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sabato 21 gennaio 2017
venerdì 20 gennaio 2017
Obice: Antonio Tajani e quelle strane coincidenze
Mi permetto di rivolgermi agli amici e a quanti nelle ultime ore hanno accolto con squilli di tromba (in modo un poco naïf, direi) l'elezione di Antonio Tajani a presidente del Parlamento Europeo. Niente di eccezionale. Quella elezione conferma semplicemente un accordo di legislatura, che da anni, "non solo ora", è siglato tra i due principali gruppi parlamentari, euro-socialista (il PD sta qui) ed euro-popolare (FI qui): in forza del quale alla presidenza del Parlamento siede per i primi due anni e mezzo un esponente del I gruppo e nei due anni e mezzo successivi un esponente del II. Se proviamo ad allargare lo sguardo al contesto internazionale e nazionale, possiamo notare come "l'eccezionalità" costruita attorno ad una "banale" elezione dai media sia in realtà un modo da regime per nascondere questioni più importanti ma considerate scomode dal PD/partito radicale di massa. Elenchiamole:
La Commissione Europea ci boccia il bilancio, nella classifica delle 30 maggiori economie industriali del mondo presentata al World Economic Forum di Davos siamo al 27° posto, la Cina vuole proteggere il libero mercato (come farà l'Europa a resistere alla sua aggressività, se continua ad essere poco coesa, a non avere un esercito web e intelligence europei?); l’Alitalia è di nuovo sull’orlo del fallimento e anche la Luxottica si è rifugiata all’estero e non sarà più quotata alla Borsa di Milano; la questione immigrazione è quasi fuori controllo, a causa del divario che sta venendosi a creare tra italiani e stranieri: se non aiuti prima gli autoctoni, come puoi essere d'aiuto ai forestieri? (che banalità); la libertà di parola sempre più minacciata: caso de Mari, Frigerio, Benigni docent; il terremoto che ha solo peggiorato la situazione del Centro Italia, già aggravata dalla negligenza del governo; le risorse per inserire l'eterologa (attraverso la quale si potrebbe legalizzare la barbarie dell'utero in affitto) nei lea-livelli essenziali di assistenza, per permettere all'Inps di riconoscere la reversibilità della pensione alle coppie formate da persone dello stesso sesso - che discrimina pure le coppie di fatto formate da un uomo e da una donna: non a caso, perfino un giornalista del Fatto Quotidiano si chiedeva "Unioni civili, perché reversibilità e diritti successori ai gay e non agli etero (gay ed etero termini ideologici ndr)?". Forse anche qui si sono resi conto dell'esistenza di una lobby omosessualista egoista, che discrimina e che non ha niente a che vedere con le esigenze vere delle persone con orientamento omosessuale, cercate Ex HomoVox Francia, Philippe Ariño, Giorgio Ponte, così capirete -, per introdurre i decreti attuativi delle unioni civili, un duro colpo alla vera famiglia e di conseguenza all'umanità, le risorse per tutto questo ci sono ma non per le popolazioni colpite dai terremoti.
Quindi, festeggiare in modo ingenuo l'elezione di Tajani sotto tali cattivi presagi è favorire solo l'attuale establishment nazionale "pdiota-boldrinchic" e quello internazionale radical/liberal alla Soros-Clinton-Obama, che attraverso i media cercano di nascondere quei problemi e propinano racconti capziosi della realtà. Ecco le "vere" fakenews. Accorgersene è il primo passo per contrastarli e fare giustizia, sopra tutto ai fratelli colpiti dal terremoto e feriti abbandonati dalle istituzioni.
Un ultimo pensierino. Il tifo stupidino per Tajani mi ricorda quello espresso da tanti avversari del rosso sistema-Torino per la vittoria di Chiara Appendino del giugno scorso. Che fu vista come una liberatrice, anche da alcuni cattolici. Certo, parliamo di un altro contesto, e del membro di un altro partito (che si maschera da movimento innovativo rivoluzionario, quando in realtà appartiene allo stesso schema di sistema radical del PD: oggi i veri "rivoluzionari" sono coloro che difendono la famiglia e l'uomo dal potere menzognero e post-umano, però, come nel caso di Tajani, si guardò a quello che dicevano i media e non alla realtà. La Baionetta "Nemo propheta acceptus est in patria sua". Di fatti, dopo poco, colei che doveva distruggere il sistema-To ha gettato la maschera, mostrando di essere perfettamente inserita nello stesso (grazie anche alla famiglia). Così non devono stupire le sue scelte; ad esempio: le nomine alla guida di Trm, la società che gestisce l’inceneritore di Gerbido, l'autorizzazione data per la costruzione del centro commerciale sull’area ex-Westinghouse, alla faccia dei commercianti del centro, l'aver inviato con Sergio Chiamparino al Governo la richiesta per sottoscrivere "il patto per il Piemonte". Un patto da sei miliardi di euro nel quale Appendino e Chiamparino chiedevano a Matteo Renzi lo stanziamento di fondi (per un totale di 3.2 miliardi di euro) per la realizzazione di interventi importanti sulle infrastrutture, tra cui il sistema ferroviario: a tal riguardo il patto prevede molte opere figlie della realizzazione della linea ad Alta Velocità Torino-Lione. Caro no-tav che leggi purtroppo è così. Se non credi a quanto scritto sopra, ti invito a prendere nota di queste parole che il sindaco Appendino aveva detto in un’intervista all’ANSA subito dopo la sua elezione: «Un sindaco non può bloccare la Tav, quello che farò è portare al tavolo le ragioni del ‘no’, dialogherò con tutti e ascolterò le ragioni di tutti e se non ci sarà dialogo possibile lasceremo l’Osservatorio». Si potrebbe dire per gli esempi citati, che la strategia usata è quella dei "due piedi in una scarpa", addio durezza e purezza del no, avanti pragmatismo e realpolitik. Fin qui niente di nuovo. Non è qui che si registra il superamento del PD, bensì altrove, nel tentativo di manipolare la realtà. Come dimostra la scelta di farsi chiamare "sindaca" contro l'italiano e di avere l'assessorato alle famiglie, con Marco Giusta ex presidente di arci-gay come assessore; mossa che va contro il buon senso e il diritto di un uomo e di una donna uniti in matrimonio e con figli di essere riconosciuti come l'unica vera famiglia.
Le conclusioni usate per il caso Tajani valgono anche qui. Aggiungo solo un invito, che rivolgo soprattutto ai cattolici. Fratres smettiamola di accontentarci in politica con lo slogan "voto il meno peggio", ché poi si fanno cavolate come a Torino, ove ci si è fatti ingannare dalla retorica del cambiamento portata avanti dai pentastellati, che dava loro l'apparenza di "meno peggio", per poi scoprire che così non era; infatti, conveniva non andare a votare.
Fatti i dovuti mea culpa, fermiamoci e riflettiamo su questo tempo non facile: nonostante le difficoltà, ci è data la possibilità di vivere una grande avventura, quella del ritorno ad un impegno serio ma avvincente, fatto di Preghiera Studio e Carità; all'ardore missionario dell'Evangelizzazione di cui parlavano tanto San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Guardiamo al sano civismo presente nella società civile, non abbiamo paura di incontrare associazioni movimenti, reti di persone, quali Sentinelle in Piedi il Comitato DNF, PDF e quanti sono disposti a fare la strada con noi. Ciò getterà le basi per una nuova generazione di cattolici in politica, in vista magari di un partito popolare, ove quei tanti e importanti tentativi troveranno spazio per le proprie istanze.
Viviamo e non vivacchiamo (lo ripeteva sempre il beato Frassati), perché abbiamo la Verità-Gesù Cristo, un bene troppo grande da tenere nel privato delle nostre case e delle sacrestie. Dobbiamo portarlo a tutti, certi che non mancherà l'aiuto della Grazia.
La Commissione Europea ci boccia il bilancio, nella classifica delle 30 maggiori economie industriali del mondo presentata al World Economic Forum di Davos siamo al 27° posto, la Cina vuole proteggere il libero mercato (come farà l'Europa a resistere alla sua aggressività, se continua ad essere poco coesa, a non avere un esercito web e intelligence europei?); l’Alitalia è di nuovo sull’orlo del fallimento e anche la Luxottica si è rifugiata all’estero e non sarà più quotata alla Borsa di Milano; la questione immigrazione è quasi fuori controllo, a causa del divario che sta venendosi a creare tra italiani e stranieri: se non aiuti prima gli autoctoni, come puoi essere d'aiuto ai forestieri? (che banalità); la libertà di parola sempre più minacciata: caso de Mari, Frigerio, Benigni docent; il terremoto che ha solo peggiorato la situazione del Centro Italia, già aggravata dalla negligenza del governo; le risorse per inserire l'eterologa (attraverso la quale si potrebbe legalizzare la barbarie dell'utero in affitto) nei lea-livelli essenziali di assistenza, per permettere all'Inps di riconoscere la reversibilità della pensione alle coppie formate da persone dello stesso sesso - che discrimina pure le coppie di fatto formate da un uomo e da una donna: non a caso, perfino un giornalista del Fatto Quotidiano si chiedeva "Unioni civili, perché reversibilità e diritti successori ai gay e non agli etero (gay ed etero termini ideologici ndr)?". Forse anche qui si sono resi conto dell'esistenza di una lobby omosessualista egoista, che discrimina e che non ha niente a che vedere con le esigenze vere delle persone con orientamento omosessuale, cercate Ex HomoVox Francia, Philippe Ariño, Giorgio Ponte, così capirete -, per introdurre i decreti attuativi delle unioni civili, un duro colpo alla vera famiglia e di conseguenza all'umanità, le risorse per tutto questo ci sono ma non per le popolazioni colpite dai terremoti.
Quindi, festeggiare in modo ingenuo l'elezione di Tajani sotto tali cattivi presagi è favorire solo l'attuale establishment nazionale "pdiota-boldrinchic" e quello internazionale radical/liberal alla Soros-Clinton-Obama, che attraverso i media cercano di nascondere quei problemi e propinano racconti capziosi della realtà. Ecco le "vere" fakenews. Accorgersene è il primo passo per contrastarli e fare giustizia, sopra tutto ai fratelli colpiti dal terremoto e feriti abbandonati dalle istituzioni.
Un ultimo pensierino. Il tifo stupidino per Tajani mi ricorda quello espresso da tanti avversari del rosso sistema-Torino per la vittoria di Chiara Appendino del giugno scorso. Che fu vista come una liberatrice, anche da alcuni cattolici. Certo, parliamo di un altro contesto, e del membro di un altro partito (che si maschera da movimento innovativo rivoluzionario, quando in realtà appartiene allo stesso schema di sistema radical del PD: oggi i veri "rivoluzionari" sono coloro che difendono la famiglia e l'uomo dal potere menzognero e post-umano, però, come nel caso di Tajani, si guardò a quello che dicevano i media e non alla realtà. La Baionetta "Nemo propheta acceptus est in patria sua". Di fatti, dopo poco, colei che doveva distruggere il sistema-To ha gettato la maschera, mostrando di essere perfettamente inserita nello stesso (grazie anche alla famiglia). Così non devono stupire le sue scelte; ad esempio: le nomine alla guida di Trm, la società che gestisce l’inceneritore di Gerbido, l'autorizzazione data per la costruzione del centro commerciale sull’area ex-Westinghouse, alla faccia dei commercianti del centro, l'aver inviato con Sergio Chiamparino al Governo la richiesta per sottoscrivere "il patto per il Piemonte". Un patto da sei miliardi di euro nel quale Appendino e Chiamparino chiedevano a Matteo Renzi lo stanziamento di fondi (per un totale di 3.2 miliardi di euro) per la realizzazione di interventi importanti sulle infrastrutture, tra cui il sistema ferroviario: a tal riguardo il patto prevede molte opere figlie della realizzazione della linea ad Alta Velocità Torino-Lione. Caro no-tav che leggi purtroppo è così. Se non credi a quanto scritto sopra, ti invito a prendere nota di queste parole che il sindaco Appendino aveva detto in un’intervista all’ANSA subito dopo la sua elezione: «Un sindaco non può bloccare la Tav, quello che farò è portare al tavolo le ragioni del ‘no’, dialogherò con tutti e ascolterò le ragioni di tutti e se non ci sarà dialogo possibile lasceremo l’Osservatorio». Si potrebbe dire per gli esempi citati, che la strategia usata è quella dei "due piedi in una scarpa", addio durezza e purezza del no, avanti pragmatismo e realpolitik. Fin qui niente di nuovo. Non è qui che si registra il superamento del PD, bensì altrove, nel tentativo di manipolare la realtà. Come dimostra la scelta di farsi chiamare "sindaca" contro l'italiano e di avere l'assessorato alle famiglie, con Marco Giusta ex presidente di arci-gay come assessore; mossa che va contro il buon senso e il diritto di un uomo e di una donna uniti in matrimonio e con figli di essere riconosciuti come l'unica vera famiglia.
Le conclusioni usate per il caso Tajani valgono anche qui. Aggiungo solo un invito, che rivolgo soprattutto ai cattolici. Fratres smettiamola di accontentarci in politica con lo slogan "voto il meno peggio", ché poi si fanno cavolate come a Torino, ove ci si è fatti ingannare dalla retorica del cambiamento portata avanti dai pentastellati, che dava loro l'apparenza di "meno peggio", per poi scoprire che così non era; infatti, conveniva non andare a votare.
