lunedì 3 marzo 2025

Il ritorno della "pena di morte" in Toscana, grazie alle forze radicali. I cattolici nel PD (non solo toscano) si opporranno o faranno finta di niente?

 Lo scorso 11 febbraio, il consiglio regionale della Toscana ha approvato la prima legge in Italia che consente l'accesso al suicidio assistito. È la prima volta nel nostro Paese che un principio come quello costituzionale del diritto alla salute viene derogato per far spazio alla facoltà depenalizzata di chiedere e ottenere presso l'Asl la morte medicalmente assistita come prestazione ordinaria garantita da sanitari delle istituzioni pubbliche, pur all’interno delle limitate condizioni dettate dalla Corte costituzionale.

Il Consiglio regionale della Toscana, guidato dal piddino Eugenio Giani, ha approvato a larga maggioranza - 27 voti a favore (Pd, Iv, M5s, gruppo misto) e 13 contrari (FdI, FI, Lega); una consigliera del Pd si è astenuta - la proposta di legge di iniziativa popolare “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza della Corte costituzionale n.242/2019” promossa dall'associazione radicale Luca Coscioni, di cui è tesoriere Marco Cappato.

La procedura prevista, ricalca difatti quanto a suo tempo stabilito dalla Corte costituzionale nella famosa sentenza 242/2019, che sciolse l’ipotesi di reato a carico di Marco Cappato, depenalizzando l’aiuto al suicidio e abolendo l’articolo 580 del Codice penale, che ne prevedeva una esplicita sanzione.

Rigettata in altri quattro consigli regionali (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Lombardia), la legge mantiene il principio della morte assistita come «erogazione di una prestazione sanitaria suddivisa in più fasi» (preambolo della proposta di legge) ma è stata modificata così da perdere una parte del suo esplicito carico ideologico di affermazione di un preteso e inesistente “diritto di morire” (tra l'altro, formalmente negato dalla Corte costituzionale) e di presentare la descrizione di una “burocrazia della morte” che stabilisce il modo per ottenere «la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile». 

Emerge, fin troppo, una situazione surreale: il sistema sanitario nazionale, che ha problemi a soddisfare le richieste di molti malati richiedenti aiuto nel vivere nel mondo migliore, dovrà accogliere e soddisfare le richieste di chi invece chiede di morire. 

Così la Toscana ha perso quel primato che aveva guadagnato il 30 novembre 1786, ossia di essere stata il primo stato al mondo (all'epoca granducato sotto Pietro Leopoldo) ad aver abolito la pena di morte. Duecentotrent'anni dopo, l'ha reintrodotta e questa volta non per punire i colpevoli, ma bensì per scartare gli "indesiderati".

Una inquietante deriva contro cui hanno preso posizione prima i vescovi della Conferenza episcopale toscana con una nota e poi il loro presidente cardinale Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena, in una intervista ad Avvenire.

«Prendiamo atto - ha affermato sua eminenza - della scelta fatta dal Consiglio regionale della Toscana, ma questo non limiterà la nostra azione a favore della vita, sempre e comunque – ha dichiarato il cardinale a nome di tutti i vescovi –. Ai cappellani negli ospedali, alle religiose, ai religiosi e ai volontari che operano negli hospice e in tutti quei luoghi dove ogni giorno ci si confronta con la malattia, il dolore e la morte dico di non arrendersi e di continuare ad essere portatori di speranza, di vita. Nonostante tutto. Sancire con una legge regionale il diritto alla morte non è un traguardo, ma una sconfitta per tutti».

Il cardinale Lojudice ne ha ben donde; a fortiori ratione se consideriamo le vite di persone che hanno ben testimoniato che il male, per quanto feroce, terribile, non ha l'ultima parola; anzi, in qualche modo il dolore che infligge si può abitare con grande dignità e Speranza. Penso subito allo youtuber Simone Pedersoli, a Sammy BassoSusanna Campus, alla missione di Padre Aldo Trento, all'esempio di San Daamian de Veuster.

Ora, mi sorge spontaneo chiedermi se i cattolici che operano a sinistra (considero, ad esempio, Prodi, Delrio, Monica Canalis, Rosy Bindi, Renzi) avranno intenzione di uscirne o, almeno, dare battaglia al suo interno per fermare ciò che lede alla sacralità della vita umana. Perché il PD da quando è nato è tra le forze rinnovanti il kulturkampf che, tra il 1872 e il 1887, contraddistinse l'anticattolicesimo del rinato impero germanico. Battaglia culturale ben presente a livello internazionale, come si è ben visto alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi nel luglio scorso, in cui è stata rappresentata una parodia blasfema dell'Ultima Cena.

O continueranno a usare la democrazia per "suicidarsi", in qualità di utili idioti in mano a rivoluzioni altrui, come auspicava Gramsci («Il cattolicismo democratico fa ciò che il comunismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida», in un suo articolo del 1919, intitolato "I popolari"); anziché usarla per collaborare col l'unico e Necessario, ossia Cristo? (Al riguardo, vale la pena leggere quel che Pio XII asseriva su democrazia e cattolicesimo).

Ovviamente, nemmeno a destra si può stare tranquilli. Basti considerare la recente intervista de Il Foglio a Marina Berlusconi, quel che pensa il fratello Pier Silvio, il postumanismo di Elon Musk, le posizioni pro suicidio assistito di Zaia. Come direbbe Augusto Del Noce, ormai il partito radicale di massa ingloba destra e sinistra.

