C'è concetto più vicino a quello di grazia del concetto di creazione? Creazione è Grazia. In questa identificazione si possono valorizzare due emergenze.
La prima emergenza è che il concetto di grazia suppone un ordine: la parola grazia, o dono, implica necessariamente il riferimento ad un ordine. Da questo ordine scaturiscono quelle che si chiamano le leggi, cioè le condizioni in cui tradurre, rendere esistenziale il dono stesso. La rigidità della regola, della disciplina, è la rigidità con cui il sole illumina la terra: non è rigidità ma piuttosto sicurezza, stabilità. Anche la più bella faccia del mondo quando si vede in quei quadri televisivi deformati è una mostruosità. In questo senso l'ordine è origine delle leggi proprio come origine di una stabile sicurezza per cui ciò che è inteso avviene. Non c'è grazia, non c'è dono se non dal di dentro di una appartenenza: non di qualsiasi appartenenza, perché l'appartenenza ad un vampiro potrebbe procurare disagi, ma l'appartenenza ad un ordine. Il termine ordine infatti coincide con la bellezza.
Come dice la poesia del poeta polacco Norwick che il Papa ha citato agli universitari di Katovice, la bellezza provoca meraviglia, questo inevitabile atteggiamento di gratuità (questo momento di gratuità, che è la meraviglia della bellezza, decide di come si agisce poi, di tutto quello che si fa poi).
La meraviglia spinge al lavoro, suggerisce il lavoro; nel lavoro entrano in contatto e tendono alla simbiosi l'energia dell'uomo con il riverbero stabile e sicuro dell'ordine. E il lavoro è fatto per risuscitare.
Questa parola apre alla seconda emergenza. In questa seconda emergenza si vede più visivamente come la parola Grazia coincide con la Creazione, è creatività. Infatti se il lavoro è per resuscitare, vuol dire che il lavoro dà un apporto di novità, perciò di freschezza, cioè di vita, di interesse, per usare una delle parole più grandi che possiamo usare se sentita nel suo valore etimologico; un interesse per cui l'uomo che appartiene all'ordine è una cosa nuova, l'uomo trova più interesse, più piacere, si compie di più, tutto ciò che appartiene all'ordine, riflette l'ordine secondo una novità per cui diventa grazia.
Proprio in quanto scaturisce dall'azione dell'uomo la parola Grazia coincide con la parola creatività, il lavoro diventa creatività. Mentre nella prima emergenza erano sottolineate alcune condizioni, la seconda emergenza è come più immediatamente umana, ha valore più immediatamente umano, anzi ha un valore così umano che è personale. Dalla meraviglia che la bellezza suscita e per cui la persona è stimolata al lavoro vien fuori una cosa più bella di quella che era prima, cioè più vicina alla bellezza e più utile all'unità del tutto, del disegno totale di quanto la situazione era prima, diventa più piena di grazia, ed è in questo più che si aggiunge che l'uomo partecipa della creatività originaria, propria di Dio, nella quale tutto è previsto. Ma queste emergenze implicano una condizione: la prima emergenza implica anzitutto il riconoscimento di un ordine universale, cioè il riconoscimento di un disegno, il riconoscimento di un Regno, il riconoscimento di una unità piena di senso; la seconda emergenza invece sottolinea la passione per il posto che la persona è destinata a fruire dentro l'unità totale. Questo posto dentro l'unità totale che la persona è chiamata a fruire coincide con la parola felicità, compimento, perfezione; perciò la prima emergenza implica il senso religioso, mentre la seconda emergenza implica e impegna in una passione viva e scandita per l'umano. Se la persona non sente se stessa, non farà mai un lavoro di base con tutto lo stupore dell'intuizione della bellezza, perciò questa persona farà le chiese come le hanno fatte nel dopoguerra o le case di cui si è coperta la Brianza (questo miscuglio di scandinavo, svizzero e algerino).
L'ordine di cui si è parlato prima non è un ordine che dobbiamo cercare, perché in un certo senso c'è già: noi dobbiamo scoprirlo, non aggiungere qualcosa.
