venerdì 20 maggio 2016

Obice: CL riapre i rubinetti (della politica)

“Quando davanti all'esito si traballa viene fuori per quale motivo mi muovo” questa è stata la frase attorno alla quale è girata tutta la presentazione del volantino-giudizio sulle elezioni amministrative.

La serata a Torino si è svolta nel più pacato dei modi, senza che qualcuno avesse la pretesa di dire cosa è bene e cosa è male, utilizzando termini che al loro interno contengono un elenco di cose buone e da difendere ma che sono usati come valigie che non vengono mai aperte bensì trasportate da una parte all'altra.

Infatti la presentazione e introduzione al dialogo è stata fatta da Dima, in un modo che definire “cerchiobottista” è riduttivo, con qualche frecciatina vecchia di anni a chi viene fatto passare come integrista e ideologico, solo perché “apre quei termini valigia” che ora vanno tanto di moda. L'integrista (questo è il termine evocato senza essere espressamente pronunciato) che agisce solo per consequenzialità logica senza affezione alla realtà esiste probabilmente solo nella sua testa. Riteniamo che sia un estremo inesistente e che l'accanimento usato da qualche anno su questo punto sia stato utile solo come specchietto per le allodole per svalutare agli occhi dell’uomo comune la ragione analitica, quella cioè che permette di pensare in astratto le essenze delle cose, le idee, di conoscere le cose senza esperienza diretta, di dedurre comportamenti morali da principi, di parlare di legge naturale con tutti gli uomini di buona volontà, di comprendersi tra esseri razionali, di fare ciò che è oggettivamente giusto perché desideriamo la giustizia o anche perché aneliamo alla santità.

Bello però che finalmente si sia ripetuto che ogni pezzo di realtà ci riguarda e ci interroga, ci chiede di muoverci e operare perché si crei un futuro in cui i nostri figli possano vivere in modo libero e adeguato al nostro e loro desiderio.

Se pensassimo male diremmo che con questo volantino è stato dato il via ad una operazione generale volta a un rinnovato impegno politico perché si ha paura che quelli veramente stufi di queste ripetute ambiguità e omissioni si “mettano in proprio” andando oltre il resto della comunità, che in sostanza non è più un popolo che ha il coraggio di sostenere iniziative originali dei suoi membri quando la realtà lo chiede, ma si preoccupa di fatto di sentirsi a posto con le direttive e di occuparsi della realtà fino al compagno di banco (da oggi fino al consiglio comunale).

Generale perché, da universitari, notiamo un desiderio di alcuni di allontanarsi da Lista Aperta: ci sono state infatti brutte vicende che l'hanno fatto emergere come ad esempio quella del doppio libretto. Inoltre a livello amministrativo, ci sono politici del movimento candidati in ogni lista, partito o simbolo, cosicché l’unità del popolo è diventata un'immagine citata come tensione ideale ma purtroppo nulla che si avvicini alla realtà di fatto.

Visto ciò non possiamo che essere contenti che CL abbia riaperto i rubinetti della politica, che Dima abbia riaffermato l’evidenza che un impegno con la realtà, un impeto a riaffermare il Vero a qualsiasi livello pubblico, abbia origine dalla certezza dell’appartenenza a Cristo; tuttavia siamo ancora addolorati e preoccupati del fatto che ognuno sia lasciato senza i criteri per entrare nel merito e capire cos'è giusto e cosa è sbagliato, senza dire che occorre comprendere e riaffermare la legge naturale.

In conclusione sembra finita la doccia fredda per tutti quelli che non hanno smesso di impegnarsi a difendere la verità sull'uomo anche quando l’arma di difesa era la pretesa di una legge giusta, ora per tutti l’acqua è tiepido/calda, speriamo che duri fino al prossimo referendum…





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mercoledì 18 maggio 2016

Come eravamo: I diritti della famiglia

Questo testo fa parte di "La politica, per chi, per cosa", supplemento a "il Sabato" n. 22 del 30 maggio 1987, p. 47-50
Pio XII, Summi Pontificatus, n. 22, 23, 25, 26

