mercoledì 12 novembre 2025

Lettera dal fronte: CL, fino a quando potrà reggere la formale convivenza?

Il panorama dei movimenti ecclesiali è spesso segnato da dinamiche che, se lette con occhio esterno, possono apparire come mere contrapposizioni politiche o tattiche. Tuttavia, la fede ci offre una prospettiva radicalmente diversa: essa ci invita a riconoscere la mano della Provvidenza e ad accogliere l'assoluta certezza che, anche nelle prove e nelle tensioni, "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rm 8,28). È con questa luce che presentiamo la lettera che segue, inviataci da un lettore sotto pseudonimo ma ben informato. Questi si addentra in uno dei motivi di discernimento e di tensione che da anni attraversano la Fraternità di Comunione e Liberazione, acuitisi soprattutto quattro anni fa, in seguito alle dimissioni di don Julián Carrón.

Se è vero che l'opera e la fecondità di Comunione e Liberazione non sono rimaste paralizzate nonostante le divisioni, è altrettanto vero che l'unità auspicata continua a trovare ostacoli.

Leggere queste "pagine", che riportano dettagli sul coinvolgimento dell'autorità ecclesiastica e su manovre interne (come il caso della denuncia presentata da don Pierluigi Banna all'Arcivescovo di Milano, o le tensioni nel corpo dei Memores Domini), non deve risolversi in un'analisi superficiale di un "teatro politico" interessante ma distante. Per chi è debitore a una compagnia che lo ha collegato a quel filo narrativo (il "filo rosso" di Giussani), che attraversa i secoli e lega l'uomo a Cristo, la posta in gioco è molto più profonda. Siamo chiamati a vivere la fede in una comunità necessariamente imperfetta, perché fatta di uomini fallibili.

Il desiderio che ci guida nel condividere questa cronaca è che, al di là delle diatribe e delle rivendicazioni (che la lettera descrive come sintomi di una possibile "sindrome persecutoria" o "sete di potere"), vinca sempre l'affezione e l'amore per un luogo che ha aiutato e aiuta ad abbracciare la Fede. Di fronte ad ogni divisione, la risposta autentica non può essere la vanità o l'egoismo nel rivendicare il "giusto posto", ma la gratitudine per il carisma ricevuto e per la compagnia che ci sostiene.

Pertanto, invitiamo i lettori ad affrontare questa lettura con lo sguardo di chi cerca non il colpevole o il vincitore, ma una sincera riconciliazione, affinché il centro resti il fatto cristiano e non la battaglia per le posizioni. Altrimenti, rischieremmo di vivere, per dirla con Péguy, "Senza Gesù, dopo Gesù" (Véronique. Dialogo della storia e dell'anima carnale).



Lettera agli amici de La Baionetta


Sono passati quattro anni dalle dimissioni di don Julián Carrón dalla presidenza della Fraternità di Comunione e Liberazione e il clima all’interno del movimento continua a registrare delle tensioni difficili da ricomporre. Non si può certo dire che in questo quadriennio la fecondità di CL sia rimasta paralizzata, visto il continuo fiorire di opere, vocazioni e adesioni che il suo carisma provoca, una crescita sorprendente, ma la tanto auspicata unità al suo interno continua a trovare ostacoli non indifferenti. 

Gli ambiti più delicati da questo punto di vista sono quelli da cui in passato arrivava la gran parte della leadership delle varie comunità sparse per il mondo, cioè i sacerdoti e i laici consacrati nella Associazione Memores Domini. Sul fronte dei sacerdoti si è arrivati a una svolta clamorosa e inaudita per la storia del Movimento, quella cioè di un coinvolgimento dell’Autorità ecclesiastica basata sul diritto canonico per dirimere questioni interne a CL e di cui recentemente ha dato notizia il quotidiano online La Nuova Bussola Quotidiana. Ebbene, fonti confidenziali ci hanno fatto pervenire il contenuto integrale di quella denuncia e vogliamo mettere a disposizione dei nostri lettori alcuni stralci, utili a capire quel che sta succedendo dentro CL. 

