Un'intervista a tutto campo con uno dei più brillanti pensatori del XXI secolo, per approfondire diversi temi e questioni di attualità. Rémi Brague è docente alle università di Parigi I Pantheon-Sorbona e di Monaco Ludwig-Maximilian. Tra i temi da lui studiati e trattati in diversi saggi, vi sono l'identità europea, il pensiero medievale, la filosofia araba. Nel 2012 è stato insignito del premio Ratzinger, promosso dalla Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, insieme al gesuita patrologo statunitense Brian Edward Daley. In Italia è conosciuto in particolare per i celebri libri: Dove va la storia? Dilemmi e speranze (Editrice La Scuola 2015), Il futuro dell’Occidente. Nel modello romano la salvezza dell’Europa (Bompiani 2005) Il Dio dei cristiani. L’unico Dio? (Cortina 2009); Ancore nel cielo. L’infrastruttura metafisica (Vita e Pensiero 2012).
Professore, spesso si sente dire che per la formazione dell'Europa è stato fondamentale l'incontro tra Roma Atene e Gerusalemme: le cose stanno proprio così?
Vi è una banalità nel parlare delle "tre città simbolo" e nell'affermare che è dalla loro combinazione che viene la civiltà occidentale. Altri oltre me, e ben prima di me, l'hanno dimostrato meglio di me; come Paul Valéry. Per quanto mi riguarda, la novità del mio lavoro sta nell'aver sottolineato l'importanza dell'esperienza romana: la Roma della storia, ma anche e soprattutto l'atteggiamento romano, che ho descritto con i concetti come "la secondarità", "il rinascimento" (distinta dalla semplice reviviscenza), "l'adozione inversa" e così via. I Romani hanno compreso che il loro compito storico consisteva anche nel diffondere una cultura che non era la loro. Non a caso, la secondarità ha questo significato: sapere che ciò che si trasmette non proviene da sé stessi, e che lo si possiede solo in modo fragile e provvisorio. Questo implica tra l’altro che nessuna costruzione storica ha niente di definitivo. Deve essere sempre rivista, corretta, riformata. Perciò, in Europa non vedo tanto la sintesi delle tre città, ma piuttosto, i frutti della "via romana", la quale ha permesso la feconda tensione tra le tre. Ciò ha reso possibile la coesistenza delle caratteristiche di ciascuna: l'impero il diritto da Roma, la filosofia la cultura da Atene, il rapporto con un Dio unico e personale da Gerusalemme, grazie in primis ai cristiani; senza che una assorbisse le altre.
Leggendo le sue opere, appare chiaro che oggi è necessario un ritorno al Medio Evo (epoca tutt'altro che buia) dei padri della Chiesa, dei grandi filosofi teologi scrittori, quali San Tommaso. Perché è così importante ciò, c'entra il bene dell'Europa?
Già, in effetti è così. Ne ho parlato in modo particolare in un libro che non è stato tradotto in italiano, e dal quale è stata lanciata, in qualche modo come una provocazione, l'idea che abbiamo bisogno di un ritorno al Medioevo (Le Propre de l’homme. Sur une légitimité menacée, Paris, Flammarion, 2013, p. 186-189). È chiaro che non ho intenzione di gettare via i contributi dei tempi moderni, alcuni dei quali sono molto positivi nei settori della scienza, della tecnologia, della politica, ecc. Voglio, d'altra parte, l'atteggiamento intellettuale fondamentale del Medioevo, e più precisamente del Medioevo cristiano. Bisogna riprenderlo; mi sembra l'unico possibile, dato che il fallimento del progetto moderno è stato riconosciuto (come ho scritto nel mio ultimo volumone Le Règne de l’homme. Genèse et échec du projet moderne, Paris, Gallimard, 2015). In questo momento, sto cercando di chiarire come tale ritorno potrebbe essere fatto per bene.
I cristiani non credono ad una semplice religione ma all'incontro con Gesù Cristo, Dio Incarnato nella storia. Da questo “Incontro” sono nate concezioni straordinarie come la creazione, la provvidenza, la redenzione, il perdono, le quali hanno permesso la costruzione della civiltà dell'Europa cristiana. Come si possono difendere e riproporre oggi (e qui si pone anche la questione della tradizione), senza correre il rischio di “trasbordo ideologico” e di “cristianismo”, e cioè di trattare il cristianesimo come fosse una 'bella teoria', al pari del liberalismo, dell'occidentalismo, e non un fatto storico?
È proprio per evitare di mettere il cristianesimo sullo stesso livello delle dottrine in "ism" (marxismo, nazismo, ecc.) che ho inventato questo "spaventapasseri" che è il cristianismo. In francese, non si possono distinguere due parole come in italiano. Ma possiamo distinguere i cristiani che credono in Cristo e i "cristianisti" che credono nel valore culturale positivo della religione cristiana. Queste persone mi sono totalmente simpatiche, dato che è vero che il contributo del cristianesimo è stato e resta una cosa buona. L'invocazione della "civiltà cristiana" non deve tuttavia servire come un camuffamento per politiche che non hanno niente a che fare con il cristianesimo. Il primo passo nella giusta direzione è senza dubbio il ricordarci che questa civiltà cristiana non è stata costruita dai "cristianisti", ma dai cristiani che non pensavano alla civiltà, ma solo a cercare Dio e a seguire Cristo.
