Partiamo da un presupposto: il genere “supereoistico” (termine in voga tra gli adolescenti per identificare quei film che si rifanno alle vicende dei super eroi dei fumetti, Marvel e Dc Comics in primis) è in una fase molto delicata. Gli ultimi film sono stati tutto un altalenarsi di giudizi positivi e negativi: un andamento altalenante dove a districarsi ci sono stati soprattutto gli ultimi film dell’universo Marvel Comics (si passa al deludente Avengers II, al discreto Ant-Man, fino ad arrivare all’ultimo, al momento, Captain America 3: Civil War). Ora però la situazione si è ulteriormente complicata con l’arrivo del progetto Dc Comics avviato dalla Warner Bros che, seguendo la scia della Disney, inaugura una nuova serie di film pronti a fare concorrenza ad Iron Man, Captain America, Thor e al resto della compagnia. Un progetto affidato al regista Zack Snyder, che del genere è quasi una sorta di veterano (suoi sono film come Watchmen e Superman- Man of Steel), pronto a entrare “a gamba tesa” sulla scena con il suo Batman vs Superman. Il risultato è stato però mettere ancora in evidenza le debolezze di un genere che ha da un lato un grande bisogno di reinventarsi ogni volta da capo, dall’altro cercare di essere il più fedele possibile alla tradizione iconografia dei personaggi: una tradizione che non ha solo a che fare con le semplici rappresentazioni dei fumetti ma anche con quelle di certi cult anni 80-90.
Suicide Squad arriva quindi in questa situazione di urgenza, preceduto (come lo è stato per il precedente Batman vs Superman) da un grande e meticoloso lavoro di marketing che ne ha aumentato ancora di più le attese. Il film tuttavia è solo l’ennesimo exploit di incassi e nulla di più: massacrato dalle critiche, ma con ben 380 milioni di dollari al botteghino solo nel primo weekend statunitense. Insomma il film incassa tanto, ma è molto scarno di idee.
Il film del regista David Ayer è contaminato da veri e propri “cancri”. In primo luogo c’è una trama sterile (ricollegata ai fatti di Batman vs Superman): il governo per far fronte a una nuova minaccia decide di formare una squadra speciale reclutando ex criminali dalle abilità speciali. Botte da orbi e sparatorie ai mostri per tutti, la trama al fin della fiera è questo, mischiata ai vari flashback dei protagonisti principali (che su una squadra di sei membri alla fine sono solo due) che non dicono nulla di più. La scenografia, anche questa di Ayer, è scontata e prevedibile; contornata di momenti di humor nero che hanno più il risultato di infastidire lo spettatore che di intrattenerlo, spesso sembrano strizzatine d’occhio all’Iron Man di Robert Downey Jr. Anche i personaggi non sono da meno: Will Smith, nei panni del sicario Deadshoot, è zoppicante, è una continua rievocazione di se stesso e di altri suoi personaggi meglio riusciti (primo fra tutti Hancock) passando poi però a un criminale svogliato ma che sa ironizzare; Margot Robbie (Harley Quinn) e Jared Leto (il Joker) sono i veri trascinatori del film ma non possono fare l’impossibile: causa dei personaggi mal caratterizzati con la Robbie (icona del film) che interpreta più una teenager innamorata che una criminale folle (lontana dal personaggio originale), e Leto che ci presenta un Joker pazzo ma senza una “filosofia” che dia essenza alla sua pazzia (ricordiamo per esempio la vocazione al caos del Joker di Ledger o l’estetica nonsense di Nicholson); c’è poi l’Incantatrice, boss finale della storia, interpretata da Cara Delevigne, che è più una gatta morta con stilemi gothic ma per nulla convincente (la Delevigne d’altronde non lo è mai stata); poi c’è tutta un’altra cricca di personaggi che però riuniti al resto del team hanno tutti qualcosa in comune: sono cattivi, ma infondo non così cattivi come sembrano. E questo il vero male del film: l’idea di partenza, una banda di criminali che devono però salvare il mondo, è anche interessante e poteva anche funzionare se non fosse che il film poi scade nel banale ritornello “brutti ma buoni”: c’è Deadshoot che è solo un papà che vuole rivedere la figlia, Harley Quinn che infondo è solo una ragazza innamorata del ragazzo sbagliato, Killer Croc (l’uomo coccodrillo) che è arrabbiato perché tutti lo considerano solo brutto e tanti altri luoghi comuni che si potrebbero fare sulle ragioni della cattiveria di un personaggio. Una minestra riscaldata che si rivela dopo i soliti 5 minuti dopo i titoli di coda di essere un ennesimo prequel (pure questo) per un altro film, però stavolta con i buoni … cioè ancora un’altra squadra di buoni.
Suicide Squad riconferma quindi la grande contraddizione legata al genere dei film sui super eroi: i grandi incassi, dipendenti più dal marketing che dal film stesso, è idee banalizzate, messe quasi lì per lì. Un vero peccato per un film che portava in se i requisiti di un buon lavoro, ma se si banalizzano i cattivi o peggio il concetto stesso di cattiveria il risultato è quasi sempre uno scivolone.
Antonello Di Nunno
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