Giovedì 14 settembre si è ricordato l'anniversario - il decimo - dell'entrata in vigore del Summorum Pontificum, frutto del Motu Proprio di Benedetto XVI, del 2007, a favore della "Messa di sempre". Azione che servì per dare forza a e ribadire quanto affermato durante il pontificato del Santo Padre Giovanni Paolo II attraverso l'indulto del 1984 Quattuor abhinc annos, l'indulto Ecclesia Dei adflicta del 1988. Nel 2011 è stato necessario, in risposta a sterili polemiche, realizzare in sede di Pontificia Commissione Ecclesia Dei l'istruzione Universae Ecclesiae.
La riflessione che seguirà si colloca proprio sulla via indicata dalla Tradizione bimillenaria della Chiesa Cattolica a cui gli stessi documenti citati si riferiscono. E si spera torni utile, dato che di questi tempi se ne vedono di tutti i colori, come le divisioni nel mondo cattolico. Le difficoltà nel trovare unità in campo dottrinale teologico liturgico sono causate dallo smarrimento del senso, del fine di ogni cosa, in primis della Santa Messa: la quale non è l'occasione per celebrare l'uomo, bensì assistere al Sacrificio di Cristo per la salvezza degli uomini e del mondo. Il capirlo riporta l'unità tanto agognata, che sarà tanto longeva quanto più la vita di ciascun cattolico sarà incentrata sull'Eucarestia, santissimo viatico, che ci dona l'amore forte e potente della Pasqua del Signore, vittorioso su ogni male e sulla morte.
San Francesco ricordava "L'uomo deve tremare, il mondo deve fremere, il cielo intero deve essere commosso, quando sull'altare, tra le mani del sacerdote, appare il figlio di Dio".
Dopo tali premesse, l'approfondimento. L'Antico Testamento ricorda alla storia e a tutti noi che l'uomo ha sempre ritenuto opportuno (essendo homo religiosus-viator) offrire a Dio dei sacrifici, per riconoscerlo Creatore e Signore di tutte le cose. Ma questi sacrifici erano soltanto un simbolo ed una figurazione dell'unico vero Sacrificio, quello di Gesù sulla croce. Ad essi mancava la forza per riaprire le porte del Paradiso, chiuse dal peccato di Adamo: il peccato di un uomo, creatura finita, nei confronti di Dio, il Creatore infinito, è in certo qual modo una colpa infinita, che, come tale, l'uomo da solo non potrà mai cancellare. Solo il sacrificio di Dio stesso, fattosi uomo, poteva e può attuare la redenzione. Solo l'agnello-Cristo cancella quindi tutti gli altri sacrifici, sostituendosi a essi perché è l'unico perfetto: il sacerdote è Cristo stesso, la vittima immolata è sempre Cristo.
Ecco, così si comprende subito che durante la Messa noi "popolo cattolico" non dobbiamo fare altro che unirci in Preghiera umile e silente all'azione sacrificale - actio Christi - di Cristo-Dio sull'altare. Non a caso Pio XII definisce così, nella sua enciclica Mediator Dei, la Messa: "Culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra". In questo modo nella Messa possiamo capire ancora di più il Suo santo invito: "Venite a me voi che siete affaticati e oppressi e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo su di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e avrete serenità nelle vostre anime" (Mt. 11,25-30).
Perciò, la liturgia della Chiesa Cattolica ha valore e senso soltanto se è diretta verso l'Alto, verso Dio. Allo stesso tempo, ha valore e senso solo se è considerata come un esercizio dell'ufficio sacerdotale di Nostro Signore Gesù Cristo, ufficio che, qui sulla terra, non è terminato con la sua ascesa al Cielo. Gesù ha voluto che il Suo sacrificio sul Calvario continuasse tutti i giorni sull'altare, fino alla fine del mondo. Per questo Egli ha dato ai Suoi apostoli e dà ai sacerdoti, diretti successori di questi, la facoltà di celebrare la Messa, e dunque di attuare realmente la "rinnovazione del Sacrificio della Croce", reso presente sull'altare in maniera incruenta, cioè senza spargimento di sangue. Sul Calvario il sacerdote era Gesù che offriva se stesso all'eterno Padre; sull'altare il vero sacerdote è Gesù che offre se stesso, hostia, per mezzo del prete, o alter Christus. Nostro Signore stesso è il vero Sommo Sacerdote di ogni Messa: il sacerdote all'altare agisce soltanto come suo strumento.
Desiderare quanto descritto, ossia la Messa di sempre, come l'ha accolta, protetta e donata il Messale di San Pio V, non è la fissa di qualche strana fazione intransigente nella Chiesa Cattolica; non è nemmeno una questione linguistica: certo, il latino è la lingua più appropriata per il sacro, tuttavia si può utilizzare anche l'italiano, purché il senso di quanto detto sia rispettato e il sacerdote riconosca la presenza reale di Dio nella Santissima Eucarestia; ma è voler ricevere il tesoro più prezioso che la Chiesa ha da offrire: il Figlio di Dio, appunto.
Ora, sarebbe meraviglioso se il contenuto di un articolo come questo facesse parte dei contributi al prossimo sinodo per i giovani (tra Pentecoste 2017 e 2018). Perché i più giovani (adulti non esclusi) hanno bisogno non di "edulcorati surrogati", bensì di proposte impegnative e ricche di senso, che sappiano dare un orizzonte di valori e principi entro il e per il quale vivere e morire. E la Messa di sempre non delude in proposito, giacché assieme al latino e, di conseguenza, al canto gregoriano è realmente strumento adatto allo scopo soprannaturale della Chiesa. Lo dimostrano coloro che sono diventati santi e che hanno compiuto opere spirituali e materiali straordinarie. Come confermano libri quali le agiografie del padre Sicari e "Fisionomie dei santi" di Ernest Hello. Inoltre, volere la Santa Messa di sempre dai sacerdoti - tra l'altro, nel pieno rispetto del canone 212, paragrafo 3, - è far valere il proprio diritto di figlio della Chiesa.