Noi dobbiamo riconoscerlo: se lo riconosciamo, diventiamo ubbidienti alle leggi. Le leggi non sono altro che il riflesso della totalità sul momento che tu vivi, e questo momento che tu vivi ottiene il tuo intervento, il tuo impegno se tu sei percosso dalla bellezza dell'ordine e, attraversando quel preziosissimo e mai sottolineato momento di pura gratuità che è la meraviglia, impegni le tue energie e impegnando le tue energie crei un mondo più bello, cioè ottieni un riverbero maggiore della bellezza totale e così compi un bel lavoro. Lavorare senza che nel cuore ci sia un ultimo stupore e un'ultima gratitudine non è lavorar bene (gli artisti di oggi possono farlo, con le scempiaggini che ci propinano...). Senza questo passaggio attraverso il momento della gratitudine, senza contenere dentro di sé questo aspetto di stupore e di gratitudine, non si può costruire una cosa nuova, cioè qualcosa che soddisfi di più l'interesse, che sia più utile al cammino che l'uomo compie verso un orizzonte di maggior compimento, di maggior felicità. Chi fa obiezione al fatto che il mondo sia un disegno di Dio, e perciò che sia una cosa positiva e bella, chi si oppone all'idea dell'ordine universale, a mio avviso non può costruire una cosa nuova, non può creare. È come il bambino, sgridato dalla madre, che si tura gli orecchi e si mette a sua volta a gridare per coprire il senso delle parole di sua madre: questa non è creatività.
Non ho parlato di un solo fattore importante: è l'immaginazione: essa è fondamentale per l'arte come per la costruzione di un dinamismo economico. Ma l'immaginazione nasce dalla passione di sé aizzata e pacificata (l'arte è l'espressione di una pace) di fronte all'ordine delle cose. Quando passando davanti a una chiesa si dice «come è brutta questa chiesa» vuol dire che manca il senso di un ordine ultimo a cui finalizzare tutto il materiale secondo una novità che incrementi la sicurezza della gioia e l'espressività dell'uomo. Come fa un architetto che non abbia amore alla propria umanità, che non abbia un sentimento vivo e amoroso di sé a costruire una bella casa? Ci costringeranno a dire che sono bei quadri fatti da pittori che in tempi più sani sarebbero serviti a riempire i sacchi delle immondizie.
Obiezione che viene posta all'ordine spesso non è la negazione che esista un disegno di Dio: si sente dire che magari c'è anche un disegno di Dio, ma mescolato a tanti altri disegni, a tanti altri ordini, a una complessità. Si è portati ad accettare questa complessità, ad accontentarsi di dare un apporto personale a questa complessità.
Facciamo l'esempio delle case popolari, dei casermoni di certa mentalità urbanistica: degradano l'uomo, quella non è una novità. L'uomo poteva essere più felice nelle grotte, cioè usare meglio la propria umanità nelle grotte. Usando la realtà si ottiene o una degradazione della presenza o una migliorazione della presenza: non si scappa. Seppelliti da un'infinità di condizionamenti, potrete dare uno spunto creativo limitato, mentre se non ci fossero tutte quelle determinazioni potreste dare uno spunto creativo più ampio. Ma realmente appena l'uomo si muove e usa della realtà, o degrada l'uomo o lo migliora. L'idea delle case e dell'urbanistica che oggi ci perseguita, tende solamente a soddisfare una necessità istintiva, in modo tale che chi ci vive la dovrà pagare tutta la vita con un'infinità di altre limitazioni, con una infinità di soffocamenti. Non voglio dire che il brutto non realizzi la risposta ad alcun interesse: dico che può soddisfare un interesse come si soddisfa un istinto. L'inesattezza del tener presente come criterio la soddisfazione dell'istinto, la nefandezza, la peccaminosità di questo sta nel fatto che mette fuori posto tutto il resto e il tempo che passa fa emergere questa dislocazione. Il concetto di compito può sembrare più astratto, più arido, ed è invece la fonte della poesia.
Il lavoro oggi è declinato secondo una modalità che si chiama tecnologia che ne costituisce il contenuto normale e il lavoro quasi di tutti consiste nel contribuire alla tecnologia. La tecnologia a sua volta è garantita dalla copertura della scienza che ne garantirebbe il risultato e la possibilità pratica. Diciamo che nel lavoro normale di tutti il compito storico che uno si trova di fronte è l'incremento della tecnologia.
