Dopo 37 anni di dittatura, il dittatore dello Zimbabwe, Mugabe è stato destituito da un golpe militare, prima che potesse passare lo scettro alla moglie Grace. Il dittatore era al potere dal 1980.
Potere che ininterrottamente ha tenuto fino ad oggi, nel nome della lotta a un colonialismo che non c'era/non c’è; con il quale ha distrutto l'economia del suo paese, ha espropriato le terre dei proprietari terrieri bianchi.
Per approfondire meglio questi fatti di cronaca, si è contattato la professoressa Anna Bono, autorevole africanista e docente di Storia e Istituzioni dell'Africa presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino.
1) Cosa sta succedendo in Zimbabwe? Il colpo di stato da chi è stato ordito?
Il 15 novembre l’esercito ha preso il controllo del paese sostenendo di voler perseguire i “criminali autori di crimini”, responsabili delle difficoltà economiche e sociali che affliggono la popolazione. L’azione militare – ha spiegato il capo dei veterani della guerra d’indipendenza Chris Mutsvangwa nel dare appoggio all’iniziativa – “era necessaria a salvare uno stato che si trova sull’orlo di un abisso; questa è la fine di un capitolo molto doloroso e triste della storia di una nazione giovane in cui un presidente, invecchiato, si è arreso alla banda di ladri che circondano sua moglie”. Il presidente in questione è Robert Mugabe, 93 anni, al potere da 37, le cui deliranti politiche economiche hanno ridotto il paese alla bancarotta, accusato a ragione e ripetutamente di gravi violazioni dei diritti umani.
Di fatto l’intervento militare – non un colpo di stato, insistono i portavoce dell’esercito – è l’ultimo atto di una crisi politica nata all’interno del partito di governo, lo Zanu-PF, dallo scontro tra chi vuole come successore del presidente Mugabe la moglie Grace e chi invece sostiene l’ex vice presidente Emmerson Mnangagwa. Proprio l’improvvisa destituzione di quest’ultimo, chiaro segno che Mugabe asseconda le mire della moglie, ha fatto precipitare la situazione dall’esito tuttora incerto dal momento che l’anziano dittatore sta tentando con ogni mezzo di restare in carica.
2) C'entra la Cina, che ormai da anni sta "comprandosi letteralmente” l'Africa?
La Cina come altri stati, tra cui la Gran Bretagna di cui lo Zimbabwe è stato una colonia, si inserisce nella crisi schierata con l’ex vicepresidente Emmerson Mnangagwa e quindi con i militari e i leader politici che stanno tentando di mettere fine all’era di Mugabe. Pochi giorni prima dell’intervento militare Mnangagwa si era recato in Cina per colloqui, evidentemente per assicurarsi il sostegno del suo più importante partner commerciale. Come è noto Pechino, uno dei maggiori partner economici del continente africano, secondo soltanto all’Unione Europea, ha sempre sostenuto Mugabe economicamente e militarmente. Ma più che la perdita dell’alleanza cinese, il presidente sconta quella dei veterani dell’indipendenza, i militari finora fedeli che per decenni per lui hanno razziato, ucciso, torturato, minacciato i suoi avversari e chiunque ardisse contrastarlo. Sono loro che nel 2000 hanno occupato le grandi proprietà terriere confiscate con il pretesto di una riforma agraria, uccidendo i farmer bianchi che resistevano all’esproprio.
3) Per quale motivo le istituzioni internazionali, come il Parlamento Europeo, l’ONU, le grandi agenzie stampa, non denunciano tale espansione?
L’espansione cinese in Africa è frutto di accordi tra Pechino e vari governi africani. Ovviamente gli organismi internazionali non hanno facoltà di interferire in rapporti di partnership economica e politica tra stati sovrani. Si può denunciare il cattivo uso che gli africani fanno delle loro immense risorse naturali, e si fa in effetti, si può auspicare che adottino politiche economiche più responsabili. Per indurli a farlo uno strumento potrebbe essere la sospensione degli aiuti di cooperazione allo sviluppo e i contributi finanziari in genere. Ci sono stati africani, ad esempio il Burundi e il Malawi, i cui bilanci dipendono addirittura per circa il 40% da contributi finanziari forniti dalla cooperazione internazionale, in gran parte messi a disposizione dai paesi occidentali. Ma la tendenza è invece a incrementare gli aiuti come dimostrano ad esempio le recenti decisioni dell’Unione Europea.
4) Quali soluzioni per arginare tali problemi?
Se e dove gli accordi tra la Cina e uno stato africano risultano in un danno per l’economia di quel paese spetta al suo governo e ai suoi cittadini rimediare rinegoziando o sospendendo la partnership. Ma le leadership africane sono in gran parte, notoriamente, poco attente agli interessi nazionali, piuttosto orientate a servirsi del controllo sulle istituzioni politiche per fini e interessi privati, con il favore di un clima di corruzione dilagante. Tanti sono gli esempi: dalla Nigeria, dove miliardi di dollari guadagnati vendendo il petrolio, di cui il paese è primo produttore continentale, non vengono depositati nelle casse dello stato, al Sudan del sud, indipendente dal 2011 e devastato dal 2013 da una guerra civile che ne ha vanificato le prospettive di sviluppo, anche in questo caso fondate sullo sfruttamento di ricchi giacimenti di petrolio. È improbabile almeno nel breve periodo un “ravvedimento” dei governi africani.
