sabato 29 luglio 2017

Ricognizione: La responsabilità etica dei cattolici nella comunicazione (terza parte)

Dopo aver riportato l'introduzione e l'intervento di Mauro Carmagnola ed aver dato la parola a Giancarlo Chiapello di seguito viene pubblicato l'intervento di Marco Margrita.


Marco: “È difficile parlare dopo tutte le considerazioni offerte dai colleghi e amici. Facciamo uno sforzo per costruire una dimensione comune del lavoro che stiamo facendo. Allora, tu, Giancarlo hai parlato della centralità della persona umana. Una caratteristica della persona umana è che emette messaggi; qualunque persona emette messaggi. Il primo assioma della scuola di Palo Alto – assioma è una verità evidente nella sua verità – dice che “non si può non comunicare”. E questo ha moltissime implicazioni, tra cui alcune delle cose che i comunicatori fanno quando utilizzano PNL e cose di questo tipo. Ma non è quello di cui parliamo oggi.

Quanto detto rende tutti noi comunicatori? No, ci rende tutti comunicanti. Il comunicatore è chi utilizza scientificamente, ha gli strumenti per utilizzare questa natura, di ogni essere umano, o entrare in rapporto con la natura di ogni essere umano; quindi i messaggi che emette, li emette con un maggiore livello di coscienza e consapevolezza. La consapevolezza tecnica non è necessariamente una consapevolezza morale. Però, non tutto ciò che è possibile è lecito, dal punto di vista morale. Noi siamo immersi in un clima di esplosione comunicativa.

Noi abbiamo una quantità di informazioni come mai nella storia. Mi ricordo di un incontro organizzato dall'associazione Il Laboratorio presso il comune di Buttigliera Alta, ove mi occupavo di comunicazione istituzionale. Qui parlava don Ermis Segati, il quale disse che la biblioteca di Boccaccio non era molto grande, eppure, nonostante ciò, ha prodotto dei capolavori. La questione è che tutte le informazioni, che noi oggi abbiamo, non producano più informazione. Non è che noi siamo più informati.

Voi avete un'idea di quanti comunicati stampa emetta mediamente un'istituzione? Ve lo dico io: ogni istituzione di media grandezza emette ogni giorno tra i 50 e i 100 comunicati. E tendenzialmente questo produce l'ingolfamento della casella postale di chi fa il giornalista. L'unico effetto è questo.

Così, rispetto alla Chiesa, mi viene da riportare le parole che Monsignor Maggiolini espresse in un incontro al Meeting di Rimini: “La Chiesa produce un sacco di documenti”. Questo perché il Papa fa le encicliche e poi ogni vescovo si sente nell'esigenza di realizzare dei propri documenti. Poi c'era anche un particolare vescovo che sentiva l'esigenza di scrivere lettere pastorali per contraddire le encicliche papali, il cardinal Martini per intenderci; che è diventato l'antipapa per tutta una serie di giornalisti. Nessun giudizio sulla persona ma sulla funzione che si assume. Quindi, ogni vescovo scrive numerosi documenti. Poi chiaramente ogni ufficio delle Diocesi scrivono documenti rispetto alla pastorale; ogni parroco scrive l'editoriale del giornale parrocchiale su questi documenti. Come se piovesse e i cattolici cosa fanno, aprono l'ombrello e tirano avanti. Così fanno di fronte a questo profluvio di documenti. Noi siamo in questa grande Babele di emissione di messaggi. Gli uomini di Chiesa si “difendono bene”. Sono capaci, sono consapevoli, parlano a se stessi? Sì, parlano spesso a se stessi. Non pensano più che c'è invece un mondo a cui bisogna parlare. Non c'è un Ettore Bernabei che capisce che ci serve un nuovo media, come la televisione di cui parlava Mauro. Come hanno fatto la Rai in Italia? La fanno così: ad un certo punto la Democrazia Cristiana chiama i più grandi virgulti dell'Azione Cattolica e gli dice dovete fare la televisione. Sapete chi c'era tra questi grandi virgulti? Umberto Eco e Gianni Vattimo... in effetti qualcosa non funzionava già un sacco di tempo fa.

Gli uomini di Chiesa spesso parlano a se stessi. Mi sono interrogato sovente su ciò, partendo da quello che faccio. Io dirigo giornali che non sono giornali dichiaratamente cattolici. Come il Moinviso e Dai2006più di imprenditori ove ho portato spesso il Movimento Cristiano Lavoratori

Il giornalismo cattolico ha bisogno di un presupposto, se la persona è al centro, che è il giornalista cattolico. Perché vi sono tanti giornali dichiaratamente cattolici, che in realtà non lo sono più.

Problema che è causato da un certo eclettismo folle, il quale porta a parlare di qualunque cosa, anche di idee pensieri non cattolici, siccome gran parte del mondo cattolico si è autoinserito laddove fa comodo alla narrazione dominante. Noi non dobbiamo avere paura di essere cattolici, provocatori, di essere in ambienti ostili. Pensate che ho citato un autore-filosofo caro agli animatori de La Baionetta, Gustave Thibon, in un editoriale su un giornale di imprenditori, Dai2006più. Questo non ha generato scandalo a nessuno, giacché abbiamo dato una ragione, un messaggio chiaro per fare questa cosa. Della comunicazione noi cattolici non dobbiamo avere paura; anzi, dobbiamo tornare a raccontare storie, come abbiamo fatto con la Rai di allora. Pensiamo all'importanza dei suoi sceneggiati, ripresi dai capolavori della letteratura, quali i Promessi Sposi, che erano il parlare dello spirito di una nazione, erano la capacità di fare una televisione di qualità e originale, erano la capacità di parlare al popolo

Oggi al popolo chi parla? Parlano comunicatori astutissimi, che ci fregano con un uso ideologico di strumenti narrativi come lo story telling, attraverso i quali raccontano un'altra storia. La capacità dei nostri avversari, di essere performativi, è altissima! Anche perché non avendo il principio di verità, che è un limite, che è la salvaguardia dell'umano: il principio di verità e di realismo, possono dire qualunque cosa. Ecco che la loro capacità di raccontare e indicare storie è altissima. Dobbiamo avere paura di questa cosa, dobbiamo essere innamorati di questo mondo della comunicazione? Secondo me, né l'uno né l'altro.

Essere cattolici vuol dire andare verso il popolo, bisogna essere popolari, bisogna anche saper essere intelligentemente nazional-popolari. Noi abbiamo un patrimonio di giornalismo che è raccontare ciò che se non raccontiamo noi non racconta nessuno. Nessuno. I nostri paesi scomparirebbero senza il giornalismo che i cattolici sanno fare con i loro giornali.

Su questa strada si colloca il lavoro che faccio nella redazione di ciascun giornale che dirigo. Porto lì dentro le grandi questioni, perché spesso i collaboratori e i lettori leggono solo quel giornale specifico. E allora, se gli parliamo di Charlie, come ho fatto io al Monviso, per esempio, si scopre che i redattori sono tutti contro l'eutanasia. Nessuno è cattolico, eppure di fronte a questo principio di evidenza naturale c'è un'alleanza. A pranzo, perché noi mangiamo in redazione, parliamo di Fabiano Antonioni, in arte dj Fabo, e la pensiamo tutti allo stesso modo. È una redazione di “uomini vivi”, che quindi capiscono la brutalità della questione. Io con loro discuto gli editoriali: quello su Charlie, sull'“aiutiamoli a casa loro”: in questo caso ho citato padre Piero Gheddo, che conosce davvero la situazione africana, dicendo che vi è un grande problema di educazione pure in Africa.