Compito dello Stato è di regolare la vita sociale per il bene della persona umana
22. La sovranità civile, difatti, è stata voluta dal Creatore (come sapientemente insegna il Nostro grande Predecessore Leone XIII nell'enciclica Immortale Dei), perché regolasse la vita sociale secondo le prescrizioni di un ordine immutabile nei suoi principi universali, rendesse più agevole alla persona umana nell'ordine temporale, il conseguimento della perfezione fisica, intellettuale e morale e l'aiutasse a raggiungere il fine soprannaturale.
È quindi nobile prerogativa e missione dello Stato il controllare, aiutare e ordinare le attività private e individuali della vita nazionale, per farle convergere armonicamente al bene comune, il quale non può essere determinato da concezioni arbitrarie, né ricevere la sua norma primariamente dalla prosperità materiale della società, ma piuttosto dallo sviluppo armonico e dalla perfezione naturale dell'uomo, a cui la società è destinata, quale mezzo, dal Creatore. 
Considerare lo Stato come fine, a cui ogni cosa dovrebbe essere subordinata e indirizzata, non potrebbe che nuocere alla vera e durevole prosperità delle nazioni. E ciò avviene, sia che tale dominio illimitato venga attribuito allo Stato, quale mandatario della nazione, del popolo o anche di una classe sociale, sia che venga preteso dallo Stato, quale padrone assoluto, indipendentemente da qualsiasi mandato. 
Se lo Stato infatti a sé attribuisce ed ordina le iniziative private, queste, governate come sono da delicate e complesse norme interne, che garantiscono e assicurano il conseguimento dello scopo ad esse proprio, possono essere danneggiate, con svantaggio del pubblico bene, venendo avulse dall'ambiente loro naturale, cioè dalla responsabile attività privata. 

Dalla statolatria deriva un grave pericolo per la famiglia che è anteriore allo Stato
23. Anche la prima ed essenziale cellula della società, la famiglia, come il suo benessere e il suo accrescimento, correrebbe allora il pericolo di venir considerata esclusivamente sotto l'angolo della potenza nazionale e si dimenticherebbe che l'uomo e la famiglia sono per natura anteriori allo Stato, e che il Creatore dette ad entrambi forze e diritti e assegnò una missione, rispondente ad indubbie esigenze naturali.

La Chiesa difende fermamente i diritti della famiglia
25. Davanti al Nostro sguardo stanno in dolorosa chiarezza i pericoli che temiamo potranno derivare a questa generazione e alle future dal misconoscimento, dalla diminuzione e dalla progressiva abolizione dei diritti propri della famiglia. Perciò Ci eleviamo a fermi difensori di tali diritti in piena coscienza del dovere, che C'impone il Nostro apostolico ministero. Le angustie dei Nostri tempi, sia esterne che interne, sia materiali sia spirituali, i molteplici errori con le loro innumerevoli ripercussioni da nessuno vengono assaporai i più amaramente come dalla piccola nobile cellula familiare. Un vero coraggio e nella sua semplicità un eroismo degno di ammirato rispetto è spesso necessario per sopportare le durezze della vita, il peso quotidiano delle miserie, le crescenti indigenze e le ristrettezze in una misura mai prima sperimentata, di cui spesso non si vede né la ragione né la reale necessità. Chi ha cura di anime, chi può indagare nei cuori, conosce le nascoste lagrime delle madri, il rassegnato dolore di numerosi padri, le innumerevoli amarezze, di cui nessuna statistica parla né può parlare; vede con sguardo preoccupato crescere sempre più il cumulo di queste sofferenze e sa come le potenze dello sconvolgimento e della distruzione stanno al varco, pronte a servirsene per i loro tenebrosi di Nessuno, che abbia buona volontà e occhi aperti, potrà rifiutare nelle condizioni straordinarie, in cui si trova il mondo, al potere dello Stato un corrispondente più ampio diritto eccezionale per sovvenire ai bisogni del popolo. Ma l'ordine morale, stabilito da Dio, esige anche in tali contingenze, che s'indaghi tanto più seriamente e acutamente sulla liceità di tali provvedimenti e sulla loro reale necessità, secondo le norme del bene comune.

I diritti della coscienza e l'educazione dei figli sono sacri e inviolabili
26. Ad ogni modo, quanto più gravosi sono i sacrifici materiali, richiesti dallo Stato agli individui e alle famiglie, tanto più sacri e inviolabili devono essergli i diritti delle coscienze. Può pretendere beni e sangue, ma non mai l'anima, da Dio redenta. La missione, assegnata da Dio ai genitori, di provvedere al bene materiale e spirituale della prole e di procurare ad essa una formazione armonica, pervasa da vero spirito religioso, non può esser loro strappata senza grave lesione del diritto.






