venerdì 3 giugno 2016

Come eravamo: Libertà vigilata

Questo testo fa parte di "La politica, per chi, per cosa", supplemento a "il Sabato" n. 22 del 30 maggio 1987, p.81-83
editoriale de «Il Sabato» n. 8, 21 febbraio 1987 

C'è un modo di parlare di riforma del sistema politico che suona come una minaccia. Ha infatti i connotati di una operazione di rafforzamento dello status quo, in cui, semmai, la politica e lo Stato dovrebbero tornare ad essere ancor più centrali, dominanti, legittimati. Come se, in un processo ineluttabile di grande ristrutturazione sociale, andassero ristretti gli spazi di libertà personali e comunitari, in nome di una miglior efficienza del sistema. In modo che la libertà vigilata, di cui oggi pur godiamo, venga ulteriormente delimitata. E una tentazione che attraversa i Palazzi del potere ed ha anche un riflesso nel dibattito scaturito dalla presentazione del documento precongressuale del Psi, che ha messo a tema il riformismo nella politica italiana. 

Ma non è argomento che riguardi solo dispute interne ai partiti. La «razionalizzazione» della convivenza sociale appare come un fenomeno che investe tutti i campi dell'attività umana. Chi non avverte il rischio che questa «razionalizzazione» si sviluppi in senso dispotico, ad esempio in un certo uso degli strumenti scientifici (basti pensare alla bioingegneria genetica), degli stessi mass-media (si veda il valzer dei direttori dei quotidiani), delle nuove tecnologie nel campo della produzione? Chi non ha l'impressione che si chieda al cittadino un'ulteriore delega verso un Potere centralizzato che provvede a orientare, con gli straordinari mezzi di cui dispone, tutte le spinte dei singoli nel flusso di un consenso, in realtà già programmato e definito? Si affaccia oggi una forma di Stato prepotente ben più sofisticata e pericolosa di quella dei dispotismi storici, evocati, a proposito e a sproposito, in queste settimane.

La risposta a questo pericolo non può che essere quella di affrontare le trasformazioni e i cambiamenti necessari, chiedendo con forza un minimo di spazio vitale per chi non si rassegni al rafforzamento dello status quo, opponendo ad esso e alla «razionalizzazione» dispotica montante la libertà d'aggregarsi nella società. Anche come minoranza. 

I cattolici, poi come ricordava su queste colonne Augusto Del Noce, si devono porre la domanda su come sia avvenuto che in questi quarant'anni si è data la maggiore scristianizzazione della società italiana. Si devono cioè chiedere se questo status quo, che appare sempre più immodificabile, non finisce per definire, oggi, anche la moralità dei cittadini, in sua funzione.

In questo senso tutto ciò che tende a modificare, a mettere in discussione il quadro consolidato della nostra convivenza non può che essere guardato con molta attenzione e con simpatia. Come ad esempio la proposta avanzata dal Partito socialista a proposito dell'elezione diretta del Capo dello Stato. Non si possono avere infatti falsi timori o tabù antistorici su questo punto. È anzi necessario dialogare in ogni direzione, perché questo tipo di proposte, magari anche non condivise, meritano d'essere dibattute con franchezza e serietà. 

Proprio perché la battaglia si gioca sul terreno della costruzione sociale, e contro una perdita progressiva, e spesso camuffata, dei già ristretti spazi di libertà effettivi, sarebbe un suicidio ridurre alle cose della politica un tale dibattito. 






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