gruppi e gruppetti, bensì come uno dei tanti modi in cui il cristianesimo è presente sulla terra benché siamo tutti uniti in Cristo: e se ci sono vari modi, sono tutti validi, ed allora è inutile cercare l’unità privilegiando pratiche comuni da attuare giorno per giorno nelle singole comunità. Non stiamo discutendo di cose di poco conto, bensì di applicazione delle dottrine (ortoprassi) in quanto è risaputo infatti che i protestanti parlano di unità delle Chiese (che, pertanto, potrebbero anche convivere una accanto all'altra come in una federazione) e non dei cristiani: la Chiesa Cattolica afferma invece che la Chiesa è (e sempre sarà, logicamente) una e che, pertanto, semplificando il concetto, ogni singolo protestante (ma anche ogni singolo cristiano non cattolico) deve tornare in seno all'unica e vera Chiesa che è quella cattolica fondata direttamente da Cristo sulla roccia di Pietro. Non c’è altra via: le federazioni non possono esistere nella Chiesa Cattolica in quanto Cristo non ha stabilito più primati.

Dispiace dirlo, ma abbiamo commesso un enorme errore a lasciare in mano il centenario della riforma solo ai protestanti perché così si rinnova ancora una volta la dicotomia (a loro tanto cara) tra riforma e controriforma, in cui ovviamente la Chiesa Cattolica è vista come freno alle loro istanze riformistiche: ma – dicono loro – la riforma segue la decadenza, rappresentata dalla Chiesa Cattolica che sarà sempre ancorata a modelli da superare (se sono decadenti perché mantenerli?), e via di questo passo in una logica sempre più dialettica di progresso e regresso. La Chiesa Cattolica, manco a dirlo, afferma altro: la vera riforma è il ritorno alle origini e non uno stravolgimento della dottrina, della liturgia, della Sacra Scrittura come hanno voluto invece Lutero ed i suoi epigoni.

Ma c’è anche altro, in quanto ad ogni convegno che queste chiese organizzano, siatene certi, la Chiesa Cattolica è semplicemente ribattezzata come Chiesa Romana: non che non sia vero – per carità: Dio benedica la Cattedra di Pietro in ogni momento! – ma è emblematico che queste chiese, che non sono universali in quanto fin dalla loro denominazione (valdesi = di Valdo; luterani = di Lutero; calvinisti = di Calvino; etc), utilizzino un aggettivo “localistico” e “topografico” per poter affermare di avere esse uno spirito cattolico. Anche qui, non si sta subendo passivamente l’infamia che generazioni di cattolici inglesi e irlandesi hanno subito sulla loro pelle sentendosi appellare come papisti? E queste cose ce le dicono direttamente in faccia, non le mandano mica a dire: fatevi una navigata nel sito web della chiesa luterana italiana e vedrete, in relazione al celeberrimo incontro di Lund, che terminologia utilizzano per descrivere il Papa.

Sperando di celebrare degnamente ed allo stesso modo il centenario del Concilio di Trento, nel frattempo il quesito rimane: che cosa fare? E, soprattutto, cosa fare per non seminare scandalo tra i semplici che vedono che ci sono tante chiese diverse che vengono ricevute, accolte e finanche elogiate persino dai vertici della Chiesa Cattolica (compresa una certa persona di bianco vestita)? Innanzitutto pregare. E poi studiare: storia, filosofia, teologia, qualsiasi cosa possa aiutarci ad amare sempre di più la nostra Santa Fede Cattolica.

Riprendiamo in mano la storia, vera Magistra Vitae, da sempre elogiata e coltivata dalla Chiesa per il suo valore intrinseco, e non abbiamo paura di dire al mondo intero cosa è stata o cosa ha prodotto la riforma: divisione, iconoclastia, roghi, eresie e guerre di religione. Non nascondiamoci dietro un dito, tuttavia, e affermiamo altresì senza paura che la Chiesa dell’epoca mostrava tutto tranne la santità che le è propria come Corpo Mistico di Cristo. Ma soprattutto torniamo ad applicare San Paolo che invitava i cristiani del suo tempo, e dunque anche noi, a vagliare tutto e trattenere ciò che è buono: non solo la Chiesa può ma, anzi, deve dire la sua sulla riforma senza fare il pappagallo dei nipotini di Lutero.


Il Cardinale del Sacco






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