«Costruire
un cancello fra me e loro? No, piuttosto li accolgo per salvarli
dalla droga»
30
luglio 2017. È una luminosa Domenica d’estate, cammino sul
sentiero di un bel bosco, qui in Alta Valle di Susa, precisamente a
Château Beaulard. Al mio fianco, vi sono Valentina, Gabriele e
Diego, tre dei tanti giovani cresciuti da don Paolo Gariglio. Oggi
saranno le mie guide: mi stanno accompagnando ad intervistare don
Paolo, presso la casa in montagna dove da anni il grande sacerdote di
Nichelino accoglie tutti i membri della comunità,
offrendo turni di esercizi spirituali, vacanze o formazione, secondo
le esigenze specifiche di ciascuno.
Mentre
saliamo, i tre mi parlano delle opere del don, di cosa ha fatto per
loro e per tanti coetanei. Scopro così che questi è un vero asso
della Carità.
Ha fondato la comunità
Nicodemo,
è
stato delegato per i giovani della Federazione Italiana Esercizi
Spirituali. Ha lanciato i Cursillos di Cristianità a Torino nel 1982, insieme ad un grand'uomo, Ernesto Pozzi. Ha realizzato l’Engim,
un’associazione
senza fini di lucro finalizzata alla formazione professionale dei
giovani e dei lavoratori. Ha portato in Piemonte la pregevole
esperienza della Federazione Scout d’Europa. Ha fondato la testata
free-press Nichelino
comunità,
distribuita in numero di 23.000 copie, e la radio omonima. Ha
realizzato la rivista spirituale Il
vento.
Mi dicono che è perfino pilota d’aerei. Nel frattempo ha anche
trovato il tempo per scrivere una trentina di libri. Insomma, a metà
tra
don Bosco, San Giuseppe Cafasso, il leggendario aviatore Francesco
Baracca e il Murialdo.
Mi
sono spinto così in alto per far conoscere il vero don Paolo, contro
le tante polemiche unilaterali e manipolazioni sorte nei giorni
scorsi attorno al suo libro Ti
amo: la sessualità
raccontata
agli adolescenti.
L’altezza ove mi trovo, in cima alla conca di Bardonecchia, sembra
simboleggiare la meta che ogni homo
viator-religiosus -
non accecato da ideologie invalidanti - deve raggiungere per vedere
la realtà,
la Verità
oltre
ogni apparenza.
Arriviamo
in tempo per la Messa e troviamo il don pronto ad accoglierci
paternamente. È uscito da poco dall'ospedale, anzi, il giorno
prima di essere dimesso: «I miei giovani non potevano aspettare».
Intanto che lo dice scorgo nei suoi occhi, segnati dal tempo, ma
vividi come il suo acume, una gioia immensa. Assisto alla Santa
Messa, che conclude il campeggio dei lupetti-scout d’Europa. Dopo
pranziamo in un’atmosfera familiare, merito della dedizione dei
volontari addetti alla cucina e dell’allegria portata dalle
famiglie presenti. Mi trattano come uno di loro, figlio e fratello.
Mi si dà anche l’occasione di scorgere cosa sia qui il “dialogo
interreligioso”, grazie al bel rapporto tra il don, la comunità
e
il cuoco musulmano, che partecipa alle attività
dei
campeggi e vive nella canonica della Santissima Trinità
di
Nichelino. Entrambe le parti rifiutano il sincretismo: i cattolici
sono fieri del “fatto cristiano” che li rende Figli di Dio, il
mussulmano della propria religione. Si stimano, amando la propria
specificità.
Finito il pranzo, don Paolo mi ospita nel suo studio; inizia
l’intervista.
Cos'è per lei l’educazione?
L’educazione
per me è tentare di ripetere ciò che faceva don Bosco. È avere un
cuore che ama. Sapete che l’amore è agape
ed eros;
agape,
cioè,
amore materno, della madre che ama i suoi bambini, amore fontale,
come l’Amore di Dio. E poi, eros,
cioè amore paterno, puro e appassionato – anch'esso come l’Amore
di Dio –, persino artistico, che, attraverso il “metodo
preventivo”,
diventa capace di togliere da davanti il naso dei ragazzi tutto ciò
che li può pervertire, mostrando loro tutto ciò che li può
entusiasmare verso la luce, verso l’Alto.
Ci
può parlare della comunità
terapeutica
Nicodemo?
Nel
1977, ero parroco di Nichelino, da oltre un anno, dopo dieci anni di
servizio presso la parrocchia di San Luca, e mi sono reso conto del
problema, enorme, della droga. Alla fine di quell’anno, il
consiglio pastorale, che esisteva da poco, propose – pensa, con il
mio consenso di parroco –, di costruire una grande cancellata
davanti alla chiesa nuova della Santissima Trinità.
Perché?
Di notte alcuni ragazzi e ragazze andavano ad urinare davanti al
portone della chiesa.
Progettavamo
di costruire la cancellata in ferro per allontanare quei giovani. Ad
un certo punto, sono rientrato in me stesso e ho pensato al muro di
Berlino, che allora era ancora in piedi e divideva le persone: «Ma
come, mi difendo da questi ragazzi? Quanto costa, 18.000.000 di lire?
