Il secondo elemento, invece, che emerge man mano si procede nella lettura, è rappresentato da un duplice senso: di vitalità tipicamente russo e di morte incombente. Il tutto è raccontato con spirito arguto e humour schietto, attraverso i quali riesce a stemperare i momenti più drammatici. I protagonisti incontrano in Stargorod e dintorni una varietà umana straordinaria, costituita da persone quali la munifica e spietata bojarina Marfa Andreevna Plodomasova, benefattrice dell’arciprete Tuberozov; il suo servo, il nano Nikolaj Afanas’evic. Personaggio indimenticabile, che presenta le caratteristiche migliori del popolo russo: saggio, mite, semplice, rispettoso di chi considera superiore a sé e fedele all’amicizia fino alla morte. Nonostante le umiliazioni, anche senza malizia, della sua benefattrice. Non mancano i personaggi meschini e tragici come Danilka e il malvagio Termosiesov, presente nella Terza parte, che con i suoi crimini e inganni contribuirà alle sofferenze di Tuberozov e di Achillà. Fino agli esiti fatali dell’ultima parte. Tutta l’opera è quindi il semplice racconto della vita delle persone all’interno di una comunità. La Prima parte, ad esempio, offre soprattutto il punto di vista dell’arciprete, attraverso la lettura che egli stesso fa del proprio diario. Qui si inizia a vedere la grande personalità di Tuberozov e l’affetto paterno, giacché l’amata moglie non ha potuto dargli un figlio, che nutre verso Achillà. Un appunto del 15 agosto 1859 conferma: sia l’arciprete che il diacono sono a un banchetto a casa del sindaco. A un certo punto tra il diacono e il medico, altro invitato, si scatena la “disputa sull’ingegno”; litigano perché il secondo ha osato dire che l’arciprete non è dotato di ingegno e, per tutta risposta, il diacono ha reagito incastrandolo su un armadio. Così commenta Tuberozov nel suo diario: “E’ straordinario, che davvero questo diacono cosacco si sia accorto che io gli voglio bene, non sapendo perché io stesso, e che mi ami egli pure senza rendersene conto”.
Leskov affascina con la sua “Cronaca”. Sebbene questo aspetto renda lo scritto disarmonico ed eterogeneo, tali limiti sono superati dalla straordinaria scrittura di Leskov, capace di rendere vitali i personaggi e di descrivere con profondità i momenti poetici di cui è intessuta l'opera. Infatti, lo scrittore Peskov, in arte Maksim Gor’kij, lo definiva mago della parola.
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