lunedì 10 giugno 2019

Lettera dal fronte: I cattolici del "però"

Ci siamo talmente assuefatti all'idea di una verità personale, relativa e adeguabile caso per caso, che pensiamo di risultare persino più acuti relativizzando ogni evidenza.

Ci siamo lasciati sedurre e conquistare da un'idea di tolleranza che non propone più al prossimo il suo bene, nell'accoglienza e nella verità, ma che accetta o addirittura promuove il male altrui, pur di rispettare l'idolo di un'autodeterminazione che non assume valore nel bene ma in se stessa. Autodeterminazione che, in casi come l'aborto, si auto-contraddice travalicando in un atto contro e nonostante l'altro.

Il bene diventa totalmente relativo e opinabile e dunque potenzialmente intercambiabile col male, che si trasforma in bene personale e sociale solo in quanto scelto.

Non è bene ciò che fa bene ma ciò che si desidera.

Questa deriva morale ha prodotto i cattolici del "però" che, ignari del fatto che definirsi cattolici significherebbe dichiararsi credenti in Colui che è Verità, si ritengono adulti relativizzando proprio quella Verità in cui credono di credere, di fatto negandola.

Da questo si genera la lunga lista dei "sono cattolico però..."

...non è necessario credere ma basta essere buoni,

...tutte le religioni hanno identico valore,

...il crocifisso si può coprire se dà fastidio,

...love is love,

...l'aborto è un diritto e deve essere favorito,

...va bene l'aiuto alle donne in gravidanza ma non condizioniamone la scelta,

...l'eutanasia e l'utero in affitto sono delle conquiste auspicabili anche per l'Italia,

...tutto il mondo va in quella direzione, vogliamo rimanere al medioevo?

Dunque cattolici che, oltre a essere ignoranti sul Medioevo, scelgono Barabba per il semplice fatto che tutti gli altri lo acclamino.

La maggioranza, come per magia, diventa principio non negoziabile, a parte quando non sceglie ciò che i sondaggi pilotati suggeriscono. In questo caso la maggioranza diventa branco di caproni insultabile.

Ma ci immaginiamo ad esempio un animalista che arrivi a dichiarare che non torturerebbe mai un animale ma che si debba rispettare la libertà e la sensibilità di chi invece un animale ogni tanto ha piacere di torturarlo?

Bene, questo è esattamente ciò che invece ci sentiamo rispondere continuamente dal "cattolico adulto" di turno, magari impegnato in parrocchia o sindaco di una città; e non è un caso che i primi votino i secondi.

Infondo per i "cattolici adulti" il criterio di voto può/deve ignorare la piena dignità di ogni essere umano dal concepimento, in quanto risulta sufficiente una generica e ideale accoglienza, che fa fine e non impegna e perché, diciamocelo, non credono più (in contrasto con la Dottrina Sociale anch'essa ridotta a slogan arcobaleno) che ogni vita umana abbia pari dignità e che non esista mai motivo valido a sopprimerla sin dal grembo materno.

Evidentemente stiamo considerando "amore per il prossimo" un basso e comodo egoismo che dà l'illusione di essere buoni, non scomoda, ma implacabilmente macera il bene nostro e del prossimo, soprattutto del più innocente e indifeso che, come lo ha definito Santa Teresa di Calcutta, è "il più povero tra i poveri": il nascituro.

A questo punto qualcuno potrebbe ribattere che però si deve pensare alla donna. Assolutamente sì e in questo i CAV insegnano. Ma c'è un piccolo particolare che in questi casi si perde di vista: la donna in gravidanza è già madre di un figlio a cui il cuore batte quando ancora lei non ha contezza del suo "stato interessante".

Si può forse aiutare una madre dimenticandosi del figlio?

Si può pensare di aiutarla nel bene non favorendo l'accoglienza di colui che è per lei (e per la società) il bene più grande, arrivando a considerare il parto e l'aborto equivalenti?

Si può servire davvero il bene comune ed essere credibili politici, religiosi, cattolici, dimenticandosi di questo?


Claudio Larocca






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