Mi sembra che il tuo intervento prenda le osservazioni precedenti e le dilati, perché con la tecnologia si può distruggere il mondo: il termine di questa tecnologia può essere la distruzione del genere umano. Non sono io che lo dico, sono premi Nobel partecipanti alle Accademie delle Scienze di diversi paesi. Allora prima di tutto la tecnologia impegna più analiticamente: uno deve fare un certo pezzo, ha l'incarico di una certa parte. Tutto può essere salvato se uno fa il suo lavoro con l'immagine del grande ordine a cui partecipa facendo con esattezza quello che deve fare: lo fa con una cura più appassionata. Ma la risposta alla tua osservazione si sposta a livello di coloro che hanno in mano la managerialità generale delle cose: possono essere dei traditori del popolo o possono essere dei creatori di una novità utile. Il tuo intervento sposta la questione dall'osservazione di un lavoro che costruisce un particolare a quel livello dove la persona concepisce il tutto: dico che come ai tempi di Gesù gli scribi e i farisei ( vale a dire quelli che hanno in mano la managerialità della questione) sono certamente i più facili ad essere soggetti di male, mentre il povero popolo, i servi della gleba (cioè i tecnici) possono ancora avere uno spazio di bellezza, di ammirazione, di gusto per il lavoro e di gioia per vedere una cosa che nasce sicura, bella, secondo tutte le regole. In un'epoca in cui il lavoro tende a coincidere con la tecnocrazia, il problema gravissimo è che l'uomo recupera all'improvviso l'assetto della schiavitù e la lotta contro la schiavitù diventa come la premessa per ogni creatività, ogni arte, ogni dinamismo economicamente efficace per l'uomo. Come in un certo periodo della storia era il feudatario che era il soggetto di tutti i diritti, l'uomo intero, mentre gli altri erano come dei pezzi di umanità, in un'epoca in cui il lavoro coincide con la tecnocrazia, chi ha in mano il potere è il feudatario nuovo. Non che lo debba essere, ma è molto facile che lo diventi. Io vi auguro di diventare tutti feudatari, feudatari buoni. Qualche cosa ci si deve rimettere. Non si può avere come scopo nel rifare l'urbanistica di una città il mettere via 68 miliardi e nello stesso tempo produrre qualche cosa di ineccepibile e perfetto. Per questo dobbiamo pregare per i potenti, perché è come pregare per se stessi, perché salvino lo spazio dell'umano.
Fra le finalità dell'Associazione Creative Discipline immagino uno strumento per aiutarci a tener desto questo tipo di questione è a svilupparlo nel nostro lavoro concreto.
Noi qua siamo 200 ingegneri in Italia e altrettanti architetti cosa si aspetta da noi? Cosa le piacerebbe che facesse un corpo di questo tipo?
Sulla prima affermazione sono d'accordo: spero che l'Associazione vi aiuti a sviluppare sensibilità, comprensione e affettività a quelle cose che ho detto. E la risposta alla seconda domanda è la stessa: mi aspetto che vi immedesimiate sul serio nelle cose che ho detto, perché sono più di quanto sembri al vostro orecchio stanco della giornata. Un uomo, tecnico o non tecnico, in qualunque ambito, che non possa amare l'esito del suo lavoro, è uno schiavo. Per questo la domanda fatta in precedenza è l'intervento più drammatico perché ci costringe a portare lo sguardo a chi realmente determina tutte le condizioni del lavoro, ma il lavoratore ordinario è come molto più libero, come il povero di fronte al ricco: è molto più libero e ha molta più possibilità di gioire, e di far le cose bene, anche se la sua bella stanga così ben fatta andrà a sostenere la volta di un luogo di morte ( come nel romanzo « Vita e destino » di Grossman). Chi ha in mente la costruzione della camera a gas è impossibile che ne gioisca, mentre l'operaio dell'officina che vede il pezzo uscire bene ne gioisce: è l'eterno vantaggio del povero sul ricco.
