sabato 24 marzo 2018

Salmerìa 12.2018

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mercoledì 21 marzo 2018

martedì 20 marzo 2018

Obice: L'attualità di “Eugenetica e altri malanni” di Chesterton


Nel 1922 Chesterton ebbe l'ardire di “anticipare” i tempi, denunciando apertamente un pericolo che, in modo subdolo, stava diffondendosi nella società europea e nord-americana. Lo fece attraverso il libro “Eugenetica ed altri mali”. Senz'altro, non pochi coevi lo avranno considerato matto, ma d'altronde, si sa, nemo propheta in patria sua. A riabilitarlo come “profetico” da ascoltare ci pensiamo noi, cui sono dati da vivere questo tempo e e la Grazia di esser idiosincratici a qualsiasi (dis)cultura mortifera. Il gigante del XX secolo e di Beaconsfield ha predetto con lucidità che gli eugenetisti avrebbero realizzato un mondo efficientistico, in cui il valore dell'uomo sarebbe stato deciso dalla sua capacità di produrre benessere economico; in cui il matrimonio sarebbe stato deciso, scelto e imposto secondo criteri genetici, basati sulla “qualità della vita”, sulla felicità e realizzazione dell'essere umano fondato, appunto, sulla visione dell'uomo solo “produttivo”; una casta di medici avrebbe avuto l'ultima parola – tirannicamente – sull'intera umanità. L'alleanza tra efficientismo tecnologico ed eugenetica (frutto di malthusianismo e spencerismo) che diviene lo strumento con cui lo “Stato servile” (leggere Hilaire Belloc, amico del nostro, per capire) elimina i poveri, i malati, “i non più produttivi”.

Sì, G.K.C “ci aveva già avvertiti” di ciò che in questi mesi abbiamo visto capitare ai piccoli Charlie Gard, Isaiah Haastrup, vittime a causa della morte di Stato. E la stessa sorte rischiano di subire Inés (in Francia) e Alfie Evans (connazionale dei piccoli sopracitati). Verso di loro e il volere dei genitori si è scatenato e si sta scatenando il “vero accanimento da rifiutare”, quello dei medici della casta e dei giudici – di varie corti, compensa l'europea dei diritti umani - chiamati in causa da questi; un accanimento che inficia il giuramento di Ippocrate, il buon senso comune e lede la dignità della vita umana, la patria potestà. Non a caso ai Gard e agli Haastrup prima, agli Evans e ai cari di Inés ora, hanno fatto e fanno pressioni per far morire (le cose van chiamate con il proprio nome, con buona pace di mons. Paglia) i loro figli, nel nome di una falsa misericordia, imposta con mantra-slogan, quali “è un'ostinazione irragionevole lottare per tenerli in vita”, oppure, e peggio ancora, “il loro massimo interesse è morire”. Dunque, medici e magistrati più pericolosi delle malattie stesse, giacché uniti nel proposito di morte contro la volontà di quei genitori di amare e aver cura dei propri piccoli. Una volontà su cui nessun uomo, medici e giudici compresi, ha potere e davanti alla quale ci si deve inchinare; come la storia e sempre Chesterton ci ricordano, solo uno Stato servile può osare tanto: se si spezzano i legami familiari, è più facile sottomettere in modo totalitario gli uomini e le donne. Le liberal-democrazie d'oggi non hanno niente da invidiare a nazismo e comunismo, a causa del delirio eugenetico di onnipotenza, del nichilismo e del relativismo di cui soffrono.

