lunedì 8 febbraio 2016

Come eravamo: A noi interessa anche il Giappone

In questi tempi sono molte le cose di cui si chiacchiera, ho recentemente ripreso la lettura dell'Equipe che Giussani ha tenuto con gli universitari nel 1988, quella del volantone storico per intenderci, intitolata appunto "Ciò che abbiamo di più caro".

Leggendo la sintesi finale non si può non notare come tocchi tutti i temi caldi ancora oggi, parla quindi di presa di coscienza del vivere, di differenza tra volontarismo e amore, dell'esistenza di gruppi più o meno chiusi, di ideologia, di lotta al potere, di incremento della persona, di essere dentro o fuori, dell'uso di strumenti più o meno adatti, dell'impegno politico, insomma, ho tentato di fare un riassunto della sintesi, per quanto possibile, lasciando organico e comprensibile il discorso (c'è anche un pezzo degli avvisi).

Per chi avesse desiderio di rileggersi tutto il riferimento è la sintesi di "Trasformare il presente", da pagina 278 a 313 di "Ciò che abbiamo di più chiaro"

Giussani: «C’incontri e ci chiami per nome/Colui ch’era morto ed è vivo.». Tutte le volte che ci ritroviamo, in qualche modo, è questo augurio dell'inno che si ripete: «C'incontri e ci chiami per nome». Ma la cosa più bella di quest'inno è l'ultima: «In questa letizia pasquale,/rifatti di nuovo innocenti». Ciò che ci rifà innocenti è il contatto con l'ideale, è l'ideale che si risvela, che si reimpone, in vario modo a seconda dello stato d'animo.

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A casa è più costretta a entrare in gioco la nostra libertà come coscienza, cioè come memoria, e la nostra libertà come volontà, come volontà-di, che non è soltanto desiderio-di, è qualche cosa di più del desiderio-di.

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Che le nostre giornate, fin dall'inizio, siano toccate da questa prospettiva (da una prospettiva di verità, di bellezza, di bontà, di giustizia), è questo il varco che dobbiamo dilatare dentro la meschinità che tende a chiuderci tutte le mattine. 
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La mattina è quando riprendi coscienza del vivere.

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E se non accade, se una mattina non accadesse, questo dipenderebbe esclusivamente dalla tua non-volontà, da una tua libertà prigioniera, prigioniera del sonno, della dimenticanza, o prigioniera del risentimento, di quel risentimento che caratterizza cosi facilmente ogni risveglio, il risveglio della maggior parte delle mattine (risentimento contro un contesto che non è la facilitazione totale che ci aspetteremmo), il peso del vivere. 
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Volevo dire che questo appuntamento è ogni mattina e che dipende profondamente e totalmente dalla tua libertà, come memoria di un fatto che c'è e come volontà del destino costruttivo, del destino trasfigurante, redentivo, del destino liberante di questo fatto che c'è.

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Dobbiamo continuare questo nostro incontro ogni mattina e dipende dalla tua memoria, da quel concretarsi della tua libertà, che, riprendendo coscienza di sé, si riconosce appartenente a una presenza, cosi che la memoria di questa presenza invade il tuo modo di vedere, il tuo modo di sentire, il tuo modo di percepire, il tuo modo di giudicare. 
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Il valore della nostra compagnia è Cristo. «L' angelo del Signore portò l'annuncio...» dovrebbe essere ripetuto ogni istante, ogni momento prima di ogni lavoro. Insomma, il primo invito che ci facciamo è a questa densità del mattino, a questa densità originale della nostra giornata. «Il destino conduce coloro che vi aderiscono, trascina coloro che lo respingono.» E siccome il nostro destino è Cristo — e questa è la pietra d'angolo su cui tutto si costruisce e ciò che non si costruisce su questa pietra d'angolo sarà sfracellato —, ogni mattina noi decidiamo se essere trascinati da tutte le circostanze in cui la Sua volontà svolge il suo misterioso disegno, oppure se noi vi aderiamo, se noi vi aderiamo con libertà. Il destino conduce coloro che vi aderiscono. 
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Non c'è niente di più forte e soave di questo, perché innegabilmente occorre una forza, ma è una forza tenera, è una forza dolce. E infatti — qui bisognerebbe approfondire — è una forza che nasce da un amore alla tua vita, da un amore a te stesso, da un amore alla tua persona; è una tenerezza verso di te, che sei incamminato dentro una strada per sua natura enigmatica, perché esprime la volontà del Mistero, verso un destino però chiaro e certo.