Tra noi c'è della gente che prova a fare l'artista: ci siamo messi insieme per fare gli artisti in questo mondo dell'arte, vogliamo essere presenti con il fatto che abbiamo incontrato. però nello sviluppare questo nostro linguaggio siamo molto deviati da quello che adesso funziona, è di moda. Come il nostro lavoro può essere più fruttifero, come non scimiottare?
Siate voi stessi e difendete la vostra storia. Toccherà alla compagnia a cui partecipate, voi sarete i primi sollecitatori in questo senso, perché la compagnia a cui partecipate cercherà di difendervi, comprando i vostri quadri. L'artista, come il lavoratore, è in funzione di una realtà umana più grande. L'autenticità di una intuizione artistica e la sua traduzione può essere resa possibile nonostante tutti i premi siano dati ai comunisti, come era subito dopo la guerra.
Oggi noi abbiamo a disposizione energie notevoli, però di solito vengono usate male nei confronti dell'uomo. È perché sostanzialmente esiste un'immoralità diffusa, o perché non c'è una sufficiente passione?
Io credo che questo aut aut tenda ultimamente a unificarsi: l'immoralità è la mancanza di passione per l'umano, un atteggiamento è immorale perché è contro l'uomo. Però questo intervento insinua una cosa molto preziosa: se ci sono tante energie, è necessario che venga costruita una comunità umana dal basso, di uomini appassionati all'uomo, perché questo può resistere di fronte al potere che comunque usi quei materiali per un maggior interesse immediato e basta. Questo è vero dall'inizio del mondo perché i popoli son nati come aggregazione per la realizzazione di una bellezza comune, di una libertà, di una creatività, di un comodo vero, per il superamento di obiezioni grosse alla vita. Dentro una realtà dove tutto è tendenzialmente universalizzato, dove il potere diventa sempre più ristretto e in mano a pochi, questa logica iniziale dell'umanità ha bisogno di riaversi e di agire senza sonno, come adesso. Il nemico del potere sono gli uomini che si mettono insieme per uno scopo umano da raggiungere. E non sono nemici del potere perché il potere è cattivo, il potere è uno strumento, dipende da come viene usato il potere. La lotta contro la cultura dominante non deve aspettare qualche genio che emerga: è il congregarsi in unum, dice la liturgia, riunirsi in uno di gente che ci tenga alla propria umanità. Non per nulla il grande genio della natura è lanciare l'universale paragone dell'uomo con la famiglia: nel cristianesimo diventa segno sacramentale, segno efficace dell'unità del genere umano. Le parole che avete sentito per tanti anni (compagnia, amicizia, comunita) sono parole fondamentali per la liberazione dell'uomo, dell'uomo che sei tu con tua moglie e i tuoi figli. Invece una volta passato il gran gioco scoutistico della comunità in Universita, per esempio, ognuno va per suo conto; e questo è il primo delitto contro se stessi, contro la propria moglie e i propri figli, e contro il proprio lavoro. Nella «Mater ed Magistra», e nessuno più lo ricorda, Giovanni XXIII al quinto punto dei 10 segnalati come espressione dei diritti fondamentali dell'uomo è il diritto all'associazione: È la prima cosa che un governo cerca di soffocare, almeno i governi che conosciamo. Con l'impostazione tecnocratica di adesso non è affatto necessario raggiungere il livello di Hitler o di Stalin: gli Hitler e gli Stalin si moltiplicano. Anzi è un po' più amaro allora il Vangelo quando dice che «coloro che hanno potere su di loro si fan chiamare benefattori». Inversamente, non esiste un lavoro, una ascesi, un impegno più ingrato e più nobile, più necessario che quello di utilizzare il potere perché queste verità possano avvenire. Per questo ho sempre detto che dall'esperienza cristiana non può non nascere una cultura nuova, e l'espressione praticamente suprema di una cultura è la politica. Raramente è così generale un moto di riconoscenza e di stima e di lode come quando si trova un uomo che usa del potere che ha in modo buono.
(Giussani Luigi, Creative discipline: incontro con mons. Luigi Giussani: Milano 14 luglio 1987)
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