Fatti i dovuti mea culpa, fermiamoci e riflettiamo su questo tempo non facile: nonostante le difficoltà, ci è data la possibilità di vivere una grande avventura, quella del ritorno ad un impegno serio ma avvincente, fatto di Preghiera Studio e Carità; all'ardore missionario dell'Evangelizzazione di cui parlavano tanto San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Guardiamo al sano civismo presente nella società civile, non abbiamo paura di incontrare associazioni movimenti, reti di persone, quali Sentinelle in Piedi il Comitato DNF, PDF e quanti sono disposti a fare la strada con noi. Ciò getterà le basi per una nuova generazione di cattolici in politica, in vista magari di un partito popolare, ove quei tanti e importanti tentativi troveranno spazio per le proprie istanze.
Viviamo e non vivacchiamo (lo ripeteva sempre il beato Frassati), perché abbiamo la Verità-Gesù Cristo, un bene troppo grande da tenere nel privato delle nostre case e delle sacrestie. Dobbiamo portarlo a tutti, certi che non mancherà l'aiuto della Grazia.
mercoledì 18 gennaio 2017
martedì 17 gennaio 2017
Lettera dal fronte: Marx, le potature mancate e la neve caduta: riflessioni invernali del Cardinale del Sacco
In questi giorni in cui buona parte del nostro amato quanto martoriato Paese si trova al freddo ed al gelo mi è tornata alla mente una battuta che feci nei primi giorni di Dicembre ad un altro redattore di questo blog: «Vedi carissimo: se il Tanaro è esondato, la colpa è solamente di Marx». Questa penna de La Baionetta, anziché mettersi a ridere, è rimasto a fissarmi ed a riflettere su quello che cercavo di spiegargli: le esondazioni e tutti i problemi susseguenti a buon parte delle cosiddette calamità naturali sono colpa del padre del comunismo scientifico. Ed ora, cari lettori di questo blog, dedicatemi cinque minuti di attenzione e poi, se volete, fatemi sapere se condividete o meno questa mia teoria (che può suonare strana, non lo nego). Ma andiamo con calma, partendo sempre dall'analisi dei fatti che, per loro natura, sono duri a morire.
Dicembre 2016: piove su tutta l’Italia. Gennaio 2017: nevica in buon parte del Bel Paese che, nel frattempo, è sballottato tra ondate di gelo siberiano e maltempo causato da correnti fredde delle Alpi francesi. In tutti i media, dalle radio ai giornali, dai tg a facebook, non si parla d’altro quasi fosse una cosa fuori dal normale quando, invece, è tutto il contrario: il fatto che in Italia a Dicembre piova e a Gennaio nevichi era fino a poco tempo fa la cosa più normale di questo mondo. Ma se, come dice un noto modo di dire, la normalità non fa notizia, perché si parla tanto (ed in maniera sempre più angosciante) di cose tanto banali? Perché ormai l’uomo post-moderno, vale a dire colui che non accetta più né la religione né l’ideologia, colui dunque che cerca di applicare ogni giorno i dettami di Nietzche (accettando la ‘Morte di Dio’, cioè di qualsiasi valore assoluto, e vivendo come un ‘bambino’ il quale, dunque, ‘accetta tutto’) si trova a fare i conti con un qualcosa che è difficile da accettare in quanto sempre uguale a se stesso: il clima ed il tempo.
La post-modernità infatti non accetta nessun vincolo da parte di nessuno in quanto non esiste nessun valore che può legarlo a qualcosa: ecco spiegato il perché si sciolgono come neve al sole i rapporti gerarchici, i vincoli familiari, i sentimenti patriottici, etc. Ma per quanto si potrà negare, una cosa rimarrà sempre: il principio di realtà e la sudditanza ed il rapporto di ciascuno con/dagli altri (e con/dalle cose esterne) che potremmo riassumere in due parole: rimarrà sempre il dato naturale. E non vi è migliore dato naturale che quello del clima in quanto l’uomo, per quanto si sforzi di comprenderlo, per quanto cerchi ossessionatamente di riprodurlo, sfugge alla sua completa comprensione: possiamo infatti solamente prevedere l’ipotetico clima (ma sapremo se la previsione era vera solo dopo che l’evento si sia o meno verificato) e nemmeno dominarlo adeguatamente (in quanto possiamo solamente porre dei ripari per proteggerci e null'altro). Volenti o nolenti, pertanto, siamo alla mercé delle forze della natura che possiamo solamente mitigare negli effetti, non nell'atto.
A questo punto, però, sorge un altro problema, di capitale importanza: come mitigare gli effetti delle forze della natura? Semplice: curando la natura! Dobbiamo anche qui infatti partire da un dato di fatto: la natura, lasciata a se stessa, checché ne dicano i predicatori dell’ideologia verde, produce solamente caos. Provare per credere, lasciando incolto per qualche mese un terreno che diverrà ben presto irriconoscibile: ma se moltiplicassimo l’abbandono e l’incuria per cinque, dieci, venti anni a cosa si va incontro? La risposta non è difficile da dare: nascerà un bosco incontrollato. Si capisce benissimo, ma solamente partendo da questo dato di fatto, perché l’Italia soffra oggi (in un’epoca in cui esistono trattori, dighe, ponti, sistemi di controllo delle acque, etc) del cosiddetto rischio idrogeologico che fino agli anni ’70 ed ’80 del secolo scorso era pressoché inesistente: le campagne sono state abbandonate, le montagne si sono spopolate, l’agricoltura è stata declassata a scapito prima dell’industria e poi del terziario. Abbiamo applicato, anche qui volenti o nolenti, Marx: si è cioè anteposto il capitale ed i rapporti economici a qualsiasi altro valore, non ultimo il dominio sulla terra ed il controllo della natura che, invece, avevano fatto si che l’uomo fosse se stesso fin dagli albori dell’umanità. Chi controlla più i fossi? Meglio tombarli. Chi pota più gli alberi? Troppe spese, meglio farli crescere. Chi trattiene più le montagne dal franare se non ci sono più terrazzamenti con i loro alberi piantati parallelamente? Meglio provare a far fruttificare i propri risparmi in banca piuttosto che andare a fare il capriolo per raccogliere le olive in una costa di un monte.
La colpa è di Marx ma è anche del pensiero liberale e capitalistico che nel corso degli anni si è sempre più marxistizzato: anteponendo infatti l’individuo alla persona, il capitale al bene comune, il guadagno maggiore continuo (tipico del settore industriale) a quello stagionale (proprio dei lavori agricoli) si è fatto si che l’uomo guardasse con sempre maggiore ribrezzo ai lavori in campagna, in particolare se produttori di poco reddito e di numerosi sacrifici.
Marx, ci piaccia o non ci piaccia, ha vinto nel momento in cui ogni persona ha accettato la sua principale massima: i rapporti economici sono alla base di ogni altra cosa. Ma così facendo si è tolto valore al lavoro fatto con il sudore della propria fronte e che dava (ed in certi casi da ancora) un benessere generalizzato e più ampio in termini di bellezza (paesaggio libero da rovi, alberi ben potati, etc), di redistribuzione della ricchezza (un terreno grande da più frutti di un terreno piccolo, cosa che non avviene automaticamente nell'industria ed ancor più nella finanza) ed anche di rapporti più umani. Pensiamo solo alla grande lezione che offre la natura con l’alternasi delle stagioni: la natura ha i suoi tempi, e l’uomo di prima sapeva – ed il bravo contadino lo sa ancora – di essere subordinato ai ritmi del tempo e della storia cosicché non può potare quando vuole lui, ma quando vuole la natura. L’uomo ha imparato a caro prezzo cosa significasse sottostare alle dure leggi della natura: la pena era infatti quella di morire di fame (provate a potare un fico in agosto e vedrete cosa succede). Non sarà un caso se tutta la prepotenza che oggi pervade le città era pressoché inesistente nella cosiddetta società agricola benché girassero più armi (riportate dal fronte, prese e non riconsegnate durante la leva militare, in possesso per la caccia, per i lavori agricoli, etc) rispetto ad oggi.
L’uomo di oggi, per essere veramente umano, deve tornare a sporcarsi le mani. Deve applicare il libro della Genesi dominando la natura. Deve imparare a potare, zappare, vangare, raccogliere, concimare. Ma non deve farlo sui libri o alle conferenze del mondo ecologista: lo deve fare su di un terreno, sotto il sole bollente di agosto o al freddo pungente di gennaio: deve ripartire, cioè, dal dato di reale abbandonando ogni ideologia di tipo economicistico. Tornando a Marx, è emblematica anche il comportamento della storia d’Italia del dopoguerra: si è spinto il Paese ad uscire da un’economia prettamente agricola in favore di una politica industriale (ricordatevi le fasi della dialettica marxista) senza pensare minimamente né a cosa fare di tutti i terreni che si andavano progressivamente abbandonando né a cosa fare di tutte le scorie e gli scarti industriali derivanti dal boom economico. Marx ha vinto anche in quel caso perché si è costituito agli occhi dell’italiano medio il mito del progresso, un progresso ineluttabile, perfetto, proiettato verso un mondo in cui la ricchezza avrebbe portato il benessere a tutti: il dato di fatto, invece, è la comparsa e l’aumento di malattie, pressoché assenti negli anni precedenti, quali (solo per citarne due) la depressione e l’obesità. Marx ha vinto nel momento in cui tutta la classe dirigente, e parlo sia di quella civile che di quella ecclesiastica, ha accettato che il metro di paragone per valutare la propria vita fosse la busta paga dell’operaio. Non ho nulla contro gli impiegati del II Settore – beninteso! – ma è altrettanto ovvio che sia il II che il III Settore non possono vivere senza il I: sembra un discorso dei fisiocratici del XVIII secolo, lo riconosco da me stesso, ma è un dato di fatto da cui non si può sfuggire.
In cosa, inoltre, ha anche influito la dialettica marxista (e gramsciana, aggiungo)? Nell’educazione e nella formazione: quella contadina si basava su anni di esperimenti, tramandati di generazione in generazione (potare con un tipo di luna a seconda degli alberi da trattare, raccogliere prima o dopo un certo giorno un determinato prodotto, etc) mentre invece la nuova formazione – mi si smentisca con i fatti se non è vero – punta solamente alla conoscenza teorica delle cose tralasciando l’aspetto pratico. Perché anche in questo c’entra Marx? Perché stiamo facendo riferimento alle elites culturali di cui parlava in parte il filosofo tedesco ma su cui si basa il comunismo culturale di Gramsci: conviene che il popolo non sappia determinate cose (o meglio: che le sappia ma che non sappia a cosa servano) perché ci sarà il Partito che giudicherà ogni cosa dando ad ogni evento un significato preciso in base, ovviamente, alle categorie della dialettica e del materialismo storico.
La natura, tuttavia, non funziona così e lo capiamo da due piccoli esempi che, oggi come oggi, ci sembrano rivoluzionari: 1) per evitare allagamenti invernali, quando si devono pulire le fognature? In estate, ovviamente, ma nessun Ente lo fa. Ma per essere ancora più precisi, l’intervento dovrebbe essere ogni qualvolta ci sono cadute abbondanti di fogliame ma anche di pioggia inaspettata: la manutenzione, in pratica, deve avvenire tutti i giorni; 2) quando si devono potare le piante? Se da frutto ogni anno, ovviamente. Ma ci sono anche tante piante da frutto che possono avere bisogno di una potatura annuale per avere una chioma uniforme e bella da vedere. Ma fare una potatura di questo genere è una cosa lenta: servono scale, forbici, seghetti, etc cosicché si preferisce – ditemi se non è vero – ad affidare una motosega a qualsiasi persona con il compito di capitozzare le piante. La capitozza tura è un sistema che toglie qualsiasi ramo alla pianta, lasciandola ringiovanire, ed è pertanto benefica. Presenta tuttavia un grande problema negli anni seguenti in quanto la produzione di nuovi rami è sempre direttamente proporzionale a quelli tagliati. Per capirci: se nel 2016 il vostro Comune ha capitozzato tutti i tigli di un’alberata, in questo 2017 quegli stessi alberi saranno più ricchi di foglie e rami (in maniera incontrollata, ovviamente) del momento del taglio e nel 2018 si dovrà provvedere a fare un nuovo taglio.
Perché ho fatto questi due esempi? Non voglio scrivere un trattato di potatura (benché la cosa mi affascini molto) ma per far capire come ormai abbiamo abdicato ad una conoscenza tecnica (il sapere usare una motosega oppure avere gli strumenti per ostruire una fognatura) ad una formazione tradizionale che prevedeva invece duro lavoro (si può potare anche con i seghetti e si può ripulire una fognatura anche con una semplice pala) e tanta esperienza sul campo: anche questo, a ben pensarci, è frutto della dialettica marxista.
