martedì 19 ottobre 2021

In perpetuam memoriam di Luigi Amicone




Il fondatore di Tempi si è congedato da questo mondo, tornando alla Casa del Padre, durante la scorsa notte. Fu redattore de Il Sabato e suo inviato di pace nelle zone colpite dalla guerra, quali Belfast, ove raccontò la guerra civile tra protestanti e cattolici, e Libano, martoriato dallo scontro con la Siria; documentò anche la caduta dei regimi comunisti, tra il 1989 e il '93. Successivamente, nel 1994, fondò la Tempi di fraternità, mantenendo nel corso del tempo rapporti di collaborazione con Il Foglio e Il Giornale.

Era soprattutto marito e padre di 6 figli; scrittore e giornalista a metà tra "figlio del tuono" e l'esser paolino, giacché le sue parole erano potenti (l'influenza di Pasolini e Testori si faceva sentire) e ricche degli elementi che caratterizzano la parresia: libertà di parola, franchezza nel dire e audacia della testimonianza. Egli Battagliava con tutto il vigore dell'allegra baldanza ("Vivi, pazzo vivi!") di chi l'aveva scampata bella dalla sudditanza, con varie gradazioni (da quella più moderata a quella estremistica), della cultura di sinistra, grazie all'incontro con Don Luigi Giussani; come lui tanti altri, tra cui Giancarlo Cesana, don Eugenio Nembrini. Dal 2016 a pochi giorni fa, è stato consigliere comunale di Milano con Forza Italia.

Amicone aveva capito che il cristianesimo deve farsi cultura e non diventare subalterno al mondo, difendendo la Verità nella Carità. Operò da cattolico di "minoranza creativa", come ormai lo sono i credenti non fluidi, per provare a testimoniare la Fede in una società ad essa largamente indifferente, non solo non più cattolica, ma nemmeno più cristiana. E non posso dimenticare che fu tra quei fortunati che sostennero la candidatura al premio Nobel di un grande scrittore brianzolo, Eugenio Corti.

Lo conobbi di persona nell'autunno del 2012, presso il collegio San Giuseppe di Torino, dove era venuto per presentare "Polvere", libro di Giovanni Donna, dottore e scrittore torinese. Lo conobbi dopo la presentazione, grazie a un'amica in comune, Maria Vietti, brava poetessa e fisioterapista. In quell'occasione lo invitai a venire a trovarmi in Valle di Susa, per fargli capire quanto non corrispondesse alla realtà dei fatti lo slogan "no Tav uguale valsusino", vexata quaestio per la Valle.

Mi venne a trovare alcune settimane dopo, a Borgone Susa. All'incontro, erano con me l'amico e collega Marco Margrita, la consigliere comunale Laura Melis e l'imprenditore informatico Maurizio Berta, temprati dal fuoco di tante battaglie politiche, curatore di progetti coraggiosi come l'Officina e La Pietra nello stagno. In quell'occasione Marco divenne corrispondente dalla Valle per Tempi, fatto di cui sono ancora adesso fiero, difatti consiglio di recuperare i suoi articoli: perché fu coronamento di un'operazione di vera dissidenza culturale, allo scopo di testimoniare una presenza cattolica originale, che scorgeva dietro al movimento No Tav, sì, anche delle preoccupazioni economiche e politico-ambientali condivisibili, però soprattutto l'ombra - e qui cito Del Noce - del "partito radicale di massa" (giustizialismo piagnone 
e giacobino, e terrorismo rosso compresi: leggasi "prima linea" e "lotta continua"), che stava avendo - come nel '68 - un'influenza nefasta sulle menti e i cuori dei valsusini, compresi i cattolici della Diocesi, la quale rischiò di essere spaccata in due. D'altronde, Luigi Amicone aveva intervistato Václav Havel e Lech Wałęsa, perciò non poteva non volerci bene.

