martedì 7 gennaio 2025

Riflessioni sul film Netflix "Storia di Maria"

Tale film (semplicemente Mary, nella versione originale) ha debuttato sulla piattaforma streaming di Netflix lo scorso 6 dicembre. È stato diretto dal regista DJ Caruso. Nel tentativo di raggiungere l'autenticità, Caruso ha scelto per il ruolo di Maria l'attrice israeliana (non è l'unica) Noa Cohen (appropriato, siccome la Madonna era ebrea) e per Giuseppe l’attore Ido Tako (di bell’aspetto). Il nome più celebre accreditato è il premio Oscar Sir Anthony Hopkins, il quale interpreta Erode.

Senza indugi, e proprio perché ha la pretesa di veridicità storica, lo stronco. Il film attinge ampiamente da un mix di fonti bibliche ed extrabibliche per raccontare la storia di Maria, in particolare dal Protovangelo non canonico di Giacomo, prendendosi una buona dose di libertà creative che confondono di molto il confine tra la cronologia biblica e la libertà (a)poetica hollywoodiana, tutta politically correct.

Fin dall'inizio del film, c'è un'atmosfera assai cupa: la musica piena di suspense e la fotografia dark, sebbene apparentemente belle, non danno l’idea di un’opera “iperdulìca” nei confronti di Maria e al servizio del "lieto annunzio" (Euangélion). L'interpretazione di Erode da parte di Hopkins ricorda la follia oscura del Re shakespeariano Riccardo III e quella del Grande Inquisitore de I Fratelli Karamazov (ci possono stare); per non parlare dei cameo di Lucifero e di un insolitamente minaccioso Arcangelo Gabriele, i quali sono altrettanto inquietanti. Non vi è alcun "brivido di Speranza" per il mondo stanco del I secolo a.C. e sicuramente nessuna gioia.

Il regista, per quanto si definisca cattolico e abbia sperato di rendere la storia di Maria (fin troppo) accessibile alle persone, non è riuscito a raccontare la grazia che Dio ha concesso in modo unico a Maria; anzi, ha enfatizzato la nube oscura di sofferenza che sembrava incombere su di lei per tutto il film. Non a caso, il produttore dello stesso è lo statunitense Joel Osteen, pastore e telepredicatore protestante.

Certo, la vita sulla terra è anche una “valle di lacrime”: la realtà del peccato e l’oscurità che getta sul mondo non rendono pienamente felice lo stare qui sulla terra; d’altronde, qui siamo solo di passaggio; però, nonostante l'oscurità, la Speranza rimane. Il cattolico sa, per dirla con Tolkien, che la vita è “eucatastrofica”: il dolore, il male, alla fine della storia subiranno la sconfitta definitiva; vittoria difatti ravvisabile nel “centuplo quaggiù” assicuratoci da Cristo Stesso, che Egli aveva già fatto assaporare a Giobbe e che nel “Sì” di Maria è divenuto ancora più grande.

Onde evitare di svelare tutte le parti della trama, si può sottolineare come alcune delle scene e delle parole più belle inerenti alla Natività, a iniziare da quelle riportate da San Luca, non siano presenti o, se lo sono, siano distorte.

Lascio da parte questa carrellata di ipotesi romanzate: da Maria rappresentata come una sorta di “femminista autodeterminata”, da Lucifero (sottolineo: troppo bello) che La tenta, dallo scontro tra questi e l’Arcangelo Gabriele (sottolineo: troppo brutto), una brutta copia dei duelli con spada laser di Star Wars (ho troppo a cuore George Lucas per sopportare questo), dal censimento romano non pervenuto, dal motivo per cui Maria e Giuseppe non trovano posto a Betlemme: in tanti si erano recati lì, perché certi che il Messia vi sarebbe nato, quando si sa che non è così (d’altra parte, censimento romano assente), dal fatto che nessuna creatura angelica spieghi a San Giuseppe come mai Maria sia incinta, il quale non mostra neanche un briciolo di curiosità nei confronti del Padre del nascituro, al modo in cui Giuseppe incontra Maria: dopo essere stato condotto a Lei da una strana figura avvolta in una tunica blu, l’Arcangelo Gabriele, il padre putativo di Gesù finisce per bussare alla porta dei santi suoceri affermando che Maria è Sua moglie. Altamente improbabile, considerate le precise norme di corteggiamento ebraiche dell'epoca.

