domenica 27 dicembre 2020

Meditazione nel giorno di San Giovanni Evangelista

Natività per l'altare Paumgartner (1496–1504), Albrecht Dürer, 
Alte Pinakothek di Monaco di Baviera



"Pace in terra!" (San Luca, II, 14)

Dopo aver meditato i sentimenti di Giuseppe e di Maria nelle prime adorazioni che essi offrono al Verbo fatto carne, consideriamo l'accoglienza che questo Dio onnipotente riceve dagli uomini. Come ricevono essi il loro Creatore? L'accoglienza può riassumersi con le parole: notte, silenzio, sonno, indifferenza generale. Soltanto pochi pastori, semplici, umili, vegliano. E alcuni sapienti, anime superiori, elevate al di sopra degli interessi di questo mondo, lo cercano. Sono anime libere da ogni preoccupazione terrena! libere da pensieri sia di ambizioni mondane, sia di aspirazioni superbe.

È l'eccezione che viene a fare corteo al Re dei re.

Soltanto i distaccati, i liberi vengono alla stalla e riconoscono l'Atteso dei secoli.

O Dio! avvolto di fasce e adagiato in una mangiatoia, come ti troverò, come ti riconoscerò, se sono assopito nella indifferenza e nell'oscurità di una notte senza stelle, se la mia mente non è occupata che da vani pensieri; se il mio cuore non batte che per vani desideri? Se la vanità mi seduce; se il lusso mi attira; se le preoccupazioni del benessere mi assorbono...

Spirito del presepe, distacco, semplicità, umiltà, abbandono, come siete lontani dal mio spirito!

È un Dio, è il nostro Dio, il nostro Giudice, che ci dà una tale lezione, e noi siamo ribelli e non vogliamo comprendere.

Che cosa potrò fare oggi per avvicinarmi a Gesù Bambino? Come potrò essere più semplice, più umile, più calmo nel mio abbandono?

O Gesù Bambino, unisco ai battiti del tuo Cuore divino ciascuno dei battiti del mio cuore; ti esprimano essi la mia buona volontà.

Tratto da Dieci minuti a Dio, Y. D'Isné



sabato 26 dicembre 2020

Meditazione per il giorno di Santo Stefano

 

Natività di Gesù, Giovanni Carobio, olio su tela, secolo XVIII (1717 - 1752), 
presso la Diocesi di Bergamo


"Gloria a Dio! pace all'uomo" (San Luca, II, 14)

Ascoltiamo questo canto celeste la cui divina armonia è l'espressione dell'ordine stabilito per sempre.

Quale estasi nel cuore così puro di Maria, nell'anima così fedele di Giuseppe! Hanno mai sognato altra cosa?... «Gloria a Dio! pace all'uomo!». Fu questo il canto della creazione nei primi giorni dell'Eden. È il canto della natività del Redentore.

Essi vi si associano con tutto il fervore del loro amore, contemplando la fragile e graziosa forma sotto cui si nasconde l'Onnipotente, il Salvatore! Si uniscono al canto degli Angioli e al silenzio di Gesù per dire: «Gloria a Dio!» poiché quest'annientamento, questa umiliazione, questo esteriore abbandono, questa apparente debolezza del Verbo, non è che l'espressione della continua preghiera del suo cuore: «Eccomi, mio Dio, eccomi per fare la tua volontà!». Giuseppe e Maria vi si uniscono con una perfezione che non fu eguagliata da alcuna creatura. Anche essi faranno la volontà del Padre Celeste, non sono quaggiù che per questo. Questa volontà li ha condotti a Betlemme, poi alla stalla, li trascinerà in Egitto, li ricondurrà a Nazaret; essi sono là per compiere la volontà di Dio.

Preghiamo ai piedi della mangiatoia dove riposa il Dio Bambino, e prendiamo, vicino a Giuseppe ed a Maria, lo spirito di umile sottomissione, di filiale premura per compiere ciò che Dio vuole da noi. Fra i primi ci serve qui di modello, in modo mirabile, Santo Stefano: il perdono a quelli che ci hanno afflitto; e poi il raccoglimento per ben conoscere la volontà di Dio e l'energia per metterla in pratica.

Eccomi, mio Dio, eccomi per fare la tua volontà!

