mercoledì 9 marzo 2016

Obice: Il potere ci libera dal potere

Ho pensato molto se scrivere qualcosa o no in merito a questo, ma quando ho sentito “Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde.” (Mt 12, 30) non ho potuto più tirarmi indietro, perché tanto le cose urgenti non prevarranno su quelle importanti.

Adotto la tecnica di copiare il testo e scrivere i commenti tra parentesi quadre perché citare ogni frase interessata renderebbe pesante e insopportabile la lettura e la scrittura, il testo preso in esame è “Cirinnà: ma alla fine chi ha "vinto"?” pubblicato sul sito di Tracce.
Qualche primo commento sugli esiti del maxiemendamento del Governo conseguente al fallimento al ddl Cirinnà originario, fallimento dovuto soprattutto al rifiuto del Movimento 5 stelle di appoggiare tale progetto [l'M5S ha rifiutato di appoggiare l'iter incostituzionale che il PD ha deciso di seguire per accelerare e forzare l'approvazione di una legge che non voleva, e vuole, la maggioranza dei cittadini].

La scelta del Governo di riformulare il primo testo introduce qualche miglioramento nella normativa in corso di approvazione [le modifiche introdotte con il maxiemendamento sostitutivo riguardano tutto il cosiddetto "Cirinnà bis" e sostituisce completamente un testo di natura parlamentare con un emendamento governativo a cui è stata posta la fiducia]. Innanzitutto: il nuovo testo si apre con una definizione di “unione civile”, assente nel ddl originario e sancisce: «La presente legge istituisce l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione e reca la disciplina delle convivenze di fatto» [assente nella prima versione della legge ma già presente nel ddl Cirinnà bis, che riportava il numero 2081, e che è stato oggetto di discussione per molto tempo, per capirci il canguro era riferito a questa versione e non a quella originaria]. Con tale definizione si introduce una differenziazione tra l’unione e il matrimonio, che invece ha come riferimento costituzionale l’articolo 29 della Costituzione [rimangono comunque molti problemi perché si è sostanzialmente creato un nuovo istituto giuridico fotocopia del matrimonio ma con meno diritti, concedendo così alla corte europea di percepire una discriminazione].

Secondariamente, sempre nel nuovo testo si alleggeriscono i richiami (ossessivi) al matrimonio contenuti nel disegno di legge originale e si riorganizza la materia in modo più razionale e chiaro; invero, i molti richiami alla disciplina del matrimonio, che pure restano, sono meglio distribuiti per argomento e perdono la natura pervasiva che avevano nella precedente disciplina [vero, ma viene comunque lasciato esplicitamente spazio di sopperire alle mancanze ove necessario].

Tra i fattori che possono contribuire a distinguere il matrimonio dall’unione va ricordato, come hanno fatto i media con grande clamore, il venir meno dell’obbligo di fedeltà che, oltre ad avere un tenue significato simbolico, conta in sede di separazione legale; in particolare, esso non rileva in sé ma solo se unito ad un’altra serie di comportamenti che provano essere diventato il vincolo insostenibile. Si tratta, pertanto, di un elemento di contorno della disciplina dell’unione (come del matrimonio, del resto) che può - ma solo marginalmente - confermare la differenza tra le due discipline.