Le lascio da parte per soffermarmi maggiormente sul "cuore" del film. Quando l’Arcangelo Gabriele viene a portare a Maria il miglior messaggio possibile, è una figura oscura e spaventosa con il volto per lo più coperto, per niente simile a un magnifico Arcangelo. Perché l'oscurità? Nessuna raggio di luce, un simbolo perfetto per un annuncio così gioioso?

Gabriele le dice che Suo Figlio regnerà sulla casa di Davide. Ma viene tralasciata la Sua eloquente spiegazione di come quel Figlio “sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore Dio gli darà il trono di Davide Suo padre. Egli regnerà sulla casa di Giacobbe per sempre, e il Suo regno non avrà fine. Sarà chiamato Figlio di Dio” (Luca 1,32-35). Maria risponde: «Lascia che sia io». Eppure Luca scrive che Maria rispose a Gabriele: «Ecco la serva del Signore; avvenga di me secondo la tua parola».

Lo stesso vale per l'eccezionale visita di Maria alla cugina Elisabetta. Qui, è molto breve, ambientata in uno spazio buio simile a una caverna illuminata solo da una piccola fiamma da cucina. Elisabetta è felice, ma non trasmette la descrizione di Luca di un'Elisabetta "piena di Spirito Santo e che esclamò a gran voce”: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo». Mancano tutte le preziose parole di Maria immortalate duemila anni fa nel Magnificat, le quali mostrano la Sua obbedienza alla volontà di Dio e la Sua comprensione di come quegli eventi risuoneranno nei secoli dei secoli.

E giungiamo all’errore più grave che stride pienamente con la Dottrina Cattolica e gli insegnamenti della Chiesa; ovvero, alla scena in cui Maria partoriente viene mostrata sofferente. Fin dall'inizio, i Padri e i dottori della Chiesa, tra cui i Santi Ambrogio, Agostino, San Bernardo da Chiaravalle e Tommaso d'Aquino, hanno insegnato che solo Ella sarebbe stata esente da tali dolori come segno della Sua santità unica: Lei sola non ha avuto peccato originale e le sue conseguenze (sine labe originali concepta). Sant'Ireneo, nel secondo secolo, fece riferimento alla profezia di Isaia: «Prima di essere in travaglio ha partorito; prima che le venissero i dolori, ha dato alla luce un figlio. Chi ha mai sentito parlare di una cosa simile? Chi ha mai visto cose simili?» (Isaia 66,7). Sempre Isaia afferma: «Ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio, e lo chiamerà Emmanuele (Dio con noi)» (Is 7,14).

Per spiegare come ciò è potuto avvenire, i Padri e i dottori della Chiesa ricordano che se è vero che nell’ora della Trasfigurazione Gesù mostrò, anticipando l’evento della Risurrezione, il suo corpo glorioso ai tre Apostoli, di conseguenza non si può negare che abbia potuto rendere glorioso il suo corpo anche al momento del parto, e anticipando proprio il miracolo del Tabor. E un ulteriore aiuto ce lo dà la Sacra Scrittura quando asserisce che Gesù risorto passò attraverso i muri del Cenacolo, ove si trovavano gli Apostoli la sera del giorno della Sua risurrezione. Sant’Alberto Magno – e così mi avvio alla conclusione -, maestro di San Tommaso, per mostrare la verginità della Madonna durante il parto fa riferimento proprio a questo fatto: «Maria è una stella perché come la stella emette il raggio, così la Vergine genera il Figlio con lo stesso splendore: né la stella viene menomata dall’emissione del raggio, né la madre dal generare il Figlio. […]. Colui che camminò sulle onde del mare senza affondarvi, Colui che uscì dal sepolcro senza infrangere il sigillo della pietra – essa fu ribaltata, come dice il Vangelo (Mt 28,2), da un angelo e non dal Signore -, Colui che si presentò ai discepoli a porte chiuse, poté anche nascere da una Madre vergine senza violarle il pudore verginale. Per questo chiamiamo stella la Vergine Maria» (S. Alberto Magno, Trattato sulla natura del bene, cap. 142).

Ora, non resta che sperare che un giorno a Maria SS. potranno finalmente dedicare dei film ad hoc, sulla scorta di capolavori cinematografici e televisivi quali Ben Hur, I Dieci Comandamenti, Il Re dei re, La tunica, Il quarto re, La Passione di Cristo.






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