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Ci saranno mattini spontanei e ci saranno — il più delle volte — mattini non spontanei; è in tutti, ma è soprattutto in questi, il momento in cui il riconoscimento razionale, il riconoscimento di ciò che è giusto e l'energia affettiva verso ciò che è giusto dovranno essere attuati. Occorre che mettiamo a capo di tutto questa impresa del mattino, l'impresa che ricostruisce il tuo soggetto, ricostruisce la tua identità, cosi che essa non sia trascinata, travolta, dissipata e tutta quanta determinata — ma determinata a frammenti, perciò corrotta — da ciò che accadrà nella giornata. 
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«Bisogna amare solo Cristo» indica il modo con cui devi amare tua moglie e i tuoi bambini, si identifica con quello, è la verità dell'amore a tua moglie, è la verità dell'amore ai tuoi bambini, ma, prima ancora, è la verità dell'amore a te stesso. 
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Ti sentissi addosso un cumulo di errori, di responsabilità, di ripugnanze, questa memoria (l'accettazione, il riconoscimento che è, nel contenuto di questa memoria, il contenuto del tuo io) è ciò che ti definisce.

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La «verità igienica» incomincia da questa impresa mattutina.

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Tutto si gioca in questo momento. «Rifatti di nuovo innocenti.»

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È quella presenza. Cosi, è questa compagnia la consistenza della nostra vita: questa compagnia nel suo superamento interiore, senza fine, che si chiama «Cristo». 
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Tutto, attorno a noi, tutto, anche i fattori che si pongono come i più propizi e familiari e benevoli, tende a strapparci dalla coscienza semplice, dall'innocenza di quella identità tra il nostro io e l'appartenenza a Cristo, e quindi alla compagnia. Ma questo è come l'epifenomeno, è come il fenomeno superficiale che rivela quello che sta nel profondo.

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Quella innocenza del mattino deve per forza diventare lotta, diventare una storia di milizia, un ingaggio continuo, un impegno; usiamo il termine esatto: deve diventare «lavoro».

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La coscienza di questa dislocazione o di questa follia, che è generale, fa sentire l'umanità ai nostri occhi cosi come era sentita dagli occhi di Cristo: «Si voltò ed ebbe compassione di loro, della folla». 
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Cosi accorti della follia che è in noi, perché non dobbiamo scandalizzarci di essa? Anzi, essa è come l'asperità di un cammino: se tu vuoi andare in vetta, l'asperità del cammino non è obiezione, ma addirittura, paradossalmente, diventa gusto, gusto di fatica, una fatica gustosa, un rischio gustoso. Chi mi sa dire perché non dobbiamo scandalizzarci della nostra follia — è stato detto ieri dal professore, ripetuto tante volte, quando parlava del metodo con cui si deve trattare l'uomo sofferente, ammalato —? Perché siamo accolti, siamo abbracciati. Ma senza queste categorie, senza che queste categorie diventino pensiero normale dell'animo, come si fa a vivere?

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Ma provate a pensare che razza di importanza, che imponente ragione di vita ha il fatto che questo abbraccio, che è l'abbraccio di Cristo, sia documentato attraverso la nostra compagnia!