E in questo nostro mondo, in questa periferia che tutti noi viviamo della comunicazione, il pensiero corto, il fatto che tutto debba stare dentro in uno slogan, non ci aiuta a capire quanto riportato poc'anzi e ancora ciò: che cosa capita solitamente tra noi qui presenti? Una cosa che ricordò Giussani durante il discorso che tenne a Desio per la Democrazia Cristiana, ricordato in un dibattito recente, che ho seguito. Nel suo intervento qualifica il contributo che i cattolici danno alla democrazia. E come? Lo qualifica come difesa del pluralismo. Questa cosa qui la facciamo solo noi cattolici. Perché capiamo che dove c'è una posizione che liberamente si mette in gioco, ecco che c'è più coscienza. Il pensiero unico, la grande omologazione, di cui parlava Pasolini e di cui parlava don Giussani in quel discorso alla DC lombarda dicendo “la profonda comunanza di giudizio, rispetto a questa grande omologazione”. Perché ci sono delle cose che non si possono più dire. Voi che fate La Baionetta avete il coraggio di dire le cose che non si possono più dire. Purtroppo nemmeno in certi ambienti della Chiesa si possono dire. Voi fate un tentativo coraggioso, un blog coraggioso, perché dite delle cose che non è facile dire, senza il registro della provocazione. La Baionetta è il coraggio di dire cose scomode, senza la provocazione fine a se stessa; è il tentativo di ridestare dal torpore, non è carpire un consenso perché è semplice invocare degli slogan ideologici.

È ridestare l'attenzione anche attraverso la pro-vocazione, cioè richiamando la persona ad essere ciò che deve essere. Nel movimento di CL mi hanno insegnato – e spero che lo si insegni ancora – “o si è protagonisti, o si è nessuno; o si dice io o non si è nessuno”, e allora l'uomo è chiamato a dire io.

La capacità di provocare, di ridestare questo protagonismo è fondamentale, oggi, poiché l'omologazione non vuole persone che dicano io. Non credo che servano giornali cattolici. Se ci sono, va bene. Io credo che il punto consista nel fatto che ci siano giornalisti cattolici. Ma i cattolici cosa compiono? Compiono la battaglia che Annah Arendt diceva essere quella di questi tempi: “stare di fronte ai fatti”, e i cattolici stanno di guardia ai fatti. O per dirla con il caro Chesterton “brandiremo le spade per dire che le foglie sono verdi in estate”. Ed è così. Oggi questo è il livello, perché solo il potere può essere anarchico – e cito ancora Pasolini –, solo il potere in forza del suo potere può dire che è vera una cosa che non è vera; questa si chiama propaganda. E la propaganda si trova pure nella legge. Le leggi sono scritte male. I cattolici tra le altre cose avevano aiutato a scriverle bene, assieme alla costituzione, in un buon italiano; cosa che oggi non hanno più fatto, a causa del pesante clima ideologico.

Per chiudere. Servono questi giornalisti cattolici, che siano alleati di tutti coloro che non vogliono l'omologazione. E nel popolo c'è una curiosità, un desiderio di sapere contro ogni ideologia. Dobbiamo andare incontro alle persone che ne fanno parte, come succede al Monviso, qui alla sede del MCL. La comunicazione è un servizio alla Verità se corrisponde a una curiosità che l'omologazione vorrebbe distruggere. Oggi servono operatori della comunicazione che abbiano questo profilo. Nella biografia scritta da Savorana per don Luigi Giussani si trova una citazione molto significativa, collocata negli anni '70, in tempi molto simili a questi (anche se l'ideologia di oggi è diversa): “Ebbi chiaro che il mio compito era suscitare vocazioni al giornalismo”. Perché se noi cattolici dobbiamo difendere la realtà, dobbiamo difendere la comunicazione giornalistica. Una lotta efficace alla propaganda: comunicazione scientificamente fatta in servizio del potere, tra i nostri principali avversari, richiede giornalisti comunicatori cattolici. Poi magari faranno giornali cattolici, ma non è necessario; anzi, se non li fanno è meglio. Non serve che ci siano giornali cattolici, giacché il dissenso sotto uno dei più terribili regimi, che era quello sovietico, si chiama samizdat, che vuol dire editare. Quindi il problema non è che quello che editiamo abbia un'etichetta. Perché come dice benissimo Marta Cartabia nella prefazione al Il Potere dei senza potere “Nasce sempre una grande amicizia tra chi è dissidente rispetto all'isola del potere” qualunque sia la posizione da cui si parte. Poiché l'amicizia nasce nella difesa della libertà. E il giornalismo è questo. Per essere liberi ci deve essere la Verità. Perché se no capita quel fatto che era la battuta dei dissidenti russi. C'erano due giornali in Russia: Pravda e Isvezia; Pravda sta per verità e Isvezia sta per notizia. E allora i dissidenti russi dicevano che in Isvezia non c'era alcuna Pravda, e in Pravda non c'era alcuna Isvezia.





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Salmerìa 30.2017

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venerdì 28 luglio 2017

Ricognizione: La responsabilità etica dei cattolici nella comunicazione (seconda parte)



Giancarlo: “Ringrazio per l'invito gli amici del blog La Baionetta. È sempre interessante dibattere e discutere. A Pinerolo ho avuto l'avventura di avere la responsabilità dell'ufficio pastorale lavoro. Non è la comunicazione l'aspetto di cui mi occupo principalmente, per questo vi è il direttore del settimanale diocesano Patrizio Righero, che è stato vostro ospite nel II incontro di studio. Però, obiettivamente la incrocio con costanza. Il pluralismo e il ruolo dei cattolici. Io partirei da un dato. Oggi mancano i cattolici anche in quel famoso Tg3 o meglio, mancano notizie viste in modo più plurale perché i cattolici si sono suicidati più che fatti sparire.

Ho sempre visto che il problema più grosso non è tanto la forza degli altri ma la debolezza nostra; sostanzialmente e progressivamente ci siamo liquefatti. Quindi era naturale che liquefacendoci a livello culturale a livello politico, ci liquefacessimo anche a livello della comunicazione. Ecco, valiamo poco contiamo poco perché siamo scarsamente formati in generale. Normalmente, siamo tornati a rinchiuderci nelle sacrestie, quando va bene; altrimenti, in altri luoghi più divertenti più ludici.

Il compendio della Dottrina Sociale della Chiesa ci indica la strada, per uscire da tale empasse. Sì, indica essa al punto 562, che è verso la parte finale, dal titolo che mi piace molto e che potrebbe essere il titolo di un libro “Da Babele alla Pentecoste”, il quale può aiutarci a capire qual è la strada della comunicazione, o meglio quello che si diceva nell'introduzione di questo incontro, “l'etica della comunicazione, come la ritrovo sulla strada che da Babele porta alla Pentecoste. Dice il compendio: “Alla luce della Fede la comunicazione umana si deve considerare un percorso da Babele alla Pentecoste, ovvero l'impegno, personale e sociale, di superare il collasso della comunicazione (cfr. Gen 11, 4-8) aprendosi al dono delle lingue (cfr. At 2,5-11), alla comunicazione ripristinata dalla forza dello Spirito Santo, inviato dal Figlio”.

Bene, ora potrei dirvi grazie dell'attenzione e speriamo di rivederci a Pentecoste. Così potrebbe essere la chiusura dell'intervento, perché è tutto scritto qui, nella Dottrina Sociale della Chiesa, che prende le mosse in maniera organizzata, alla luce del magistero della Chiesa, da Leone XIII e arriva alla messa in ordine nel compendio. Quindi, il percorso della parte dedicata alla comunicazione è questo: oggi viviamo una situazione da Babele. Analizziamo bene questa situazione. Mauro parlava dello slogan “aiutiamoli a casa loro”. È uno di quelli che vanno per la maggiore in politica, in questa politica “da felpa”; tutto ciò che vi sta sopra va bene: rottamiamo, la ruspa etc. Tutto funziona e possiamo fare felpe. Ma tutto questo è in realtà principio di semplificazione, utile all'individuazione del nemico pubblico. Non a caso oggi attraverso la comunicazione si designa “il nemico unico”.