Tratta da Dieci minuti a Dio, Y. D'Isné

venerdì 25 dicembre 2020

Festa di Natale

 

Natività, Matthias Stomer, c. 1640, Chiesa dei Cappuccini di Monreale


Vangelo della Natività di Nostro Signore

Messa dell'Aurora.

San Luca, II, 15-20

In quel tempo i pastori presero a dire tra loro: «Andiamo fino a Betlemme, a vedere quel che è accaduto e che il Signore ci ha fatto sapere». E andarono in fretta e trovarono con Maria e Giuseppe il Bambino giacente nella mangiatoia. E vistolo, si persuasero di quanto era stato loro detto intorno a quel Bambino; e tutti coloro che li udivano, si meravigliavano delle cose riferite loro dai pastori. Maria poi conservava in cuore tutte queste cose e le meditava. E i pastori se ne ritornarono, glorificando e lodando Iddio per tutto quello che avevano udito e veduto, secondo che era stato loro detto.



Meditazione tratta da Dieci minuti a Dio del D'Isné

«Maria lo avvolse di fasce e lo adagiò in una mangiatoia» (San Luca, II, 7).

Assistiamo, umili, raccolti, commossi all'arrivo dei viaggiatori cacciati lontano da ogni asilo umano...

Essi sono felici e riconoscenti alla vista della stalla, ricovero insperato; lo condividono con gli animali; ma che importa? Essi ringraziano Dio.

Ed ecco una grande luce illumina il cielo. Un canto, sconosciuto fino allora, riempie l'aria di liete vibrazioni, il compimento di una magnifica speranza è dato alla terra: «Gloria a Dio! pace all'uomo!» poiché il Signore si è piegato verso di lui, lo ha visitato e suggella oggi il patto della riconciliazione e del perdono.

L'ordine è ristabilito. Un Dio ha preso la forma umana per riparare il male commesso dall'uomo. Egli nasce povero, umiliato, abbassato, Egli dice in cuor suo, secondo la parola del profeta: «Eccomi mio Dio! eccomi per fare la tua volontà». Dio è glorificato, e sull'uomo discende la pace e la benevolenza del Signore!

Adoriamo la saggezza del piano divino, cerchiamo di conformarvi la nostra vita. Se siamo atterriti dalle nostre colpe, se ci domandiamo come ristabilire l'ordine, glorificare Dio e gustare la pace, avviciniamoci al Dio Bambino, baciamo con rispetto il fragile involucro nel quale il Verbo di Dio si annienta; non mormoriamo delle prove che intralciano i nostri desideri o contrariano i nostri gusti; la nostra docilità, il nostro abbandono glorificano Dio e attirano sul nostro capo il perdono e la pace.

Prendiamo al presepe le preziose lezioni di umiltà, sottomissione al beneplacito di Dio, di raccoglimento e di abbandono. Cerchiamo di finire l'anno vicino a Gesù, nella stalla, tra Giuseppe e Maria. Uniamo le nostre preghiere alle loro e chiediamo il loro soccorso.

Eccomi, o mio Dio, per fare la tua volontà! Vicino a te, Divino Infante, divenuto così povero per amor mio, ogni sacrifizio mi sembra dolce.







IX giorno della Novena del Santo Natale

 

Particolare di  Josef e Maria auf Herbergsuche (Giuseppe e Maria a caccia di ostelli), Carl Rahl, 1865


9° ed ultimo flash della NOVENA di NATALE – “ERO CRAS” - a cura di don Fabio Rosini:

https://youtu.be/MFzFD_zV5go


IX Meditazione tratta da Dieci minuti a Dio del D'Isné


"Non vi era posto per essi, negli alberghi" (San Luca, II, 7).

Accompagniamo le comitive che entrano a Betlemme. Vediamo come sono accolti quelli che hanno l'apparenza della ricchezza o del potere, con quanta premura sono ricevuti; gli albergatori si affrettano a prevenire i loro desideri.

Giuseppe e Maria si presentano a loro volta. Li squadrano, li osservano. Del posto ve n'è ancora, ma bisogna riservarlo per quelli che possono pagare profumatamente; per loro non vi è posto; ed Essi si ritirano senza mormorare, dopo essere stati respinti da tutti gli alberghi. Restano calmi e tranquilli sotto questa nuova prova, perché sono umili e interamente sottomessi al beneplacito di Dio. 