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Non dobbiamo avere paura della nostra follia, perché siamo abbracciati, siamo abbracciati da Dio e Dio è diventato un uomo per farlo vedere, un uomo che è morto per me. 
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Anche se avessimo le ali e andassimo sopra le nubi a contare le stelle a una a una, non saremmo più felici, dolce mia gregge o dolce mia luna, e tutte le navi spaziali di questo mondo non faranno avanzare di un capello la felicità presente dell'uomo presente. Mentre la gratuità si! La gratuità che abbraccia la follia e la convoglia verso una positività insospettata, inconcepibile. Sto parlando della follia mia e tua, cioè di tutti. Perché, come ha detto il professore ieri, chiamiamo «folle» in senso stretto l'espressione eccezionale di questo disappunto. 
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È a questo punto esatto che uno usa la parola «caro», come è usata nel Volantone pasquale. Non la può usare neanche con sua moglie e i suoi figli così. Perché, come dicevo prima, Cristo è la verità dell'amore alla moglie e ai figli. Ed è una realtà presente. La verità dell'amore alla moglie e ai figli è una realtà presente, è un Tu, è un Tu! Come la verità mia è un Tu: «Io sono Tu che mi fai». 
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La responsabilità che la nostra compagnia ha è d'essere testimonianza della gratuità che governa tutte le cose, della gratuità come natura espressiva dell'essere, della carità: il perdono tra di noi, l'aiuto tra di noi, la ripresa continua tra noi, l'assoluta eliminazione dell'estraneità tra noi, chiunque siamo. Ah, Dio, che lunga strada! Ma siamo insieme, Napoli! Dico Napoli perché è come se voi portaste dentro il simbolo della figura, quella di Giovanni, che realmente ha come incarnato tutta quanta l'aspirazione del CLU, tutta!

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Questa compagnia non è animata da un volontarismo, ma da un amore. La differenza è tra volontarismo e amore.
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Chiunque (persona o persone di qualunque rango, altolocate o bassolocate) ci chiuda in un gruppo, in una realtà, in una fortezza, lui dice, in una realtà che si difende e si afferma di fronte alle altre o sulle altre della compagnia, del movimento, fa certamente qualcosa di sbagliato.

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«L'uomo che fa le cattive azioni ama le tenebre affinché nessuno veda le sue cattive azioni, ma l'uomo che fa le buone azioni ama la luce, affinché le sue azioni siano viste da tutti».

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L'ideologia è la teoria di tutto questo. L'ideologia è vinta soltanto dall'appartenenza, dal riconoscimento dell'appartenenza, perché l'appartenenza a Cristo spalanca all'universo: anche il Giappone ti interessa. 
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Intervento: L'amicizia ha una legge, questa legge è l'orizzonte totale. Quando è cosi, è irresistibile, anche se dovessero coagularsi contro tutti i poteri d'Italia. 
Giussani: Del mondo, del mondo! 
Intervento: L'amicizia è il riverbero nell'umano del divino, della Trinità. 
Giussani: Perché? Perché la natura della Trinità, la natura dell'Essere è la gratuità. A noi si "risvela" come gratuità, perché ha creato. È gratuità perché ha creato; ed è gratuità perché libera, vale a dire compie. La compagnia crea e libera, cioè compie, dà identità a te: ti dà identità, non te la toglie, ti dà identità e ti compie, non permette che tu stia nel sottoscala schiacciato o imprigionato in quella cella che diventa poi sepolcro, come abbiamo sempre detto, in cui uno marcisce.

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Non ci si può muovere, se non assimilandosi a qualcosa che già si muove. A meno che uno abbia un destino geniale. Il genio è la funzione con cui la natura coagula, crea solidarietà, crea popolo, polarizza.

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Intervento: Il movimento perciò si incrementa per partecipazione. È un'amicizia intesa come coagulo con chi lo Spirito suscita come novità.

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Giussani: Questa è la questione: sapere identificare l'amicizia vuole dire sapere identificare il punto di movimento. 
Intervento: In questo sapere identificare l'amicizia c'è un'iniziativa personale, cioè il passaggio dal desiderio alla domanda. La domanda spacca i contorni soliti, spacca il comodo, è il contrario del borghese. Il desiderio è ancora un'idea mia, la domanda è un'incognita oggettiva. 
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Giussani: «Rifatti di nuovo innocenti» non è il ritorno a due anni e mezzo, non è il ritorno al fatto che non abbia più neanche l'ombra di un peccato, ma la domanda che l'ideale si avveri in te. La domanda ti spacca tutto, cosi come sei, lasciandoti come sei: ti spacca, come una casa che si spalanca, allora la luce e l'aria entrano, secondo la quantità della libertà di Dio e della libertà dell'uomo.