Cristo non è venuto per costruire una civiltà, ma per salvare gli uomini di tutte le civiltà. Quella che si chiama “civiltà cristiana” non è nient’altro che l’insieme degli effetti collaterali che la fede in Cristo ha prodotto sulle civiltà che si trovavano sul suo cammino. Quando si crede alla Sua resurrezione, e alla possibilità della resurrezione di ogni uomo in Lui, si vede tutto in maniera diversa e si agisce di conseguenza, in tutti i campi. Ma serve molto tempo per rendersene conto e per realizzare questo nei fatti. Per questo, forse, noi siamo solo all'inizio del cristianesimo.
Come possiamo – noi cattolici – dialogare con l'islam e le altre religioni, senza per questo far perdere le radici cristiane all'Europa?
Il dialogo con l'Islam non ha la stessa natura di quello con, ad esempio, l'ebraismo e il buddismo. Con l'ebraismo abbiamo in comune un libro, quello che chiamiamo l'Antico Testamento, e soprattutto l'esperienza di Dio registrata nel libro. Con il buddismo siamo così lontani che difficilmente si può trovare un terreno di conflitto e che la curiosità può essere reciproca. Con l'Islam, siamo in una relazione di falsa prossimità. Le parole identiche e persino i nomi propri identici (Abramo, ad esempio) riguardano non solo realtà molto diverse ma diametralmente opposte. In effetti, sono stati spesso elaborati dall'Islam con l'intenzione esplicita di differenziarsi dal cristianesimo che era davanti a esso. Certo, non bisogna avere paura del dialogo: quello vero non può minacciare le radici cristiane dell'Europa. Però, sarebbe fatale se si sciogliesse la Fede cattolica in un sincretismo umanitario.
Che cos'è che impedisce alla religione maomettana il dialogo sereno con chi non fa parte dell'umma? C'entrano le influenze nestoriane e gnostiche su Maometto, le quali hanno reso l'islam una méontologia, ossia la negazione del valore di tutte le realtà – quali una sana idea di laicità, la Verità come Logos comunicabile e intellegibile, la dignità della persona – considerate in opposizione al corano?
La gnosi è una parola molto vaga, in cui possiamo introdurre quantità di significati, talvolta contrari l'uno all'altro. Non è solo nell'islam che se ne possono trovare tracce. Sono molto più chiare in alcuni aspetti del progetto moderno. Erich Voegelin ne ha avuto l'intuizione, che senza dubbio ha spinto troppo lontano. Non è assente dall'Islam, dove riceve anche un nome completamente positivo lodatore, quello di 'irfān'. Ma conosce forme meno virulente di quelle che si sono sviluppate nel cristianesimo. È normale che la gnosi minacci di più la religione dell'incarnazione e non l'islam, che respinge, al contrario, l'idea che Dio sarebbe entrato nella storia umana, facendo un'alleanza con un popolo (giudaismo) e incarnandosi per portare a compimento quell'alleanza. Di conseguenza, l'islam può tranquillamente assumere temi di origine gnostica (sópra tutto la sua teologia islamica, la quale si è costituita in polemica contro il cristianesimo), forse passati dal manicheismo. O temi neoplatonici.
Lo “scontro” tra islamici e cattolici non rischia di avvantaggiare proprio quelle realtà del post-umanismo da rivoluzione biopolitica e gnostica, penso a certe potenti lobby come Google Facebook Amazon Planned Parenthood, insofferenti alle tradizioni, alle religioni, e soprattutto alla Chiesa cattolica, ultimo baluardo tra il loro tentativo di trasformare l'uomo, homo religiosus-viator, quindi con un'identità precisa e in relazione con Dio e le altre persone, in una “monade” liquida, chiusa in se stessa e modellabile secondo certi piani (da qui il gender il relativismo il nichilismo e altri mali)?
Un pericolo che non è da escludere. Lobby come quelle appena citate, dove lo spettro del "transumanismo" si manifesta, mi sembrano essere soprattutto il punto avanzato di un movimento di grande portata. Esse hanno tutto l'interesse a cercare di ridurre le società umane in una polvere di atomi isolati, e di conseguenza, a combattere tutto ciò che è in grado di frapporsi con valori e princìpi tra loro e l'uomo, come le religioni, come la Chiesa cattolica in primis. Il sogno di queste élite è di gestire le macchine, la tecnologia e imporre il consumismo alle persone.
La “via” che Benedetto XVI propose ai musulmani a Ratisbona può essere un grande aiuto per risolvere problemi come quelli sopra citati?