Si diceva prima nell'introduzione la comunicazione post Family Day inventa la storia degli integralisti cattolici ma non c'e bisogno di tornare così indietro nei mesi. Guardiamo cosa è successo negli ultimi due giorni, a quei due articoli tristi usciti su La Stampa e La Civiltà Cattolica ma fermiamoci qui, per non aprire una feroce polemica, e andiamo a vedere la notizia su Taiwan: è passata la legge sull'equiparazione del (finto) matrimonio tra persone dello stesso sesso al matrimonio tra uomo e donna. Ovviamente, nella notizia i cattolici e la chiesa locale sono trattati come un settore oscurantista, i quali vogliono fermare lo sviluppo sociale culturale del Paese. Su buona parte dei giornali cattolici, che pochi non sono, ne hanno parlato? No! Siamo rimasti oscurantisti. Non è tanto la comunicazione stampa generale che mi rode ma la nostra, che non risponde alle false accuse. Certo, non occorre sbranarsi, però la parresia è d'obbligo, e cioè dire la verità, le cose come stanno. L'unico modo per combattere il principio di semplificazione è il comunicare, dire la verità. Perché la comunicazione di per sé non è buona o cattiva, è uno strumento. Benedetto XVI lo dice in Caritas in Veritate, lo affida, parlando della tecnologia nella comunicazione, al messaggio per la XLVI giornata mondiale delle comunicazioni sociali: “Sono da considerare con interesse le varie forme di siti, applicazioni e reti sociali che possono aiutare l’uomo di oggi a vivere momenti di riflessione e di autentica domanda, ma anche a trovare spazi di silenzio, occasioni di preghiera, meditazione o condivisione della Parola di Dio”.

E purtroppo, anche noi cattolici abbiamo ceduto all'eccesso di parole. Noi non siamo sul pezzo perché seguiamo gli altri nell'eccesso di parole, dentro il quale si annegano anche i nostri valori. Passa l'idea che la chiesa di Taiwan è oscurantista perché, nell'eccesso di parole, non diciamo niente di preciso puntuale, non mostriamo la Verità con coraggio. Di fatti la Dottrina Sociale della Chiesa ci sollecita a dire la Verità perché tute le parti del compendio dedicate alla comunicazione hanno l'assoluta preoccupazione di ricordare che il tema centrale deve essere la persona umana. La DSC è molto concreta giacché specchio di una fede incarnata. Non è insieme di elementi filosofici ma elemento di un Dio che si è fatto carne, che tocca le problematiche nella loro concretezza. Così essa si rivolge ai comunicatori e a chi usufruisce del lavoro di questi.

Continuiamo a percorrere la strada dei principi perniciosi che oggi contagiano la comunicazione. Poi alla fine vi dirò a chi appartengono. Dal principio della semplificazione al principio di contagio. Lo tratto partendo da una mia esperienza. Ho vissuto un'avventura positiva. Una suora cortesemente mi ha “incastrato” nella formazione dei giovani rom. Nel senso che all'inizio era “ogni tanto vieni a fare formazione” ma poi, e non so quando come e perché, è diventato “tutte le settimane sei lì a fare formazione”. Il potere meraviglioso delle suore.

Normalmente si dice “i rom sono tutti ladri”. Ormai è patrimonio comune, che conferma l'esistenza del principio di contagio, di tutta l'erba si fa un fascio. Così si crea il nemico comune e si contagia ideologicamente il giudizio delle persone. Comunicazione che va per la maggiore qui a Torino e altrove, sulle varie testate è un continuo susseguirsi di titoli urlati e carichi di slogan semplicistici; e le nostre testate che fanno? Se rispondono, lo fanno con articolo barbosi, che arrivi a metà e dici va beh, aderisco all'idea che va per la maggiore, eppure la DSC afferma al punto 561: “I fedeli laici guarderanno ai media come a possibili e potenti mezzi di solidarietà”. Già solo con questo smontiamo lo slogan 'i rom sono tutti ladri'. Non è così, perché sono persone piazzate in una periferia umana e reale.

Dunque, la DSC continua ricordandoci: “Le strutture e le politiche di comunicazione e la distribuzione tecnologica sono fattori che contribuiscono a far sì che alcune persone siano ricche di informazione e altre povere di informazione, in un'epoca in cui la prosperità e perfino la sopravvivenza dipendono dall'informazione”. Vado a chiedere ad ognuno di voi, quanti giovani volontari delle parrocchie attorno ai campi nomadi si occupano della formazione dei bambini rom? Zero. Se ne occupano i francescani. Perciò, come vedete, il problema è nostro. Torna la nostra debolezza. Qui c'è il ragionamento che è bello potersi scegliere i poveri che ci piacciono. Magari se vivono a 2000 km di distanza è ancora meglio.

III principio, di trasposizione: è sempre colpa di qualcun altro, o la responsabilità è di qualcun altro. Noi cattolici ci comportiamo come nobili decaduti. Mi viene in mente il titolo del libro di Bebbe del Colle I cattolici dal potere al silenzio (con due cerotti sulla bocca), come hanno fatto l'italia e come non vorrebbero distruggerla. Cioè non è mai responsabilità nostra. Rimaniamo sul pezzo, legati all'attualità. Il libro dell'ex presidente del consiglio dei ministri – non premier poiché non esiste premierato in Italia – che potrebbe essere socialista con quell'Avanti, non so, avrebbe potuto chiamarlo Unità. Se andate a vedere tutte le analisi uscite sul libro, le mettete insieme, potrete scoprire che è stato presidente ma senza responsabilità: dall'ufficio di presidenza è passato qualcun altro, che gli ha fatto sbagliare scelta o ha preso una scelta al posto suo. Reni poi dice che non ha avuto responsabilità. In estrema sintesi, è il principio di trasposizione, è colpa degli altri.

I cattolici contano meno, certo, ci sono state colpe arrivatre dall'esterno ma chi si è fatto ingabbiare in uno schema di gioco che non ci è mai appartenuto, come quello centro-sinistra/centro-destra? Ci siamo fatti intrappolare in quella gabbia.

Possiamo vedere che la comunicazione di oggi è una comunicazione molto lontana da tutto quello che la chiesa maternamente ci dice, con la DSC e il magistero.

E arriviamo al principio di esagerazione, il IV. Qualsiasi aneddoto, piccolo banale che sia, deve essere trasfromato in qualcosa di grande pazzesco, allo scopo di far percepire con sospetto colui che è rappresentato come avversario. “Hanno rubato nel condominio, chi è stato, ah sicuro, i rom”. E poi quando chiedi all'interlocutore così frettoloso “scusa ma l'hai visto, l'hai fotografato?” la risposta è no. Oppure, lo stesso vedi un segno sul muro e inizia a dire “ah, ecco, hanno fatto un segno per venire a derubarci”... Esagerazioni che interpellato chi fruisce della comunicazione, e non solo i professionisti dei mezzi di comunicazione. La responsabilità etica riguarda entrambi.

È vero che possono propinarmi un titolo urlando con le peggiori esagerazioni ma io fruitore devo saper discernere, avere la formazione per saperlo fare. Dove si fa formazione alla buona comunicazione, in quale parrocchia si legge la buona stampa, quali parroci hanno animatori culturali? Questi animatori culturali dovevano nascere anni addietro, frutto di un'idea, di una vicenda tutta cattolica. Nacque, migliaia furono quelli che si formarono e poi si fermò tutto. Ci si chiede 'ma dove sono finiti, in quale luogo sono incastrati?'.