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Come eravamo: Quale giustizia costruire

Questo testo fa parte di "La politica, per chi, per cosa", supplemento a "il Sabato" n. 22 del 30 maggio 1987, p. 45-46
Pio XI, Divini Redemptoris, n. 47, 49

La giustizia e la carità cristiana non sempre sono state vissute nella pratica quotidiana
47. Ma quando vediamo da un lato una folla di indigenti per varie ragioni indipendenti da loro veramente oppressi dalla miseria, e dall'altro lato, accanto ad essi, tanti che si divertono spensieratamente e spendono enormi somme in cose inutili, non possiamo non riconoscere con dolore che non solo non è ben osservata la giustizia ma che pure il precetto della carità cristiana non è approfondito abbastanza, non è vissuto nella pratica quotidiana. Desideriamo pertanto, Venerabili Fratelli, che venga sempre più illustrato con la parola e con gli scritti questo divino precetto, preziosa tessera di riconoscimento lasciata da Cristo ai suoi veri discepoli; questo precetto, che ci insegna a vedere nei sofferenti Gesù stesso e ci impone di amare i nostri fratelli come il divin Salvatore ha amato noi, cioè fino al sacrificio di noi stessi, e, se occorre, anche della propria vita. Si meditino poi da tutti e spesso queste parole, per una parte consolanti ma per l'altra terribili, della sentenza finale, che pronuncerà il Giudice Supremo nel giorno dell'estremo Giudizio: «Venite, o benedetti dal Padre mio... Perché io ebbi fame, e voi mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere... In verità vi dico, che tutte le volte che avete fatto qualche cosa a uno di questi minimi tra i miei fratelli, l'avete fatto a me». E di contro: «Andate via da me, maledetti nel fuoco eterno... perché io ebbi fame, e voi non mi deste da mangiare; ebbi sete, e non mi deste da bere... Io vi dico in verità che tutte le volte che voi non l'avete fatto a uno di questi minimi tra i miei fratelli, non l'avete fatto a me».

Carità e giustizia debbono operare insieme
49. Ma la carità non sarà mai vera carità se non terrà sempre conto della giustizia. L'Apostolo insegna che «chi ama il prossimo, ha adempiuto la legge»; e ne dà la ragione: «poiché il Non fornicare, Non uccidere, Non rubare... e qualsiasi altro precetto, si riassume in questa formula: Amerai il tuo prossimo come te stesso». Se dunque, secondo l'Apostolo, tutti i doveri si riducono al solo precetto della vera carità, anche quelli che sono di stretta giustizia, come il non uccidere e il non rubare; una carità che privi l'operaio del salario a cui ha stretto diritto, non è una carità, ma un vano nome e una vuota speranza di carità. Né l'operaio ha bisogno di ricevere come elemosina ciò che a lui tocca per giustizia; né si può tentare di esimersi dai grandi doveri imposti dalla giustizia con piccoli doni di misericordia. Carità e giustizia impongono dei doveri, spesso circa la stessa cosa, ma sotto diverso aspetto; e gli operai, a questi doveri altrui che li riguardano, sono giustamente sensibili per ragione della loro stessa dignità.






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Come eravamo: Lavoro e proprietà

Questo testo fa parte di "La politica, per chi, per cosa", supplemento a "il Sabato" n. 22 del 30 maggio 1987, p. 41-42
Leone XIII, Rerum novarum

Una saggia politica sociale a vantaggio dei lavoratori giova a tutta la società
39. I violenti mutamenti sociali hanno prodotto la divisione della società in due classi separate da un abisso profondo. Da una parte una fazione strapotente, perché straricca, la quale, avendo in mano ogni sorta di produzione e commercio, sfrutta per sé tutte le sorgenti della ricchezza, ed esercita pure nell'andamento dello Stato una grande influenza. Dall'altra una moltitudine misera e debole, dall'animo esacerbato e pronto sempre a tumulti. Ora, se in questa moltitudine s'incoraggia l'attività colla speranza di poter acquisire beni stabili, una classe verrà avvicinandosi a poco a poco all'altra, togliendo l'immensa distanza tra la somma povertà e la somma ricchezza.
Oltre a ciò, dalla terra si ricaverà una quantità di prodotti molto maggiore. Quando gli uomini sanno di lavorare in proprio, faticano con più alacrità e ardore, anzi si affezionano al campo coltivato di propria mano, da cui attendono per sé e per la famiglia, non solo gli alimenti, ma una certa agiatezza. Ed è facile capire come questa alacrità giovi moltissimo ad accrescere la produzione del suolo e la ricchezza della nazione.
Ne seguirà un terzo vantaggio cioè l'attaccamento al luogo natio; infatti non si cambierebbe la patria con un paese straniero, se quella desse di che vivere agiatamente ai suoi figli.
Si avverta peraltro che tali vantaggi dipendono da questa condizione, che la privata proprietà non venga oppressa da imposte eccessive. Poiché il diritto della proprietà privata, deriva non da una legge umana, ma da quella naturale, lo Stato non può annientarlo, ma solamente temperarne l'uso ed armonizzarlo col bene comune.E ingiustizia e disumanità esigere dai privati più del dovere sotto pretesto di imposte.