Per comprendere appieno i contenuti della denuncia va fatta però una premessa. Don Carrón aveva pensato bene di designare come suo successore alla guida di CL un giovane delfino: don Pierluigi Banna, catanese trapiantato a Milano, che all’epoca delle dimissioni del prete spagnolo era trentasettenne responsabile nazionale di Gioventù studentesca e con una cattedra all’Università cattolica di Milano. La sua promozione a capo di CL era però sfumata perché il vaticano Dicastero dei Laici aveva riconosciuto come interlocutore nel processo di revisione statutaria del Movimento il vicepresidente della Fraternità di Comunione e Liberazione Davide Prosperi. A questo punto l’ala carroniana del Movimento si era organizzata per farlo nominare presidente nella tornata elettorale che si presumeva fosse programmata al termine del quinquennale mandato di Prosperi, cioè nel 2026. Per questo a metà gennaio don Banna – senza più incarichi apicali nel Movimento – aveva approfittato di una cena a Milano tra i sacerdoti aderenti a CL per attaccare il nuovo corso e porsi – di fatto – come riferimento alternativo per i preti (diocesani e non solo) del Movimento. 

Va ricordato che durante la presidenza di Carrón era avvenuta una sorta di ostracizzazione nei confronti della Fraternità sacerdotale missionaria san Carlo Borromeo, nata in seno a Comunione e Liberazione durante l’epoca di don Giussani e ora, invece, proprio dalla San Carlo (era rettore della casa di formazione) era stato reclutato dalla neodirigenza ciellina il nuovo responsabile degli universitari, don Francesco Ferrari. Orbene, le manovre dell’ala carroniana avevano finito per spazientire papa Francesco, che aveva varato le nuove regole su durata ed elezione delle leadership di Ordini e Movimenti ecclesiali proprio per evitare che il carisma fosse inteso come proprietà esclusiva di chi li governa. Che don Carron pretendesse di indicare l’erede non andava proprio giù al Pontefice e al dicastero dei laici e così, mentre era già stata messa in moto la macchina elettorale che avrebbe avuto il suo momento clou a marzo, nei festeggiamenti a Caravaggio per il 50° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di don Carrón, papa Francesco inviava al Movimento una lettera in cui prorogava di un altro quinquennio la presidenza di Prosperi. 

Sfumato nell’immediato l’appuntamento elettorale per l’intervento papale e percependo – a suo modo di vedere – sintomi di terra bruciata intorno a sé, don Banna, a inizio primavera, decide di invocare la tutela canonica da parte dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini e gli rende noto il carteggio privato intercorso tra lui e i vertici del Movimento, ravvisando in loro comportamenti “lesivi in pubblico e in privato della mia buona fama”. L’arcivescovo ambrosiano – in scadenza l’anno prossimo per limiti di età – lo affida al nuovo Cancelliere della Curia milanese don Marco Cazzaniga. Quel colloquio col Cancelliere partorisce una lettera di quattro pagine datata 16 aprile a firma di don Banna, formulata però nella stesura del testo con l’assistenza proprio del Cancelliere arcivescovile. Una lettera, che ricordando i can. 220 e 1390 del Diritto canonico, denuncia “menzogne, accuse infondate e infamanti”, diffida i denunciati dal reiterare i loro comportamenti e li invita a difendersi usando come interlocutore don Marco Cazzaniga. Nella lettera don Banna denuncia che ”la maggior parte di queste affermazioni diffamanti si sono verificate in occasione di inviti rivoltimi a eventi di vario genere organizzati dalle varie comunità locali di CL in Italia e, in un caso, all’estero”, sostenendo che è stata esercitata l’autorità nel Movimento in modo tale che “fosse rimesso in discussione (se non persino annullato) l’invito”. Poi però il prete catanese si affretta a precisare che “quando vengo invitato a parlare dentro o fuori gli ambiti del movimento, io intervengo sempre e anzitutto in quanto prete della diocesi di Milano, la cui attività prevalente non è legata al movimento ma agli incarichi affidatimi dall’arcivescovo”. Affermazione che può essere credibile se gli inviti di cui parla dovessero arrivare da comunità parrocchiali o istituzioni culturali, molto meno credibile invece se riferita a comunità locali (nazionali o estere) di CL. Parole che suonano piuttosto a captatio benevolentiae di colui a cui si è chiesto protezione. È esplicita in questo senso la chiosa finale a questa parte della lettera: “il mio ministero è legittimato anzitutto dal mandato del Vescovo”. In pratica don Banna sembra dire “il mio ministero è svincolato da CL ma risponde solo all’autorità arcivescovile”. 