V principio, quello di volgarizzazione. Qualsiasi propaganda deve essere popolare. Più grande è la massa da convincere e più piccolo deve essere lo sforzo mentale richiesto. La capacità ricettiva delle masse è limitata. Più allargo la platea, meno ho bisogno di convincere. L'informazione social funziona così, ed ecco perché facilmente si presenta il problema delle fake news. Ho allargato la platea e tutto può diventare verosimile. Quindi, con attraverso l'informazione sociale si propaga velocemente il pregiudizio che noi cattolici siamo oscurantisti, medievali, crociati etc

VI principio, l'orchestrazione. La propaganda deve limitarsi a un numero piccolo di idee, ripeterle instancabilmente, disse qualcuno: “Se una menzogna viene ripetuta a sufficienza, alla fine diventa una verità”. Al fondo, come già accennavo prima, vi dirò chi è.

Ma attenzione la DSC da questo punto di vista cosa ci dice? Ci dice che “occorre assicurare un reale pluralismo in questo delicato ambito della vita sociale, garantendo una molteplicità di forme e strumenti nel campo dell'informazione e della comunicazione, e agevolando condizioni di uguaglianza nel possesso e nell'uso di tali strumenti mediante leggi appropriate”. E su leggi appropriate potremmo aprire un altro convegno. Prossimamente. Ma attenzione, il compendio della DSC ci ricorda che sulla comunicazione c'è da porre una questione educativa. Per riprendere Benedetto XVI: “L'emergenza educativa investe completamente, e ancora di più oggi che ieri, il modo della comunicazione”. Ne parla pure Papa Francesco ne La laudato si, quando chiama ad una rivoluzione culturale. Noi dobbiamo tornare a essere rivoluzionari, non pavidi rinchiusi in sacrestia. Su questa aveva ragione don Primo Mazzolari, che parlava della “rivoluzione cristiana”.

VII. Principio di rinnovamento, che consiste nel pubblicare notizie idee che denigrano l'avversario, in grande quantità e in grande velocità. Se apro un social, vedo molti che sparano a raffica notizie denigranti contro l'avversario, perché questo permette di indebolirne le difese. Abbiamo intere piattaforme, controllate da società varie, che fanno questo. Ma questo non è parresia, e va contro i principi riportati nel compendio. Il nostro tempo richiede un'intensa attività educativa. Anche il silenzio, come diceva Benedetto. Il silenzio è un'ottima risposta educativa all'eccesso di parole, che è anche un eccesso di notizie false, che è il principio di rinnovamento. Dobbiamo insegnare ai nostri giovani questo, senza ovviamente demonizzare la tecnologia, che non sempre è un male.

Il Compendio ci ricorda ancora che “per quanto riguarda la tecnologia in generale ci si preoccupa della sua retta applicazione. Noi sappiamo che questo potenziale non è neutro; esso può essere usato sia per il progresso dell'uomo sia per la sua degradazione”. Perciò, noi non possiamo stare dalla parte della degradazione umana. Perché il tema centrale, come già detto più sopra, è la persona umana. Se facciamo cattiva comunicazione, degradiamo la persona.

VIII principio, la verosimiglianza: presentare informazioni confermate almeno in apparenza, in apparenza solide, mostrate in modo parziale, creare confusione. E come la risolvono i cittadini? Cercando la spiegazione più semplice, in mezzo al mare delle notizie e alla complessità delle vicende. Siamo sul pezzo noi cattolici? No, siamo noiosi, barbosi. Spesso non siamo in grado di offrire un'informazione semplice, che può aiutare a capire: attenzione, non semplificata ma semplice nella forma, densa nella sostanza.

IX, principio del silenzio. Non organizzare dibattiti su argomenti in cui non si hanno motivazioni importanti. Come faccio? C'è una brutta notizia, e allora cosa faccio? Niente, ne invento un'altra che vada a controbilanciare. Se come cattolico faccio una cosa del genere, dimentico il principio fondamentale del compendio, la Verità. Noi siamo portatori di Verità. Certo, siamo anche portatori di misericordia ma questa senza Verità è buonismo di bassa lega.

Principio della trasfusione, numero X. Si usano pregiudizi e miti, “i rom sono tutti ladri”. Ma come possiamo fare così! Noi siamo figli di un Dio che si incarna, si fa uomo. E se quella centralità della persona umana, la riconosciamo, non possiamo giocare con i pregiudizi sulle persone; anzi, dovremmo essere i primi avversari di chi usa quei pregiudizi contro qualunque persona.

Diversa è l'ideologia. Prendiamo l'ideologia, Mauro parlava del gay pride a Torino e ad Alba. Esce il comunicato della Diocesi di Alba, molto puntuale e sereno. Quanti giornali, tolto La Gazzetta d'Alba e Vita Diocesana Pinerolese, lo hanno ripreso? Nessuno. Tra l'altro, e mi rivolgo ai comunicatori qui presenti, è interessante notare che attraverso la comunicazione si definiscono #pride, Piemonte-pride (per avere fondi regionali).

Chiudiamo con il principio dell'unanimità, XI. Convincere i cittadini del fatto - e qui si capisce perché è necessario battersi per una sana pluralità - che è necessario pensarla tutti allo stesso modo, creare una falsa unanimità: i “matrimoni” tra persone dello stesso sesso sono lo sviluppo della nostra cultura, dappertutto. Tutti la devono pensare allo stesso modo, perché si deve anche mantenere il desiderio istintivo di appartenenza in ciascuno. Chi ha il coraggio di opporsi, di affrontare il pubblico ludìbrio, come quel deputato maltese, l'unico, che ha votato contro il matrimonio omosessuale? Attenzione, la DSC ci invita all'impegno personale ma anche comunitario: non ci dice “ognuno per sé, Dio per tutti”; ci dice di formarci insieme, trovarci attorno ai valori e ai principi fondamentali per l'uomo, di farci compagnia e affrontare insieme le sfide.

Ora, chi si nasconde dietro i pericolosi principi che ho citato? Il maestro e ministro della propaganda del partito nazista, Gobbels. I suoi principi si trovano ancora oggi nella comunicazione dei giornali, qualsiasi, e nella comunicazione dei grandi leader. E nella comunicazione attuale sono riproposti in una veste nuova. Qui è Babele. Dunque, occorre incamminarsi verso la Pentecoste.








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giovedì 27 luglio 2017

Cappellano militare: Beati i ciechi, perché vedono la Luce

Ci sono cecità che salvano lo sguardo, ad esempio quando la luce ti è tolta e allora, solo allora, ricordi che essa valeva molto più degli oggetti che ti faceva vedere.

Meglio rimanere senza nulla, piuttosto che dimenticare da Chi tutto provenga: beati i ciechi, perché vedono la Luce.


Don Carlo Pizzocaro






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Ricognizione: La responsabilità etica dei cattolici nella comunicazione (prima parte)

Ha moderato la penna nera Federico Montagnani. Dopo aver ripreso l'introduzione scritta per il comunicato stampa dell'incontro, il moderatore ha detto: “Benché il tema della responsabilità dei cattolici nella comunicazione sia sempre importante assistiamo da qualche tempo a un fenomeno singolare, cioè l'attività di sabotaggio da parte di una vera e propria “quinta colonna” all'interno del mondo cattolico, che una volta avremmo definito militante e conservatore nei confronti di chi, proveniente da questo stesso mondo, ancora difende i principi non negoziabili e una presenza militante dei cattolici nella sfera pubblica. Per fare una breve cronistoria gli eventi salienti sono stati l'opposizione al family day di piazza San Giovanni: penso all'articolo di Crippa su Il Foglio a proposito dei cattolici ideologici e integristi, la polemica su Papa Francesco al convegno ecclesiale di Firenze contro i cattolici pelagiani, che confidano nella norma e gnostici che confidando nel ragionamento perfetto dimenticano la carne del fratello; infine, il dossier de la Nuova Europa sui fondamentalismi a cura diMassimo Introvigne. Per non dimenticare padre Spadaro e il suo 'ecumenismo' tra destra evangelica americana e integralisti cattolici. A quanto pare i fondamentalisti siamo noi che ci poniamo tutta una serie di questioni - quali appunto la difesa dei principi non negoziabili, tra cui la vita, la lotta senza compressi alla deriva antropologica -. E novità, l'attacco viene non solo da Repubblica o da Vito Mancuso, Enzo Bianchi, ma da parte dell'ex mondo cattoconservatore militante. Ora tutti questi soggetti sono accomunati da un uso smodato della retorica per creare fondamentalisti là dove ci sono cattolici, e integristi dove ci sono integralisti. Forse anche nel sapere affrontare temi così importanti fuori dalla retorica dei muri e dei ponti sta il contributo di noi cattolici senza “etichette” e la nostra responsabilità nella comunicazione, cioè nel riallenare uno spirito critico e cercare innanzitutto la Verità. Questo sarebbe utile a noi stessi e a tutti. Ma soprattutto, mi sembra che il contributo dei cattolici nella comunicazione debba essere lo spirito critico. Contributo fondamentale in un'epoca in cui retorica la fa da padrona, che è quindi necessario per saper andare oltre questa retorica; e poi non deve mancare la difesa di una certa idea di libertas ecclesiae nel pensiero unico dominante e mainstream, che Papa Francesco ha definito in più di un'occasione con la figura della sfera. Dunque, chiederò ai nostri relatori come declinano questo tema nel loro lavoro. La parola a Mauro.