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Come eravamo: Lo Stato e la persona

Questo testo fa parte di "La politica, per chi, per cosa", supplemento a "il Sabato" n. 22 del 30 maggio 1987, p. 39-40
Leone XIII, Rerum novarum, 29

Obblighi e limiti dell'intervento dello Stato
29. a) Ora, è interesse per il bene pubblico come per quello privato che sia mantenuto l'ordine e la tranquillità pubblica; che la famiglia sia ordinata conforme alla legge di Dio e ai principi di natura; che sia rispettata e praticata la religione; che fioriscano costumi integri sia nella vita pubblica che in quella privata; che la giustizia sia ritenuta inviolabile; che una classe di cittadini non sia oppressa dall'altra che crescano sani e robusti i cittadini, atti a onorare e a difendere, se occorre, la patria. Perciò, se a causa di ammutinamenti o di scioperi si temono disordini pubblici; se tra i lavoratori sono sostanzialmente turbate le naturali relazioni della famiglia; se la religione non è rispettata nell'operaio, negandogli agio e tempo sufficiente a compierne i doveri; se per la promiscuità del sesso ed altri incentivi al male l'integrità dei costumi corre pericolo nelle officine; se la classe lavoratrice viene oppressa con ingiusti pesi dai padroni, o avvilita da fatti contrari alla personalità e dignità umana; se con lavoro eccessivo, o non conveniente al sesso e all'età, si reca danno alla salute dei lavoratori; in questi casi occorre applicare, entro i debiti limiti, la forza e l'autorità delle leggi. Questi limiti sono determinati dalla casa medesima che esige l'intervento dello Stato; e ciò significa che le leggi non devono andare al di là di ciò che è necessario per reprimere gli abusi ed evitare i danni.





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Come eravamo: Lo Stato e la Chiesa

Questo testo fa parte di "La politica, per chi, per cosa", supplemento a "il Sabato" n. 22 del 30 maggio 1987, p. 37-38
Leone XIII, Libertas, 23

Norme di comportamento dei cattolici nei riguardi dello Stato e della vita pubblica
23. Similmente non è vietato prediligere governi moderati di tipo democratico, salva però la dottrina cattolica circa l'origine e l'uso del potere. Purché adatte per sé a fare il bene dei cittadini, nessuna delle varie forme di governo è riprovata dalla Chiesa: essa vuole bensì, ciò che è voluto anche da natura, che esse si stabiliscano senza offendere il diritto di alcuno, e specialmente rispettando le ragioni della Chiesa stessa. 
È cosa onesta prender parte all'amministrazione dei pubblici affari, tranne che in qualche luogo per circostanze speciali di cose e di tempi non venga disposti altrimenti; la Chiesa anzi approva che ognuno cooperi al bene comune, e secondo la possibilità sua difenda, conservi e faccia prosperare lo Stato. E neppure la Chiesa disapprova, salva sempre la giustizia, la volontà d'indipendenza della propria nazione da ogni dominio straniero e dispotico. E infine neppure condanna chi voglia farsi propugnatore di una giusta autonomia e procurare alle città più larghi mezzi di benessere pubblico. La Chiesa fu sempre fautrice fedelissima di giuste autonomie civili; di che fan testimonio i Comuni d'Italia, che acquistarono prosperità, ricchezza, nome glorioso, in tempi che la salutare influenza della Chiesa era, senza contrasto alcuno, penetrata in tutte le parti dello Stato.