Dopo aver fatto tutto ciò che hanno potuto, escono dalla città; ora aspettano il soccorso di Dio.

Interroghiamoci; facciamo noi così? facciamo tutto ciò che dipende da noi per compiere i nostri doveri di stato, per riuscire nei nostri affari; poi, avendo agito sotto lo sguardo di Dio, sappiamo sopportare tranquillamente l'insuccesso?

E poi, poiché vi sono molte interpretazioni, qual è il movente dell'accoglienza che noi riserviamo ai nostri visitatori? È illuminato da vedute soprannaturali? Vediamo nel povero, nell'umile, l'apparenza di Gesù che si è rivestito, per vivere tra noi, delle livree dell'indigenza? Riceviamo il povero con l'interesse, l'affettuosa carità, cui ha diritto?...

Non lo lasciamo noi bruscamente, mostrandogli che non vi è posto per lui nel nostro cuore, dal momento che si presenta una relazione più lusinghiera al nostro amor proprio?

oh, non condanniamo gli albergatori di Betlemme, noi non differiamo da essi!

Nella Santa Comunione stessa, riceviamo l'Ospite divino come conviene? Vi è sempre per Lui il posto d'onore?

O mio Dio, vieni in me! Temo che tu non trovi che una povera, miserabile stalla, ma io voglio riceverti in essa con tutto il cuore...

Vieni, Signore, vieni!




VIII giorno di Novena

 





Censimento a Betlemme, Pieter Brueghel il Vecchio, 1566, 
conservato nel Museo reale delle belle arti del Belgio di Bruxelles



8° flash della NOVENA di NATALE – “O EMMANUEL” - a cura di don Fabio Rosini: 

https://youtu.be/hZUBhOgSpQs



VIII Meditazione tratta da Dieci minuti a Dio del D'Isné


Giuseppe e Maria giungono a Betlemme

In mezzo all'agitazione tumultuosa che li circonda, Giuseppe e Maria restano nei sentimenti che hanno ispirato la loro partenza e li hanno accompagnati lungo il viaggio.

Dio! Dio! Solo il suo servizio e la sua gloria: fuori di questo nulla li arresta, nulla li preoccupa...

In verità, verrà un giorno - incontro al quale noi camminiamo - un giorno in cui non vi sarà più posto per noi nell'albergo di questo mondo; un giorno in cui saremo deposti nel feretro, come il Dio Bambino avvolto di fasce fu adagiato in una mangiatoia; un giorno in cui, per quanto  grande sia la nostra opulenza, saremo ridotti alla più completa povertà. Quel giorno, inizierà la nostra vita, segnerà la nostra nascita eterna.

Andiamo a questo ultimo e definitivo spogliamento, staccandoci volontariamente da tutto ciò che ci arresta nella via che conduce a Dio. Quanta maggiore energia porremo nel liberarci dagli ostacoli del mondo, ostacoli della vanità, del benessere, del lusso, tanto più saremo ricchi quando appariremo dinanzi a Dio.

Prepariamoci alla Comunione di Natale con il fervore che vorremmo avere nell'ultimo dei nostri giorni, con la cura che cerca, accusa e piange le minime macchie; prepariamoci a ricevere degnamente il Dio purissimo e santissimo, sulla terra, affinché ci accolga un giorno, poveri peccatori quali siamo, nei suoi eterni tabernacoli.

Signore, io non son degno, ma di' soltanto una parola e sarò salvo!


martedì 22 dicembre 2020

VII giorno di Novena



Arrivo della Sacra Famiglia alla locanda di Betlemme, Joseph von Fuehrich, olio su tela, 
1838, Berlino, Nationalgalerie, Staatliche Museen zu Berlin 



7° flash della NOVENA di NATALE – “O Rex Gentium" ... - a cura di don Fabio Rosini:




VII Meditazione tratta da Dieci Minuti a Dio di Y. D'Isné


Giuseppe e Maria giungono a Betlemme


Quale tumulto intorno alla città! quale fretta di sorpassarsi gli uni gli altri, per essere sicuri di trovare alloggio! quali sollecitudini del benessere materiale, dei propri comodi, dei propri gusti! Molto diversi sono Giuseppe e Maria. Gli Angeli li circondano; lo sguardo di Dio è su di loro, essi conversano con Lui nel silenzio dei loro cuori. Dio è tutto; li assorbono interamente il suo servizio e il suo amore; non hanno altro pensiero che di piacergli e di compiere la sua volontà.