Per questi due aspetti il testo nuovo è migliore della prima versione, anche dal punto di vista sistemico. In tal modo, infatti, il testo attuale vive di vita più autonoma rispetto al precedente, che era invece fortemente incentrato sulla riproposizione della normativa sul matrimonio, mentre fa emergere come criterio interpretativo per i casi dubbi (che certamente si porranno) quello che parte dalla specificità della fattispecie “unioni civili” e non da una automatica, quanto irriflessa, identificazione col (o parificazione al) matrimonio [il problema non è interpretativo (anche se la possibilità di interpretare rimane) tutto quello che interessava i fautori di questa legge era creare la spaccatura e assestare un primo colpo a ciò che è da sempre la tutela coniugale, cioè riservata ai coniugi marito e moglie (unica coppia tutelata solo per il fatto di esistere) perché in grado di generare la vita e quindi creare una ricchezza che necessita tutela e garanzie di crescita , per arrivare ad avere una tutela ad una generica coppia (prima della legge Cirinnà era tutelato il singolo all’interno della coppia) e poi, un pezzetto alla volta, arrivare a chiamare matrimonio anche l’unione uomo-uomo o donna-donna].
In sintesi, il nuovo progetto - approvato al Senato – pone le basi per identificare una linea di demarcazione tra i due casi (matrimonio da una parte e unione civile dall’altra) [no, pone le basi per creare sempre più confusione tra il matrimonio tra un uomo e una donna e una qualsiasi altra convivenza di due persone], e consente pertanto di individuare qual è l’intenzione del legislatore, intenzione intesa in senso tecnico, cioè come criterio interpretativo vero e proprio, rilevante per il giudice che dovrà applicare la legge - e non solo una “intenzione” di tipo morale, priva di conseguenze giuridiche [questa legge e tutte le versioni precedenti sono fatte per essere modificate, importa poco l'idea personale di chi la dovrà interpretare].


Stralcio della stepchild [scritta da un soddisfattissimo Maurizio Lupi]

Anche la scelta di stralciare la stepchild adoption, quanto mai opportuna, comporta diverse conseguenze sul piano della tecnica normativa. Inserendo tale forma di adozione nella normativa sulle unioni civili si accentuava, infatti, la similitudine con il matrimonio, con tutte le conseguenze che ne sarebbero potute emergere sul piano interpretativo e si creava anche una sorta di ambiguità rispetto all’adozione, che veniva vista come una sorta di “diritto al figlio” [qui si che viene lasciata libertà al giudice, la stepchild è stracciata ma il giudice può ancora affidare alla tutela di entrambi i componenti dell’unione un bambino che nessuno si pone il problema di come sia nato. Vedi il caso Vendola, fino ad ora chi si è impegnato per accorgersi che ciò che ha fatto è reato secondo al legge 40?]

Nel distinguere tra le due fattispecie (unione civile e adozione) si tengono correttamente separate due fattispecie profondamente diverse [le fattispecie contrapposte sono unione civile e matrimonio, non unione civile e adozione]. L’unione civile è un nuovo stato giuridico che riguarda la persona che entra a far parte di una coppia ma che resta uno stato personale (e non di coppia) fonte di diritti (e di corrispondenti doveri) [no, l’unione civile è un nuovo istituto giuridico che viene tutelato in quanto esiste, e regolamenta l’esistenza della coppia omosessuale]. La stepchild adoption riguarda, invece, un altro settore della vita dell’ordinamento, quello relativo alla filiazione adottiva. Si tratta di una normativa che si basa su principi molto diversi da quelli tipici dello status personae proprio del matrimonio (o unione civile). Nonostante quello che spesso di pensa, l’adozione non serve a dare un figlio a chi non ce l’ha, ma a dare un contesto familiare a chi ne sia privo; in particolare, non esiste nell’ordinamento il cosiddetto “diritto al figlio” (o “diritto a diventare genitore”), né potrebbe esistere fondandosi sulla disciplina dell’adozione, che vive di vita propria, profondamente diversa da quella inerente ai diritti fondamentali costituzionalmente garantiti [nessuna versione del ddl Cirinnà ha mai parlato di adozione]. Nel primo caso infatti (adozione), i pubblici poteri compiono molti accertamenti per verificare la capacità (psicologica e anche finanziaria) della coppia di adottare, accertamenti che sarebbero impensabili nella logica dei diritti, i quali si basano su obblighi di astensione del potere pubblico rispetto alla sfera di libertà che il diritto protegge.