Mauro: “Direi prima di tutto che i cattolici hanno informato la società civile, la legislazione italiana in materia di libertà di stampa, di pluralismo dell'informazione. Noi abbiamo attraversato un periodo in cui si è legiferato in merito a questi temi con una forte presenza pubblica dei cattolici. Questo obiettivamente, storicamente ha dato luogo a delle sensibilità che forse non ci sarebbero state se ci fosse stato aria di regime. Ne cito alcuni di questi personaggi, Guido Gonella è stato un presidente di tutto l'ordine dei giornalisti, ma non è mai venuto meno alla sua identità: non la usava in termini strumentali ma l'usava al fine di un giornalismo il più libero possibile. Sensibilità che nonostante l'incapacità, la malizia di certi giornalisti ed editori, ha saputo influenzare positivamente l'intera Europa, non solo il nostro Paese.

A questo punto non posso non pensare alle varie carte che abbiamo noi giornalisti. Carte come quella di Treviso, le quali studiamo, ripetiamo a memoria; ne abbiamo così tante a cui appellarci che tra poco non avremo più la carta su cui scrivere. In questo vi è sicuramente un'impostazione umanitaristica in senso lato, che magari con il cattolicesimo ha poco a che vedere, nonostante presenti alcuni punti che si ispirano ad esso.

I cattolici hanno il ruolo che quando la società glielo permette è propositivo e positivo, e di crescita di tutta la comunità nel suo complesso. Se non ci fossero stati dei cattolici, probabilmente la legislazione italiana, e anche poi la giurisprudenza relativa, sarebbe stata diversa; ci sarebbe stata una sensibilità diversa anche nei confronti di tante situazioni che noi viviamo, che deontologicamente, in quanto giornalisti, siamo tenuti a rispettare. In qualche maniera stringente, pesante nei confronti della categoria. Ma direi che è dovuto per i bambini, per il rispetto di ogni persona. Devono essere protetti da certe strumentalizzazioni dei mezzi di comunicazione di massa, che avvengono quando vi è un clima fortemente ideologico.

Ecco che considerando attentamente la storia della presenza cattolica nel nostro Paese, possiamo ben vedere quanto sia stato fondamentale il ruolo dei cattolici nella comunicazione negli anni in cui c'è stata la loro egemonia politica e anche in parte culturale. Non posso non ricordare cosa è stato il servizio pubblico televisivo. Chi è nato con la televisione tra gli anni 50 e 60, dovrebbe ricordarsi che si era reduci da un'esperienza illiberale e dittatoriale. La televisione italiana per passaggi successivi ha saputo essere tre cose; innanzi tutto, una televisione sostanzialmente libera, in cui con una sola rete si riusciva a fare più servizio pubblico, perché c'era un'attenzione alla qualità. Era una buona televisione, lo riconoscono tutti, in cui i cattolici erano fortemente presenti con la produzione e con la comunicazione giornalistica. Questo fa pensare. Oggi abbiamo una televisione decaduta, e sempre tutti lo riconoscono, e abbiamo meno presenza dei cattolici, sia dal punto di vista culturale che della comunicazione giornalistica. Direi che le due cose sono collegate. Con la venuta meno dei cattolici, è venuta meno la qualità.

Secondo aspetto. La funzione educativa della televisione era alta. Pensiamo al programma per l'alfabetizzazione “Non è mai troppo tardi”. Se oggi si fosse così attenti, si potrebbero fare programmi per l'integrazione culturale, da rivolgere agli extracomunitari. Ma con il servizio pubblico cosa diamo, con le reti commerciali cosa favoriamo? Niente! Al massimo diamo loro le telenevoleas o prodotti inutili.

Terzo aspetto. Una sana idea di pluralità vigeva nella televisione e nella comunicazione di matrice cattolica, all'epoca della pienezza della possibilità. Ecco perché non erano i soli. Il padre di Veltroni era un esponente importane della Rai, nessuno gli ha mai detto niente; non è che ci fosse la caccia alle streghe verso coloro che non condividevano la Fede cattolica. I cattolici non hanno mai avuto un'idea opprimente, unilaterale della divulgazione giornalistica e di contenuti. Questa tv faceva da contraltare alla stampa laicista e anche alla stampa di sinistra, come l'Unità, forte soltanto per meriti di partito. Di fatto anche nel momento in cui ci si impegnava per un discorso di parte, si teneva conto dell'equilibrio pluralistico nella comunicazione. Oggi questo è saltato perché la comunicazione è così frammentata che non ci si pone più il problema del pluralismo vero; al contrario, se ne propone uno falso. Non c'è paragone con quello che possono mettere in campo sul web determinate testate, quali Il Corsera e Repubblica e quello che può mettere in campo la sommatoria di piccole testate. Questo per dire che la possibilità di dare spazio, permettere di esprimere giudizi idee a tutti è un'illusione. In realtà sono privilegiati soltanto gli organi laicisti a discapito di quelli cattolici e di quegl'altri che non si piegano ad una visione laicista.

Il pluralismo di quegli anni sapeva contagiare. Anche i giornali più faziosi, come La Stampa di Torino, era più attenta alla nostra cultura, per esempio lasciava uno spazio, mi ricordo, a Carlo Bo e ad altri in campi o pagine particolari. Se poi vediamo la svolta che c'è dopo l'avvento di Giovanni Agnelli al timone dell'azienda Fiat e della testata con suoi direttori, da Levi a seguire, scompare la presenza cattolica, che rimane ancora sul Corriere della Sera e sul Secolo XIX. C'è stato un impoverimento, della qualità giornalistica, parallelo all'indebolimento della presenza dei cattolici. Ripeto, laddove sono forti, si rispetta di più il pluralismo; c'è più effervescenza, vivacità. Il lavoro censorio è infinitamente meno aggressivo di quello a cui assistiamo oggi, non solo nei nostri confronti ma anche uno verso altro.

Altro aspetto importante da sottolineare è questo, la ricchezza rappresentata dalle testate locali cattoliche, che sono la fortuna di questo Paese; alcune delle quali hano storicamente una forte connotazione cattolica.

