Un amico, uno di quelli con la "A" maiuscola, uno di quelli che neanche la storia riesce a separare, un amico di quelli che sai che sarebbe meglio chiamare "fratelli". Io prete cattolico, lui ateo convinto fin dalla prima lezione di filosofia (materia in cui si è laureato). Rispondo, perché a lui non posso non rispondere.
«Ciao Ca, tutto bene?».
Strana la frase di circostanza. «Che sarà successo?», mi chiedo. Il tono poi era serio, non quel linguaggio eternamente giovane e leggero che sentivo e mantenevo tutte le volte che uscivamo. Perché io ero felice di uscire con lui, ma vivevo nella preoccupazione di non dover forzare il suo ateismo con il mio Cattolicesimo.
«L'ho conosciuto!»
«Chi?»
«LUI»
«Lui chi?»
«Dio»
Silenzio.
«Ma come...?»
«Quest'estate mi sono rivisto con N. (comune amico, uno di quelli che sembrano sempre inconcludenti nella vita) e lui mi ha portato all'adorazione. Sono andato scettico, sono uscito turbato e la settimana dopo ci sono tornato cattolico».
Rimango in silenzio. Anche io sono uscito con il mio amico, con il mio fratello, quest'estate. Avevo una gioia: ero giovedì, ma non c'era l'adorazione in parrocchia. Non avrei saputo gestire le due cose insieme, invece era così semplice: dovevo uscire verso di lui, lontano, e portarlo dentro, vicino a LUI.
Perché la Chiesa può anche uscire, ma se poi lascia la gente fuori dimenticandosi di portarla dentro, allora non serve a nulla. Quando esci serve il fuoco di casa negli occhi, serve la passione per la Sua vigna per risvegliare gli oziosi che, lo sanno, non desiderano una vita per strada ma vogliono vivere per il Padrone. Una Chiesa che esce per dire a chi sta in piazza che comunque va bene così, non è apostolica ma codarda, non è madre ma zingara.
Alla fine della telefonata mi è scesa una lacrima. Io che sono il suo amico e ministro di questa Sposa stupenda, proprio io sono stato il codardo che ha mutato tante occasioni di missione in vergognosa fuga.
Don Carlo Pizzocaro
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