Anche la Chiesa ha le sue colpe in questa rivoluzione di ideali e di visione del mondo: quante parrocchie, pur avendoli, curano i terreni che nei secoli passati sono stati loro donati? Non si preferisce puntare su nuove costruzioni, affitti, mezzi finanziari (come può essere lo stesso 8xmille) piuttosto che far fruttificare un patrimonio agricolo pressoché sterminato dando sia il buon esempio, sia applicando i dettami del Creatore ad Adamo (che domini sui pesci del mare… soggiogate la terra…) sia offrendo moltissimi posti di lavoro in un’epoca in cui scarseggia?
Ambrogio Sparagna canta una canzone struggente sull'uomo di oggi che cerca ancora la civiltà contadina. Uno dei passaggi più appassionati, cantato quasi fosse una meditazione, dice così: «Sogno una vita che non ha più età / è già finita ormai / non tornerà! Volti scavati da grandi fatiche / cuori donati senza farsi vedere». Questa a mio parere è la più bella descrizione che si possa fare della società contadina e che sarebbe bene riprendere al più presto per evitare non solo la deriva (che già imperversa quotidianamente) dell’economia e della finanza ma anche per riprendere un rapporto più umano tra persone e con la natura. Altrimenti ci troveremo anche noi a sentire il rimprovero severo che Cristo fece a Don Camillo: «La terra non tradisce Don Camillo: sono gli uomini che hanno tradito la terra».
Dicembre 2016: piove su tutta l’Italia. Gennaio 2017: nevica in buon parte del Bel Paese che, nel frattempo, è sballottato tra ondate di gelo siberiano e maltempo causato da correnti fredde delle Alpi francesi. In tutti i media, dalle radio ai giornali, dai tg a facebook, non si parla d’altro quasi fosse una cosa fuori dal normale quando, invece, è tutto il contrario: il fatto che in Italia a Dicembre piova e a Gennaio nevichi era fino a poco tempo fa la cosa più normale di questo mondo. Ma se, come dice un noto modo di dire, la normalità non fa notizia, perché si parla tanto (ed in maniera sempre più angosciante) di cose tanto banali? Perché ormai l’uomo post-moderno, vale a dire colui che non accetta più né la religione né l’ideologia, colui dunque che cerca di applicare ogni giorno i dettami di Nietzche (accettando la ‘Morte di Dio’, cioè di qualsiasi valore assoluto, e vivendo come un ‘bambino’ il quale, dunque, ‘accetta tutto’) si trova a fare i conti con un qualcosa che è difficile da accettare in quanto sempre uguale a se stesso: il clima ed il tempo.
La post-modernità infatti non accetta nessun vincolo da parte di nessuno in quanto non esiste nessun valore che può legarlo a qualcosa: ecco spiegato il perché si sciolgono come neve al sole i rapporti gerarchici, i vincoli familiari, i sentimenti patriottici, etc. Ma per quanto si potrà negare, una cosa rimarrà sempre: il principio di realtà e la sudditanza ed il rapporto di ciascuno con/dagli altri (e con/dalle cose esterne) che potremmo riassumere in due parole: rimarrà sempre il dato naturale. E non vi è migliore dato naturale che quello del clima in quanto l’uomo, per quanto si sforzi di comprenderlo, per quanto cerchi ossessionatamente di riprodurlo, sfugge alla sua completa comprensione: possiamo infatti solamente prevedere l’ipotetico clima (ma sapremo se la previsione era vera solo dopo che l’evento si sia o meno verificato) e nemmeno dominarlo adeguatamente (in quanto possiamo solamente porre dei ripari per proteggerci e null'altro). Volenti o nolenti, pertanto, siamo alla mercé delle forze della natura che possiamo solamente mitigare negli effetti, non nell'atto.
A questo punto, però, sorge un altro problema, di capitale importanza: come mitigare gli effetti delle forze della natura? Semplice: curando la natura! Dobbiamo anche qui infatti partire da un dato di fatto: la natura, lasciata a se stessa, checché ne dicano i predicatori dell’ideologia verde, produce solamente caos. Provare per credere, lasciando incolto per qualche mese un terreno che diverrà ben presto irriconoscibile: ma se moltiplicassimo l’abbandono e l’incuria per cinque, dieci, venti anni a cosa si va incontro? La risposta non è difficile da dare: nascerà un bosco incontrollato. Si capisce benissimo, ma solamente partendo da questo dato di fatto, perché l’Italia soffra oggi (in un’epoca in cui esistono trattori, dighe, ponti, sistemi di controllo delle acque, etc) del cosiddetto rischio idrogeologico che fino agli anni ’70 ed ’80 del secolo scorso era pressoché inesistente: le campagne sono state abbandonate, le montagne si sono spopolate, l’agricoltura è stata declassata a scapito prima dell’industria e poi del terziario. Abbiamo applicato, anche qui volenti o nolenti, Marx: si è cioè anteposto il capitale ed i rapporti economici a qualsiasi altro valore, non ultimo il dominio sulla terra ed il controllo della natura che, invece, avevano fatto si che l’uomo fosse se stesso fin dagli albori dell’umanità. Chi controlla più i fossi? Meglio tombarli. Chi pota più gli alberi? Troppe spese, meglio farli crescere. Chi trattiene più le montagne dal franare se non ci sono più terrazzamenti con i loro alberi piantati parallelamente? Meglio provare a far fruttificare i propri risparmi in banca piuttosto che andare a fare il capriolo per raccogliere le olive in una costa di un monte.
La colpa è di Marx ma è anche del pensiero liberale e capitalistico che nel corso degli anni si è sempre più marxistizzato: anteponendo infatti l’individuo alla persona, il capitale al bene comune, il guadagno maggiore continuo (tipico del settore industriale) a quello stagionale (proprio dei lavori agricoli) si è fatto si che l’uomo guardasse con sempre maggiore ribrezzo ai lavori in campagna, in particolare se produttori di poco reddito e di numerosi sacrifici.
Marx, ci piaccia o non ci piaccia, ha vinto nel momento in cui ogni persona ha accettato la sua principale massima: i rapporti economici sono alla base di ogni altra cosa. Ma così facendo si è tolto valore al lavoro fatto con il sudore della propria fronte e che dava (ed in certi casi da ancora) un benessere generalizzato e più ampio in termini di bellezza (paesaggio libero da rovi, alberi ben potati, etc), di redistribuzione della ricchezza (un terreno grande da più frutti di un terreno piccolo, cosa che non avviene automaticamente nell'industria ed ancor più nella finanza) ed anche di rapporti più umani. Pensiamo solo alla grande lezione che offre la natura con l’alternasi delle stagioni: la natura ha i suoi tempi, e l’uomo di prima sapeva – ed il bravo contadino lo sa ancora – di essere subordinato ai ritmi del tempo e della storia cosicché non può potare quando vuole lui, ma quando vuole la natura. L’uomo ha imparato a caro prezzo cosa significasse sottostare alle dure leggi della natura: la pena era infatti quella di morire di fame (provate a potare un fico in agosto e vedrete cosa succede). Non sarà un caso se tutta la prepotenza che oggi pervade le città era pressoché inesistente nella cosiddetta società agricola benché girassero più armi (riportate dal fronte, prese e non riconsegnate durante la leva militare, in possesso per la caccia, per i lavori agricoli, etc) rispetto ad oggi.
L’uomo di oggi, per essere veramente umano, deve tornare a sporcarsi le mani. Deve applicare il libro della Genesi dominando la natura. Deve imparare a potare, zappare, vangare, raccogliere, concimare. Ma non deve farlo sui libri o alle conferenze del mondo ecologista: lo deve fare su di un terreno, sotto il sole bollente di agosto o al freddo pungente di gennaio: deve ripartire, cioè, dal dato di reale abbandonando ogni ideologia di tipo economicistico. Tornando a Marx, è emblematica anche il comportamento della storia d’Italia del dopoguerra: si è spinto il Paese ad uscire da un’economia prettamente agricola in favore di una politica industriale (ricordatevi le fasi della dialettica marxista) senza pensare minimamente né a cosa fare di tutti i terreni che si andavano progressivamente abbandonando né a cosa fare di tutte le scorie e gli scarti industriali derivanti dal boom economico. Marx ha vinto anche in quel caso perché si è costituito agli occhi dell’italiano medio il mito del progresso, un progresso ineluttabile, perfetto, proiettato verso un mondo in cui la ricchezza avrebbe portato il benessere a tutti: il dato di fatto, invece, è la comparsa e l’aumento di malattie, pressoché assenti negli anni precedenti, quali (solo per citarne due) la depressione e l’obesità. Marx ha vinto nel momento in cui tutta la classe dirigente, e parlo sia di quella civile che di quella ecclesiastica, ha accettato che il metro di paragone per valutare la propria vita fosse la busta paga dell’operaio. Non ho nulla contro gli impiegati del II Settore – beninteso! – ma è altrettanto ovvio che sia il II che il III Settore non possono vivere senza il I: sembra un discorso dei fisiocratici del XVIII secolo, lo riconosco da me stesso, ma è un dato di fatto da cui non si può sfuggire.
In cosa, inoltre, ha anche influito la dialettica marxista (e gramsciana, aggiungo)? Nell’educazione e nella formazione: quella contadina si basava su anni di esperimenti, tramandati di generazione in generazione (potare con un tipo di luna a seconda degli alberi da trattare, raccogliere prima o dopo un certo giorno un determinato prodotto, etc) mentre invece la nuova formazione – mi si smentisca con i fatti se non è vero – punta solamente alla conoscenza teorica delle cose tralasciando l’aspetto pratico. Perché anche in questo c’entra Marx? Perché stiamo facendo riferimento alle elites culturali di cui parlava in parte il filosofo tedesco ma su cui si basa il comunismo culturale di Gramsci: conviene che il popolo non sappia determinate cose (o meglio: che le sappia ma che non sappia a cosa servano) perché ci sarà il Partito che giudicherà ogni cosa dando ad ogni evento un significato preciso in base, ovviamente, alle categorie della dialettica e del materialismo storico.
La natura, tuttavia, non funziona così e lo capiamo da due piccoli esempi che, oggi come oggi, ci sembrano rivoluzionari: 1) per evitare allagamenti invernali, quando si devono pulire le fognature? In estate, ovviamente, ma nessun Ente lo fa. Ma per essere ancora più precisi, l’intervento dovrebbe essere ogni qualvolta ci sono cadute abbondanti di fogliame ma anche di pioggia inaspettata: la manutenzione, in pratica, deve avvenire tutti i giorni; 2) quando si devono potare le piante? Se da frutto ogni anno, ovviamente. Ma ci sono anche tante piante da frutto che possono avere bisogno di una potatura annuale per avere una chioma uniforme e bella da vedere. Ma fare una potatura di questo genere è una cosa lenta: servono scale, forbici, seghetti, etc cosicché si preferisce – ditemi se non è vero – ad affidare una motosega a qualsiasi persona con il compito di capitozzare le piante. La capitozza tura è un sistema che toglie qualsiasi ramo alla pianta, lasciandola ringiovanire, ed è pertanto benefica. Presenta tuttavia un grande problema negli anni seguenti in quanto la produzione di nuovi rami è sempre direttamente proporzionale a quelli tagliati. Per capirci: se nel 2016 il vostro Comune ha capitozzato tutti i tigli di un’alberata, in questo 2017 quegli stessi alberi saranno più ricchi di foglie e rami (in maniera incontrollata, ovviamente) del momento del taglio e nel 2018 si dovrà provvedere a fare un nuovo taglio.
Perché ho fatto questi due esempi? Non voglio scrivere un trattato di potatura (benché la cosa mi affascini molto) ma per far capire come ormai abbiamo abdicato ad una conoscenza tecnica (il sapere usare una motosega oppure avere gli strumenti per ostruire una fognatura) ad una formazione tradizionale che prevedeva invece duro lavoro (si può potare anche con i seghetti e si può ripulire una fognatura anche con una semplice pala) e tanta esperienza sul campo: anche questo, a ben pensarci, è frutto della dialettica marxista.
Anche la Chiesa ha le sue colpe in questa rivoluzione di ideali e di visione del mondo: quante parrocchie, pur avendoli, curano i terreni che nei secoli passati sono stati loro donati? Non si preferisce puntare su nuove costruzioni, affitti, mezzi finanziari (come può essere lo stesso 8xmille) piuttosto che far fruttificare un patrimonio agricolo pressoché sterminato dando sia il buon esempio, sia applicando i dettami del Creatore ad Adamo (che domini sui pesci del mare… soggiogate la terra…) sia offrendo moltissimi posti di lavoro in un’epoca in cui scarseggia?
Ambrogio Sparagna canta una canzone struggente sull'uomo di oggi che cerca ancora la civiltà contadina. Uno dei passaggi più appassionati, cantato quasi fosse una meditazione, dice così: «Sogno una vita che non ha più età / è già finita ormai / non tornerà! Volti scavati da grandi fatiche / cuori donati senza farsi vedere». Questa a mio parere è la più bella descrizione che si possa fare della società contadina e che sarebbe bene riprendere al più presto per evitare non solo la deriva (che già imperversa quotidianamente) dell’economia e della finanza ma anche per riprendere un rapporto più umano tra persone e con la natura. Altrimenti ci troveremo anche noi a sentire il rimprovero severo che Cristo fece a Don Camillo: «La terra non tradisce Don Camillo: sono gli uomini che hanno tradito la terra».