Ai cattolici si apre la prospettiva di saperle valorizzare, attraverso il prendere coscienza che il modo di fare cronaca e l'approccio linguistico sono cambiati rispetto a 50 anni fa. Questi aspetti della comunicazione devono essere cambiati aggiornati; ovviamente, non devono cambiare i nostri valori di fondo; occorre essere ancorati ad una visione positiva e costruttiva del mondo, ancorati alle comunità locali, essere buoni giornalisti; fare giornali letti e diffusi. Possono ancora stare sul mercato, perché vendono al contrario dei giornali dei signori della modernità, i quali vedono sempre più diminuire il numero di lettori, nonostante le abbiano provate tutte, anche con internet. Vuol dire che può esserci ancora mercato per la carta stampata. Soprattutto quando i nostri prodotti sono di qualità, originali. Non come La Stampa e Il Secolo XIX, che ormai hanno perso la propria oiginalità storia: se li prendete in mano, li aprite, vedrete che oramai molte pagine della prima si ripetono su quelle della seconda. Così l'identità di questa si perde in un'omologazione. E meno male che i loro signori dovevano portare maggiore pluralità (falsa, come dicevo sopra), rispetto a noi e a chi altro non si piega ai dettami del laicismo.

Noi oggi possiamo dire serenamente, sebbene le difficoltà non manchino, che la carta stampata cattolica ancora vive.

Mi avvio verso la conclusione. Vi parlo brevemente della vicenda de Il Laboratorio, per raccontarvi come provo a fare buona comunicazione, seguengo pure quanto ho riportato sopra. Tale esperienza dà il nome ad un'associazione e a una testata. Come dissi al rilancio qui a Torino dell'Unione Cattolica Stampa Italiana, è nata non in chiave confesionale ma come periodico mensile, senza etichetta con l'intenzione di far discutere, di stimolare qualche cosa, prima di tutto la materia grigia dell'emisfero destro nella nostra testa, che è a disposizione di tutti... far discutere, provocare dibattiti.

Esperienza in cui l'attenzione per il pensiero cattolico è alta perché se lo merita; non è un scelta di parte, anche perché sulla testata ci può scrivere anche chi arriva da altre scuole culturali, basta che sia intelligente, ragionevole e rispettoso. Si può fare all'inverso, non fare i cattolici, che poi ad un certo punto per timore della cultura dominante sbiadiscono. Si può partire da un'esperienza aperta e poi arrivare ai contenuti che più ci interessano come cattolici. Così io e diversi amici, tra i quali molti dei presenti, per esempio alcuni degli amici de La Baionetta. I temi che solleviamo sono davvero importanti e sempre presentati con ragionevolezza. Sono esterrefatto dallo slogan renziano “aiutiamoli a casa loro”. Perché? Perché noi cattolici non diremmo mai ciò, e nel caso lo dicessimo, coniugheremmo ciò con delle proposte di aiuti concreti, come faceva Giovanni Bersani, senatore e storica guida del Movimento Cristiano Lavoratori.

Quando si va “avanti” in quel modo, con quegli slogan, l'immiserimento è dietro l'angolo. Che aumenta quando i cattolici autentici scarseggiano nella vita pubblica e politica. Lo vediamo bene nei tg regionali, ove la mancanza dei cattolici si fa sentire, fortemente. L'ho capito qualche settimana fa, guardando il Tg3; il giorno in cui a Torino e ad Alba hanno organizzato il gay pride. Su 5-6 servizi, 3 erano dedicati a tali manifestazioni. Uso ideologico dell'informazione, scorretto, perché hanno dato un peso eccessivo rispetto alla realtà che i due pride rappresentano.

Mentre la tv locale l'ho sempre vista con piacere. Al di là della faziosità che si poteva vedere, alla fine è la tv più vicina ai fatti. Invece al Tg3 si parla di fatti ideologici, quando ci sarebbe un spazio enorme per i fatti vicini alle persone, quelli banali come gli scippi, l'ingorgo automobilistico. Questa sarebbe buona cronaca, invece lì solo vi è ideologia, che porta i telegiornali e i giornalisti sempre più lontani da noi, persone del popolo.

Se non c'è l'impegno ad occupare spazi, si arriverà a esiti pericolosi. I cattolici hanno fatto bene per anni e possono dare molto. Devono, dobbiamo prendere l'iniziativa, riacquisire capacità vivacità presenza; altrimenti, e mi ripeto volentieri, la qualità della comunicazione della cultura della politica si deteriorerà. A questo dobbiamo tenere come persone, cittadini e credenti.








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mercoledì 26 luglio 2017

Congedo con onore: Paolo Gariglio: Maschio e femmina Dio li creò

Nel 2004 la Chiesa, per volere di quell'indimenticabile amico dei giovani che fu papa Giovarmi Paolo II, scrisse una bellissima Lettera ai Vescovi del mondo perché questi pastori la traducessero ai ragazzi delle loro comunità a salvaguardia dei pericoli morali di questo nostro tempo di «pensiero debole».

Nel documento si spiegava la precipitosa trasformazione della mentalità sessuale a partire dallo scorretto rapporto tra uomo e donna che, in nome di una tendenziosa emancipazione femminile, scatena da un lato una pericolosa rivalità tra i sessi e dall'altro l'assurda determinazione a cancellarne le differenze...

È una tendenza sociale che si sta radicando e produce conseguenze dirompenti nella vita personale e familiare.

A livello educativo la banalizzazione della sessualità è sollecitata fin dall'infanzia, lasciandola ad intendere come un'occasione per il proprio piacere... Questo produce un «cinismo etico» che inclina e stimola al male, al «mordi e fuggi» di chi fa uso del sesso e poi se ne va senza accoglierne le conseguenti responsabilità.

La generazione preadolescenziale, fino a ieri salvaguardata dal calore educativo della famiglia, oggi è già coinvolta in questa morale immorale... 

In secondo luogo tale costume - continua la lettera voluta dal Papa - volendo evitare la supremazia dell'uno o dell'altro sesso, tende a cancellarne le differenze (considerate come semplici effetti di un condizionamento storico e culturale), e mette in questione la stessa esistenza della famiglia come nucleo naturale della società umana composto dal trinomio di padre, madre e figli. Tutto questo promuove l'equiparazione dell'omosessualità all'eterosessualità, producendo un modello nuovo di sessualità polimorfa. Siffatta «promozione» è confermata a livello europeo con una legiferazione inaccettabile fino al punto che un ministro è stato espulso dal Consiglio d'Europa solo per le sue «tradizionali» convinzioni etiche personali... mentre un altro ministro, condannato per pedofilia, conserva onoratamente il suo scranno! 

Pensa: nella penisola iberica, dove l'istituto del matrimonio è esteso alle coppie omosessuali, dal Codice civile spagnolo sono stati depennati i termini marito e moglie e sostituiti da quello universale di coniuge

È chiaro che questo modello di vivere è e sarà inaccettabile per i cristiani, ma lo respingono pure l'ebreo e il musulmano... Anche il laico di senno lo rigetta senza esitazione. 

È ovvio che dinanzi a queste correnti di pensiero l'insegnamento della Chiesa, illuminata dalla fede in Gesù Cristo, deve intervenne perché è chiamata in causa dalla minacciata distruzione di quella radice umana fondamentale che è la famiglia. 

Caro ragazzo e ragazza carissima, affidandoti queste pagine, ho chiesto al Signore, nella preghiera più intensa che mi è riuscita, che tu possa capire, a dispetto della dissennata mentalità laicista, che «il maschile e il femminile appartengono alla creazione e sono quindi destinati a perdurare oltre il tempo presente» e che «nell'Amore umanissimo che celebra la bellezza dei corpi si esprime lo stesso Amore divino che permea tutta la creazione!». 

La cultura nella quale si è immersi, «considerando Dio come nemico..., fa sì che la relazione uomo e donna sia la prima ad essere pervertita». 

Salvati da questa disgraziata mentalità che conduce alla rovina! Non inglobarti in questa generazione perversa e nichilista: resta fuori, resta forte! 

Buona lettura! 

Dimenticavo di dirti che a conclusione di ogni capitolo troverai diverse note esplicative richiamate dal numerino dopo la parola o del concetto da spiegare. Si trattari un piccolo glossario fatto per aiutarti a comprendere termini un po' complessi. 

