Il periodo storico in cui viviamo mostra sempre più, giorno dopo giorno, le caratteristiche da “fine impero romano”. Da una parte la barbarie, che erode i pilastri le mura, nel tentativo di depredare i tesori della civiltà, dall'altra gli eroici resistenti, i quali difendono con amore e la propria vita quei pilastri quelle mura e soprattutto quei tesori. Una situazione ben descritta in “After Virtue: a Study in Moral Theory” del filosofo Alsdair MacIntyre, il quale fa capire che è bene che quegli eroi, che “setacciano tutto per trattenere ciò che vale” (San Paolo docet), gettino le basi per un movimento che guarda al monachesimo di San Benedetto. Questo movimento per il bene comune può essere messo in moto solo dalla Chiesa e dai cattolici. Ma un’ombra rischia di avvolgerli: la dimenticanza. “La vostra costruzione è imperfetta perché avete dimenticato la pietra angolare, Gesù Cristo medesimo”. Così si legge nel II coro dei “Cori da La Rocca” di T.S. Eliot.
Questa dimenticanza è l’origine della rovina. La rovina non è anzitutto – come si legge ne “Gli uomini vuoti, sempre di Eliot – una conseguenza di un disordine etico o sociale; inizia come rovina esistenziale, come dimenticanza, quindi come divisione o schizofrenia nel soggetto, come impossibilità dell’opera. “Fra l’idea/ e la realtà/ fra il gesto/ e l’atto/ cade l’ombra… Fra la concezione/ e la creazione/ fra l’emozione/ e la responsione/ cade l’Ombra” (ibidem). L’ombra si allarga anche perché molti uomini di Chiesa hanno smesso di credere in Lei, nella sua missione di essere legata alla società umana per dare a ogni uomo il senso di ogni cosa, in primis della propria vita. E questo acuisce ancor più la rovina; porta alla confusione di fronte a cosa è bene e cosa è male; addirittura all’iversione di questi criteri/coordinate fondamentali nel cammino di “homo religiosus-viator” che ciascuna persona compie con le proprie esigenze di senso.
E gli intellettuali (se si possono definire tali!) che trovano affascinanti la decadenza e la rovina, oggi, non sono pochi. Non aiutano il popolo, non si schierano con il popolo. Essendo che si credono “demiurghi” con l’ultima parola su tutto-uomo compreso, il caos, l’indefinito (o fluido) sono opportunità per realizzare nuovi mondi. In apparenza nuovi, ma in realtà vecchi come l’arroganza e la ribellione delle “origini”, ecco perché non portano luce ma rendono cupi i cuori, lugubri i luoghi. In particolare gli artisti sono molto ricercati, visti come i progettisti delle architetture, dell’immaginario dei “mondi nuovi”: anziché usare l’arte per proporre il “bello il buono il vero”, come facevano Raffaello, Michelangelo, Caravaggio, in omaggio e in nome della civiltà della vita, della dignità “sacrale” della vita umana, perché nata dall’incontro con Cristo-Dio, loro propongono l’autolesionismo, lo spiritismo, la dissacrazione dei luoghi di culto, il satanismo. Definire cultura, arte, opere con questi soggetti è una contraddizione. Perché essi non esprimono amore per la vita (come le stesse etimologie di cultura e arte suggeriscono) ma il tentativo appunto di ferire l’anima la coscienza dell’uomo; abbrutirlo per incatenarlo nell’ombra e fargli dimenticare che è fatto per la Verità la Bontà e la Bellezza. L’ombra e la dimenticanza di cui parlavano Tolkien nel ne “Il signore degli anelli” e T.S. Eliot nella citazione riportata più sopra.
Un’artista in particolare si distingue dagli altri, è Marina Abramovic; signora statunitense di origine serba, nota alle cronache di tutto il mondo come “performing artist”, ossia una che nelle gallerie d’arte più esclusive non fa quadri o statue, ma “azioni recitate”. Performance estreme e provocatorie, e soprattutto per il fatto che includono attività, rituali e simboli di pessimo gusto e spregiativi del valore della persona umana, quando non apertamente blasfemi, esoterici e/o satanici. Per esempio – e purtroppo tocca scriverlo, per dovere di cronaca – si pensi ai video che girano sulle sue “performances”: realizzati in quelle gallerie d’arte, mostrano l’Abramovic intenta a scrivere sul muro con sangue di maiale (“che somiglia di più al sangue umano”) mescolato con urina, sperma e latte preso dalle donne: “Mescola latte fresco di donna con sperma fresco”, “con un coltello affilato taglia in profondità il tuo dito medio e mangia il dolore”. La sua è “un’arte” dissacrante e inquietante; e questi aspetti trovano ulteriore conferma quando si aprono i giornali come il Corriere della Sera, Il sole24ore: “La Abramovic fa il gioco del coltello finché non si ferisce e allora lo replica cercando di tagliarsi nuovamente e negli stessi punti; si fa avvolgere da serpenti lasciati digiuni, presta il suo corpo inerme per ore a spettatori e passanti, che possono fare quello che vogliono; Si taglia le unghie delle mani e dei piedi e i capelli per gettarli in un falò a forma di stella a cinque punte, al centro della quale si butta lei stessa, per rimanervi fino a perdere coscienza. La paura e la capacità di esorcizzarla sono al centro dei suoi lavori: spaventata da sempre dal sangue, si taglia, si fa incidere il corpo con le lamette, sfregia il volto”. Inoltre, è famosa per offrire ai membri delle élite-demiurga-mainstream di New York, che ospita in casa propria, serate di “Spirit Cooking”, una “cucina” secondo un rituale del satanista Alesteir Crowley.