Il discorso di Regensburg è un grande testo, ho avuto la possibilità di commentarlo (Der Kosmos der Vernunft und sein Schöpfer. Marginalien zur Regensburger Rede H.-R. Tuck (ed.), Der Theologenpapst. Eine kritische Würdigung Benedikts XVI, Freiburg e altri, Herder, 2013, pp. 97-112). Non aveva come tema centrale l'Islam. La rabbia del mondo islamico è stata provocata dalle manipolazioni dei media, rilanciate dalle autorità locali. Il vero argomento del discorso era la ragione e i pericoli che la minacciavano. Tuttavia, indirettamente, la domanda proposta può rivolgersi ai musulmani che riflettono sulla propria religione.
L'apologetica musulmana sostiene, ribadisce che l'Islam sia una religione razionale, a differenza del cristianesimo che ammette "misteri". Questo è facile da sostenere quando ci si trova all'interno dell'islam. Ma è da soli, senza autorità, che riconosciamo l'autenticità della profezia del Mahomet e della "divina origine del Corano"? E se l'islam pretende di avere solo fatti tangibili, poi come può sostenere di avere un contenuto rivelato? Quanto è interessante ciò? In che modo non è inutile?
In questa epoca, da “after virtue” come ci ricorda MacIntyre, non dissimile quindi dalla caduta dell'impero romano, appare fondamentale La Città di Dio di Sant'Agostino. Che cosa dobbiamo prendere dalla sua opera e dal suo pensiero?
L'opera di Sant'Agostino è arrivata infatti in un momento in cui l'Impero Romano, diventato cristiano, era minacciato. La tentazione di tornare agli dèi del paganesimo era grande durante quel momento. Oggi, non abbiamo più l'esperienza pagana del mondo. Non possiamo più seriamente pretendere di vivere in un mondo pieno di sacralità. La conoscenza che la scienza ci ha dato della natura ci impedisce di vedere ninfe nelle sorgenti, Giove dietro i fulmini.
Oggi abbiamo sostituito gli dei pagani con quello che chiamiamo "valori". Così, per i francesi, vi sono i "valori della Repubblica". È da loro che attendiamo la salvezza. È importante sconfiggerli con tanto rigore, anche crudeltà, come ha fatto Sant'Agostino contro le divinità romane. Lo ha fatto per dimostrare che se si può chiedere ("agli altri, naturalmente") di morire per esse, esse non sono in grado di far vivere.
Per affrontare in modo appropriato il problema immigrazione, quanto risulta importante rileggere ma in primis ascoltare l'Ecclesia in Europa di Giovanni Paolo II?
Non poco. A causa della sua origine polacca, Giovanni Paolo II aveva avuto un'esperienza diretta dei due grandi mostri del XX secolo, il nazismo e poi il comunismo. Aveva capito la tentazione di disperazione e di ritiro in un felice passato, che è in gran parte immaginario. La sua enciclica è incentrata sulla speranza. È là che lui, per la prima volta, parla della "cultura della morte". L'espressione è in sé contraddittoria, in quanto la cultura è solo una cultura della vita. Ma questa contraddizione è utile per spiegare le nostre società così contraddittorie. È il vuoto prodotto dalla cultura della morte che spinge molti ad immigrare. È questo vuoto, soprattutto, che fa immaginare noi cattolici incapaci di offrire loro la Fede.
Per rimanere in tema letture. L'ironia, la profondità, l'epicità, contenute nelle opere di autori come Chesterton Tolkien Lewis, possono essere aiuti validi per rivitalizzare la presenza dei cattolici nello spazio pubblico e contribuire così al bene comune?
Hai nominato qui tre autori inglesi che sono tra i miei riferimenti preferiti. Ho letto con gioia le loro opere, e con poca o nessuna interruzione. Tolkien, un filologo, è meglio conosciuto come scrittore fantasy, grazie a quell'opera grandiosa che è Il Signore degli anelli. Chesterton scrisse romanzi, "storie poliziesche" con protagonista padre Brown e saggi. Lewis era uno storico della letteratura, ma anche un apologo capace di ragionare come filosofo e un romanziere: Le cronache di Narnia, la trilogia cosmica, e A viso scoperto-Till have faces sono opere straordinarie. Con questo intendo dire che gli argomenti storici e filosofici, che sono indirizzati alla ragione, devono essere completati da narrazioni capaci di toccare l'immaginazione. Si tratta anche di mostrare il mondo in una luce cristiana. E scrittori, poeti, romanzieri o drammaturghi vi riescono meglio dei filosofi. Penso, in quanto francese, a Péguy, Claudel o a Bernanos.
Ciao caro, non mi torna questa frase:
RispondiElimina"È là che lui, per la prima volta, chiede, la "cultura della morte"".
Si tratta di un refuso?
Grazie
Sì, è un refuso; doveva essere "... parla della cultura della morte". Ho corretto! Grazie della segnalazione
EliminaBella intervista, grazie Daniele.
RispondiEliminaBella intervista, grazie Daniele.
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