No, non voglio il cancello che divide. Con questi soldi apro un
alloggio in Via Toti, sempre a Nichelino, e incomincio a raccogliere
i ragazzi di notte». Venivano a prendere il caffè e noi li
invitavamo a dormire nelle quattro stanze che avevamo a disposizione.
Così è nata la comunità
Nicodemo,
che ho trasportato pure a Château per sette anni, quasi otto. E
mentre accoglievo questi ragazzi, mi sono venute in aiuto le suore
vincenziane, grazie a due grandi figure: suor Giuseppina e suor
Lucia.
Ci
racconti qualcosa dell’esperienza come delegato per i giovani della
Federazione Italiana Esercizi Spirituali...
Mi
sono interessato alla Federazione su invito del suo stesso fondatore,
l’allora vescovo di Alessandria, Monsignor Almici. Così, per
decenni sono stato dapprima consigliere e poi delegato per i giovani.
La
scorsa settimana, ha sollevato tante polemiche la distribuzione di un
suo libro ai giovani delle parrocchie di Nichelino, all'interno delle attività estive; cosa può dirci a proposito?
Secondo
me il libro va bene. Però se
l’editore
decidesse di ristamparlo, come ho già
detto
a chi, con “trabocchetto”, mi ha intervistato precedentemente,
userei un altro tipo di linguaggio per non dare l’impressione di
voler offendere alcuno; e lo farei sempre alla luce di quanto il
Catechismo della Chiesa Cattolica insegna.
Ha
parlato di “trabocchetto”, che cosa vuol dire?
Il
trabocchetto, magari fatto in buona fede, consiste in questo: mentre
sono in ospedale con tutte le mie flebo, che non mi hanno permesso di
seguire 3-4 giorni di polemica - sapevo niente -, mi telefona il
vicario episcopale per le comunicazioni sociali della Diocesi di
Torino, il mio amico don Livio De Marie, esprimendomi la sua
solidarietà
e
chiedendomi se accettavo di fare una chiacchierata ed eventualmente
rispondere ad alcune domande di un giornalista, suo carissimo amico.
Naturalmente ho detto di sì, che chiamasse pure.
Quando
mi ha telefonato, il suo carissimo amico, ha incominciato a parlarmi
della sua vita: «Siamo quasi colleghi, perché
sono
ex prete»; io gli ho detto: «Non officerai, ma rimani comunque
prete in eterno. Allora, abbiamo gli stessi studi. Cosa dici di
questo mondo che si diluisce, scioglie, dove i principi nascono dalle
emozioni? Noi che abbiamo una cultura solida, granitica con 5.900
anni di storia sacra, di rivelazione divina, non abbiamo qualcosa da
dire? Però, siamo troppo taciturni, come se non l’avessimo. E non
solo; diversi uomini di Chiesa non aiutano ad esprimersi in tal senso
e lasciano soli i preti, i laici, che con una debole protezione
subiscono le pressioni della cultura liquida, sempre pronta a
metterli sotto accusa».
Lui
mi ha detto: «Bene» e poi ha aggiunto: «Veniamo alla domanda.
Rifarebbe il libro?». Ho risposto con quanto ho asserito prima.
Poi
ci salutiamo mandandoci tanti abbracci e augurandoci di incontrarci
presto. L’indomani ricevo la telefonata di molte persone, le quali
mi fanno notare che l’intervistatore ha manipolato le mie
affermazioni.
Qual
è
la tesi centrale del suo libro Ti
amo: la sessualità
raccontata
agli adolescenti?
I
principi dell’amore cristiano secondo il catechismo della Chiesa
Cattolica.
Perché
è importante educare i giovani ad una corretta concezione della
sessualità?
Perché
se
taciamo, li educano gli altri. E se sarà
la
civiltà
liquida
ad educarli, salterà
la
famiglia e quindi il genere umano.
Un’ultima
domanda don Paolo, cosa intende per civiltà
liquida?
Rispondo
con due piccoli esempi. Da una parte vi sono alcuni che chiedono di
legittimare l’eutanasia per Fabiano Antoniani, in arte dj Fabo; al
contempo, vi sono altri che accusano la Chiesa e le autorità civili
di non aver fatto abbastanza per evitare l’uccisione di
Charlie Gard.
Dunque, dobbiamo far morire le persone o dobbiamo farle vivere?
Questa
schizofrenia fa emergere la confusione che rende liquida la nostra
civiltà.
Non a caso, essa vive di principi in negativo: divorzio, aborto,
nuovi “tipi” di famiglia, eutanasia. I quali vengono imposti con
il dominio psicologico delle masse; e chi osa esprimere contrarietà
verso
ciò, è subito bollato come nemico pubblico. Siamo tornati al
periodo del terrore imposto dalla rivoluzione francese. Ma – ripeto
– se noi taciamo, altri educheranno i nostri giovani. E a rischio
non vi è soltanto la fede, ma l’uomo stesso, il genere umano.
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