lunedì 17 ottobre 2016

Conversazione al fronte: Intervista al professor Valditara

In vista del referendum sulla riforma costituzionale, per capire se è importante andare a votare, scegliendo il no, abbiamo intervistato un'autorevole personalità, il professor Giuseppe Valditara. Ordinario di Diritto Romano nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Torino e studioso di questioni politiche contemporanee. È stato Senatore per il centro-destra diverse volte; nel 2010 si è distinto nella stesura della riforma Gelmini per l'università pubblica italiana ed è stato relatore della stessa a Palazzo Madama. Inoltre, ha redatto diversi libri pregevoli, tra cui “Studi sul magister populi”, che gli valse nel 1992 il premio internazionale per la storia delle istituzioni politiche e giuridiche, messo in palio dal presidente della Corte costituzionale; e il pamphlet “L'impero romano distrutto dagli immigrati. Così i flussi migratori hanno fatto collassare lo stato più imponente dell'antichità”. Riteniamo che il professore abbia centrato l'obiettivo, offrendo dei giudizi chiari esaustivi e mai banali. Sicuramente gioveranno al lettore attento e privo di paraocchi ideologici.


Professore, la riforma costituzionale del governo Renzi presenta molte criticità. Potrebbe sottolineare quelle più preoccupanti?

È una riforma negativa perché non produce risparmi né semplifica l'iter di approvazione delle leggi.
- Si presenta viziata da genericità e ambiguità delle espressioni utilizzate;
- il suo testo contiene molte lacune normative, che scatenerà conflitti istituzionali e molteplici dispute interpretative;
- contiene un numero impressionante di rinvii a future leggi; si tratta di rinvii concernenti profili sostanziali delle nuove norme costituzionali, che dunque risultano incomplete nel loro contenuto essenziale (come accade per l’articolo 57, riguardante nientemeno che la composizione del Senato).

E, combinata con l'Italicum, produce un devastante vulnus democratico: un partito con il 28% dei voti può prendersi il 54% dei seggi alla Camera ed eleggere in autonomia presidente della Repubblica e giudici della Consulta. Per non parlare del quesito referendario, scritto in modo poco onesto; leggendolo, si capisce subito che è pubblicità ingannevole.

Inoltre, se passa, per molto tempo non si potrà più modificare la Costituzione. Ogni modifica della Costituzione richiederà il voto di una Camera e di un Senato eletti con leggi completamente diverse, in tempi diversi, da soggetti diversi. Composti dunque verosimilmente da maggioranze diverse. Sarà la paralisi. Non si potranno nemmeno rivedere i nostri rapporti con l'Europa necessitando anche su questo punto del voto congiunto di Camera e Senato.

Il bicameralismo perfetto italiano è un problema, come vuole la propaganda del Sì, oppure non lo è? La riforma, che mira ad abolirlo, consentirà più leggi? E poi, fare più leggi equivale a maggiore democrazia?

No, non lo è. Stupisce che il governo Renzi voglia abolire il bicameralismo che tanto contraddistingue i suoi grandi amici, gli Stati Uniti. Pure la Svizzera ha lo stesso sistema. Sottolineo: entrambe sono le democrazie più grandi del mondo, il cui sistema di bicameralismo paritario funziona egregiamente. Le uniche a non averlo, perché vige il monocameralismo, sono Cina, Corea del Nord, Arabia.

Si guardi ad esempio l'articolo 70, comma 6, che per risolvere gli eventuali problemi relativi alla scelta del procedimento legislative bicamerale o monocamerale, si affida alla decisione presa «d’intesa» tra i presidenti delle Camere «secondo le norme dei rispettivi regolamenti». Ma cosa succederà se i Presidenti di Camera e Senato non troveranno alcuna intesa? Cosa potranno stabilire al riguardo i regolamenti? E quale sarà l’organo deputato a dirimere in via definitiva il conflitto di competenza tra Camera e Senato?

I cittadini saranno coinvolti di più nella vita politica del nostro Paese?

Purtroppo no, checché ne dicano Renzi e i suoi. Le firme per i disegni di legge di iniziativa popolare salgono da 50.000 a 150.000 senza alcuna garanzia che questi disegni di legge siano considerati dal futuro Parlamento, ci si limita a rinviare a futuri e indeterminati regolamenti parlamentari. Circa poi i referendum propositivi e di indirizzo l’articolo 71 comma 4 rinvia addirittura ad una futura legge costituzionale per la loro definizione. Una autentica presa in giro.