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Non è la tua fatica, non è la tua scaltrezza, non è la tua testardaggine, non è la tua skilfulness, non è tutto ciò, la forza del lavoro, ma è che quello che fai, fosse anche il brandire una penna, è una domanda: una domanda che avvenga il vero, la bellezza, la bontà e la giustizia, cioè che avvenga il manifestarsi di ciò a cui appartieni, che si manifesti che Cristo è ciò che hai di più caro.

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La compagnia sfida il mondo, dove per «mondo» si intende tutto ciò che ci strappa, che tenta di strapparci all'identità nostra, vale a dire all'appartenenza. Con la parola «mondo» intendiamo quello che Cristo diceva: menzogna, «tutto il mondo è posto nella menzogna».

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La sfida al mondo non è un'appendice della compagnia, è il segno che la compagnia c'è. 
[…] 
Il rischio nell'affrontare il mondo è il rischio politico nel senso grande del termine. Ma il rischio nell'affrontare la polis non è partitico, l'impegno politico è inerente al «Padre Nostro, venga il tuo regno». Inerente! Inerente al fatto che la schizofrenia di uno debba essere abbracciata. 
[…] 
La sfida alle circostanze ha come scopo non quello di mettere a posto la legislazione universitaria, ma l'incremento della presenza della compagnia, cioè l'incremento della presenza del segno che deve anche interessarsi della legislazione universitaria. Lo scopo è l'incremento della compagnia. Ora, l'incremento della compagnia viene fuori tutto dalla persona, perciò l'impegno con le circostanze, la sfida al mondo, cioè i Cattolici Popolari, sono un incremento della tua persona. 
Intervento: Se si smarrisce lo scopo accadono due cose. Da una parte, la persona rimane fuori dall'azione che compie, l'azione è priva di domanda: la generosità, cosi, anche nell'impegno, rimane senza ragione; dall'altra, la persona pone tutta la sua attesa e speranza nell'esito dell'azione o nel semplice fatto che si sta muovendo, soffocando nell'azione stessa. 
Giussani: Non capiscono, ma capiranno! Avanti. 
Intervento: La ragione di un'azione è sempre più grande di ciò che si fa.

[…] 
Il segno limite, che è sempre quello più fragile e più "stupido", ma più rivelativo, è l'ultimo: «Il Sabato» e il Movimento Popolare sono parte integrante dell'impegno che l'identità nuova del mattino (nel lavoro della giornata, del tempo, dentro il grande abbraccio della comunità) svolge. L'identità del mattino svolge se stessa fino all'uso di questi strumenti. Chi non giunge all'uso di questi strumenti è perché è "fuori" per metà, un terzo, un quarto; è fuori. Del resto, è proprio il fatto che la maggioranza è facilmente attenta a questo che fa dell'unità del nostro movimento l'enigma inspiegabile per tutti e la rabbia dei partiti (anche ecclesiastici).
Avvisi 
[…] 
Quando sentite uno dire: «Ah, io "Il Sabato" non lo condivido!», ecco, quello è fuori del movimento, perché è fuori dalla coscienza nostra. Bisogna ritirarlo dentro, eh! 
Oltre «Il Sabato», c'è l'unica rivista che dà una visione della situazione della Chiesa nel mondo e ha un'importanza estrema, perché adesso è diffusa in tantissime lingue (per esempio negli Stati Uniti mi hanno detto che ci sono già dodicimila abbonamenti in due o tre mesi): è «30Giorni». Che ogni comunità s'abboni, l'abbia li nella sua sede, che ogni facoltà l'abbia li nel suo buco all'università!

Cosi pure, tutto ciò che avviene nelle vostre comunità e che vi sembri possibile oggetto edificante, sollecitazione edificante, scrivetelo a «Litterae communionis». Vogliamo che «Litterae communionis» sia meno un tentativo letterario e più una documentazione della nostra vita e che si abbia gusto a leggere la nostra vita. La vita della nostra comunità è zeppa di cose bellissime. Quante volte io, andando in giro, dico: «Oddio, ma guarda qui, e non lo sapevo!». 
[…] 






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