Il Cardinale del Sacco
Obice: Una nuova trincea in territorio russo
Date le ultime vicende e visto che non sembra cambiare la situazione, siamo giunti a conoscenza della possibilità di creare una trincea in territorio russo per poter difendere con ancor più efficacia la verità.
VK (originariamente VKontakte, in russo: ВКонтакте (ovvero InContatto) è la maggiore rete sociale in Russia e in tutta la CSI; è stata fondata dal programmatore russo Pavel Durov nel 2006. Nel primo mese del 2014 raggiunge i 210 milioni di utenti registrati
Nel gennaio 2009 il sito diventa il più popolare in Russia e, ad aprile, supera i 14,3 milioni di singoli utenti.
All'inizio del mese di novembre 2013, molti media occidentali hanno diffuso, attribuendo ad esse attendibilità, indiscrezioni secondo le quali Edward Snowden, implicato nel Datagate e riparato in Russia per motivi giudiziari, avrebbe iniziato a collaborare al sito, forse per il rafforzamento della sicurezza. In effetti VK aveva in precedenza rivolto una sorta di pubblica offerta al tecnico statunitense, e si erano anche fatte date per l'inizio della collaborazione, in più la notizia era stata confermata anche dai legali di Snowden. Da ultimo, a metà ottobre Durov stesso ancora esprimeva pubblica solidarietà a Snowden[] proprio in occasio di commenti circa la sicurezza di Facebook, che le rivelazioni di Snowden avevano posto in posizione di discreto imbarazzo. La notizia è stata infine smentita da Durov in un'intervista a TechCrunch.
Il 18 novembre 2013 il dominio internet di VK viene reso inaccessibile dall'Italia per effetto di un provvedimento della Procura di Roma seguìto alla denuncia da parte di Medusa Film per violazione di copyright; successivamente il collegamento al sito è stato riattivato.
Ci potete trovare lì
La Baionetta
Daniele Barale
Darth Gender
Fabio Molinaris
Federico Montagnani
Il fronte è posto sul VK
VK (originariamente VKontakte, in russo: ВКонтакте (ovvero InContatto) è la maggiore rete sociale in Russia e in tutta la CSI; è stata fondata dal programmatore russo Pavel Durov nel 2006. Nel primo mese del 2014 raggiunge i 210 milioni di utenti registrati
Nel gennaio 2009 il sito diventa il più popolare in Russia e, ad aprile, supera i 14,3 milioni di singoli utenti.
All'inizio del mese di novembre 2013, molti media occidentali hanno diffuso, attribuendo ad esse attendibilità, indiscrezioni secondo le quali Edward Snowden, implicato nel Datagate e riparato in Russia per motivi giudiziari, avrebbe iniziato a collaborare al sito, forse per il rafforzamento della sicurezza. In effetti VK aveva in precedenza rivolto una sorta di pubblica offerta al tecnico statunitense, e si erano anche fatte date per l'inizio della collaborazione, in più la notizia era stata confermata anche dai legali di Snowden. Da ultimo, a metà ottobre Durov stesso ancora esprimeva pubblica solidarietà a Snowden[] proprio in occasio di commenti circa la sicurezza di Facebook, che le rivelazioni di Snowden avevano posto in posizione di discreto imbarazzo. La notizia è stata infine smentita da Durov in un'intervista a TechCrunch.
Il 18 novembre 2013 il dominio internet di VK viene reso inaccessibile dall'Italia per effetto di un provvedimento della Procura di Roma seguìto alla denuncia da parte di Medusa Film per violazione di copyright; successivamente il collegamento al sito è stato riattivato.
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Cinematografo dell'alpino: Assassin's Creed: il meglio del peggio
Assassin’s Creed è un film del 2016, per la regia di Justin Kurzel. Il film riprende, in maniera non del tutto conforme, le tematiche della omonima saga videoludica di Ubisoft, e rappresenta, ad oggi, il miglior film mai tratto da un videogioco. Tuttavia questo non basta per giudicarlo un buon film.
La storia è simile a quella dei giochi: i Templari (la squadra che rappresenta il potere totalitario e che vuole sottomettere il libero arbitrio) si scontra da secoli, in tutte le epoche storiche, contro gli Assassini (la squadra che invece lotta per preservare il libero arbitrio). L’oggetto della lotta è il possesso dei cosiddetti “Frutti dell’Eden”, ovvero manufatti magici in grado di poter controllare la materia e le persone. Nel caso del film, viene ripresa la Mela, cioè l’oggetto che entrambe le fazioni vogliono possedere nei primi 3 giochi della saga.
Nel film, l’epoca storica che viene presa in considerazione è l’Inquisizione spagnola, con Torquemada nei panni del capo dei Templari. La saga videoludica ci ha abituato a vette di anticlericalismo non indifferenti (Chiesa Cattolica e Templari sono sempre pappa e ciccia, con questi ultimi che occupano ruoli apicali nella Chiesa. Basti pensare che l’ultima boss fight di AC 2 è una scazzottata con Alessandro VI sotto la Basilica di San Pietro) ma il regista non ha calcato troppo la mano da quel punto di vista, e meno male, perché avrebbe appesantito ulteriormente l’atmosfera, già troppo seria per il film che abbiamo davanti.
In tutta la saga, la storia del presente non è altro che un pretesto per vedere le gesta di un antenato del protagonista, che vengono rivissute tramite un apparecchio di simulazione VR detto Animus. Quindi il grosso dell’esperienza è sempre ambientato nel passato, tanto che per tutti il protagonista è sempre identificato con l’antenato di turno. E qui arrivano le note dolenti per il film: ci sono solo tre sessioni di Animus, troppo corte e che raccontano troppo poco. Tra l’altro, sono le migliori scene d’azione del film, per combattimenti, costumi dei personaggi e parkour.
Purtroppo, il grosso del film è ambientato nel presente, con dialoghi contorti che risultano difficili da seguire persino per chi ha più familiarità con il franchise. Per lo spettatore medio, la parte ambientata nel presente è semplicemente contorta e incomprensibile.
Parte della critica ha stroncato il film con l’etichetta di “Dan Brown con il parkour”, ma non è questo il problema. Infatti, nel momento in cui decidi di andare a vedere Assassin’s Creed, sai già che ti verranno offerti contenuti storici più simili a quelli di Giacobbo che a quelli di Piero Angela. La critica che si può fare, con ragione, è che siamo davanti all’ennesima occasione sprecata: si poteva fare molto meglio, visti il budget e il cast (Fassbender, Cotillard, Irons).
Nel finale, viene lasciata aperta la possibilità di un sequel. Speriamo che regista e sceneggiatori abbiano imparato dai propri errori e che correggano la rotta.
Lettera dal fronte: La grande rapina in banca
Un famigerato detto dice che ci sono due tipi di rapinatori di banche: quelli che le svaligiano col passamontagna e quelli in giacca e cravatta che le fondano e le gestiscono. Stiamo ai fatti, limitandoci a quelli del 2016 annus horribilis appena trascorso.
L’Italia è il paese europeo in cui avviene il maggior numero di rapine in banca (il doppio rispetto al resto d’Europa): ovviamente questo fatto ha una pesante ricaduta in termini di costi di sicurezza e di minor redditività. Chi paga questi costi? È chiaro: i correntisti.
In Italia dalla grande crisi finanziaria del 2007-2008 ad oggi tutte le autorità hanno costantemente dichiarato che “il sistema bancario è solido e non necessita di interventi di sostegno da parte dello Stato”. Parole ripetute come un mantra da tutti i Presidenti del Consiglio, Ministri del Tesoro, Governatori della Banca d’Italia, presidenti dell’ABI, i quali hanno spesso chiosato aggiungendo frasi tipo “mica come in Germania, Inghilterra, USA , Spagna, dove le banche sono state salvate dai contribuenti”. Questo ultimo aspetto corrisponde a verità (quanto meno fino al varo del decreto salva-banche di Gentiloni del dicembre 2016, dove lo Stato stanzia 20 miliardi di addizionale debito pubblico per tentare di arginare la cataratta creatasi nella fragile diga della fiducia nelle banche italiane); difatti tutti gli stati menzionati, e molti altri, hanno nel passato decennio messo in sicurezza il loro sistema bancario con soldi pubblici (spesi più o meno bene, in varie forme tecniche) per importi assai importanti, fino a che l’opinione pubblica si è ribellata all'uso dei denari pubblici per salvare i banchieri, ed allora la Commissione Europea e la BCE hanno dichiarato gli aiuti di stato inammissibili. Dal 2016 e si è dunque adottata la procedura di Risoluzione, cioè il complesso corpus tecnico-giuridico che regola cosa fare con le banche in difficoltà. All'interno di questi meccanismi di mercato, trova posto la famigerata procedura di bail-in. L’Italia, non essendo intervenuta prima, non potrà più farlo adesso, perché la Direttiva lo vieta e sono ammesse solo alcune circostanze particolarmente stringenti.
Nello stesso periodo, le banche italiane, alcune già debolissime, si sono afflosciate in una spirale di perdite su crediti, svalutazioni giganti del loro attivo, crollo della redditività derivante, oltre che da politiche fallimentari di gestione, soprattutto da una recessione economica che è stata gravissima e dalla quale il Paese non è in grado di uscire. Chi scrive queste note è un esperto di banche ma non occorre esser tale per capire che i crediti incagliati ed in sofferenza si sarebbero moltiplicati in una spirale recessiva di tale entità: in un solo dato, il PIL domestico ha perso oltre 10 punti percentuali ed i crediti di dubbia esigibilità, passibili di svalutazioni, sono ventuplicati all'interno degli attivi bancari.
Chi ha dunque tenuto in piedi questi lazzaretti paludati da banche? È di nuovo chiaro: i clienti correntisti, che hanno poco consapevolmente acquistato passività emesse dalle banche in forme subordinate, assumendosi rischi altissimi, che gli stessi investitori istituzionali (gli esperti e professionisti del settore) si sono ben guardati dal sottoscrivere per pari entità.
Qui siamo in presenza dunque di un triplo “vulnus” (qualcuno potrebbe chiamarlo tradimento): il primo è costituito dalle irrealistiche valutazioni degli attivi bancari a livelli che nessun mercato accetterebbe.
L’aspetto gravissimo è che la Banca d’Italia sottopone ad ispezione continua le banche proprio ponendo attenzione alla formazione e valutazione degli attivi (cioè dei prestiti all'economia). Ebbene in 10 anni di crisi da tale istituzione non è venuta nessuna accelerazione concreta a politiche di rafforzamento (reale e non cosmetico) del sistema, nessuna sanzione eclatante, nessun cambio di passo, nessuna imposizione di sostituzione di organi decisionali fallimentari e neppure un aiuto di tipo regolamentare. Infatti le banche italiane risultano penalizzate in sede di confronto europeo a causa di una politica di ammortamento delle svalutazioni e fiscale meno competitiva (quindi costi maggiori dei concorrenti) e vengono giudicate con estrema durezza dalla BCE e dalle agenzie di rating per la cattiva qualità dei prestiti, mentre la stessa severità non è mai stata applicata a banche straniere nel campo, ancor più pericoloso, degli attivi investiti in titoli strutturati, cartolarizzati e soprattutto dei famigerati “level 3“. Questi sono titoli di cui è addirittura impossibile sapere quanto valgono, poiché necessitano di algoritmi matematici ad hoc per abbozzare una qualche valutazione: titoli illiquidi e di pericolosità estrema, che la BCE lascia che vengano tranquillamente esposti in bilancio al valore nominale (!) quando il loro presumibile valore di vero realizzo Dio solo sa qual è (ma con certezza non è il nominale...). Banche come Deutsche bank, BNP, SocGen, Barclays, ne posseggono per decine di miliardi, cioè per ammontari fin superiori al loro patrimonio netto, ma apparentemente il problema dell’economia europea sono i titoli governativi italiani e le banche italiane.
Oltre alla mancanza di difesa della specificità del settore bancario italiano in sede europea da parte degli “esperti” istituzionali nazionali, occorre però aprire un ulteriore e delicato capitolo tutto domestico sul grave problema delle sofferenze bancarie o Non-Performing Loans (NPLs). Secondo uno studio della CGIA di Mestre, avallato dalla stessa Banca d’Italia, oltre l’80% dei crediti sofferenti o incagliati delle banche italiane, che stanno contribuendo ad affossare la nazione, provengono dalle grandi aziende! In altre parole i clienti al dettaglio, gli artigiani, le piccole e medie imprese, i negozianti, ecc, pur soffrendo le pene dell’inferno della recessione economica, per la maggior parte continuano ad onorare i loro debiti bancari. Invece i grandi “imprenditori” nazionali, aziende dai nomi ben noti, oltre a non creare né ricchezza né occupazione, stanno contribuendo al fallimento delle banche, favorendo in maniera decisiva il ristagno economico nazionale. Grandi costruttori, industriali, grandi imprenditori, titolari di note aziende, sempre rigorosamente filo-governativi, si dimostrano, come sosteniamo da tempo, l’opposto della struttura industriale di cui abbisogna il Paese, il quale è invece penosamente tenuto in barcollante posizione semi-eretta dalle piccolissime aziende, dagli artigiani, negozianti, agricoltori, titolari di partite Iva e piccoli professionisti che lavorano in una ambiente ad essi ostile, sia dal punto di vista burocratico, che fiscale, che bancario. Perché ovviamente le banche in difficoltà a chi hanno imposto dal 2008 il “rientro” dei fidi? Ai piccoli, ovviamente.