Ecco ciò che giustifica i tentativi di ostacolare l'amore vero, rappresentato dai genitori per i figli malati, la speranza di vedere dei miglioramenti nella vita loro e degli altri malati, la possibilità di accompagnarli (quando la condizione non possa migliorare) fino alla fine, usando le cure palliative e portandoli a casa. Senza speranza e amore vero, ci sarebbero mai state personalità come Stephen Hawking, Andrea Bocelli? Ecco perché, in ottica costi-benefici, alcuni medici e togati fanno di tutto per accorciarne la vita, col mettere i sostegni vitali (diritto inviolabile e inalienabile di ogni uomo) - respirazione, alimentazione, idratazione - sullo stesso piano (che in certi casi si possono sospendere). D'altronde, l'eugenetica parla di persone con “scarsa qualità di vita”. Parole che sono piaciute ai dottori di Charlie Gard e Isaiah, e che piacciono a quelli di Inés e Alfie. E' perciò che i medici del Great Ormond Street Hospital non considerarono né la proposta di Papa Francesco per accogliere Charlie all'ospedale Bambin Gesù, né le dichiarazioni ufficiali della sua presidente “che la respirazione assistita – tra i supporti vitali intangibili - si interrompe solo a chi viene accertata la cosiddetta morte cerebrale”. Situazione che non ha riguardato Charlie e nemmeno Isaiah, che non riguarda gli altri due bimbi; eppure, i primi si sono visti privati dei sostegni vitali, e i secondi rischiano, ora, la stessa sorte.

Ma i problemi non finiscono qui. Oltre ai danni alle persone, arriva perfino la beffa. Come avevo già riportato in un articolo per Vita Diocesana Pinerolese il giudice Hayden, che ha ritenuto valida la scelta di sospendere i supporti vitali di Alfie contro la volontà dei suoi genitori, per sostenere tale sentenza ha strumentalizzato – sulla scia di Mr. Mylonas, rappresentante dell’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool, che l'aveva preceduto - Papa Francesco, “assolutizzando” un solo passaggio dell'intervento di questi sull’accanimento terapeutico (7 novembre scorso); nel tentativo di far credere agli Evans, per fiaccarne la volontà, perché cattolici, che il Papa avesse sostenuto la validità della sospensione dei sostegni vitali nel massimo interesse dei malati. Ovvio, nessuna delle parole del Papa citate da rappresentante e togato (e in nessun passo del messaggio o di altri testi di Papa Francesco e del Magistero cattolico precedente) – come ha sottolineato il prof. DonRoberto Colombo sul sito Il dono della vita legato al card. Sgreccia – hanno dato e danno ragione loro. Anzi, il continuare a fornire al malato inguaribile il supporto fisiologico che gli consente di vivere è “supporto di saggezza”. Un simile sostegno vitale non è terapeutico – «nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Risposta a quesiti della Conferenza episcopale statunitense circa l’alimentazione e l’idratazione artificiali, 2007) – e per questo non può mai venire lecitamente interrotto. Farlo significherebbe anticipare intenzionalmente con un atto omissivo la morte del paziente, pur inevitabile nel tempo, e questo non rientra negli scopi delle cure palliative né in altro compito della medicina. Peraltro, - ha ricordato sempre il prof. Colombo - sono gli stessi medici che hanno esaminato Alfie e i referti delle indagini diagnostiche strumentali eseguite su di lui a constatare uno «stato semi-vegetativo», condizione clinica che lo avvicina – per alcuni aspetti e pur con le differenze del caso pediatrico – a quella oggetto del discernimento operato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nella risposta ai vescovi degli Stati Uniti, che riguarda i pazienti in stato vegetativo.

Però, tali parole non vanno ricordate solo ad Hayden e a Mylonas, bensì pure a quei cattolici che, come il già citato mons. Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, vanno sostenendo le malizie dei due funzionari. Da parte loro non una parola sulle strumentalizzazioni ai danni del Papa e degli Evas; tutti a parlare di accanimento terapeutico, quando il vero accanimento su Alfie (lo stesso subito da Charlie, Isaiah e Inés) è quello eugenetico. Se noi cattolici non lo denunciamo, tra cui Paglia, sottolineo: il presidente della Pontifica Accademia per la Vita, smascherando le manipolazioni di laicisti “mortiferi”, ci mostriamo quali utili idioti nel loro tentativo di imporre una a-cultura dello scarto e della morte. Azione che dobbiamo contrastare, per il bene nostro e di tutti gli uomini di buona volontà, credenti e non (perché la battaglia per la dignità della vita umana riguarda proprio tutti). Non per nulla il Santo Padre ha detto, nella parte furbescamente omessa da Mylonas e Hayden, che abbiamo il dovere morale di curare il malato «senza abbreviare noi stessi la sua vita». Perché “l’imperativo categorico è quello di non abbandonare mai il malato, di non scartare alcuna vita umana condannandola ad una morte anticipata perché giudicata non degna di essere vissuta”.