Una valutazione complessiva [i migliori spunti di giudizio copiaincollati da Julián Carrón]

Oltre a quanto detto, va ricordato che il progetto è fallito per i motivi politici detti sopra e, almeno contingentemente, non per altre forme di opposizione, che pure possono avere influito ma la cui influenza è molto difficile da dimostrare. Il progetto originario è stato fermato da una contingenza politica dall’apparenza casuale, che mostra - più di ogni altra - come le maggioranze parlamentari in questo momento siano mobili e non coincidono con gli schieramenti ideologici tradizionali né con la tradizionale distinzione tra maggioranza e opposizione [rode che due milioni di pagliacci scesi in piazza abbiano ottenuto qualcosa in più che un sorriso dal pubblico!?].

Ciò comporta che, in presenza di questioni moralmente sensibili, alleanze strategiche devono o possono essere fatte indipendentemente dalle concezioni che certe forze politiche hanno e che per bloccare un progetto “immorale” si può ricorrere a qualunque mezzo? Ovviamente no e sarebbe miope dire, come si è sentito, che occorre ringraziare il Movimento 5 stelle [infatti il movimento 5 stelle ha fatto solo ciò che era giusto per il suo futuro polito, è Alfano che non l'ha fatto, occorrerebbe chieder conto a lui].

Si può leggere invece questa paradossale situazione, che è nuova sul piano delle dinamiche istituzionali proprie della democrazia, come richiamo a guardare con un certo disincanto a guerre fatte per affermare principi. Si è rivelata cruciale, invece, la pressione costante di parte della maggioranza che sostiene il Governo a modificare il disegno di legge Cirinnà offrendo al Governo stesso, in un momento di difficoltà, la sponda per arrivare al risultato da molti voluto [questo risultato non piace a nessuno, non piace agli LGBT perché ora dovranno fare più fatica ad ottenere ciò che vogliono, e non piace a chi ha capito che questa legge è sbagliata (non necessariamente cattolici) perché sanno che ormai "la diga ha un buco"]. In altre parole, è stato utile che vi siano state delle persone, dentro e fuori i partiti di maggioranza, che avevano fin dall’inizio puntato ad ottenere un livello di “compromesso” legislativo: questo ha aiutato a giungere al risultato che oggi pare ottenuto, un risultato minimale ma non insignificante [credo che sia storicamente dimostrato che il compromesso è una brutta cosa, mi riferisco alla legge 40 ma non solo].
Siamo in una fase in cui, forse, è più utile cercare di migliorare i processi di produzione normativa, [cioè?! Devo votare si al prossimo referendum?] senza aspettarsi dalla legge quello che essa non può più dare, cioè rispecchiare, in modo speculare, le proprie visioni moralmente connotate, [la legge deve difendere la parte debole, indifesa e vera, se questo corrisponde alle visioni morali date dalla nostra tradizione non è necessariamente un male o una perdita di valore] come del resto fu il caso della legge 40 sulla fecondazione assistita [la legge 40, come è stata concepita, non esiste più e sarà lo stesso per la legge sulle unioni civili].


Alcune riflessioni

Volendo trarre da questa vicenda politica contingente qualche spunto per un giudizio più ampio (forse anche di tipo “culturale”), va detto che il momento presente sembra all’insegna di una sorta di crollo degli steccati a tutti i livelli della vita politica e sociale o, forse - più radicalmente - del venir meno della logica che porta a interpretare il confronto tra diversi come contrapposizione ideologicamente connotata, tanto cara ai media, ai talk show e al populismo crescente. Essa fa sì che si eviti un approfondimento delle tematiche in discussione per fermarsi alla superficie, senza fare la fatica di scendere in profondità alla ricerca di punti comuni di incontro (sul piano del pensiero, ma soprattutto sul piano dell’esperienza concreta) quali sono i desideri ultimi del cuore umano, comuni a tutti, da dettagliare - ovviamente - anche rispetto all’esperienza e alla cultura degli interlocutori [continuiamo a parlare di compromessi, cioè di cose che non sono vere]. Sarebbe interessante mettere in atto tentativi che documentino queste tensioni di ricerca e non fermarsi, anche noi, a pensare e ad agire come se le barriere ideologiche fossero reali e non frutto di un potere cui fa comodo dividere (ed imperare) [il potere vuole normalizzare tutto, vuole eliminare il giudizio personale e inculcare un nuovo pensiero politically correct che non genera e non richiede un impegno personale con le circostanze].