Chi sono i destinatari della sua lettera-denuncia? Niente di meno che il vescovo emerito di Reggio Emilia e fondatore della Fraternità sacerdotale missionaria san Carlo Borromeo mons. Massimo Camisasca; il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione Davide Prosperi; il direttore del Centro internazionale di CL nonché procuratore della Fraternità san Carlo presso la santa Sede don Andrea D’Auria; don Francesco Ferrari, responsabile del CLU; don Stefano Alberto, docente di teologia alla Cattolica. Curiosamente, i canoni citati da don Banna sono gli stessi a cui si appellarono nel 1987 i “lazzatiani” della Rosa Bianca quando fecero un esposto al card. Martini contro il settimanale di area ciellina Il Sabato per una serie di articoli apparsi sulla storia del ‘cattolicesimo democratico’ e sulla presunta ‘protestantizzazione’ culturale dell’ex rettore della Cattolica Giuseppe Lazzati. All’epoca si scelse una terza via tra l'archiviazione e la trasmissione degli atti al Tribunale ecclesiastico: il tentativo di conciliazione preliminare tra le parti, che ebbe successo con un articolo “riparatore” ospitato dal settimanale nella primavera del 1988. 

Torniamo al caso Banna. Nei mesi precedenti tutti i ‘denunciati’ avevano negato al denunciante per iscritto e a voce le accuse rivolte loro (gli scritti sono appunto finiti in allegato alla lettera). Di fronte alla denuncia/diffida del 16 aprile la dirigenza di CL decide a questo punto di inviare quelli che presso la diocesi ambrosiana sono i suoi rappresentanti istituzionali a un incontro chiarificatore e rappacificatore in Curia alla presenza del Cancelliere e di don Banna, che nella lettera aveva auspicato “una concreta riconciliazione”.

In quella riunione persino il Cancelliere invita don Banna a prendere per buone le assicurazioni su un atteggiamento non discriminatorio che i rappresentanti di CL ribadiscono, ma il sacerdote resiste e non ammorbidisce la sua posizione. 

È chiaro che la mossa ‘canonica’ del sacerdote catanese avesse come finalità quella di farsi spalleggiare dalla Curia milanese in questa diatriba tutta interna a CL: che don Banna sia stato nominato direttore della rivista teologica del seminario ambrosiano La Scuola Cattolica la dice lunga sui suoi rapporti stretti con l’ambiente arcivescovile. Una domanda però si impone: che ricaduta ha avuto tale notizia all’interno del Movimento? A occhio e croce, a noi che siamo osservatori esterni di cose cielline, la cosa più probabile è che venga avvertita come un autogol. Infatti, che un membro della Diaconia regionale lombarda ciellina, guida di un nutrito gruppo di catechesi ciellina, predicatore nei Ritiri di Avvento e Quaresima di molte Fraternità di CL, metta di mezzo l’Autorità ecclesiastica per soccorrere la sua presunta emarginazione, presta il fianco facilmente alla critica interna di patire una sindrome persecutoria o, peggio, di essere assetato di potere, rivendicando in realtà posti di comando all’interno del Movimento. La sua mossa potrebbe avere insomma l’effetto di un boomerang: minare la fiducia di buona parte di chi lo considera un punto di riferimento per il proprio cammino dentro il Movimento. Si può farsi accompagnare in un cammino dentro CL da chi denuncia all’Autorità ecclesiastica la governance di CL e rivendica un ministero svincolato dall’appartenenza a CL?

Altro capitolo doloroso è quello dei Memores Domini. Questa estate in forma inusuale Papa Leone XIV – allertato dal vaticano Dicastero per i laici – era intervenuto con una lettera indirizzata ai Memores convenuti a La Thuile per gli Esercizi spirituali invitandoli a “tessere relazioni fraterne e a costruire ponti, a dialogare apertamente e con franchezza all’interno della vostra Associazione, a camminare insieme, sospinti dal soffio dello Spirito e in unità di intenti con chi è chiamato a svolgere il servizio dell’autorità”. 