Quindi, la missione del cattolico è costruire la civiltà dell'amore e dell'accoglienza, sulla scia dei grandi santi e autorevoli fratelli in Cristo e Maria, come Chesterton, senza scendere a patti con chi collabora con il “principe di questo mondo”. E le sfide “antropologiche”, come ben sappiamo, non sono solo oltre confine ma anche al di qua della nostra patria. In Italia bisognerà controllare il lavoro dei tribunali, i quali stanno già interpretando - come la professoressa Assuntina Morresi ha ben sottolineato su Tempi - la legge sul cosiddetto bio-testamento in senso eutanasico, usando quanto sta emergendo in Corte di Assise di Milano, nell’ambito del processo a Cappato sulla morte di Fabiano Antoniani, in arte dj Fabo: “Qui si sostiene che è il legislatore (cioè la maggioranza Pd-M5S che ha approvato il testo) ad avere intenzionalmente inserito l’eutanasia omissiva. Sarà sufficiente tutto questo per convincere la parte del mondo cattolico che si ostina a 'vedere il buono' di questa legge, a condannarla, e il nuovo parlamento a cambiarla? O dovremo rassegnarci ad avere anche noi i nostri Charlie, Isaiah, e forse Alfie?”.

La fine della seconda guerra mondiale e l'avvento delle democrazie liberali sembravano aver fermato la diffusione dell'eugenetica, e invece non è così; la cronaca attuale ci mostra infatti che essa sta tornando in modo più prepotente e pericoloso. Ma Chesterton ci ricorda ancora, dalle pagine di Eugenetica e altri malanni: “La cosa più saggia del mondo è gridare prima del danno. Gridare dopo che il danno è avvenuto non serve a nulla, specie se il danno è una ferita mortale. Si parla a volte di impazienza popolare; ma gli storici seri sanno che molte tirannidi sono state possibili perché gli uomini si sono mossi troppo tardi. Spesso è essenziale opporsi a una tirannide prima che essa prenda corpo...”









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Giornale murale: «Serve una presenza cattolica in politica»

Qual è la casa politica dei cattolici? È la domanda che rivolgiamo a Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano lavoratori, da sempre preoccupato che la presenza di laici cristiani impegnati nell’agone pubblico non si riduca al lumicino, ma sia, al contrario, espressione di comunità vive che, sulla scorta del magistero della Chiesa, incidano nella società. Però, a conti fatti, questa presenza cattolica, come s’è visto nelle elezioni del 4 marzo, c’è ancora? È ancora viva, interessante? «Il problema – spiega Costalli a tempi.it – è che dobbiamo essere consapevoli che i cattolici, ormai da tempo, non sanno più elaborare una proposta politica coerente e unitaria. Pensi solo all’ultima tornata elettorale, a parte il documento Esserci-Mcl, lei ne ha in mente altri in cui associazioni di orientamento cattolico hanno preso una posizione chiara sul voto?». No. «Ecco, appunto. Qui è il problema. Il problema è che i cattolici non vogliono che la loro fede, la loro storia, la loro cultura si esprimano in politica. Non interessa loro? Non è importante? È, innanzitutto, secondo me, un problema di volontà e, di conseguenza, di unità».

