Certe storie hanno bisogno di un seguito, altre un po’ meno. Anzi ci sono storie che forse devono proprio finire al “primo colpo”, senza tanti prolungamenti e infarinature. I film da questo punto di vista non sono da meno: è tendenza oggi montare da una pellicola che riscuote un buon successo un’intera e lunghissima saga. Una saga non è sinonimo di successo, anzi oggi più che mai è necessario un certo “saper fare” perché il rischio di un disastro è sempre dietro l’angolo; se poi parliamo di cinema il rischio, si sa, è una vera e propria costante.
Il punto è che per certi film, o per meglio dire per certe storie, il congedo è la miglior mossa che si possa fare, a maggior ragione se poi ti manca quel citato “saper fare”. L’Era Glaciale è una di quelle pellicole che meritava un giusto congedo: probabilmente lo meritava dal primo film, ma per la Fox sembrava necessario allungare il brodo fino allo stremo, esautorando tutto quello che di buono c’era.
Siamo arrivati al quinto film, e il risultato è qualcosa che ha del disastroso. Un disastro probabilmente già annunciato dal secondo episodio, perché la saga, film dopo film, ha solo accumulato difetti e qualche incasso di medio risultato. In “In rotta di collisione” si ha l’apice di una demonizzazione vera e propria.
Partiamo dai protagonisti della vicenda: personaggi che in cinque film non hanno avuto nessuna evoluzione anzi hanno subito un vero e proprio immobilismo nella loro caratterizzazione. Manny, il mammut, è ancora il borioso personaggio in cerca sempre di qualcuno su cui lamentarsi (questa volta si tratta del fidanzato della figlia); c’è ancora Diego,la tigre dai denti a sciabola, che fa il duro con il cuore tenero; Sid, il bradipo, è rimasto ancora goffo e stupido; poi a concludere c’è lo scoiattolo Scrat che anche in questo film fa una storia a se che ha che fare di nuovo con il suo disperato tentativo di tenere stretta la sua ghianda. A peggiorare le cose è che al fin della fiera non sono fino infondo loro a tenere in piedi la baracca, anzi sembrano più dei comprimari: a tenere le leve è il personaggio di Buck, il furetto, che si dimena in gag folli che di esilarante hanno ben poco (nonostante il doppiaggio nell’originale del bravissimo Simon Pegg). Quelli secondari sono inconsistenti e alcuni risultano addirittura fastidiosi ( i due opossum arrivano al culmine della non sopportazione).
La trama da questo punto di vista non presenta innovazioni significative e porta una vera e propria ripetizione del precedente: una catastrofe imminente porta l’intero gruppo ad un viaggio che porta ad un ennesimo finale riconciliante. Inoltre si segue ancora la linea che ha caratterizzato tutte le pellicole precedenti: da una parte le vicende di Manny e compagni e in parallelo le peripezie di Scrat con la sua ghianda. La sceneggiatura poi è debole, e si perde in uno humor che ha una demenzialità imbarazzante, fatta di gag prevedibili e infantili.
Per quanto riguarda la realizzazione grafica gli autori sembrano non essersi veramente impegnati: la grafica è scialba; gli sfondi poco curati e mal dettagliati (su questo le scene che avvengono nello spazio per esempio mancano di una giusta resa nel colore) e i paesaggi perdono un po’ quella forza stilistica che aveva caratterizzato il primo film.
Insomma anche questa volta non è andata bene ai preistorici protagonisti. Il film ha incassato bene nel mondo (373.884.000 milioni su un budget iniziale di 105 milioni di dollari) ma le critiche sono state per lo più negative. Un vero peccato per una storia che ai suoi esordi ci aveva insegnato il valore del riscatto dal proprio dolore o la lealtà verso rapporti strani ma sinceri. Ed è qui il vero problema che ha caratterizzato tutti i seguiti fino a questo capitolo che si spera sia conclusivo: è l’assenza di un messaggio forte che viene totalmente rimpiazzato dall'idea che un film per bambini (e anche adulti) deve essere solo tante risatine e storiella melensa.
Antonello Di Nunno
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