Troverai anche uno «stimolo» simile a quello che il Libro del Deuteronomio rivolgeva all'Israelita credente: «Ascolta, Israele!». Poiché è rivolto a te e sarà tratto dalla stupenda lettera di papa Benedetto XVI dedicata all'amore (Dio è Amore), esso sarà intitolato «Ascolta, ragazzo!». 

Ascolta, ragazzo!  

«Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze» (Dt 6,4-5). Gesù ha unito, facendone un unico precetto, il comandamento dell'amore di Dio con quello dell'amore del prossimo, contenuto nel Libro del Levitico: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (19,18,fr. Mc 12,29-31). Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr. I Go 4,10), l'amore adesso non è più solo un «comandamento», ma è la risposta al dono dell'amore col quale Dio ci viene incontro.  
Benedetto XVI, Enciclica Dio è Amore, n.2 

Tratto da "Ti amo. La sessualità raccontata agli adolescenti" di Paolo Gariglio
pag 14 - 17






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lunedì 24 luglio 2017

Giornale murale: Il campo aperto degasperiano

Per gentile concessione dell'autore, condividiamo questa pregevole riflessione sulla presenza politica dei cattolici fuori dalla camicia di forza destra/sinistra, che è un'imposizione di uno schema estraneo a tutta la tradizione più originale dell'impegno laico cristianamente ispirato.


“Partito di centro che guarda a sinistra”, questa è la citazione delle parole di Alcide De Gasperi, riferite alla Democrazia Cristiana, che ricorre spesso, anche in questi giorni, soprattutto per giustificare questa o quella azione o, soprattutto, collocazione politica.

Potremmo dire parole giuste, contesti ed interpretazioni sbagliate!

Innanzitutto è utile ragionare sulla linea di continuità politica tra don Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi, pur in contesti storici diversi.

Nel suo discorso di Caltagirone del 1905 dal titolo “i problemi della vita nazionale dei cattolici italiani”, infatti, il primo afferma che “non la monarchia, non il conservatorismo, non il socialismo riformista ci potranno attirare nella loro orbita: noi saremo sempre, e necessariamente, democratici e cattolici. La necessità della democrazia del nostro programma? Oggi io non la saprei dimostrare, la sento come un istinto; è la vita del pensiero nostro. I conservatori sono dei fossili, per noi, siano pure dei cattolici: non possiamo assumerne alcuna responsabilità. Ci si dirà: ciò scinderà le forze cattoliche. Se è così, che avvenga. Non sarà certo un male quello che necessariamente deriva da ragioni logiche e storiche, e che risponde alla realtà del progresso umano... Nell'affermazione di un programma specifico sociale, il partito cattolico diviene partito vitale, assurge alla potenzialità di moderno combattente, che ha vie precise e finalità concrete. È logico dunque l'affermare che il neo-partito cattolico dovrà avere un contenuto necessariamente democratico-sociale, ispirato ai principi cristiani: fuori di questi termini, non avrà mai il diritto a una vita propria: esso diverrà una appendice del partito moderato”.

Dunque le coordinate tracciate da Sturzo, sincero democratico, che fonderà il Partito Popolare Italiano quattordici anni dopo, sono chiare, anti-moderate, certamente alternative a posizioni conservatrici, indisponibili, per usare le parole che ritroviamo decenni dopo in interventi di don Primo Mazzolari “ad andare a prestito di rivoluzioni” come quelle liberali e socialiste: insomma delinea una strada originale ed autonoma radicata nell'ideale democratico cristiano (“essa, la democrazia cristiana, è un ideale e un programma che va divenendo, anche senza il nome, evoluzione di idee, convinzione di coscienze, speranza di vita; essa non può essere una designazione concreta di forze cattoliche, ma una aspirazione collettiva, sia pure ancora vaga e indistinta”: ecco che qui si inizia ad intravvedere il popolarismo).

Poteva De Gasperi virare completamente da questa traccia, pur in condizioni contingenti diverse e legate alla necessità dell'unità politica dei cattolici dovuta alla massiccia presenza social-comunista? Possiamo, come molti fanno, ritenere lo sguardo a sinistra del partito di centro come una semplicistica indicazione a sostegno di una alleanza a senso unico? Naturalmente le risposte sono negative: innanzitutto per la testimonianza cristiana dello statista trentino che, per usare un pensiero di Niccolò Tommaseo, vive il cristianesimo come principio moderatore, non come una fazione di moderati. Questo cattolico, ben radicato nella realtà in cui gli è dato di vivere, non intende abbandonare la strada che ha percorso con Sturzo, ma la porta nel presente e le dà lo slancio per il futuro, quindi non viene mai meno nelle sue azioni politiche l'originalità della tradizione del popolarismo e dell'idea democratico cristiana da cui il primo è germogliato.

Allora quando parla di “sinistra” cosa intende? Innanzitutto occorre notare che non ha inteso mettere l'articolo, insomma non si tratta di guardare “la” sinistra, chi piega questo pensiero degasperiano ad un viatico ad una alleanza senza scampo lo forza e lo tradisce. Nella definizione data c'è l'aspirazione di un partito interlclassista, solidarista, non confessionale ma cristianamente ispirato, che si muove verso i deboli perché nessuno rimanga indietro o intrappolato in ideologie disumane o populismi senza speranza. De Gasperi non agisce rinchiudendosi in un recinto da conservare, ma sta in campo aperto e accetta le sfide del suo tempo non nascondendo mai la sua identità che lo porta a mettere sempre al centro la persona umana difendendo e perseguendo libertà, giustizia e verità.

Oggi quella definizione è il segnale che occorre rinnovare la presenza dei cattolici democratici che non possono abbandonare la propria originalità e non possono permettersi di continuare a farsi rinchiudere nelle gabbie imposte della destra e della sinistra, pena l'infedeltà alla tradizione popolare e democratico cristiana (naturalmente e liberamente chi si ritiene conservatore o progressista è altra cosa, senza pensare di fare confusione con criteri cristiani, come quello del lievito, che non hanno valenza politica).

Nell'epoca attuale quindi più che cercare di giustificare forzosamente le scelte del momento estrapolando parole a caso di grandi testimoni, sarebbe tempo di rimettersi in cammino per ridarne coerente testimonianza che non prescinde dal ritrovarsi come comunità politica unita da valori e visione.

Punto di partenza? Smetterla di scindere artificialmente la visione di cui si è portatori: la lotta contro la crisi antropologica è battaglia di giustizia e l'impegno per la giustizia sociale è antidoto contro ideologie disumane, anti-famigliari e per nulla civili. Insomma seguendo Sturzo e De Gasperi spostiamo il punto d'osservazione in alto facendo ricorso a quel principio di non appagamento teorizzato da Aldo Moro.








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domenica 23 luglio 2017

Obice: L'ombra del post-umano sul piccolo Charlie

Da pochi giorni Charlie Gard e i suoi genitori sono cittadini americani. Così il Congresso degli Stati Uniti d'America ha deciso di stupire il mondo. È l'ennesimo colpo di scena, dopo l'incredibile mobilitazione di popolo, gli interventi del Papa e di Trump, che mostra l'entità della battaglia in corso tra nazioni, tra due sistemi sanitari, tra le eccellenze della ricerca e diverse idee sulla bioetica, sul diritto dei singoli.

La cittadinanza non poteva arrivare in un momento più significativo di questo, dato che per i Gard è stata una settimana cruciale. Il giudice dell'alta corte britannica, Nicolas Francis, colui che dovrà stabilire se il piccolo potrà andare oppure no negli Usa, per nuove cure, ha individuato tre passaggi prima di esprimere il verdetto finale, il quale non arriverà prima del 24 luglio.