Postumanismo/transumanismo è, ci direbbero Emanuele Samek Lodovici e Voeglin, il volto "nuovo" con cui si presenta un'antica minaccia, l'eresia gnostica, che è caratterizzata dal rifiuto di Dio come Padre amorevole e misericordioso e, di conseguenza, dell'ordine naturale e la pretesa di volerlo riplasmare (pensiamo, ad es., all'Human Enhancement attraverso aziende come Neuralink - rappresentanti dell'alleanza tra alti capitali e deriva antropologica -, al pensiero del filosofo Harari, alla pretesa di Ray Kurzweil di fondere l'essere umano con un'A.I.). D'altronde, nascono qui capisaldi del pensiero moderno: la libertà senza Verità, i diritti senza i doveri, il soggetto senza l'oggetto.

Proprio per tutto ciò, i cattolici devono finirla di farsi dividere dalle polarizzazioni ideologiche odierne, ricucendo lo strappo tra cattolicesimo del sociale e cattolicesimo della morale. Non è dagli àmbiti dell'agire umano (politico, economico, sociale etc) che verrà la salvezza. Come Dio è Uno, così deve esserci un solo cattolicesimo, pena il venir meno di quanto è contenuto nel suo etimo, ossia l'universalità. Universalità che corrisponde al "Bene Comune" e, per questo, rispetta abbraccia (non essendo un monolite ideologico) le particolarità, a favore di una sana pluralità (vedasi ancora il link su Pio XII riportato più sopra).

Non pretendo che debba nascere un partito politico (anche se l'esempio di don Luigi Sturzo invita a non trattare come peregrina questa opzione), però dovrebbe essere favorito almeno un apostolato teologico e culturale (altroché se oggi ve ne sarebbe bisogno) in grado di correggere le divisioni e gli errori diffusisi tra i cattolici negli ultimi sessant'anni (e oltre).

Partendo, ovviamente, da Cristo, l'Unico con il potere di unire e rendere complementari le particolarità (pur che siano rispettose del divino e dell'umano), e dalla Chiesa, la Quale è la Sua azione nella storia e l'unico baluardo tra l'uomo e ciò che può distruggerlo.

Così, soltanto con Cristo si può capire che vi sono princìpi inequivocabili nel loro valore di tutela del primo e più sacrosanto dei diritti: quello alla vita, soprattutto quando appare più fragile e bisognosa di sostegno e di tutela. E ciò si ben riflette nel compito di sperare (anche Spes contra spem, Lettera ai Romani, 4,18)e portare la Speranza al prossimo. Come asserisce il poeta Charles Péguy, in Il portico del mistero della seconda virtù, essa "è una virtù, [...] una virtù teologale, e che di tutte le virtù, e delle tre virtù teologali, è forse quella più gradita a Dio"; ed è principio d'azione responsabile ispirato a Carità e Giustizia. Responsabilità che interpella noi cattolici ("Sempre pronti a rispondere a chiunque vi chieda conto della Speranza che è in voi" - I Pt 3,15 -). 

Spes introducit ad caritatem (San Tommaso d'Aquino, Somma teologica II-II, q. 17, a. 8, in Id., La Somma Teologica, II/2. Seconda Parte, Seconda Sezione, a cura dei Frati Domenicani, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2014, p. 183), ovvero la Speranza predispone alla Carità, essendone azione, e anche di Giustizia, che, oltre ad essere virtù, è volto socio-giuridico della Carità. Ragione per cui la Speranza è una forza d'amore per il riscatto dei disperati e dei mortificati, a iniziare dai più deboli e fragili (bambini, anziani, malati).Chiamati a rispondere della Speranza in noi, possiamo portarne la responsabilità nei confronti del prossimo. 

Di più. Essa ha al suo cuore la resurrezione di Cristo, che non va solamente relegata alla fine dei Tempi, bensì ha un impatto qui e ora. Essa è vittoria sul male e sulla morte nelle diverse forme in cui il male e la morte si presentano nell'esistenza: ingiustizia, violenza, disumanità. E il suicidio assistito, come l'aborto, è tutte e tre queste forme in cui si presenta nella storia il male. La Speranza, che è - per rimanere con Péguy - una "bambina irriducibile avanzante tra le sorelle più grandi, Fede e Carità", è giustamente ciò che ci vuole per resistere alle narrazioni quotidianamente veicolate dai media e dalla politica, le quali vorrebbero vincente la pretesa di imporre, come unica soluzione al dolore, il suicidio assistito; per resistere in modo creativo e trovare soluzioni al servizio dell'uomo, quali, per esempio, le cure palliative.

 "Le cure palliative - ha asserito l'on. Paola Binetti in un recente articolo per Il Sussidiario, parlando proprio di uno degli infiniti modi attraverso cui mettere in pratica la Carità - ne sono una concreta manifestazione e sono al tempo stesso una grande opportunità sul piano umano oltre che sul piano dell’assistenza e della ricerca scientifica; sono l’espressione più alta di quella carità che si fa servizio competente e generoso e non rinuncia a prodigarsi per chi ne ha bisogno. Ma non si confonde e non si confonderà mai con quell’azione che ponendo fine a una vita si chiama eutanasia".

Rendersene conto, per un cattolico, è essere il "sale della terra" (Mt 5, 13-16), giacché in grado di agire in modo alternativo al mondo: la difesa della vita, dal concepimento al congedo da questo mondo, anziché la (a)cultura dello scarto; il servizio, il perdono e l'amicizia, anziché la sete di potere, l'odio e l'individualismo egoistico e invidioso.







Se vuoi restare in contatto con noi puoi trovarci su Facebook e su Telegram


Nessun commento:

Posta un commento