In tutte le raccomandazioni “lacrime e sangue” imposte dalla BCE alle banche italiane in difficoltà è presente l’obbligo di cedere immediatamente quantità molto grandi di Non-Performing Loans, come pre-condizione per un via libera ad operazioni di rafforzamento del capitale. Nel caso più noto, quello del Monte dei Paschi, l’importo da cedere è addirittura di 27.7 miliardi di euro. Un mercato secondario dei NPLs in Italia non esiste e gli unici acquirenti sono fondi ed operatori specializzati americani; il problema ruota attorno alla valutazione di tale mole di crediti inesigibili. I fondi vogliono acquistarli ad un prezzo intorno al 20% del loro valore facciale. Questo significa perdite colossali per la banche che vedono infatti azzerato il capitale e necessitano di essere “risolte” (non si dice più fallite e liquidate) e ricapitalizzate da nuovi investitori. Se e quando se ne trovano.
Un precedente esiste già: le 4 banche “risolte” ufficialmente nel 2016 sotto il naso di Banca d’Italia (Cassa di risparmio di Ferrara, Banca Marche, Banca Etruria , Cassa di risparmio di Chieti) hanno ceduto i loro NPLs ad una “bad bank” al 17.6% del valore. Ovviamente le 4 banche sono fallite e al momento di stendere queste note un compratore, UBI , pare sia finalmente arrivato dopo un anno che sono sul mercato, e solo per 3 di esse. E naturalmente dovranno licenziare circa il 50% dei dipendenti. Un fatto poco noto è che una procedura simile fu effettuata nel 1996 quando il Banco di Napoli venne lasciato fallire ed assegnato alla cordata BNL-INA per il risibile equivalente di circa 30 milioni di euro (e poi rivenduto al SanPaolo per 3 miliardi…): anche in quel caso vennero scorporate tutte le sofferenze, cedute ad una bad bank, la SGA di Napoli. Questa società è scomparsa dai radar e si è occupata esclusivamente di recuperare i crediti incagliati nell'arco di oltre un decennio. Risultato: oltre il 94% dei crediti è stato recuperato, oltre ad aver pagato interessi passivi, ripianato perdite ed ora, disponendo di liquidità per oltre 600 milioni, è stata “appropriata” al Tesoro dal governo Renzi per consentire al ministro Padoan di contribuire al lancio del fondo Atlante! La conclusione che se ne trae, coerente con tutta la nostra impostazione è che se all'imprenditore medio italiano in difficoltà si dà del tempo sufficiente , e magari anche una mano quando serve, il suo debito lo pagherà. Non è mica un immobiliarista, palazzinaro o costruttore di computer a Ivrea o automobili a Torino, che sono interessati ai contributi statali per poi vendere l’azienda all'estero...
E qui si innesta il secondo vulnus di cui parlavamo sopra, perché la Banca d’Italia ed il Ministero del Tesoro, conoscendo questi fatti, dovrebbero difendere la solvibilità delle banche italiane opponendosi alla richiesta della BCE di una liquidazione immediata dei NPLs che di fatto affossa la banca venditrice per la necessità di liquidare quegli attivi velocemente su un mercato dominato dai soli grandi acquirenti statunitensi (Morgan Stanley, Fortress, Merrill Lynch, Apollo, ecc). Non è in discussione il fatto che i NPLs vadano ridotti, svalutati e coperti, con percentuali in linea con la media bancaria europea, ma i tempi ed i modi di tale operazione. Qualunque cessione forzata provoca solo un aggravamento della condizione del paziente ed ingenti profitti a chi li sa acquistare.
Un terzo punto di analisi riguarda le vergognose procedure di vendita di titoli bancari subordinati a risparmiatori al dettaglio. Una pratica tutta italiana, che tutte le banche della penisola hanno praticato in questi anni. Chi scrive è a conoscenza di migliaia di questi casi. Nella maggior parte dei casi si è trasferito il rischio di solvibilità della banca sulle spalle di ignari correntisti che nulla capiscono di captale CET1, subordinazione e clausole risolutive, nell’ipotesi tranquillizzante che “la nostra banca è solida e non potrà mai fallire”.
Naturalmente la Banca d’Italia e soprattutto l’organo ispettivo deputato alla tutela dei risparmiatori, la CONSOB, si sono limitati a multare specifici comportamenti individuali ed a produrre una quantità indescrivibile di regolamenti formali, complessi ed indecifrabili da seguire ma sostanzialmente sempre elusi nella pratica di sportello. Ad aggravar le cose un'altra pratica universale è stata quella di concedere fidi e prestiti solo a clienti che “spontaneamente” richiedessero di acquistare anche azioni della banca stessa. Come spiegato sopra, questa prassi ha consentito alle banche il piazzamento delle proprie passività alla clientela al dettaglio, sostenendo un precario equilibrio di bilancio. Nota bene che in Europa questa pratica non è consentita da decenni.
La situazione diventa esplosiva con l’approvazione nel 2016 della Direttiva Europea di Risoluzione che prevede il “bail-in” ovvero il principio che se una banca va in crisi non deve intervenire lo Stato con denaro pubblico (chi doveva farlo, cioè tutti, tanto lo avevano già fatto...) ma la perdita deve esser sopportata nell'ordine, dagli azionisti, dagli obbligazionisti subordinati, dagli obbligazionisti senior e perfino dai correntisti con più di 100.000 euro. Ed ecco il dramma dei clienti delle 4 banche fallite nel 2016: hanno perso molto, alcuni tutto. Ed ecco il dramma in fieri per Monte dei Paschi di Siena. È evidente qui un terzo vulnus derivante dalla supina accettazione delle regole europee da parte delle autorità italiane (Banca d’Italia, CONSOB, Ministro del Tesoro) i quali avrebbero dovuto rifiutare in blocco l’applicazione della direttiva sul bail-in al nostro Paese o almeno negoziare un’applicazione su base futura e non retroattiva, ben conoscendo le caratteristiche del nostro sistema descritte sopra.
Ecco una carrellata di fatti dell’annus horribilis :
- Monte dei paschi di Siena: l’argomento è complesso e merita ben altro spazio, perché si tratta di tragedia che viene da lontano. Riassumendo: la banca è ormai persa per la municipalità di Siena, di cui è stata per 500 anni il principale sostegno. La Fondazione , che una generazione fa deteneva il 100% del capitale e che ha sempre nominato il Consiglio di Amministrazione ed i vertici, ha oggi in portafoglio lo 0,1%. È il caso di dire: caro senese , non abbiamo più una banca.
Il Monte dei Paschi ha acquisito nel tempo in maniera dissennata e fallimentare banche come la Agricola Mantovana, la Banca 121, la Banca Antonveneta, pagandole multipli fuori mercato e senza mai riuscire a farle fruttare. Il suo valore è stato azzerato da management incompetenti ed infiltrazioni politiche del partito unico della regione Toscana: una distruzione sistematica di valore che non ha uguali nel panorama europeo; considerato che ci sono stati anche due ulteriori aumenti di capitale per 13 miliardi, denari evaporati in solo tre anni con tanti saluti ai risparmiatori. Chi pagherà domani per l’ottima Università, l’eccellente sanità, i trasporti pubblici della cittadina? Certo non i nuovi azionisti che acquisiranno la banca per meno di 300 milioni. Son facile profeta nel preconizzare per la città del Palio una recessione economica importante, una volta uccisa la sua gallina dalle uova d’oro.
Spiace per l’Italia, per i cittadini, ma signori miei ve lo siete meritato facendo gestire la banca per decenni da influenze politiche del partito unico senese, da influenze ancor peggiori dello stesso partito da Roma, da sindacati miopi e da managers incapaci quando non peggio. Il Ministro del Tesoro Padoan si è affidato a Mediobanca e JPMorgan (dove lavora l’ex collega Vittorio Grilli) per una ricapitalizzazione di mercato che è ignominiosamente fallita. Ha anche inserito al vertice un investment banker per portare avanti tale operazione. Nessuno dei due naturalmente trarrà le debite conclusioni da tale fallimento, ma si è intervenuti, con 5 anni di ritardo tramite un decreto notturno con soldi pubblici che tutti pagheremo, per ricapitalizzare la banca e ristorare anche gli obbligazionisti subordinati “truffati” (tra l’altro si rimborsano al 75% pure gli obbligazionisti subordinati istituzionali, il che è un vero e proprio regalo fatto a fondi professionali che hanno in mano le obbligazioni al prezzo di circa 50. Roba da matti, ma tanto pagano i contribuenti). Un comportamento singolarmente diverso rispetto a quello riservato alle 4 banche fallite.
Speriamo almeno, visto che lo Stato diverrà proprietario del 65% della banca, che si comporti da padrone vero, spazzando via influenze politiche locali ed inefficienze. Ma chissà perché non mi sento di esser molto ottimista su questo punto vista la contiguità fra Governo e Regione Toscana.
-Banca popolare di Vicenza: fallita e salvata dal Fondo Atlante, ircocervo privato a simpatia pubblica che vi ha investito 1 miliardo, visto che la ricapitalizzazione è andata deserta... Ma già servono altri 300 milioni;
-Veneto Banca; tutto idem come sopra (Atlante qui ha investito 1,5 miliardi). Le due banche verranno fuse, con buona pace dei separatisti veneti, che in campo bancario potrebbero esser più attenti al loro territorio;
-Banca popolare di Milano (una banca sostanzialmente sempre gestita malissimo dai sindacati, che ha affossato ogni tentativo di fusione nel passato) e Banco popolare di Verona (una banca che incorporò la decotta popolare di Novara e la fallitissima popolare di Lodi del famigerato Fiorani, oltre ai danni di banca Italease, fallita per le perdite su derivati con solo 12 clienti...) hanno deciso di fondersi per fronteggiare la crisi;
- Cassa di risparmio di Genova è in una situazione molto simile a quella del Monte dei Paschi con una onnicomprensiva e politicizzata Fondazione ed una banca che necessita di almeno 2 miliardi di aumento di capitale ulteriore, che trova impossibile reperire sul mercato;
- le 4 banche già menzionate, fallite, con risparmiatori sul lastrico i quali, a differenza di quelli del Monte dei Paschi, non saranno ristorati dallo Stato in blocco, ma solo caso per caso, su accertamento dell’autorità ed in base all’ISE! Di queste, 3 saranno forse acquistate da Banca UBI a condizione di aver scorporato già i crediti inesigibili e di sacrifici dei dipendenti. Cassa di risparmio di Ferrara rimane nel limbo.
- vale la pena chiudere la rassegna con la più “internazionale”, grande e moderna della banche italiane: UniCredit. Ebbene la banca ha una tale necessità di capitale che è stata stimata a 20 miliardi euro. Questo dopo aver già effettuato in passato 2 aumenti di capitale che hanno contribuito a mandare la quotazione del titolo al minimo storico. Il nuovo amministratore delegato, il francese Jean-Pierre Mustier (che dirigeva SocGen al tempo dello scandalo Jerome Kervier) ha dunque proceduto a vendere assets molto appetiti sul mercato perché ben profittevoli, la Bank Pekao di Varsavia e la maggioranza di Fineco Bank; inoltre ha anche venduto Pioneer, il secondo maggior raccoglitore di risparmio gestito italiano ai francesi di Amundi e non alla cordata guidata da Poste italiane. Ma ciò non basta perché occorre ora che reperisca sul mercato l’ammontare monstre di 13 miliardi di aumento di capitale. Buona fortuna.
Mala tempora per il sistema bancario italiano che è “solido” e di cui i risparmiatori italiani non debbono preoccuparsi. Adesso si comincia coi 20 miliardi del decreto salva-banche di Gentiloni, che pagheranno tutti i cittadini, poi vedremo gli sviluppi futuri. La stima di crediti sofferenti delle banche italiane è di circa 300 miliardi...
Ma c’è un ulteriore vulnus inflitto agli italiani che pochi considerano con sufficiente importanza: la perdita di valore delle azioni delle banche italiane. Quasi tutte, nel corso di soli 10 anni, hanno perso circa il 95% del loro valore. Questo dato è sconvolgente per la nazione. Chiunque abbia investito alcunché nei titoli bancari, magari i risparmi di una vita, ha perso tutto. L’impoverimento nazionale è una brutale perdita secca. E se qualcuno pensa che la cosa non lo riguardi perché “io non ho mai comprato azioni di banche”, meglio che riconsideri con attenzione la sua pensione. Che si abbia l’INPS oppure un fondo pensionistico di categoria, oppure un fondo privato o volontario, una buona metà dei vostri contributi sarà già stato investito sulla Borsa di Milano (uups di Londra, Milano né è solo una filiale); la quale Borsa è composta per quasi metà da titoli bancari... chiaro?