Tra giugno e luglio del 2013 fu lui ad accogliermi a Milano, nella vecchia sede di Tempi, in Corso Sempione. Qui, tra una fumata di sigaro e sigarette, mi concesse una lunga intervista incentrata su vari temi, per il sito Elzeviro.eu: dalla situazione della Chiesa (Benedetto XVI aveva abdicato da pochi mesi), passando per il transumanismo, la biopolitica, fino di nuovo al Tav. Parlammo ad esempio, in tempi non sospetti, di colonizzazioni ideologiche, le cui terre di conquista erano e sono i corpi (si pensi all'utero in affitto, alle "banche dei gameti") e le coscienze di ogni uomo. Ricordo ancora l'emozione, di giornalista imberbe; mi sentivo come uno dei giornalisti de Il Sabato, per me rivista "leggendaria", che quando dovevano fare un'intervista, si presentavano a casa dell'intervistato. Da qui, me ne andai con la certezza che il male non ha mai l'ultima parola, anche quando sembra invincibile e terribile. Fu tra gli incontri importanti, che in quell'estate mi aiutarono ad accompagnare mia madre ricoverata in ospedale, la quale, il 16 agosto di allora, oltrepassò il "velo di vetro e argento" tra questo mondo e l'Altro.

Il 30 ottobre tornò in Valle. Ad Avigliana, con il Margrita e altri amici, gli feci incontrare un centinaio di persone, tra cui imprenditori e amministratori locali, rappresentanti di quella sana maggioranza silenziosa che all'ideologia del "No trenocrociato" mai si sono arresi, e nemmeno a quella di un "Sì semplicistico" e altrettanto ideologico, da muro contro muro. L'incontro si intitolava “Star di guardia ai fatti: il Papa, il relativismo, il dialogo” e fu promosso anche dall’Associazione Culturale “Il Laboratorio” e dal Circolo MCL (Movimento Cristiano Lavoratori) Impegno Sociale Valsusino.

Prima, si tenne una cena, alla quale avevo invitato l'amico Farhad Bitani, figlio di un generale afghano, autore di un libro memoria - "L'ultimo lenzuolo bianco" - sul suo amato e travagliato Afghanistan. Poche settimane dopo, Tempi gli dedicò copertina e intervista. Eh, in Amicone cuore e fiuto per la notizia andavano a braccetto. Durante l'incontro, Amicone affermò, per contestualizzare la figura di Papa Francesco, all'epoca eletto da soli due mesi: «Non è certo quel Papa-Obama che il pensiero mainstream vorrebbe spacciarci, ma è innegabile che siamo di fronte ad un potente cambiamento […] Il Papa non cede alla postmodernità, ma l’affronta, all’insegna della semplicità, con gesti densi di significato e con un’audacia missionaria che può parlare a tutti». E non mancò di fare riferimento al Pontefice precedente: «Occorre ricordare che è la rivoluzionaria rinuncia di Benedetto XVI ad aver aperto questa stagione che stiamo vivendo». Serbo ancora intatto il ricordo del dopo conferenza, svoltosi tra tante risate, ancora voglia di dibattere, diversi bicchierini di Sansimone, che bevve per la prima volta proprio quella sera, e l'amico Davide Camandona, il quale cercava di spiegargli come funzionasse il telefonino high-tech comprato da poco.

Voglio dedicargli le parole che un grande cattolico inglese, quale fu Hilaire Belloc grande amico di Chesterton, scrisse poco prima di morire, che ben si confanno alla sua persona: “ Oggi c’è una tendenza alla tristezza, lo so, e uomini senza fede raccontano le cose che non hanno godute. Per conto mio non cederò a quest’abitudine. Io penserò di aver più perfettamente gustato nella mia mente ciò che può essere stato negato al mio corpo, e descriverò per me e per gli altri un piacere più grande di qualsiasi piacere del senso. Farò quello che hanno sempre fatto i poeti e i profeti e soddisferò me stesso con la visione, e (chissà) forse per mezzo di essa il Grifone dell’Ideale è stato reso migliore (se fosse possibile!) di quello che esso è realmente in questo mondo incerto e cattivo”. Poiché “La gloria illumina - è sempre Belloc a scrivere - e dà vita al mondo che noi vediamo e la luce vivente rende le cose reali che ora ci vengono rivelate, superiori a delle verità assolute: esse ci appaiono come verità attive e creative”.

Ora, non rimane che pregare per accompagnarlo nel suo cammino verso la fonte di quella gloria e luce vivente, Dio stesso, e per sostenere i suoi cari.







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