Il primo di questi è avvenuto lunedì scorso. È arrivato a Londra, con dati nuovi e incoraggianti per i Gard, il dottor Michio Hirano, direttore del dipartimento di malattie neuromuscolari del centro medico università Columbia di New York, invitato dallo stesso giudice, dopo essersi confrontati in video conferenza giovedì 12 luglio. A fianco del dottor Hirano vi era anche Enrico Bertini, medico proveniente dal Bambino Gesù, uno degli ospedali che si sono messi a disposizione per accogliere Charlie. Successivamente, i medici del Great Ormond Street Hospital hanno tenuto il consulto tecnico-scientifico con lo specialista americano. Durante tale incontro ha partecipato anche la mamma del piccolo, Connie Yates, dopo che il legale della famiglia, Grant Armstrong ha fatto valere il diritto dei genitori a rimanere vicini al figlio, contro l'ingiusta opposizione dei medici, che non volevano la loro partecipazione. Infine, il terzo passaggio è avvenuto quando i genitori e i medici hanno definito i testimoni da ascoltare nell'udienza finale, che dovrebbe tenersi tra il 24 e il 25 venturi.

Che cosa è emerso? Nonostante il dottor Hirano insista sulla possibilità di un miglioramento per Charlie, grazie a un nuovo farmaco, i medici inglesi continuano a sostenere che per Charlie non esiste speranza e che continuare a fornirgli cure è accanimento terapeutico. Niente di più falso, giacché i motivi per continuare a sperare ci sono e prendersi cura della vita umana, soprattutto quando è debole, esentandola dal calcolo eugentico costi-benefici, come stanno facendo mamma Connie e papà Chris, e i molti loro amici, è civiltà. Quello dei medici del Great Ormond è “accanimento”, come quello del giudice Nicolas Francis e dei 4 gradi di giudizio, tre in UK, uno della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, che attraverso verdetti hanno dato ragione ai medici in questione. Per il momento bloccati, merito di 'leoni' quali sono i coniugi Gard e della mobilitazione internazionale a favore della vita del loro piccolo.

Un accanimento ottuso contro il mistero della vita. Contro la possibilità che la vita, anche quella segnata dalla malattia, possa essere più forte di qualsiasi previsione tecnico-scientifica; di qualsiasi schema razionalistico. Accanimento che mostra tutta la sua intolleranza al favor vitae quando diviene la domanda che il giudice Francis ha rivolto ai genitori di Charlie: “Perché volete che vostro figlio viva?”.

Come è già stato detto su autorevoli testate, come Tempi, La Verità, La Nuova Bussola Quotidiana, Vita Diocesana Pinerolese, sul sito della fondazione Europa Popolare e anche sulle colonne di questo piccolo ma vitale blog – e continuare a ribadirlo è usare bene il proprio tempo – la battaglia per Charlie è una battaglia per tutti, cattolici e non, purché non abbiano paraocchi ideologici; per me che scrivo, per voi che leggete, poiché prima o poi ci troveremo anche noi in una situazione delicata, in cui avremo bisogno di tenerezza e amore; per tutti coloro che sono malati, piccoli e grandi.

Per questo la Federazione Uniamo la sentenza sul bimbo inglese “segna fortemente il destino di tutti i piccoli” che nascono con patologie rare e complesse. Ed evidenzia come le malattie mitocondriali siano “molto poco conosciute e imprevedibili”. Ma la decisione di “porre fine alle sofferenze” di Charlie non tiene conto delle sue pur flebili possibilità offerte dalla ricerca in un campo ancora tutto da esplorare come quello delle malattie rare. Di fatti la Federazione italiana malattie rare ha fatto sapere di recente: “Molti bimbi con stessa malattia sono migliorati oltre ogni aspettativa medica”. E così, si può sottolineare, con maggior ragione, che il bimbo è intubato da più di dieci mesi: se soffrisse, il corpo non avrebbe già ceduto? Ma giudici e medici preferiscono altre domande, purtroppo; così oltre a non prendere in considerazione quanto riportato, si mostrano restii ad affidare Charlie agli ospedali, come il Bambino Gesù, che lo vorrebbero ospitare; anche se i suoi genitori sono in grado di badare a qualsiasi spesa per trasporto e cure, grazie alle tante donazioni ricevute: più di un milione di sterline, da oltre 85.000 sostenitori.

I Gard sono praticamente in ostaggio. Tale problema dimostra che qui, prima ancora che di scontro tra pro life e sostenitori dell'eutanasia, tra laici e cattolici, ancor prima della fiducia che si può avere o no nelle cure, si vede l'assurdità che si genera quando a tutti i costi, si diceva “accanimento ottuso”, si vogliono applicare rigorose procedure tecniche all'insondabile mistero della vita. La salute precaria del piccolo, sebbene presenti possibilità di miglioramento, non supera un certo test tecnico-scientifico, dei nuovi spartani/nazisti. Come se la scienza possa avere sempre l'ultima parola su tutto. Terribile!

Di conseguenza va in scena, sia nell'aula dell'alta corte britannica, sia nelle sale del Great Ormond, la tirannia della tecnoscienza, che fa credere a chi la impone, medici magistrati politici proprietari di multinazionali (per esempio, Facebook, Google, Microsoft), di essere demiurghi, divinità. Ecco il postumano che avanza. Per capire bene, si legga cosa asserisce il filosofo Vittorio Possenti all'interno della sua opera 'La rivoluzione biopolitica. La fatale alleanza tra materialismo e tecnica' (pagg. 130-132): “L'innegabile tendenza della tecnoscienza a pensarsi come un potere universale che si impone dovrebbe renderci ancora più attenti a che non venga minacciata la realtà stessa della società politica quale comunità di liberi ed eguali, regolata da diritto e giustizia, e che non prevalga al suo posto una nuova forma di assolutismo: quello tecnoscientifico, la biocrazia di Comte, intesa come dominio sulla vita e insieme dominio dei tecnoscienziati sulla società”. E poi l'autore afferma ancora: “Il rischio maggiore che la tecnoscienza presenta è di naturalizzare integralmente l'uomo, considerandolo infine un mero oggetto. Se la tecnica non può né trasformare l'essenza umana, né produrre la persona, può però trattare l'uomo come un oggetto naturale, e questo dipende dall'uomo stesso, non da supposte intenzioni della tecnica. Quando ciò accade, siamo molto oltre il progetto di Bacone secondo cui scienza e tecnica andavano intese come un aiuto fondamentale di ordine redentivo-restaurativo: “In seguito al peccato originale, l'uomo decadde dal suo stato e dal suo dominio sulle cose create. Ma entrambe le cose si possono recuperare, almeno in parte, in questa vita. La prima mediante la religione e la fede, la seconda mediante le tecniche e le scienze” (Bacone, Novume Organum, L. II, paragrafo 52). Oggi lo strumento di redenzione è divenuto padrone e la tecnica si è emancipata dalla religione. L'ideologia della tecnica favorisce tale distacco, come indicato nel mito di Prometeo. Questi, rubando il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini, dà inizio all'interpretazione ideologica della tecnica come hybris antidivina. La connessione tra conoscenza e potere è andata oltre quanto preconizzato da Bacone. La democrazia costituzionale e rappresentativa è oggi chiamata a confrontarsi con un potere assolutamente non rappresentativo quale è quello della tecnoscienza, che non nasce da un'elezione”.

Prima accettiamo le parole pronunciate dal professor Possenti e meglio è per tutti noi, e sopratutto per Charlie Gard e i tanti bisognosi di amore e di cure. D'altronde, il grado di civiltà di una nazione si giudica proprio da come in essa vengono trattati i più deboli.

Per prendere sul serio le parole del filosofo e contrastare i pericoli da lui sottolineati, occorrono gesti ricchi d'amore ragione e di sana dissidenza: il prendersi cura della vita umana, sopratutto quando è debole, esentandola dal calcolo eugenetico costi-benefici, come stanno facendo mamma Connie e papà Chris Gard, e i molti loro amici, tra questi Papa Francesco e Trump è civiltà, altro che accanimento terapeutico!

Ovviamente, non si deve perdere la Speranza.





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