Ma ad Alba la famiglia di viticoltori Ceretto, famosa nelle Langhe e non solo, per organizzare da anni eventi culturali di respiro internazionale, ha deciso di ospitare Marina Abramovic. Il 28 settembre, presso il Coro della chiesa di Santa Maddalena, lei inaugurerà la video-installazione Holding The Milk da The Kitchen, Homage to Saint Therese. L’opera rimarrà esposta fino al 12 novembre. The Kitchen, Homage to Saint Therese è un progetto artistico elaborato da Marina Abramovic nel 2009, costituito da nove fotoritratti e tre opere video. I video sono girati nella cucina dell’ex convento La Laboral a Gijón, un monastero certosino abbandonato, dove un tempo le monache accudivano bambini orfani; l’opera rimanda alla vita della mistica Santa Teresa di Avila, intrecciandosi coi ricordi dell’infanzia dell’artista. Come ha spiegato la stessa Marina Abramovic: “La cucina di mia nonna è stato il fulcro del mio mondo: tutte le storie venivano raccontate in cucina, ogni consiglio sulla mia vita veniva dato in cucina, il futuro, contenuto nelle tazze di caffè nero, veniva letto (una cosa che assolutamente non confligge con il cattolicesimo… Ma scherziamo!?) e annunciato solo in cucina; quindi è stata davvero il centro del mio universo, e tutti i miei ricordi più belli nascono lì. L’ispirazione di questi lavori nasce dalla combinazione tra la rievocazione della cucina della mia infanzia, la storia di Santa Teresa d’Avila, e questa straordinaria cucina abbandonata piena di bambini, tutto insieme e nello stesso momento.”
La memoria dei Santi e i luoghi di Agape-Carità e di culto, qual è anche il Coro di Santa Maddalena di Alba, ormai sono abbandonati e lasciati alla mercé di chi non sa rispettarli.
Certo, il Coro della Maddalena risulta essere un luogo sconsacrato, di proprietà del comune albese. Però, rimane ugualmente un luogo ove per molti anni, se non secoli, si è custodito il Santissimo Sacramento e officiato il Sacrificio della Messa. Per rispetto di questo e dei tanti albesi che qui vollero incontrare Dio, l’evento ivi non si dovrebbe tenere.
Con il cuore di figlio spero, nel pieno rispetto del canone 212 paragrafo 3 del diritto canonico, che sua eccellenza, monsignor Brunetti, i suoi collaboratori e tutto il clero di Alba, si prodighino almeno dal punto di vista del buon senso comune/della morale, se è vero che de jure non possono fare molto.
Si ricordino che è un atto di civiltà l’impedire che in un luogo che è stato realizzato per rendere culto a Dio si realizzino eventi ed entrino personaggi così contrari alla fede e alla morale, è un atto di civiltà. La Chiesa è dentro l’opera (nel ma non) del mondo, dentro al tessuto della storia. Perciò lo stato delle società umane e della Chiesa appaiono legati indissolubilmente. Perché la Chiesa esiste per accompagnare l’uomo verso Chi risponde a tutte le sue esigenze di senso. Se gli uomini di Chiesa dimenticano questo, non consegnano solo se stessi alla rovina, bensì anche tutte le società umane.
Ripeto, e così concludo, dare un giudizio chiaro su un evento del genere, il provare a fermarlo, è il primo passo per salvare e riproporre le cose “vere buone e belle” di sempre, in vista della costruzione della civiltà; mentre evitare ciò: “È questo il modo in cui il mondo finisce/ non già con uno schianto ma con un piagnisteo” (sempre Eliot ne “Gli uomini vuoti”). Scuotiamoci dal torpore, quindi, e ritorniamo alla pietra angolare, oppure attendiamo “inermi” – cioè colpevoli – l’avanzar dell’ombra.
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