Rischiamo così di “annacquare” il messaggio cristiano e scendere a compromessi morali o di semplice comunicazione del messaggio stesso? Non c’è momento storico né posizione culturale che siano esenti da questo rischio e anche da altri rischi. La verifica nell’esperienza e il tempo diranno se il mondo cattolico italiano ha “perso” di più giocando certe carte piuttosto che altre, posto che si possano fare questi bilanci (ultimamente strategici e non di sostanza) [occorre giudicare ciò che è successo non aspettare che accadano altri danni].

Personalmente, mi pare di rilevare, per il contesto lavorativo in cui passo molto del mio tempo, che oggi - caduti gli steccati - siamo nel pieno di relazioni sociali completamente “liquefatte”, che si compongono e scompongono in modo così svariato da apparire totalmente casuali [vogliamo continuare a facilitare sempre più tutto questo?]. Siccome occorre necessariamente entrare in queste relazioni (e, in un certo senso, è anche molto interessante farlo), è importante che tale accesso non sia dettato né da uno schema né da una “ragione” determinata dallo schieramento di appartenenza, ma unicamente dal tentativo (ironico, perché libero dal ricatto dei risultati) di cogliere gli attimi di verità che ciascuno non può esimersi dall’avere, e da questi partire per una costruzione i cui esiti si vedranno solo a distanza. Spesso, per esperienza diretta, mi pare di poter dire che la convinzione morale si comunichi meglio non per dialettica ma per osmosi, per uno sguardo che sia positivo verso l’interlocutore; o almeno questo è quello su cui - ultimamente ed esistenzialmente - puntare.

Per concludere, ciò su cui ultimamente ed esistenzialmente occorre puntare credo sia quello che viene chiamato “segno di contraddizione” all’interno del libro “L'impegno del cristiano nel mondo” che a pagina 172 dice:
”Dalla Chiesa che soffre oggi di una persecuzione non meno violenta e molto più dotata di mezzi e di potenza sentiamo levarsi una voce commovente e profonda: «sì, Signore, Comincio a capire. Dobbiamo essere sempre un segno di contraddizione. Non posso essere un segno qualunque, di una cosa qualsiasi. Il compromesso mi è interdetto per sempre. Sono quello a cui non hai portato la pace, ma la divisione (cfr. Luca 12,51). Ecco il fondamento della nostra missione profetica. Ecco il carisma di contestazione. Ecco la croce di persecuzione... L'accetto, Signore. Sì, è troppo pesante. Ma tu sei il mio aiuto. Tu mi precedi. Così andiamo insieme. Senza sdegno, senza orgoglio, senza disperazione. Aspettando sempre l'arrivo della giustizia e della pace. Trionfando—si, trionfando—nell'umiltà e nella carità.
La persecuzione divide quello che è umano e divino nella chiesa. I persecutori servono, secondo l'antica tradizione della chiesa—che ne ha un'alta esperienza—come vaglio nelle mani di Dio. La persecuzione è la pena, perché fa soffrire; premio, perché è la beatitudine, La persecuzione è un tempo cattivo, ma insieme propizio: reca dei criteri intransigenti, formidabili, persino sanguinosi; ma nello stesso tempo libera, procura l'aria fresca, orizzonti chiari. Nella persecuzione si delineano le facce in una forma precisa.”
Preghiamo perché durante questa persecuzione non ci disperdiamo ma ne percepiamo sempre più l’utilità.







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