Un paio di dati per misurare la distruzione sistematica del vostro risparmio: nel 2016 le Borse occidentali con le peggiori performance sono state Madrid -10%, Atene -15%, Milano -18%. Se vogliamo invece allungare lo sguardo ad una generazione di contributi, allora dal 1998 ad oggi tutte borse occidentali sono cresciute, chi più chi meno, nel tempo; solo Milano, fatto 100 l’indice del 1998 è scesa a circa 70 oggi. Il che è ovvio, la Borsa nel lungo periodo riflette le condizioni dell’economia sottostante e la nostra è morta molti anni fa. E tutto questo si assomma all'erosione ventennale dovuta all'inflazione, alle truffe tipo Ciro, Parmalat, Argentina, alla patrimoniale sul risparmio già introdotta dal prof. Monti.
Uno dei tanti articoli della Costituzione, il 47, stabilisce che lo Stato tutela e promuove il risparmio, visto che è la fonte di finanziamento delle imprese che creano occupazione e ricchezza. Il recente referendum non ha ritenuto di cambiare questa costituzione, ma nel caso del risparmio non ce ne sarebbe stato bisogno, visto che quell'articolo non è mai stato applicato.
Qualche considerazione finale sugli attori di questo disastro delle banche italiane “che sono solide”.
Come sosteniamo da sempre a Polaris, il mondo è pieno di persone che operano in ottica di potere senza scrupoli e ben organizzati, particolarmente nei mercati finanziari e tramite la finanza internazionale. Ciò detto le responsabilità interne dell’ennesimo disastro economico italiano sono ancor più gravi con preciso riferimento agli “esperti”: i nostri Governatori della Banca d’Italia, attuali e passati (con stipendio a vita), ed i Ministri del Tesoro sono i principali responsabili di questa triste storia di impoverimento nazionale: Domenico Siniscalco lavora in Morgan Stanley, Vittorio Grilli in JPMorgan, Romano Prodi e Mario Draghi hanno lavorato per Goldman Sachs, Fabrizio Saccomanni è stato Direttore Generale della Banca d’Italia, il prof. Pier Carlo Padoan Capo economista del Fondo Monetario Internazionale, concludendo con il prof. Mario Monti, definito il governatore-ombra.
Coincidenze...
L’Italia è il paese europeo in cui avviene il maggior numero di rapine in banca (il doppio rispetto al resto d’Europa): ovviamente questo fatto ha una pesante ricaduta in termini di costi di sicurezza e di minor redditività. Chi paga questi costi? È chiaro: i correntisti.
In Italia dalla grande crisi finanziaria del 2007-2008 ad oggi tutte le autorità hanno costantemente dichiarato che “il sistema bancario è solido e non necessita di interventi di sostegno da parte dello Stato”. Parole ripetute come un mantra da tutti i Presidenti del Consiglio, Ministri del Tesoro, Governatori della Banca d’Italia, presidenti dell’ABI, i quali hanno spesso chiosato aggiungendo frasi tipo “mica come in Germania, Inghilterra, USA , Spagna, dove le banche sono state salvate dai contribuenti”. Questo ultimo aspetto corrisponde a verità (quanto meno fino al varo del decreto salva-banche di Gentiloni del dicembre 2016, dove lo Stato stanzia 20 miliardi di addizionale debito pubblico per tentare di arginare la cataratta creatasi nella fragile diga della fiducia nelle banche italiane); difatti tutti gli stati menzionati, e molti altri, hanno nel passato decennio messo in sicurezza il loro sistema bancario con soldi pubblici (spesi più o meno bene, in varie forme tecniche) per importi assai importanti, fino a che l’opinione pubblica si è ribellata all'uso dei denari pubblici per salvare i banchieri, ed allora la Commissione Europea e la BCE hanno dichiarato gli aiuti di stato inammissibili. Dal 2016 e si è dunque adottata la procedura di Risoluzione, cioè il complesso corpus tecnico-giuridico che regola cosa fare con le banche in difficoltà. All'interno di questi meccanismi di mercato, trova posto la famigerata procedura di bail-in. L’Italia, non essendo intervenuta prima, non potrà più farlo adesso, perché la Direttiva lo vieta e sono ammesse solo alcune circostanze particolarmente stringenti.
Nello stesso periodo, le banche italiane, alcune già debolissime, si sono afflosciate in una spirale di perdite su crediti, svalutazioni giganti del loro attivo, crollo della redditività derivante, oltre che da politiche fallimentari di gestione, soprattutto da una recessione economica che è stata gravissima e dalla quale il Paese non è in grado di uscire. Chi scrive queste note è un esperto di banche ma non occorre esser tale per capire che i crediti incagliati ed in sofferenza si sarebbero moltiplicati in una spirale recessiva di tale entità: in un solo dato, il PIL domestico ha perso oltre 10 punti percentuali ed i crediti di dubbia esigibilità, passibili di svalutazioni, sono ventuplicati all'interno degli attivi bancari.
Chi ha dunque tenuto in piedi questi lazzaretti paludati da banche? È di nuovo chiaro: i clienti correntisti, che hanno poco consapevolmente acquistato passività emesse dalle banche in forme subordinate, assumendosi rischi altissimi, che gli stessi investitori istituzionali (gli esperti e professionisti del settore) si sono ben guardati dal sottoscrivere per pari entità.
Qui siamo in presenza dunque di un triplo “vulnus” (qualcuno potrebbe chiamarlo tradimento): il primo è costituito dalle irrealistiche valutazioni degli attivi bancari a livelli che nessun mercato accetterebbe.
L’aspetto gravissimo è che la Banca d’Italia sottopone ad ispezione continua le banche proprio ponendo attenzione alla formazione e valutazione degli attivi (cioè dei prestiti all'economia). Ebbene in 10 anni di crisi da tale istituzione non è venuta nessuna accelerazione concreta a politiche di rafforzamento (reale e non cosmetico) del sistema, nessuna sanzione eclatante, nessun cambio di passo, nessuna imposizione di sostituzione di organi decisionali fallimentari e neppure un aiuto di tipo regolamentare. Infatti le banche italiane risultano penalizzate in sede di confronto europeo a causa di una politica di ammortamento delle svalutazioni e fiscale meno competitiva (quindi costi maggiori dei concorrenti) e vengono giudicate con estrema durezza dalla BCE e dalle agenzie di rating per la cattiva qualità dei prestiti, mentre la stessa severità non è mai stata applicata a banche straniere nel campo, ancor più pericoloso, degli attivi investiti in titoli strutturati, cartolarizzati e soprattutto dei famigerati “level 3“. Questi sono titoli di cui è addirittura impossibile sapere quanto valgono, poiché necessitano di algoritmi matematici ad hoc per abbozzare una qualche valutazione: titoli illiquidi e di pericolosità estrema, che la BCE lascia che vengano tranquillamente esposti in bilancio al valore nominale (!) quando il loro presumibile valore di vero realizzo Dio solo sa qual è (ma con certezza non è il nominale...). Banche come Deutsche bank, BNP, SocGen, Barclays, ne posseggono per decine di miliardi, cioè per ammontari fin superiori al loro patrimonio netto, ma apparentemente il problema dell’economia europea sono i titoli governativi italiani e le banche italiane.
Oltre alla mancanza di difesa della specificità del settore bancario italiano in sede europea da parte degli “esperti” istituzionali nazionali, occorre però aprire un ulteriore e delicato capitolo tutto domestico sul grave problema delle sofferenze bancarie o Non-Performing Loans (NPLs). Secondo uno studio della CGIA di Mestre, avallato dalla stessa Banca d’Italia, oltre l’80% dei crediti sofferenti o incagliati delle banche italiane, che stanno contribuendo ad affossare la nazione, provengono dalle grandi aziende! In altre parole i clienti al dettaglio, gli artigiani, le piccole e medie imprese, i negozianti, ecc, pur soffrendo le pene dell’inferno della recessione economica, per la maggior parte continuano ad onorare i loro debiti bancari. Invece i grandi “imprenditori” nazionali, aziende dai nomi ben noti, oltre a non creare né ricchezza né occupazione, stanno contribuendo al fallimento delle banche, favorendo in maniera decisiva il ristagno economico nazionale. Grandi costruttori, industriali, grandi imprenditori, titolari di note aziende, sempre rigorosamente filo-governativi, si dimostrano, come sosteniamo da tempo, l’opposto della struttura industriale di cui abbisogna il Paese, il quale è invece penosamente tenuto in barcollante posizione semi-eretta dalle piccolissime aziende, dagli artigiani, negozianti, agricoltori, titolari di partite Iva e piccoli professionisti che lavorano in una ambiente ad essi ostile, sia dal punto di vista burocratico, che fiscale, che bancario. Perché ovviamente le banche in difficoltà a chi hanno imposto dal 2008 il “rientro” dei fidi? Ai piccoli, ovviamente.
In tutte le raccomandazioni “lacrime e sangue” imposte dalla BCE alle banche italiane in difficoltà è presente l’obbligo di cedere immediatamente quantità molto grandi di Non-Performing Loans, come pre-condizione per un via libera ad operazioni di rafforzamento del capitale. Nel caso più noto, quello del Monte dei Paschi, l’importo da cedere è addirittura di 27.7 miliardi di euro. Un mercato secondario dei NPLs in Italia non esiste e gli unici acquirenti sono fondi ed operatori specializzati americani; il problema ruota attorno alla valutazione di tale mole di crediti inesigibili. I fondi vogliono acquistarli ad un prezzo intorno al 20% del loro valore facciale. Questo significa perdite colossali per la banche che vedono infatti azzerato il capitale e necessitano di essere “risolte” (non si dice più fallite e liquidate) e ricapitalizzate da nuovi investitori. Se e quando se ne trovano.
Un precedente esiste già: le 4 banche “risolte” ufficialmente nel 2016 sotto il naso di Banca d’Italia (Cassa di risparmio di Ferrara, Banca Marche, Banca Etruria , Cassa di risparmio di Chieti) hanno ceduto i loro NPLs ad una “bad bank” al 17.6% del valore. Ovviamente le 4 banche sono fallite e al momento di stendere queste note un compratore, UBI , pare sia finalmente arrivato dopo un anno che sono sul mercato, e solo per 3 di esse. E naturalmente dovranno licenziare circa il 50% dei dipendenti. Un fatto poco noto è che una procedura simile fu effettuata nel 1996 quando il Banco di Napoli venne lasciato fallire ed assegnato alla cordata BNL-INA per il risibile equivalente di circa 30 milioni di euro (e poi rivenduto al SanPaolo per 3 miliardi…): anche in quel caso vennero scorporate tutte le sofferenze, cedute ad una bad bank, la SGA di Napoli. Questa società è scomparsa dai radar e si è occupata esclusivamente di recuperare i crediti incagliati nell'arco di oltre un decennio. Risultato: oltre il 94% dei crediti è stato recuperato, oltre ad aver pagato interessi passivi, ripianato perdite ed ora, disponendo di liquidità per oltre 600 milioni, è stata “appropriata” al Tesoro dal governo Renzi per consentire al ministro Padoan di contribuire al lancio del fondo Atlante! La conclusione che se ne trae, coerente con tutta la nostra impostazione è che se all'imprenditore medio italiano in difficoltà si dà del tempo sufficiente , e magari anche una mano quando serve, il suo debito lo pagherà. Non è mica un immobiliarista, palazzinaro o costruttore di computer a Ivrea o automobili a Torino, che sono interessati ai contributi statali per poi vendere l’azienda all'estero...
E qui si innesta il secondo vulnus di cui parlavamo sopra, perché la Banca d’Italia ed il Ministero del Tesoro, conoscendo questi fatti, dovrebbero difendere la solvibilità delle banche italiane opponendosi alla richiesta della BCE di una liquidazione immediata dei NPLs che di fatto affossa la banca venditrice per la necessità di liquidare quegli attivi velocemente su un mercato dominato dai soli grandi acquirenti statunitensi (Morgan Stanley, Fortress, Merrill Lynch, Apollo, ecc). Non è in discussione il fatto che i NPLs vadano ridotti, svalutati e coperti, con percentuali in linea con la media bancaria europea, ma i tempi ed i modi di tale operazione. Qualunque cessione forzata provoca solo un aggravamento della condizione del paziente ed ingenti profitti a chi li sa acquistare.
Un terzo punto di analisi riguarda le vergognose procedure di vendita di titoli bancari subordinati a risparmiatori al dettaglio. Una pratica tutta italiana, che tutte le banche della penisola hanno praticato in questi anni. Chi scrive è a conoscenza di migliaia di questi casi. Nella maggior parte dei casi si è trasferito il rischio di solvibilità della banca sulle spalle di ignari correntisti che nulla capiscono di captale CET1, subordinazione e clausole risolutive, nell’ipotesi tranquillizzante che “la nostra banca è solida e non potrà mai fallire”.
Naturalmente la Banca d’Italia e soprattutto l’organo ispettivo deputato alla tutela dei risparmiatori, la CONSOB, si sono limitati a multare specifici comportamenti individuali ed a produrre una quantità indescrivibile di regolamenti formali, complessi ed indecifrabili da seguire ma sostanzialmente sempre elusi nella pratica di sportello. Ad aggravar le cose un'altra pratica universale è stata quella di concedere fidi e prestiti solo a clienti che “spontaneamente” richiedessero di acquistare anche azioni della banca stessa. Come spiegato sopra, questa prassi ha consentito alle banche il piazzamento delle proprie passività alla clientela al dettaglio, sostenendo un precario equilibrio di bilancio. Nota bene che in Europa questa pratica non è consentita da decenni.
