Questo testo fa parte di "La politica, per chi, per cosa", supplemento a "il Sabato" n. 22 del 30 maggio 1987, p. 43-44
Pio XI, Quadrigesimo anno, n. 49
49. E veramente dal carattere stesso della proprietà, che abbiamo detta individuale insieme e sociale, si deduce che in questa materia gli uomini debbono aver riguardo non solo al proprio vantaggio, ma altresì al bene comune. La determinazione poi di questi doveri in particolare e secondo le circostanze, e quando non sono già indicati dalla legge di natura, è ufficio dei pubblici poteri. Onde la pubblica autorità può con maggior cura specificare, considerata la vera necessità del bene comune e tenendo sempre innanzi agli occhi la legge naturale e divina, che cosa sia lecito ai possidenti e che cosa no, nell'uso dei propri beni. Anzi Leone XIII aveva sapientemente sentenziato: «aver Dio lasciato all'industria degli uomini e alle istituzioni dei popoli la ripartizione delle proprietà private». E in vero, come dalla storia si provi che, al pari degli altri elementi della vita sociale, la proprietà non sia affatto immobile. Noi stessi già lo dichiarammo con le seguenti parole: «Quante diverse forme concrete ha avuto la proprietà dalla primitiva forma dei popoli selvaggi, della quale ancora ai dì nostri si può avere una certa esperienza, a quella proprietà nei tempi e nelle forme patriarcali, e poi via via nelle diverse forme tiranniche (diciamo nel significato classico della parola), poi attraverso le forme feudali, poi in quelle monarchiche e in tutte le forme susseguenti dell'età moderna». La pubblica autorità però, come è evidente, non può usare arbitrariamente di tale suo diritto; poiché bisogna che rimanga sempre intatto e inviolato il diritto naturale di proprietà privata e di trasmissione ereditaria dei propri beni, diritto che lo Stato non può sopprimere, perché «l'uomo è anteriore allo Stato», ed anche perché «il domestico consorzio è logicamente e storicamente anteriore al civile». Perciò il sapientissimo Pontefice aveva già dichiarato non essere lecito allo Stato di aggravare tanto con imposte e tasse esorbitanti i redditi privati da renderli quasi nulli. «Poiché il diritto della proprietà privata deriva non da una legge umana, ma da quella naturale, lo Stato non può annientarlo, ma solamente temperarne l'uso ed armonizzarlo col bene comune». Quando poi la pubblica autorità mette così d'accordo i privati dominii con le necessità del bene comune, non fa opera ostile ma piuttosto amichevole verso i padroni privati, come quella che in tal modo validamente impedisce che il privato possesso dei beni, voluto dal sapientissimo Autore della natura a sussidio della vita umana, generi danni intollerabili e così vada in rovina; né abolisce i privati possessi, ma li assicura; né indebolisce la proprietà privata, ma la invigorisce.
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