In quell’occasione fu accolto solo l’invito alla franchezza, dato che nella contestazione – portata avanti dall’ala carroniana – alla leadership imposta dal commissariamento vaticano dei Memores, non fu risparmiato neppure il nuovo assistente ecclesiastico, l’abate generale dell’Ordine Cistercense Mauro Lepori. 

In quella sede avvenne anche un confronto pubblico tra il presidente dei Memores Alberto Brugnoli e il capo del Cda della Associazione Colombano e Bonifacio (gestisce il patrimonio dei Memores) Sandro Ricci, cui fecero seguito le dimissioni dello stesso Cda, motivate con la mancanza di sintonia con il Direttivo (commissariato) dei Memores. A quanto pare, una mossa ‘politica’, perché due mesi dopo lo stesso Ricci e il consigliere Antonio Gisondi – senza che nel frattempo fosse cambiata la composizione del direttivo dei Memores – si sono fatti rieleggere a ottobre nel Consiglio di amministrazione della ‘Colombano e Bonifacio’. Una votazione non proprio ‘pacifica’, visto che nella sua imminenza il presidente Brugnoli aveva proposto che gli oltre duemila Memores, chiamati alle urne per eleggere quattro componenti del Cda, potessero esprimere solo due preferenze, a tutela della minoranza, onde evitare che una maggioranza, ad esempio, del 51% potesse accaparrarsi il 100% degli eletti. L’ala carroniana si era opposta appellandosi allo Statuto della ‘Colombano e Bonifacio’ che prevede siano quattro le preferenze a disposizione di ogni elettore. Lo scopo era evidente: convinti di avere la maggioranza dalla loro parte, poter fare en plein di tutti i quattro consiglieri per contrastare gli altri tre designati dal Direttivo dei Memores. Con quattro su sette avrebbero controllato la ‘cassaforte’. Il risultato però ha avuto un colpo di scena: i carroniani hanno piazzato solo tre uomini nel Cda. Non sono pochi, anche se qualcuno di loro ha ottenuto meno della metà delle preferenze espresse dai votanti. In conclusione: la ‘Colombano e Bonifacio’ rimane fuori dal controllo dei carroniani. Resta comunque il fatto che in questa vicenda essi hanno voluto dare un ulteriore segnale di dissenso rispetto al nuovo corso dei Memores, episodio che si aggiunge alla mini-scissione operata qualche tempo fa all’interno dei seicento aderenti alla Fraternità san Giuseppe (alter ego dei Memores) quando l’assistente ecclesiastico don Michele Berchi fu sostituito dalla nuova dirigenza di CL con don Francesco Braschi.

Insomma, i focolai di tensione restano accesi. Possiamo accennarne altri: ad esempio fonti vicine al presidente della Gestione Fiere Antonio Intiglietta, seguace di don Giussani dagli anni Settanta, ci hanno confidato che lui e il suo gruppo di catechesi si rifiutano di partecipare alla Diaconia regionale lombarda di CL per dissenso con l’attuale gestione del movimento. Un altro caso è quello dell’ex responsabile regionale umbro di CL e candidato con la sinistra alle elezioni regionali dello scorso anno, Giuseppe Capaccioni, il quale sta promuovendo con altri amici di Perugia presso i membri della Fraternità di CL una lettera critica con il nuovo statuto del Movimento recentemente approvato dal Dicastero vaticano dei laici, lamentandone il “soffocamento comunionale” rispetto allo statuto del 2017 dell’era carroniana, epoca dove peraltro la comunionalità era stata ben poco presente in una gestione ‘pigliatutto’ ed escludente del sacerdote spagnolo. È vero che i Papi e il Dicastero dei laici si sono spesi ripetutamente per l’unità dentro CL, ma in questa situazione una domanda sorge spontanea: fino a quando potrà reggere una situazione di formale convivenza, dove però un gruppo numericamente consistente, seppure in lenta ma costante regressione, segue una leadership parallela, che percorre una strada autonoma rispetto a quella tracciata dagli organi direttivi del Movimento? 








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