lunedì 6 marzo 2017

Come eravamo: Questo è il digiuno che voglio

«Tu GRADISCI, SIGNORE, il cuore penitente». Bisogna comprendere bene il significato della parola «penitenza». Dobbiamo ricordarci che penitenza è sinonimo di conversione: passaggio da un atteggiamento non vero o meno vero ad un atteggiamento più vero. Viene alla mente il termine evangelico di metanoia, e infatti metanoeite si traduce anche con: fate penitenza.

Che cose è la conversione o la penitenza se non il nostro sguardo che incontra e il nostro cuore che si spalanca, la nostra libertà che aderisce al «Dio vivente»? Dio non è il Dio dei morti o dei nostri pensieri, è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe; è il Dio che si è legato e reso sensibile, tangibile nella sua potenza dentro la storia; in questa storia è fiorito Cristo, Dio che si è fatto uomo. Penitenza è incontrare con gli occhi, spalancare il cuore, aderire con la nostra libertà a Lui. Guardarlo, aderirgli, amarlo significa cambiare tutto: non «molto» delle nostre cose, ma «tutto» e continuamente tutto.

IL PERICOLO DEL FORMALISMO
«Grida a squarciagola: Mi ricercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio. Mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio» (Is 58, 1 ss). Non è questa di Isaia la descrizione della nostra vita?

Noi siamo dentro un regime di vita che è quello di gente che ogni giorno cerca Dio, brama di conoscere le sue vie: siamo sommersi da discorsi e da parole, siamo penetrati da tutte le parti da pensieri e da emozioni, siamo carichi anche di rimorsi e dì propositi. Ma l'orrore della nostra vita è che essa può restare formale. Questo è il terribile tranello in cui la menzogna, Satana, ci spinge a cadere: che la nostra vita dedicata a Dio resti una pura formalità.

Com'è acuto Isaia! «Perché digiunare se tu non lo vedi, mortificarci se tu non lo sai?».

Vogliamo stabilire noi il tipo di corrispondenza, vogliamo fissare noi la modalità e i termini del centuplo quaggiù.

Riafferriamo così quello che abbiamo donato. Questa è, in breve, l'origine di tutta la nostra titubanza e di tutta la nostra incertezza, della delusione che ci prende alla gola.

Invece la modalità con cui il Signore si rende presente appartiene a Lui, al Mistero reso carne dentro il seno di una donna, che prosegue la sua permanenza nel tempo e nella storia dentro la nostra carne, costituendo la forma della nostra vocazione. Noi gli rimproveriamo il fatto che non si faccia vedere e comprendere come vorremmo. Allora la nostra vita rimane formale.

I PROPRI AFFARI
Di che cosa, dunque, riempiamo la nostra vita? «Nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari [dentro la storia della vostra vocazione afferrate e trattate persone, cose e voi stessi come affari vostri, secondo la misura con cui voi decidete. Possedete invece che offrire]. Angariate gli operai [manipolate persone, cose, voi stessi e il tempo secondo il vostro parere]. Voi digiunate tra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui [con estraneità tra voi]. Non digiunate più come fate oggi [non vi ho chiamato alla penitenza perché rimanga un fatto esteriore, senza cuore e con tutto il peso dei sasso dei vostri tornaconti, delle vostre misure, delle vostre convenienze, dei vostri piaceri, del vostro orgoglio]. È forse come questo il digiuno che bramo: piegare come un giunco il proprio capo [subire la vocazione cristiana], usare sacco e cenere per letto [privarsi di cose che si potrebbero ottenere]; forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore [subire quello che siamo stati chiamati a vivere, la forma di vita in cui Cristo richiama con forza e insieme con tenerezza]?».

IL VERO DIGIUNO
Il profeta descrive poi il vero digiuno: «Questo è il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique». Questo - dice Cristo - è il significato della penitenza che ti ho chiamato a vivere, della tua adesione a me: la tua vita deve essere liberata. Le tue azioni, il rapporto con gli altri, con le cose, con te stesso, con me devono diventare liberi, cioè non pietistici non formalizzati, non con il capo chino, secondo l'icastico paragone di Isaia.

In che cosa consiste questa liberazione, se non nel guardare e nell'usare persone, cose, se stessi secondo destino del vivere di ogni uomo e di ogni cosa che è Cristo?

Prosegue Isaia: «Togliere i legami dal giogo». Un legame diventa giogo quando non realizza più il nostro rapporto con il destino, con Cristo, quando non è più in funzione della gloria del Padre. Qualsiasi rapporto, se non è in funzione della gloria di Cristo, è un giogo e la nostra vita, presto o tardi, lo capisce. Togliere i tegami dal giogo: che i rapporti con noi stessi, con gli altri e con le cose siano scala al Mistero, segno vissuto del rapporto con il Mistero, espressione dell'appartenenza.

Il riverbero immediato di questo, che ne diventa il segno inoppugnabile, è l'aiuto al bisogno degli altri, sovvenire alle loro necessità, alla debolezza, alla fragilità.

Solo se i rapporti saranno tesi ad esprimere l'appartenenza a Cristo e, come conseguenza, sarà vibrante la sensibilità nell'aiutare gli altri, secondo la gerarchia stabilita da Dio, solo allora «la tua luce sorgerà come l'aurora [sarà tutto luminoso, sarà tutto chiaro] e la tua ferita si rimarginerà [in una letizia umile, senza equivoco]».

COME L'AURORA
«Allora la tua luce sorgerà come l'aurora». Non possiamo immaginarci la modalità di questo; è anch'essa decisa dal Mistero. Lo dice il vangelo di san Matteo: un giorno c'è lo sposo e si gioisce e un altro giorno non c'è lo sposo e allora emerge tutto il peso (cfr Mt 9,15). C'è lo sposo e la penitenza diventa resurrezione e gioia anche nel dolore: «Sovrabbondo di gioia nella mia tribolazione» (2 Cor 7,4). E quando lo sposo sembra mancare, noi l'attendiamo nella pazienza, cioè nella penitenza.

Che la penitenza non sia più una formalità subita da un capo piegato come quello di un giunco, ma sia domanda, chiara come l'aurora. «Allora la gloria del Signore ti seguirà», come una madre che veglia sul bambino che ha appena imparato a camminare.

«Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: "Eccomi"». Sorprendere nello sviluppo della vita di ogni giorno la voce di questo «eccomi», il contenuto di questa risposta di Cristo alla nostra domanda è il segno che la nostra vita è domanda non formalistica, ma tesa a Lui.

Che la Quaresima porti qualcosa di nuovo all'inizio di ogni nostra giornata come rapporto con Cristo.


“Questo è il digiuno che voglio.” Inserto in CL-Litterae Communionis, 3 (1992).






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