Recensendo tempestivamente il libro di Marco Ascione "La profezia di Cl", Antonio Polito lancia l’allarme: il sistema di potere ciellino potrebbe conoscere un ritorno di fiamma, c’è la possibilità che Roberto Formigoni si candidi alle Europee con Fratelli d’Italia, mentre don Julian Carron che tanto bene aveva fatto al movimento ecclesiale imponendo allo stesso quella “scelta religiosa” che per più di trent’anni esso aveva respinto in nome della soggettività storica e politica dei cattolici, è stato ostracizzato, dopo essere stato costretto alle dimissioni per una somma di fattori.
Qui vorremmo – dopo esserci fatti una bella risata – tranquillizzare l’ex redattore dell’Unità divenuto editorialista di punta del grande quotidiano della borghesia italiana, il Corriere della Sera: dell’eventuale candidatura di Formigoni non sappiamo nulla, ma possiamo garantirgli che non torneranno i tempi del buon governo formigoniano della Lombardia, che era sempre all’avanguardia delle politiche che poi venivano adottate dalle altre Regioni (anche rosse), non torneranno i tempi del primo Family Day, non torneranno i Meeting di Rimini degli anni Ottanta che lanciavano il guanto di sfida al laicismo e alla massoneria, non torneranno i giorni gloriosi del Movimento Popolare che -parole del segretario della DC già partigiano Benigno Zaccagnini – nel 1976 spostò 1 milione di voti alle elezioni politiche ed evitò il sorpasso del PCI sulla DC.
Non torneranno perché il mondo è cambiato, la società è diventata liquida, l’Occidente è sprofondato nell’individualismo e nel nichilismo. Non è questione di Carron o non Carron – qualunque sia il giudizio, positivo o negativo, che si voglia dare sul fatto che costui ha riconvertito CL alla scelta religiosa: i cristiani soggetto politico e storico in ragione della loro esperienza esistenziale del cristianesimo (questa è la definizione non denigratoria di ciò che da CL è derivato a livello politico e di presenza pubblica fra la data di nascita e il 2012) non si ripresenteranno più sulla scena per la stessa ragione per cui non esistono più i partiti italiani di massa, i sindacati rappresentano soprattutto i pensionati, le chiese si svuotano e i seminari già sono vuoti, la gente non si sposa più né in chiesa né in comune, ecc.: il popolo non esiste più, esistono solo individui; quelle che il Movimento Popolare chiamava “unità di popolo nel pluralismo” non esistono più, non esiste più il popolo comunista, quello socialista e nemmeno quello cattolico. Anche nelle associazioni e nei movimenti ecclesiali si assiste, con qualche lodevole eccezione, a quel “trionfo del terapeutico” che Philip Rieff aveva già individuato nel contesto americano nel 1966: molti di coloro che si avvicinano all’esperienza religiosa, compresa quella cristiana, lo fanno per stare bene emotivamente e per trovare la rete di sicurezza sociale e psicologica della comunità, non perché affascinati da una fede che vuole investire il mondo e cambiarlo anche nel modo di governare le cose umane.
Il cristianesimo come avvenimento integrale, che riguarda tutte le dimensioni dell’esistenza – dunque anche la politica – non è più sperimentato perché disintegrata è la persona essendo state prima disintegrate le società naturali nelle quali la persona nasceva e cresceva. Le profezie di Pasolini e di Del Noce si sono realizzate, il consumismo ha trionfato distruggendo la pluralità umana delle culture italiane e la rivoluzione si è suicidata, il programma di Gramsci si è realizzato soltanto sul versante della secolarizzazione, non su quello dell’emancipazione del popolo dall’egemonia della borghesia. Fanno tenerezza tutti i riferimenti ai peccati di CL in tema di tentazione all’egemonia, in un’epoca caratterizzata dalla spietata egemonia borghese, che ha realizzato il sogno liberal-radicale di una società di soli individui, deculturata, avendo trionfato sui suoi rivali, il Partito comunista italiano e la Chiesa cattolica. Trionfo tanto più grande in quanto li ha resi culturalmente subalterni, ha ottenuto che il grosso dei comunisti e dei cattolici interiorizzassero l’impostazione individualista della vita, che accettassero la dicotomia fra fede e vita pubblica.
Polito si stupisce del fatto che nessuno nel mondo intellettuale e della comunicazione – che in Italia è quasi tutto laico – si prenda a cuore la causa di Julian Carron ostracizzato dal dibattito delle idee e dei valori. Eppure il suo punto di osservazione dovrebbe garantirgli una facile risposta. L’immagine del ruolo di Carron e più in generale del cristianesimo nella società post-moderna che Polito ha, coincide con quella che ne aveva la borghesia in epoca moderna: alla Chiesa si chiedeva di disciplinare le masse, di assicurare quella formazione morale e umana che permettesse di avere una classe operaia esente dai mali dell’alcolismo, del vagabondaggio sessuale, dell’oziosità, ecc., che danneggiavano la produzione e quindi il profitto. In cambio, si concedeva all’élite ecclesiale di far parte dell’establishment, di godere di buona stampa e di mantenere qualche privilegio secolare – fermo restando che né il clero né i laici cristiani dovevano sognarsi di gestire in prima persona il governo della società o di aspirare a farlo. Oggi il patto verrebbe aggiornato sostituendo all’alcolismo le nuove dipendenze e aggiornando la formazione morale e umana impartita dalla Chiesa ai bisogni psicologici indotti dalla liquefazione dei legami sociali. Ma Polito dovrebbe sapere bene che il sistema capitalista globalizzato si regge sull’intensificazione dei consumi, sia materiali che virtuali, e questo richiede un’ulteriore riduzione delle pretese morali della Chiesa e la frammentazione e costante metamorfosi dell’individuo stesso: l’ideologia di genere, che auspica la fluidità della vita sessuale e affettiva, è organica alla logica capitalista del profitto ed è in contraddizione frontale anche col genere di cristianesimo che Polito predilige. Il Carron di Polito – che non coincide necessariamente con quello reale, anzi – è totalmente inutile alla logica egemonica della borghesia odierna, per le stesse ragioni per cui lo era già la Chiesa di Paolo VI (lo ha spiegato efficacemente Pasolini proprio sulle pagine del Corriere della Sera, quasi cinquant’anni fa). Perciò stia pure tranquillo, l’editorialista di punta del Corriere della Sera: l’egemonia borghese non corre alcun pericolo dall’esterno. Può solo distruggersi da sé, e questo noi lo speriamo ancora.
Rodolfo Casadei