La situazione diventa esplosiva con l’approvazione nel 2016 della Direttiva Europea di Risoluzione che prevede il “bail-in” ovvero il principio che se una banca va in crisi non deve intervenire lo Stato con denaro pubblico (chi doveva farlo, cioè tutti, tanto lo avevano già fatto...) ma la perdita deve esser sopportata nell'ordine, dagli azionisti, dagli obbligazionisti subordinati, dagli obbligazionisti senior e perfino dai correntisti con più di 100.000 euro. Ed ecco il dramma dei clienti delle 4 banche fallite nel 2016: hanno perso molto, alcuni tutto. Ed ecco il dramma in fieri per Monte dei Paschi di Siena. È evidente qui un terzo vulnus derivante dalla supina accettazione delle regole europee da parte delle autorità italiane (Banca d’Italia, CONSOB, Ministro del Tesoro) i quali avrebbero dovuto rifiutare in blocco l’applicazione della direttiva sul bail-in al nostro Paese o almeno negoziare un’applicazione su base futura e non retroattiva, ben conoscendo le caratteristiche del nostro sistema descritte sopra.
Ecco una carrellata di fatti dell’annus horribilis :
- Monte dei paschi di Siena: l’argomento è complesso e merita ben altro spazio, perché si tratta di tragedia che viene da lontano. Riassumendo: la banca è ormai persa per la municipalità di Siena, di cui è stata per 500 anni il principale sostegno. La Fondazione , che una generazione fa deteneva il 100% del capitale e che ha sempre nominato il Consiglio di Amministrazione ed i vertici, ha oggi in portafoglio lo 0,1%. È il caso di dire: caro senese , non abbiamo più una banca.
Il Monte dei Paschi ha acquisito nel tempo in maniera dissennata e fallimentare banche come la Agricola Mantovana, la Banca 121, la Banca Antonveneta, pagandole multipli fuori mercato e senza mai riuscire a farle fruttare. Il suo valore è stato azzerato da management incompetenti ed infiltrazioni politiche del partito unico della regione Toscana: una distruzione sistematica di valore che non ha uguali nel panorama europeo; considerato che ci sono stati anche due ulteriori aumenti di capitale per 13 miliardi, denari evaporati in solo tre anni con tanti saluti ai risparmiatori. Chi pagherà domani per l’ottima Università, l’eccellente sanità, i trasporti pubblici della cittadina? Certo non i nuovi azionisti che acquisiranno la banca per meno di 300 milioni. Son facile profeta nel preconizzare per la città del Palio una recessione economica importante, una volta uccisa la sua gallina dalle uova d’oro.
Spiace per l’Italia, per i cittadini, ma signori miei ve lo siete meritato facendo gestire la banca per decenni da influenze politiche del partito unico senese, da influenze ancor peggiori dello stesso partito da Roma, da sindacati miopi e da managers incapaci quando non peggio. Il Ministro del Tesoro Padoan si è affidato a Mediobanca e JPMorgan (dove lavora l’ex collega Vittorio Grilli) per una ricapitalizzazione di mercato che è ignominiosamente fallita. Ha anche inserito al vertice un investment banker per portare avanti tale operazione. Nessuno dei due naturalmente trarrà le debite conclusioni da tale fallimento, ma si è intervenuti, con 5 anni di ritardo tramite un decreto notturno con soldi pubblici che tutti pagheremo, per ricapitalizzare la banca e ristorare anche gli obbligazionisti subordinati “truffati” (tra l’altro si rimborsano al 75% pure gli obbligazionisti subordinati istituzionali, il che è un vero e proprio regalo fatto a fondi professionali che hanno in mano le obbligazioni al prezzo di circa 50. Roba da matti, ma tanto pagano i contribuenti). Un comportamento singolarmente diverso rispetto a quello riservato alle 4 banche fallite.
Speriamo almeno, visto che lo Stato diverrà proprietario del 65% della banca, che si comporti da padrone vero, spazzando via influenze politiche locali ed inefficienze. Ma chissà perché non mi sento di esser molto ottimista su questo punto vista la contiguità fra Governo e Regione Toscana.
-Banca popolare di Vicenza: fallita e salvata dal Fondo Atlante, ircocervo privato a simpatia pubblica che vi ha investito 1 miliardo, visto che la ricapitalizzazione è andata deserta... Ma già servono altri 300 milioni;
-Veneto Banca; tutto idem come sopra (Atlante qui ha investito 1,5 miliardi). Le due banche verranno fuse, con buona pace dei separatisti veneti, che in campo bancario potrebbero esser più attenti al loro territorio;
-Banca popolare di Milano (una banca sostanzialmente sempre gestita malissimo dai sindacati, che ha affossato ogni tentativo di fusione nel passato) e Banco popolare di Verona (una banca che incorporò la decotta popolare di Novara e la fallitissima popolare di Lodi del famigerato Fiorani, oltre ai danni di banca Italease, fallita per le perdite su derivati con solo 12 clienti...) hanno deciso di fondersi per fronteggiare la crisi;
- Cassa di risparmio di Genova è in una situazione molto simile a quella del Monte dei Paschi con una onnicomprensiva e politicizzata Fondazione ed una banca che necessita di almeno 2 miliardi di aumento di capitale ulteriore, che trova impossibile reperire sul mercato;
- le 4 banche già menzionate, fallite, con risparmiatori sul lastrico i quali, a differenza di quelli del Monte dei Paschi, non saranno ristorati dallo Stato in blocco, ma solo caso per caso, su accertamento dell’autorità ed in base all’ISE! Di queste, 3 saranno forse acquistate da Banca UBI a condizione di aver scorporato già i crediti inesigibili e di sacrifici dei dipendenti. Cassa di risparmio di Ferrara rimane nel limbo.
- vale la pena chiudere la rassegna con la più “internazionale”, grande e moderna della banche italiane: UniCredit. Ebbene la banca ha una tale necessità di capitale che è stata stimata a 20 miliardi euro. Questo dopo aver già effettuato in passato 2 aumenti di capitale che hanno contribuito a mandare la quotazione del titolo al minimo storico. Il nuovo amministratore delegato, il francese Jean-Pierre Mustier (che dirigeva SocGen al tempo dello scandalo Jerome Kervier) ha dunque proceduto a vendere assets molto appetiti sul mercato perché ben profittevoli, la Bank Pekao di Varsavia e la maggioranza di Fineco Bank; inoltre ha anche venduto Pioneer, il secondo maggior raccoglitore di risparmio gestito italiano ai francesi di Amundi e non alla cordata guidata da Poste italiane. Ma ciò non basta perché occorre ora che reperisca sul mercato l’ammontare monstre di 13 miliardi di aumento di capitale. Buona fortuna.
Mala tempora per il sistema bancario italiano che è “solido” e di cui i risparmiatori italiani non debbono preoccuparsi. Adesso si comincia coi 20 miliardi del decreto salva-banche di Gentiloni, che pagheranno tutti i cittadini, poi vedremo gli sviluppi futuri. La stima di crediti sofferenti delle banche italiane è di circa 300 miliardi...
Ma c’è un ulteriore vulnus inflitto agli italiani che pochi considerano con sufficiente importanza: la perdita di valore delle azioni delle banche italiane. Quasi tutte, nel corso di soli 10 anni, hanno perso circa il 95% del loro valore. Questo dato è sconvolgente per la nazione. Chiunque abbia investito alcunché nei titoli bancari, magari i risparmi di una vita, ha perso tutto. L’impoverimento nazionale è una brutale perdita secca. E se qualcuno pensa che la cosa non lo riguardi perché “io non ho mai comprato azioni di banche”, meglio che riconsideri con attenzione la sua pensione. Che si abbia l’INPS oppure un fondo pensionistico di categoria, oppure un fondo privato o volontario, una buona metà dei vostri contributi sarà già stato investito sulla Borsa di Milano (uups di Londra, Milano né è solo una filiale); la quale Borsa è composta per quasi metà da titoli bancari... chiaro?
Un paio di dati per misurare la distruzione sistematica del vostro risparmio: nel 2016 le Borse occidentali con le peggiori performance sono state Madrid -10%, Atene -15%, Milano -18%. Se vogliamo invece allungare lo sguardo ad una generazione di contributi, allora dal 1998 ad oggi tutte borse occidentali sono cresciute, chi più chi meno, nel tempo; solo Milano, fatto 100 l’indice del 1998 è scesa a circa 70 oggi. Il che è ovvio, la Borsa nel lungo periodo riflette le condizioni dell’economia sottostante e la nostra è morta molti anni fa. E tutto questo si assomma all'erosione ventennale dovuta all'inflazione, alle truffe tipo Ciro, Parmalat, Argentina, alla patrimoniale sul risparmio già introdotta dal prof. Monti.
Uno dei tanti articoli della Costituzione, il 47, stabilisce che lo Stato tutela e promuove il risparmio, visto che è la fonte di finanziamento delle imprese che creano occupazione e ricchezza. Il recente referendum non ha ritenuto di cambiare questa costituzione, ma nel caso del risparmio non ce ne sarebbe stato bisogno, visto che quell'articolo non è mai stato applicato.
Qualche considerazione finale sugli attori di questo disastro delle banche italiane “che sono solide”.
Come sosteniamo da sempre a Polaris, il mondo è pieno di persone che operano in ottica di potere senza scrupoli e ben organizzati, particolarmente nei mercati finanziari e tramite la finanza internazionale. Ciò detto le responsabilità interne dell’ennesimo disastro economico italiano sono ancor più gravi con preciso riferimento agli “esperti”: i nostri Governatori della Banca d’Italia, attuali e passati (con stipendio a vita), ed i Ministri del Tesoro sono i principali responsabili di questa triste storia di impoverimento nazionale: Domenico Siniscalco lavora in Morgan Stanley, Vittorio Grilli in JPMorgan, Romano Prodi e Mario Draghi hanno lavorato per Goldman Sachs, Fabrizio Saccomanni è stato Direttore Generale della Banca d’Italia, il prof. Pier Carlo Padoan Capo economista del Fondo Monetario Internazionale, concludendo con il prof. Mario Monti, definito il governatore-ombra.
Coincidenze...
Vittorio de Pedys
domenica 15 gennaio 2017
Giornale murale: “Solo un cieco può negare che nella Chiesa ci sia grande confusione”. Intervista al cardinale Caffarra
Per gentile concessione dell'autore, vi proponiamo alcuni passaggi importanti dell'intervista che Matteo Matzuzzi ha fatto al cardinale Carlo Caffarra per il Foglio (qui l'intervista completa)
“Credo che vadano chiarite diverse cose. La lettera – e i dubia allegati – è stata lungamente riflettuta, per mesi, e lungamente discussa tra di noi. Per quanto mi riguarda, è stata anche lungamente pregata davanti al Santissimo Sacramento”. Il cardinale Carlo Caffarra premette questo, prima di iniziare la lunga conversazione con il Foglio sull’ormai celebre lettera “dei quattro cardinali” inviata al Papa per chiedergli chiarimenti in relazione ad Amoris laetitia, l’esortazione che ha tirato le somme del doppio Sinodo sulla famiglia e che tanto dibattito – non sempre con garbo ed eleganza – ha scatenato dentro e fuori le mura vaticane. “Eravamo consapevoli che il gesto che stavamo compiendo era molto serio. Le nostre preoccupazioni erano due. La prima era di non scandalizzare i piccoli nella fede. Per noi pastori questo è un dovere fondamentale. La seconda preoccupazione era che nessuna persona, credente o non credente, potesse trovare nella lettera espressioni che anche lontanamente suonassero come una benché minima mancanza di rispetto verso il Papa. Il testo finale quindi è il frutto di parecchie revisioni: testi rivisti, rigettati, corretti”. Fatte queste premesse, Caffarra entra in materia.
“Che cosa ci ha spinto a questo gesto? Una considerazione di carattere generale-strutturale e una di carattere contingente-congiunturale. Iniziamo dalla prima. Esiste per noi cardinali il dovere grave di consigliare il Papa nel governo della Chiesa. E’ un dovere, e i doveri obbligano. Di carattere più contingente, invece, vi è il fatto – che solo un cieco può negare – che nella Chiesa esiste una grande confusione, incertezza, insicurezza causate da alcuni paragrafi di Amoris laetitia. In questi mesi sta accadendo che sulle stesse questioni fondamentali riguardanti l’economia sacramentale (matrimonio, confessione ed eucaristia) e la vita cristiana, alcuni vescovi hanno detto A, altri hanno detto il contrario di A. Con l’intenzione di interpretare bene gli stessi testi”.
E “questo è un fatto, innegabile, perché i fatti sono testardi, come diceva David Hume. La via di uscita da questo ‘conflitto di interpretazioni’ era il ricorso ai criteri interpretativi teologici fondamentali, usando i quali penso che si possa ragionevolmente mostrare che Amoris laetitia non contraddice Familiaris consortio. Personalmente, in incontri pubblici con laici e sacerdoti ho sempre seguito questa via”. Non è bastato, osserva l’arcivescovo emerito di Bologna. “Ci siamo resi conto che questo modello epistemologico non era sufficiente. Il contrasto tra queste due interpretazioni continuava. C’era un solo modo per venirne a capo: chiedere all’autore del testo interpretato in due maniere contraddittorie qual è l’interpretazione giusta. Non c’è altra via. Si poneva, di seguito, il problema del modo con cui rivolgersi al Pontefice. Abbiamo scelto una via molto tradizionale nella Chiesa, i cosiddetti dubia”.