ELETTORI CONSUMATORI. Nel mondo cattolico esistono diverse sensibilità, diverse storie, diversi orientamenti, non è facile metterli assieme. «Concordo – risponde Costalli –, ma qui ormai non ci si pone neppure più il problema. Non c’è nemmeno più il tentativo di “cercarla” questa unità. Ho letto l’intervista di Andrea Riccardi all’Espresso; ecco, Riccardi è esattamente espressione di questo “non tentativo”, addirittura teorizzato. Con poi, e qui c’è il paradosso che rivela il retropensiero del fondatore di Sant’Egidio, il lamento perché i cattolici non hanno votato i partiti favorevoli allo Ius soli». Questo mondo cattolico «è malato di autoreferenzialità. Si è adeguato a un clima che tratta la politica come un supermercato, dove si sceglie il prodotto che offre il miglior equilibrio tra qualità e prezzo. Più che elettori, siamo consumatori: soppesiamo i prodotti e scegliamo d’istinto quei partiti che, istintivamente, ci convincono di più. La scelta non è dettata da criteri, da una storia, da una tradizione, da convinzioni. È emotiva, segue l’onda del momento. E così, i partiti che sono percepiti come “vecchi”, che non hanno saputo intercettare il vento che spirava nel paese, che non hanno saputo cambiare la classe dirigente e che sono parsi più titubanti su questioni come il lavoro o l’immigrazione, sono risultati perdenti alle urne».

SCUOLE DI POLITICA. Se questa è l’analisi, la domanda è spontanea: che fare? «Gli amici, scherzando, mi dicono che sono “l’ultimo dei mohicani”, perché ancora credo nella necessità di una presenza di cattolici in politica. Ma io ci credo in base a un fermento, a una vivacità che vedo ancora esprimersi in certe associazioni, in certi circoli, in certi oratori, in alcuni enti di volontariato. Sto parlando dei famosi corpi intermedi, che vanno difesi e valorizzati. Non tutti, eh! Ve ne sono alcuni fermi agli anni Quaranta, ma esistono anche tante esperienze che vedo crescere in tutti Italia che sono segno di una vita che sarebbe un peccato relegare a piccoli ambiti. C’è bisogno che queste esperienze trovino uno sbocco pubblico perché il bene che fanno diventi un bene per tutti». La ricetta, secondo Costalli, «è che le comunità intermedie tornino a essere protagoniste». D’accordo, ma come? Oggi, più o meno tutti riconoscono loro una funzione sociale; però, quando si tratta di riconoscere loro una funzione politica, iniziano le diffidenze e i guai. Non dovrebbero essere loro, in primis, ad occuparsi della formazione di una classe dirigente? Una volta si chiamavano “scuole di politica”. «Lei sfonda porte aperte. Dobbiamo insistere sulla formazione, dobbiamo lavorare sui territori, dobbiamo creare una rappresentanza».

VESCOVI ASSENTI. E la gerarchia della Chiesa, che cosa può fare? «Ah, guardi, a parte qualche luminoso esempio – penso a quel gigante del cardinale Sepe a Napoli – constato una grande assenza. Unico criterio sembra ormai essere l’accoglienza degli immigrati. È un tema che non sottovaluto, per carità (io stesso sto organizzando un convegno proprio su questo), ma non penso possa essere l’unico. Ne esistono molti altri, a partire dai valori non negoziabili, dal lavoro (il successo dei cinquestelle lei come se lo spiega?) o della sicurezza (il successo della Lega, idem), soprattutto mancano indicazioni che, a partire da una prospettiva di fede, tengano conto di tanti fattori, non di uno solo».

SALVINI E DI MAIO. Che impressioni le hanno fatto Matteo Salvini che giura sul Vangelo o Luigi Di Maio che fa la comunione a Napoli nel giorno del miracolo di San Gennaro? «Non mi sono scandalizzato e non li criminalizzo. Da un certo punto di vista, almeno hanno segnalato un’attenzione all’elettorato cattolico. Il problema più che loro, mi pare nostro. E cioè che dovremmo essere noi cattolici a far notare loro che, dopo gesti di questo tipo, poi devono mostrare una certa coerenza anche su altre scelte. Penso all’eutanasia e alle unioni civili, ad esempio».








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