Anche su Vita Diocesana Pinerolese
http://www.vitadiocesanapinerolese.it/attualita/lafrica-schiava-intervista-ad-anna-bono
Per approfondire meglio questi fatti di cronaca, si è contattato la professoressa Anna Bono, autorevole africanista e docente di Storia e Istituzioni dell'Africa presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino.
1) Cosa sta succedendo in Zimbabwe? Il colpo di stato da chi è stato ordito?
Il 15 novembre l’esercito ha preso il controllo del paese sostenendo di voler perseguire i “criminali autori di crimini”, responsabili delle difficoltà economiche e sociali che affliggono la popolazione. L’azione militare – ha spiegato il capo dei veterani della guerra d’indipendenza Chris Mutsvangwa nel dare appoggio all’iniziativa – “era necessaria a salvare uno stato che si trova sull’orlo di un abisso; questa è la fine di un capitolo molto doloroso e triste della storia di una nazione giovane in cui un presidente, invecchiato, si è arreso alla banda di ladri che circondano sua moglie”. Il presidente in questione è Robert Mugabe, 93 anni, al potere da 37, le cui deliranti politiche economiche hanno ridotto il paese alla bancarotta, accusato a ragione e ripetutamente di gravi violazioni dei diritti umani.
Di fatto l’intervento militare – non un colpo di stato, insistono i portavoce dell’esercito – è l’ultimo atto di una crisi politica nata all’interno del partito di governo, lo Zanu-PF, dallo scontro tra chi vuole come successore del presidente Mugabe la moglie Grace e chi invece sostiene l’ex vice presidente Emmerson Mnangagwa. Proprio l’improvvisa destituzione di quest’ultimo, chiaro segno che Mugabe asseconda le mire della moglie, ha fatto precipitare la situazione dall’esito tuttora incerto dal momento che l’anziano dittatore sta tentando con ogni mezzo di restare in carica.
2) C'entra la Cina, che ormai da anni sta "comprandosi letteralmente” l'Africa?
La Cina come altri stati, tra cui la Gran Bretagna di cui lo Zimbabwe è stato una colonia, si inserisce nella crisi schierata con l’ex vicepresidente Emmerson Mnangagwa e quindi con i militari e i leader politici che stanno tentando di mettere fine all’era di Mugabe. Pochi giorni prima dell’intervento militare Mnangagwa si era recato in Cina per colloqui, evidentemente per assicurarsi il sostegno del suo più importante partner commerciale. Come è noto Pechino, uno dei maggiori partner economici del continente africano, secondo soltanto all’Unione Europea, ha sempre sostenuto Mugabe economicamente e militarmente. Ma più che la perdita dell’alleanza cinese, il presidente sconta quella dei veterani dell’indipendenza, i militari finora fedeli che per decenni per lui hanno razziato, ucciso, torturato, minacciato i suoi avversari e chiunque ardisse contrastarlo. Sono loro che nel 2000 hanno occupato le grandi proprietà terriere confiscate con il pretesto di una riforma agraria, uccidendo i farmer bianchi che resistevano all’esproprio.
3) Per quale motivo le istituzioni internazionali, come il Parlamento Europeo, l’ONU, le grandi agenzie stampa, non denunciano tale espansione?
L’espansione cinese in Africa è frutto di accordi tra Pechino e vari governi africani. Ovviamente gli organismi internazionali non hanno facoltà di interferire in rapporti di partnership economica e politica tra stati sovrani. Si può denunciare il cattivo uso che gli africani fanno delle loro immense risorse naturali, e si fa in effetti, si può auspicare che adottino politiche economiche più responsabili. Per indurli a farlo uno strumento potrebbe essere la sospensione degli aiuti di cooperazione allo sviluppo e i contributi finanziari in genere. Ci sono stati africani, ad esempio il Burundi e il Malawi, i cui bilanci dipendono addirittura per circa il 40% da contributi finanziari forniti dalla cooperazione internazionale, in gran parte messi a disposizione dai paesi occidentali. Ma la tendenza è invece a incrementare gli aiuti come dimostrano ad esempio le recenti decisioni dell’Unione Europea.
4) Quali soluzioni per arginare tali problemi?
Se e dove gli accordi tra la Cina e uno stato africano risultano in un danno per l’economia di quel paese spetta al suo governo e ai suoi cittadini rimediare rinegoziando o sospendendo la partnership. Ma le leadership africane sono in gran parte, notoriamente, poco attente agli interessi nazionali, piuttosto orientate a servirsi del controllo sulle istituzioni politiche per fini e interessi privati, con il favore di un clima di corruzione dilagante. Tanti sono gli esempi: dalla Nigeria, dove miliardi di dollari guadagnati vendendo il petrolio, di cui il paese è primo produttore continentale, non vengono depositati nelle casse dello stato, al Sudan del sud, indipendente dal 2011 e devastato dal 2013 da una guerra civile che ne ha vanificato le prospettive di sviluppo, anche in questo caso fondate sullo sfruttamento di ricchi giacimenti di petrolio. È improbabile almeno nel breve periodo un “ravvedimento” dei governi africani.
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