Quale originale contributo politico possono dare, oggi, i cattolici? Una questione che, complice il clima elettorale che inizia a montare, ha un certo spazio anche sulla grande stampa. Se n’è parlato anche a Pinerolo, in un incontro “a porte chiuse” che la sempre fervida fantasia di qualche retroscenista ha definito “piccola Todi”, riferendosi alla stagione in cui le grandi organizzazioni laicali s’interrogavano su come costruire percorsi e presenze di buona politica.
In questo quarto di secolo di mai veramente nata Seconda Repubblica, chiusa l’unità politica sotto le insegne scudocrociate della Democrazia Cristiana, i cattolici hanno praticato un pluralismo di opzioni che, contrariamente a quanto sostenevano i fautori della strategia de “l’essere lievito in tutti gli schieramenti”, non ha avuto alla base una vera convergenza su principi e valori di fondo. In questa progressivo scadimento verso l’afasia - anche realtà che hanno sempre incoraggiato la presenza oggi sembrano ritirarsi in più comode “scelte religiose” - il Movimento Cristiano Lavoratori ha sempre mantenuto un’attenzione, seppur con l’opportuna “distanza critica”, verso la politica.
Questa significativa aggregazione laicale, che della Todi maior fu attore di primo piano, sta da alcuni mesi lavorando per stabilire un proprio presidio anche nel Pinerolese e suoi rappresentanti erano presenti alla riunione presso la Sala Pacem in Terris. In redazione, quindi, è nata l’idea di conoscere meglio le posizioni di quest’organizzazione rispetto al tema caldo del rapporto tra cattolici e politica, oltre che sulle modalità per essere incidenti sulla scena socio-politica.
Abbiamo per questo contattato il presidente nazionale Carlo Costalli, che ha con “toscano entusiasmo” accolto l’invito a confrontarsi con noi. Il suo approccio è in netta controtendenza rispetto a certe analisi pessimiste.
“Nel nostro Paese – ci dice – c’è un desiderio, forse espresso confusamente ma reale, di partecipazione politica. La recente vicenda referendaria, e il suo esito finale, ce lo hanno improvvisamente rivelato. Basti ricordare l’alta percentuale dei votanti e, soprattutto, l’implicita richiesta di attenzione da parte di alcuni mondi (quello giovanile come quello meridionale), che si sentono fuori dalla dialettica sociopolitica e dai conseguenti meccanismi decisionali. Certo c’è anche la scarsa affluenza alle amministrative, ma anche quel dato, letto da un’altra ottica, ci rivela come forte sia la domanda di novità vere. I cattolici non possono non sentirsi interpellati da questa esigenza. Come dicevano qualche anno fa i nostri amici del Centro Van Thuân, nel loro “Appello politico agli italiani”: L'Italia ha bisogno dei cattolici, i cattolici hanno bisogno dell'Italia”.
Bene, ma come si può costruire concretamente questa risposta? “Bisognerà probabilmente ripartire da zero sia per la rappresentanza politica sia e soprattutto per le varie sedi della rappresentanza sociale. Credo che si debba far conto su due “obblighi” speciali: stare da un lato sul territorio e, dall’altro, applicarsi a interpretare interessi veri, concreti, reali, per mobilitare tanti e diversi soggetti sociali e politici. Non sembra utile in questa luce ragionare su grandi centrali di rappresentanza; meglio restare sul concreto degli interessi in gioco, che sono mirati e territoriali. Il problema semmai è come renderli “elettoralmente efficaci”. Di certo, dobbiamo prendere coraggio: farci propugnatori - in questa Italia troppo spesso vittima proprio dell’assenza di ideali e prospettive della sua classe dirigente (non solo politica) - di un rinvigorito europopolarismo. Una declinazione popolare, con tutto ciò che questo significa e implica, dell’ideale europeo”. Su questa frontiera sembrano muoversi in molti. “Sì, e trovo che sia ancora presto per dare un giudizio. Secondo me, per poter funzionare, un nuovo progetto - che si tratti di federazione o di un’altra formula -, deve nascere avendo come fondamento non la trasmigrazione di un certo numero di parlamentari da un gruppo ad un altro, ma da una visione del Paese basata sulla solidarietà, sul popolarismo e con una reale apertura alle forze vive presenti sul territorio. Gli elettori moderati chiedono questo, dopo anni di distinguo e divisioni”.
E gli attuali inquilini del Palazzo cosa dovrebbero fare? “Innanzi tutto lavorare sodo per utilizzare al meglio questo scorcio di fine legislatura ed eliminare i gap esistenti anche utilizzando al meglio la prossima legge di stabilità. Ancora una volta, invece, siamo costretti ad assistere all’avvilente balletto della corsa al riposizionamento partitico per garantirsi una ricandidatura nella prossima legislatura. Un fenomeno che riguarda l’intero arco costituzionale: dal centro al centrodestra fino al Pd renziano (che, mi pare, stia attraversando un momento di grande debolezza), per finire con la sinistra. Tutti intenti (solo) a garantirsi attraverso i simulacri di partiti politici una poltrona nella prossima legislatura. Non ci siamo”.
Dove si possono, quindi, trovare energie nuove per comporre la classe dirigente che risponda con un rinvigorito europopolarismo al diffuso desiderio di partecipazione? “Nei territori, là dove il popolo è profondamente radicato e opera, esistono esperienze di salvaguardia del valore profondo della democrazia. Potremmo definirle "minoranze creative". Minoranze che opportunamente connesse in una rete, agile quanto forte sui nodi essenziali, potrebbero ridar voce alla "maggioranza silenziosa" che rischia di cedere allo sconforto. Noi siamo disposti a metterci del nostro per essere connettori di questa maggioranza. Dare uno spazio al civismo diffuso potrebbe potentemente riabilitare la politica”. Riabilitare la politica, ecco un compito che i cattolici, in ciò seguendo autenticamente il magistero di Papa Francesco, davvero dovrebbero accogliere!
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