Perché? “Perché si trattava di uno strumento che, nel caso in cui secondo il suo sovrano giudizio il Santo Padre avesse voluto rispondere, non lo impegnava in risposte elaborate e lunghe. Doveva solo rispondere Sì o No. E rimandare, come spesso i Papi hanno fatto, ai provati autori (in gergo: probati auctores) o chiedere alla Dottrina della fede di emanare una dichiarazione congiunta con cui spiegare il Sì o il No. Ci sembrava la via più semplice. L’altra questione che si poneva era se farlo in privato o in pubblico. Abbiamo ragionato e convenuto che sarebbe stata una mancanza di rispetto rendere tutto pubblico fin da subito. Così si è fatto in modo privato, e solo quando abbiamo avuto la certezza che il Santo Padre non avrebbe risposto, abbiamo deciso di pubblicare”.
Eppure le critiche sono piovute, anche da confratelli vescovi o monsignori di curia: “Alcune persone continuano a dire che noi non siamo docili al magistero del Papa. E’ falso e calunnioso. Proprio perché non vogliamo essere indocili abbiamo scritto al Papa. Io posso essere docile al magistero del Papa se so cosa il Papa insegna in materia di fede e di vita cristiana. Ma il problema è esattamente questo: che su dei punti fondamentali non si capisce bene che cosa il Papa insegna, come dimostra il conflitto di interpretazioni fra vescovi. Noi vogliamo essere docili al magistero del Papa, però il magistero del Papa deve essere chiaro. Nessuno di noi – dice l’arcivescovo emerito di Bologna – ha voluto ‘obbligare’ il Santo Padre a rispondere: nella lettera abbiamo parlato di sovrano giudizio. Semplicemente e rispettosamente abbiamo fatto domande. Non meritano infine attenzione le accuse di voler dividere la Chiesa. La divisione, già esistente nella Chiesa, è la causa della lettera, non il suo effetto. Cose invece indegne dentro la Chiesa sono, in un contesto come questo soprattutto, gli insulti e le minacce di sanzioni canoniche”. Nella premessa alla lettera si constata “un grave smarrimento di molti fedeli e una grande confusione in merito a questioni assai importanti per la vita della Chiesa”.
In che cosa consistono, nello specifico, la confusione e lo smarrimento?
Risponde Caffarra: “Ho ricevuto la lettera di un parroco che è una fotografia perfetta di ciò che sta accadendo. Mi scriveva: ‘Nella direzione spirituale e nella confessione non so più che cosa dire. Al penitente che mi dice: vivo a tutti gli effetti come marito con una donna che è divorziata e ora mi accosto all'eucarestia, propongo un percorso, in ordine a correggere questa situazione. Ma il penitente mi ferma e risponde subito: guardi, padre, il Papa ha detto che posso ricevere l’eucaristia, senza il proposito di vivere in continenza. Io non ne posso più di questa situazione. La Chiesa mi può chiedere tutto, ma non di tradire la mia coscienza. E la mia coscienza fa obiezione a un supposto insegnamento pontificio di ammettere all'eucaristia, date certe circostanze, chi vive more uxorio senza essere sposato’. Così scriveva il parroco. La situazione di molti pastori d’anime, intendo soprattutto i parroci – osserva il cardinale – è questa: si ritrovano sulle spalle un peso che non sono in grado di portare. E’ a questo che penso quando parlo di grande smarrimento. E parlo dei parroci, ma molti fedeli restano ancor più smarriti. Stiamo parlando di questioni che non sono secondarie. Non si sta discutendo se il pesce rompe o non rompe l’astinenza. Si tratta di questioni gravissime per la vita della Chiesa e per la salvezza eterna dei fedeli. Non dimentichiamolo mai: questa è la legge suprema nella Chiesa, la salvezza eterna dei fedeli. Non altre preoccupazioni. Gesù ha fondato la sua Chiesa perché i fedeli abbiano la vita eterna, e l’abbiano in abbondanza”.
La divisione cui si riferisce il cardinale Carlo Caffarra è originata innanzitutto dall'interpretazione dei paragrafi di Amoris laetitia che vanno dal numero 300 al 305. Per molti, compresi diversi vescovi, qui si trova la conferma di una svolta non solo pastorale bensì anche dottrinale. Altri, invece, che il tutto sia perfettamente inserito e in continuità con il magistero precedente. Come si esce da tale equivoco?
“Farei due premesse molto importanti. Pensare una prassi pastorale non fondata e radicata nella dottrina significa fondare e radicare la prassi pastorale sull'arbitrio. Una Chiesa con poca attenzione alla dottrina non è una Chiesa più pastorale, ma è una Chiesa più ignorante. La Verità di cui noi parliamo non è una verità formale, ma una Verità che dona salvezza eterna: Veritas salutaris, in termini teologici. Mi spiego. Esiste una verità formale. Per esempio, voglio sapere se il fiume più lungo del mondo è il Rio delle Amazzoni o il Nilo. Risulta che è il Rio delle Amazzoni. Questa è una verità formale. Formale significa che questa conoscenza non ha nessuna relazione con il mio modo di essere libero. Anche se la risposta fosse stata il contrario, non sarebbe cambiato nulla sul mio modo di essere libero. Ma ci sono verità che io chiamo esistenziali. Se è vero – come Socrate aveva già insegnato – che è meglio subire un’ingiustizia piuttosto che compierla, enuncio una verità che provoca la mia libertà ad agire in modo molto diverso che se fosse vero il contrario. Quando la Chiesa parla di verità – aggiunge Caffarra – parla di verità del secondo tipo, la quale, se obbedita dalla libertà, genera la vera vita. Quando sento dire che è solo un cambiamento pastorale e non dottrinale, o si pensa che il comandamento che proibisce l’adulterio sia una legge puramente positiva che può essere cambiata (e penso che nessuna persona retta possa ritenere questo), oppure significa ammettere sì che il triangolo ha generalmente tre lati, ma che c’è la possibilità di costruirne uno con quattro lati. Cioè, dico una cosa assurda. Già i medievali, dopotutto, dicevano: theoria sine praxi, currus sine axi; praxis sine theoria, caecus in via”.
La seconda premessa che l’arcivescovo di Bologna fa riguarda “il grande tema dell’evoluzione della dottrina, che ha sempre accompagnato il pensiero cristiano. E che sappiamo è stato ripreso in maniera splendida dal beato John Henry Newman. Se c’è un punto chiaro, è che non c’è evoluzione laddove c’è contraddizione. Se io dico che s è p e poi dico che s non è p, la seconda proposizione non sviluppa la prima ma la contraddice. Già Aristotele aveva giustamente insegnato che enunciare una proposizione universale affermativa (e. g. ogni adulterio è ingiusto) e allo stesso tempo una proposizione particolare negativa avente lo stesso soggetto e predicato (e. g. qualche adulterio non è ingiusto), non si fa un’eccezione alla prima. La si contraddice. Alla fine, se volessi definire la logica della vita cristiana, userei l’espressione di Kierkegaard: ‘Muoversi sempre, rimanendo sempre fermi nello stesso punto’”.
Il problema, aggiunge il porporato, “è di vedere se i famosi paragrafi nn. 300-305 di Amoris laetitia e la famosa nota n. 351 sono o non sono in contraddizione con il magistero precedente dei Pontefici che hanno affrontato la stessa questione. Secondo molti vescovi, è in contraddizione. Secondo molti altri vescovi, non si tratta di contraddizione ma di uno sviluppo. Ed è per questo che abbiamo chiesto una risposta al Papa”. Si arriva così al punto più conteso e che tanto ha animato le discussioni sinodali: la possibilità di concedere ai divorziati e risposati civilmente il riaccostamento all'eucaristia. Cosa che non trova esplicitamente spazio in Amoris laetitia, ma che a giudizio di molti è un fatto implicito che rappresenta nulla di più se non un’evoluzione rispetto al n. 84 dell’esortazione Familiaris consortio di Giovanni Paolo II.
“Il problema nel suo nodo è il seguente”, argomenta Caffarra: “Il ministro dell’eucaristia (di solito il sacerdote) può dare l’eucaristia a una persona che vive more uxorio con una donna o con uomo che non è sua moglie o suo marito, e non intende vivere nella continenza? Le risposte sono solo due: Sì oppure No. Nessuno per altro mette in questione che Familiaris consortio, Sacramentum unitatis, il Codice di diritto canonico, e il Catechismo della Chiesa cattolica alla domanda suddetta rispondano No. Un No valido finché il fedele non propone di abbandonare lo stato di convivenza more uxorio.
“Ciò che Amoris laetitia ha portato di nuovo su tale questione, è il richiamo ai pastori d’anime di non accontentarsi di rispondere No (non accontentarsi però non significa rispondere Sì), ma di prendere per mano la persona e aiutarla a crescere fino al punto che essa capisca che si trova in una condizione tale da non poter ricevere l’eucaristia, se non cessa dalle intimità proprie degli sposi. Ma non è che il sacerdote possa dire ‘aiuto il suo cammino dandogli anche i sacramenti’. Ed è su questo che nella nota n. 351 il testo è ambiguo. Se io dico alla persona che non può avere rapporti sessuali con colui che non è suo marito o sua moglie, però per intanto, visto che fa tanto fatica, può averne... solo uno anziché tre alla settimana, non ha senso; e non uso misericordia verso questa persona. Perché per porre fine a un comportamento abituale – un habitus, direbbero i teologi – occorre che ci sia il deciso proposito di non compiere più nessun atto proprio di quel comportamento. Nel bene c’è un progresso, ma fra il lasciare il male e iniziare a compiere il bene, c’è una scelta istantanea, anche se lungamente preparata. Per un certo periodo Agostino pregava: ‘Signore, dammi la castità, ma non subito’”. O, forse, è tempo di guardare più all'altro lato della bilancia, al fatto che tutto, dinanzi a Dio, può essere perdonato?
Attenzione, dice Caffarra: “Qui si fa una grande confusione. Tutti i peccati e le scelte intrinsecamente disoneste possono essere perdonate. Dunque ‘intrinsecamente disonesti’ non significa ‘imperdonabili’. Gesù tuttavia non si accontenta di dire all'adultera: ‘Neanch'io ti condanno’. Le dice anche: ‘Va’ e d’ora in poi non peccare più’ (Gv. 8,10). San Tommaso, ispirandosi a sant'Agostino, fa un commento bellissimo, quando scrive che ‘Avrebbe potuto dire: va’ e vivi come vuoi e sii certa del mio perdono. Nonostante tutti i tuoi peccati, io ti libererò dai tormenti dell’inferno. Ma il Signore che non ama la colpa e non favorisce il peccato, condanna la colpa... dicendo: e d’ora in poi non peccare più. Appare così quanto sia tenero il Signore nella sua misericordia e giusto nella sua Verità’ (cfr. Comm. a Gv. 1139). Noi siamo veramente, non per modo di dire, liberi davanti al Signore. E quindi il Signore non ci butta dietro il suo perdono. Ci deve essere un mirabile e misterioso matrimonio tra l’infinita misericordia di Dio e la libertà dell’uomo, il quale deve convertirsi se vuole essere perdonato”.
Chiediamo al cardinale Caffarra se una certa confusione non derivi anche dalla convinzione, radicata pure tra tanti pastori, che la coscienza sia una facoltà per decidere autonomamente riguardo ciò che è bene e ciò che è male, e che in ultima istanza la parola decisiva spetti alla coscienza del singolo.
“Ritengo che questo sia il punto più importante di tutti”, risponde. “E’ il luogo dove ci incontriamo e scontriamo con la colonna portante della modernità. Cominciamo col chiarire il linguaggio. La coscienza non decide, perché essa è un atto della ragione; la decisione è un atto della libertà, della volontà. La coscienza è un giudizio in cui il soggetto della proposizione che lo esprime è la scelta che sto per compiere o che ho già compiuto, e il predicato è la qualificazione morale della scelta. E’ dunque un giudizio, non una decisione. Naturalmente, ogni giudizio ragionevole si esercita alla luce di criteri, altrimenti non è un giudizio, ma qualcosa d’altro. Criterio è ciò in base a cui io affermo ciò che affermo e nego ciò che nego. A questo punto risulta particolarmente illuminante un passaggio del Trattato sulla coscienza morale del beato Rosmini: ‘C’è una luce che è nell'uomo e c’è una luce che è l’uomo. La luce che è nell'uomo è la legge di Verità e la grazia. La luce che è l’uomo è la retta coscienza, poiché l’uomo diventa luce quando partecipa alla luce della legge di Verità mediante la coscienza a quella luce confermata’. Ora, di fronte a questa concezione della coscienza morale si oppone la concezione che erige come tribunale inappellabile della bontà o malizia delle proprie scelte la propria soggettività. Qui, per me – dice il porporato – c’è lo scontro decisivo tra la visione della vita che è propria della Chiesa (perché è propria della Rivelazione divina) e la concezione della coscienza propria della modernità”.
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