A questo bisogna aggiungere che non vi sarà maggiore democrazia. Il Senato non sarà più eletto dai cittadini ma sarà nominato dai consiglieri regionali. Addirittura il 5% dei senatori sarà nominato dal presidente della Repubblica. Il Trentino Alto Adige e la Val d'Aosta insieme avranno circa la metà dei senatori della Lombardia con un decimo della popolazione. Il governo potrà chiedere al Parlamento di modificare o abrogare ogni legge regionale politicamente sgradita. La legge elettorale connessa alla riforma consentirà anche ad una modesta minoranza magari con solo il 30% dei voti al primo turno, di ottenere il 54% dei seggi. In virtù di questo premio enorme, presidente della Repubblica e Corte costituzionale saranno nelle mani di questa falsa maggioranza.

Potrebbe approfondire la questione relativa al fatto che le promesse di “grandi risparmi” sono in realtà uno specchietto per le allodole?

La Ragioneria dello Stato ha dichiarato che i risparmi certi saranno solo 50 milioni di euro circa. Non solo: a fronte di questi modesti risparmi sarà necessario assumere ulteriore personale per svolgere i nuovi compiti di studio, controllo, verifica, proposta attribuiti al Senato. E i senatori vedranno eliminato solo l'obbligo costituzionale di riconoscere loro una indennità. Invece, diaria, rimborso delle spese di viaggio, vitto, alloggio e segreteria rimarranno.

E ancora. Con la nuova legge elettorale, che prevede il ballottaggio tra i partiti più votati, lo Stato spenderà 300 milioni di euro in più. Infine, Renzi ha introdotto con legge ordinaria ben 24mila nuovi assessori e consiglieri comunali con un costo enorme per l'erario. Le riforme di Renzi aumentano i costi della politica. Dunque, le risorse per il redditto di cittadinanza e l'aumento delle pensioni minime, tanto promesse dalla propaganda del Sì, non potranno essere trovate.

La riforma pone seri problemi ai Comuni e alle Regioni?

Sono già state messe a dura prova, assieme alla sussidiarietà, dalla legge Delrio, giacché la riforma delle Province ha scaricato su di essi i costi delle stesse. E la riforma del governo Renzi peggiorerebbe le cose, causando un forte indebolimento all'assetto regionale della Repubblica. Di fatti prevede un riparto di competenze che alle Regioni toglie quasi ogni spazio di competenza legislativa, facendone organismi privi di reale autonomia, e senza garantire adeguatamente i loro poteri e le loro responsabilità anche sul piano finanziario e fiscale (mentre si lascia intatto l'ordinamento delle sole Regioni speciali). Di conseguenza, ne soffriranno ancor più i Comuni.

Il dichiarato intento di ridurre il contenzioso fra Stato e Regioni nato all'indomani della riforma del 2001, in gran parte superato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale che ha impiegato 15 anni per chiarire quei rapporti, viene contraddetto perché non si è preso atto che le radici del contenzioso medesimo non si trovano nei criteri di ripartizione delle competenze per materia – che non possono mai essere separate con un taglio netto – ma piuttosto nella mancanza di una coerente legislazione statale di attuazione: la riforma, contraddittoria e scritta male, riaprirà il contenzioso generando nuovo caos. L'utilizzo di espressioni generiche come «Lo Stato ha legislazione esclusiva circa le disposizioni generali e comuni» su governo del territorio, istruzione, università, politiche sociali, tutela della salute ecc., creerà nuovi conflitti con le Regioni e paralisi decisionale. Cosa si intende infatti per «disposizioni generali e comuni»?

Battuta finale sulla riforma renziana.

È una riforma inutile, realizzata solo per acquistare consenso demagogico, legittimazione e più potere. Abbiamo bisogno di altro, di vere, grandi riforme, che servano realmente. Abbiamo bisogno di riformare la giustizia, di ascoltare gli investitori che chiedono meno tasse, meno lacci burocratici, di modificare a nostro vantaggio i rapporti con l’Europa, di un vero federalismo fiscale, di accorpare le Regioni facendo risparmiare miliardi allo Stato, di introdurre norme anti-ribaltone per impedire che la volontà degli elettori venga calpestata, di consentire al premier di nominare e dimettere i ministri per non subire più mille ricatti, di tutelare maggiormente la libertà di intraprendere, i legittimi guadagni e la proprietà privata nei rapporti con il fisco e di tanto altro ancora. Tutto questo si fa con leggi ordinarie, senza distruggere l'attuale costituzione: ricordiamoci che il boom economico degli anni '60 si realizzò proprio con essa.






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