sabato 15 novembre 2025

Fine vita: c'è un'alternativa al suicidio assistito?


Continua il dibattito sul "fine vita" iniziato alcune settimane fa dalla testata giornalistica della Diocesi di Torino.

Ho avuto l'onore di intervistare per "La Voce e Il Tempo" il Dott. Dario Mongiano, filosofo e bioeticista, che offre una prospettiva incisiva e fondamentale sul tema:

"𝗧𝘂𝘁𝘁𝗶 𝘀𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗱𝗲𝗴𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝘃𝗶𝘃𝗲𝗿𝗲 𝗶𝗻 𝗾𝘂𝗮𝗻𝘁𝗼 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗲, 𝗮𝗻𝗰𝗵𝗲 𝗾𝘂𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗻𝗼𝗻 𝗳𝗼𝘀𝘀𝗶𝗺𝗼 𝗽𝗶ù 𝗶𝗻 𝗴𝗿𝗮𝗱𝗼 𝗱𝗶 𝗰𝗮𝗽𝗶𝗿𝗹𝗼. 𝗟'𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝘃𝗶𝘃𝗼 𝘃𝗶𝗲𝗻𝗲 𝗽𝗿𝗶𝗺𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗹𝗶𝗯𝗲𝗿𝘁à!"

L'articolo a mia firma esplora 𝗽𝗲𝗿𝘁𝗮𝗻𝘁𝗼 come la risposta alla sofferenza e alla fragilità non possa prescindere dall'investimento massiccio sulle 𝗖𝘂𝗿𝗲 𝗣𝗮𝗹𝗹𝗶𝗮𝘁𝗶𝘃𝗲 sul 𝘀𝘂𝗽𝗽𝗼𝗿𝘁𝗼 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗴𝗿𝗮𝗹𝗲 alla persona. Non si tratta solo di sedazione del dolore, ma di riaffermare il valore incondizionato della vita fino all'ultimo istante.

Un tema cruciale per medici, operatori sanitari, legislatori e per chiunque si occupi di tutela della persona.

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La Voce e il Tempo, che da mesi presta attenzione al tema del “fine vita”, ha di recente ospitato l’intervista al direttore generale del Cottolengo Don Carmine Arice (di Stefano Di Lullo) e l’intervento di Pier Paolo Donadio, già primario di Anestesia alle Molinette. Si dà ora la parola al Dott. Dario Mongiano, fondatore della “Case-Famiglia Pier Giorgio Frassati” per persone disabili (www.casafrassati.org), il quale, con l’assistenza degli avvocati Carmelo Leotta (Torino) e Mario Esposito (Roma) si è costituito insieme ad altri malati alla Corte costituzionale il 26 marzo scorso per dire, come malato affetto da una patologia inguaribile, che il suicidio assistito non è mai una soluzione rispettosa della dignità umana.

Dott. Mongiano, come sa, spesso si contrappongono suicidio assistito e cure palliative: don Arice, lo scorso 26 ottobre, affermava che «quando è presente un’adeguata terapia del dolore … la domanda di suicidio assistito e di eutanasia si abbassa notevolmente fin quasi a scomparire». Il Dott. Donadio obiettava, il 2 novembre, che le cure palliative possono diventare un modo per eludere il vero problema che «riguarda i pazienti cronici, non terminali, costretti a vivere per un tempo indefinito in condizioni per loro intollerabili nonostante le migliori cure». E domandava: «Abbiamo noi cristiani delle concrete proposte alternative al suicidio assistito per soccorrere queste persone che definiamo fratelli»? Qual è la sua posizione?

Ritengo che non solo come cristiani, ma prima di tutto come uomini e donne di ragione, abbiamo il dovere di intensificare proposte alternative al suicidio assistito. Le cure palliative sono tra queste: come malato posso confermare che chi è curato (nel senso completo del termine) non vuole morire. La domanda di morte deve essere prevenuta, non soddisfatta quando già si è consolidata. Penso che l’urgenza sia far conoscere meglio a medici e famiglie la legge 38/2010 in modo che i medici di base, che spesso sono i primi ad essere contattati da pazienti, siano preparati e sappiano tranquillizzarli dicendo loro che saranno costantemente seguiti da personale esperto nel decorso della malattia e non lasciati soli. Le cure palliative, inoltre, non sono solo per i malati terminali e non sono solo per i malati, perché, come dice la legge 38 sono un percorso che coinvolge anche la loro famiglia. Hanno un impatto forte sulle decisioni del malato, per questo è giusto puntare al massimo su quelle. Inoltre non dimentichiamo che nei momenti finali, oltre alle cure palliative, si può fare la “sedazione profonda” che non costituisce una forma di suicidio assistito o eutanasia.

Il Dott. Donadio si interroga: «… è dignità essere costretti a vivere quando, nonostante tutte le cure, si continua a ritenere intollerabile la propria condizione e a desiderare la morte, e si è in una situazione nella quale non ci si può togliere la vita da sé? Dove va a finire la libertà della persona, che è costitutiva della dignità umana?». Cosa ne pensa?

Si parla di dignità umana ma che cosa significa “dignità”? Chi è che “non è” degno di vivere? Chi sono io per giudicarlo “non degno” di vivere o per accogliere una richiesta di morte quando l’interessato non si considera più degno? Credo che solo se crediamo in un senso oggettivo di dignità, cioè di dignità uguale per tutti, sappiamo occuparci di chi sta male. Per questo io credo nell’assoluta intangibilità della vita umana dal concepimento alla morte naturale. Tutti siamo degni di vivere in quanto persone umane, anche quando non fossimo più in grado di capirlo. L’essere vivo viene prima della libertà e dell’autodeterminazione. Nelle situazioni estreme del mio fratello sta a me la responsabilità di prendermi cura di lui e di non lasciarlo solo e sta a tutti, con le rispettive competenze professionali, accompagnarlo alla fine della vita terrena con la cura che è presenza ed attenzione terapeutica.

Lei ha ottenuto, come persona malata contro il suicidio assistito, di essere parte nel giudizio alla Corte Costituzionale (26 marzo 2025), in cui si discuteva di ampliare il suicidio assistito. Ritiene che l'eventuale ampliamento dell'accesso al suicidio assistito possa generare una "pressione sociale" indiretta sulle persone malate, anziane e sole, portandole a sentirsi un "peso" per la famiglia e la società?

Sta alle persone sane che si trovano accanto alle persone malate il compito di “promuoverle” nel loro essere persona, facendo sì che esse si sentano importanti e amate. Sta alla persona sana dire con i fatti oltre che con le parole: “io ti voglio bene così come sei, tu sei importante per me”. Questo atteggiamento che sarebbe da tenere già normalmente tra le persone sane, a maggior ragione va tenuto nei confronti delle persone malate. Aiutare al suicidio è esattamente il contrario: di fronte a chi è disperato, significa dirgli: non c’è altra soluzione al tuo dolore se non la tua morte. Spero che mai nessuno me lo dica anche se io dovessi un domani chiedere in un momento di disperazione di essere ucciso.






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