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Congedo con onore: Colpo Grosso (Ocean's Eleven): Occorre trasformare il denaro in potere







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lunedì 16 maggio 2016

Come eravamo: A proposito di bene comune

Questo testo fa parte di "La politica, per chi, per cosa", supplemento a "il Sabato" n. 22 del 30 maggio 1987, p. 43-44
Pio XI, Quadrigesimo anno, n. 49

Lo Stato deve armonizzare i diritti della proprietà privata con la necessità del bene comune
49. E veramente dal carattere stesso della proprietà, che abbiamo detta individuale insieme e sociale, si deduce che in questa materia gli uomini debbono aver riguardo non solo al proprio vantaggio, ma altresì al bene comune. La determinazione poi di questi doveri in particolare e secondo le circostanze, e quando non sono già indicati dalla legge di natura, è ufficio dei pubblici poteri. Onde la pubblica autorità può con maggior cura specificare, considerata la vera necessità del bene comune e tenendo sempre innanzi agli occhi la legge naturale e divina, che cosa sia lecito ai possidenti e che cosa no, nell'uso dei propri beni. Anzi Leone XIII aveva sapientemente sentenziato: «aver Dio lasciato all'industria degli uomini e alle istituzioni dei popoli la ripartizione delle proprietà private». E in vero, come dalla storia si provi che, al pari degli altri elementi della vita sociale, la proprietà non sia affatto immobile. Noi stessi già lo dichiarammo con le seguenti parole: «Quante diverse forme concrete ha avuto la proprietà dalla primitiva forma dei popoli selvaggi, della quale ancora ai dì nostri si può avere una certa esperienza, a quella proprietà nei tempi e nelle forme patriarcali, e poi via via nelle diverse forme tiranniche (diciamo nel significato classico della parola), poi attraverso le forme feudali, poi in quelle monarchiche e in tutte le forme susseguenti dell'età moderna». La pubblica autorità però, come è evidente, non può usare arbitrariamente di tale suo diritto; poiché bisogna che rimanga sempre intatto e inviolato il diritto naturale di proprietà privata e di trasmissione ereditaria dei propri beni, diritto che lo Stato non può sopprimere, perché «l'uomo è anteriore allo Stato», ed anche perché «il domestico consorzio è logicamente e storicamente anteriore al civile». Perciò il sapientissimo Pontefice aveva già dichiarato non essere lecito allo Stato di aggravare tanto con imposte e tasse esorbitanti i redditi privati da renderli quasi nulli. «Poiché il diritto della proprietà privata deriva non da una legge umana, ma da quella naturale, lo Stato non può annientarlo, ma solamente temperarne l'uso ed armonizzarlo col bene comune». Quando poi la pubblica autorità mette così d'accordo i privati dominii con le necessità del bene comune, non fa opera ostile ma piuttosto amichevole verso i padroni privati, come quella che in tal modo validamente impedisce che il privato possesso dei beni, voluto dal sapientissimo Autore della natura a sussidio della vita umana, generi danni intollerabili e così vada in rovina; né abolisce i privati possessi, ma li assicura; né indebolisce la proprietà privata, ma la invigorisce.





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Radio Monte Grappa: A reti unificate: "Sì alla famiglia - NO alle unioni civili"

Quando è in pericolo la vita, la famiglia, la libertà, l’educazione, la religione, il bene comune la piattaforma A reti unificate (http://www.retiunificate.it/) chiama a raccolta chi tra i media vuole intervenire nel dibattito per incoraggiare, spronare, denunciare, avvertire e far riflettere i lettori al fine di innescare nell'opinione pubblica una sana reazione a catena. È una piattaforma che rappresenta una aggregazione libera di testate e siti che contano così di dare più forza e incisività alle proprie ragioni.
La prima uscita di A reti unificate mette sotto la lente di ingrandimento il disegno di legge sulle unioni civili. 
da domani pubblicheranno in contemporanea contributi e riflessioni di diversi autori per evidenziare contraddizioni ed aspetti iniqui di una legge che mina alla radice l’istituto del matrimonio e non farà il bene dei bambini. Queste il calendario degli articoli:
  • Venerdì 13 maggio: Paolo Panucci, Avvocato, Consigliere Unione Giuristi Cattolici Italiani.
    Cirinnà, un’unione poco civile
  • Lunedì 16 maggio: Stephan Kampowski, Professore ordinario di Antropologia Filosofica presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia.
    Il matrimonio: un affare soltanto privato?
  • Mercoledì 18 maggio: Tommaso Scandroglio, Docente di Etica e bioetica presso l’Università Europea di Roma.
    Da oggi l’omosessualità è un bene giuridico
  • Venerdì 20 maggio: Stefano Fontana, Direttore dell'Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa.
    Le Unioni civili stringono all’angolo la libertà religiosa
  • Lunedì 23 maggio: Roberto Marchesini, psicologo e psicoterapeuta.
    Dopo la Cirinnà. Che fare?






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