Leggo l’intervista e penso a tante cose, forse troppe, ma ritengo di poterne sottolineare alcune.
Potrei cominciare ricordando al Ministro che la situazione della accoglienza dei disabili in molte scuole è disastrosa, che le strutture sono inadeguate, che molti genitori non sanno ancora se e quando ci sarà un insegnante per seguire i loro figli. Che non ci sono i soldi per uno straccio di progetto, per pagare le collaborazioni, le ore eccedenti. Potrei ribadire che ho colleghe che per poter lavorare sono dovute venire su dalla Sicilia qui al Nord lontane dai loro cari, senza alcun appoggio e che sanno che torneranno a casa solo nei ponti lunghi oppure a Natale e Pasqua. Potrei anche dire che un ministro della Repubblica con un ruolo pubblico ben definito che si era fatta fotografare in topless sulla spiaggia (cosa in sé già un poco sconveniente visto il ruolo ricoperto), per altro non più giovanissima, magari non è proprio la persona più adatta per parlare di come “insegnare amore”, ma non partirò da qui. Le questioni in ballo sono altre.
La prima è più una domanda: cosa intendiamo dire quando usiamo la parola amore? Sì perché nessun discorso si potrà avviare se prima non ci si chiarisce sul significato che attribuiamo a tale parola. Con amore intendiamo la somma dei sentimenti che proviamo quando abbiamo un’attrazione per qualcuno? Solo attrazione fisica o qualcosa di più? Se l’amore è solo un sentimento allora può finire presto e lascia spazio a che cosa? Ogni sentimento è amore quindi anche ciò che provo per il mio animale domestico lo è? E ancora, in un’epoca in cui più nessuno parla di sacrificio non vale la pena forse dire che l’amore è anche questo? Non vale forse la pena affermare con coraggio che prima di qualsiasi discorso di equità di genere, parità di genere o discriminazione vi è un alleanza fondamentale per la nostra società che è quella di un uomo e di una donna? Due universi così differenti eppure pari in quanto a dignità e i soli capaci di generare, accogliere e custodire la vita? Domande che potranno sembrare banali (e certamente politicamente scorrette), ma in questi ultimi anni sono tanti i progetti contenenti la parola amore che in realtà parlavano di tutt’altro a volte anche rasentando la pornografia, puntando a una sessualizzazione precoce, per non dire precocissima, e pretendendo anche tra i più piccoli di introdurre concetti come aborto e contraccezione (che con l’amore bisognerebbe vedere cosa ci azzeccano).
La seconda questione è se questo ” parlare d’amore” sia un compito primario della scuola (e più in generale dello Stato). Non nel senso che in classe non si debbano assolutamente affrontare determinati argomenti, ma viene lecito chiedersi se questo possa essere fatto bypassando la famiglia. In poche parole si vuole o non si vuole riconoscere la preminenza del ruolo della famiglia in merito a temi così delicati? In questi giorni dove si discute tanto (molto a sproposito) di Costituzione non varrebbe ricordare anche l’art. 30 in cui si riconosce il diritto e il dovere della famiglia di provvedere all’istruzione ed educazione dei figli? Se chi comincia è a metà dell’opera allora è lecito dubitare. Basti osservare come sono state trattate le associazioni dei genitori che chiedevano chiarimenti proprio in merito a questi temi in vista della pubblicazione delle linee attuative della Buona Scuola. Genitori e loro associazioni di rappresentanza trattati a pesci in faccia, con tono sprezzante e senza nemmeno fornire una bozza significativa di tali linee guida. Anche il fatto che non siano ancora state ufficializzate è segno evidente di un certo imbarazzo.
Se poi a questo sommiamo che Presidenza del Consiglio e UNAR hanno riconosciuto per il triennio 2013-2015 come enti accreditati (nella “strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sul l’orientamento sessuale e sull’identità di genere” che riguarda anche l’ambito della scuola) 29 associazioni della galassia LGBT e nessuna rappresentanza di genitori ogni preoccupazione è d’obbligo.
Terza e ultima questione, ma non per importanza, ci si domanda se i veri protagonisti di queste tematiche non debbano essere i bambini e i ragazzi con le loro domande e le loro necessità. In poche parole siamo proprio sicuri di partire da quelle che sono le reali domande del bambino? Da quelle che sono le sue sensazioni, le sue sicurezze e insicurezze e i suoi reali bisogni? Il rischio (ma visti certi programmi vi sarebbe da dire che è una certezza) è che nell’approccio a determinate tematiche non ci sia un vero e proprio prendere per mano l’alunno e accompagnarlo dove si sente pronto, sicuro e accolto e impara a conoscere ciò che è, da dove viene e qual è il suo posto nel mondo, ma che lo si voglia tirare in una direzione che è stata decisa a tavolino, da altri per lui e a prescindere da lui, verso un disegno che ogni giorno che passa assume tratti inquietanti ed in cui nemmeno più padre e madre possono dire la loro. Tutte illazioni? Allora perché si vuole rendere questa nuova “educazione” curricolare? Non si potrà nemmeno chiedere l’esenzione? O un contraddittorio o una attività alternativa?
E poi in ultimo alla Giannini vorrei dire questo. Noi insegnanti abbiamo moltissimo da imparare e certamente dobbiamo continuare a formarci e aggiornarci, ma su una cosa siamo dei professionisti. Siamo esperti dell’umano prima che in qualunque altra materia e siamo immersi nella realtà tutti i giorni, da quella dei più piccoli a quella dei giovani che si affacciano al mondo del lavoro o dell’Università. La conosciamo, la studiamo e a volte anche la subiamo e ne scorgiamo le ferite. Sappiamo che è complessa, variegata, difficile eppure incommensurabilmente ricca, ben più di qualunque becero indifferentismo che si pretende di insegnare a scuola certamente non nell’interesse dei nostri alunni e dei nostri figli.
Andrea Musso
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