Anche ora avviene lo stesso nel mondo. La folla si agita e brontola per disputarsi i brani o gli avanzi delle cose inutili o cattive; corre dietro le vanità, vuole la sua parte di appariscenza, prende tutto ciò che brilla, e in questa folle corsa, calpesta, se occorre, quelli che vanno altrove, quelli che non cercano che il vero, l'immancabile, l'eterno.

Giuseppe e Maria non si agitano. Dove alloggeranno? dove nascerà il Dio Bambino?... Non se le rivolgono queste interrogazioni; essi faranno quanto dipenderà da loro per assicurargli un asilo, poi aspetteranno tutto da Dio, come se non avessero fatto nulla, e ciò tranquillamente, umilmente.

E noi? Raccogliamoci e cerchiamo quali sono i desideri, le preoccupazioni, le cure che ci assorbono. Qual è il pensiero che mi assedia, qual è il principale motivo delle mie pratiche, delle mie parole e delle mie azioni?

Oh! mettiamo ordine nei nostri desideri e nei nostri sogni. Divenire migliori per piacere a Dio, per compiere la sua volontà; andare a Lui, preparare le vie in quelli che lo ignorano; servirlo e accendere in tutti i cuori il desiderio di essere suoi: ecco il sogno di ogni cristiano che compie accuratamente i suoi doveri di stato, in vista di piacere al Signore che glieli affida. Il resto è l'accessorio; questo ci sarà dato per giunta.

Signore, io mi offro a te per servirti con tutto il cuore.











lunedì 21 dicembre 2020

VI giorno di Novena

 


Arrivo della Sacra Famiglia di Betlemme, Cornelis Massys, 1543, Staatliche Museen di Berlino



6° flash della NOVENA di NATALE – “O ORIENS …” - a cura di don Fabio Rosini:

https://youtu.be/gAOovtoqr2g


VI Meditazione tratta da Dieci minuti a Dio del D'Isné


Giuseppe e Maria verso Betlemme

Essi vanno, attraverso una strada comune, alla rivelazione di Dio. Vanno a Betlemme perché Gesù vi nasca. Essi si preparano a questo avvenimento, con il raccoglimento, con la preghiera e la totale indifferenza per quanto non riguarda il servizio del Signore.

Noi pure andiamo al luogo della nostra nascita eterna, andiamo incontro a Dio, e tutto ciò che non è un soccorso, un aiuto, una luce per preparare questo incontro, ci dev'essere estraneo o indifferente.

Tutto ciò che non è il servizio di Dio o quello dei nostri fratelli, tutto ciò che non è ispirato dall'amore di Dio e da quello dei nostri fratelli, tutto ciò che è fuori dei nostri doveri: doveri verso Dio, verso la famiglia, verso la patria, verso i nostri simili, doveri di personale santificazione e di apostolato, dev'esserci indifferente, perché non sia un arresto, un ostacolo che c'impedisca di raggiungere il fine verso il quale tendiamo.

Mio Dio! forse sono alla vigilia di raggiungere Betlemme, il luogo di luce dove io vedrò te; te che ho tanto cercato in mezzo alle ombre e agli errori di questo mondo.

Eterna verità! illuminami, fammi comprendere ciò che devo lasciare, dimenticare, abbandonare, da oggi, per comparire dinanzi a te con la pace e la gioia del figlio atteso nella casa paterna.

O Dio, spogliami, distaccami da tutto ciò che può dispiacerti.

Crea in me un cuore puro.




domenica 20 dicembre 2020

V giorno di Novena del Santo Natale

 

Il Censimento di Betlemme, dipinto a olio su tavola di Pieter Bruegel il Vecchio, 

1566, Museo reale delle belle arti del Belgio di Bruxelles.


- 5° flash della NOVENA di NATALE – “O CLAVIS DAVID…” - a cura di don Fabio Rosini:

https://youtu.be/MeLD4CZd1SY


V Meditazione tratta da Dieci minuti a Dio del D'Isné


Giuseppe e Maria vanno a Betlemme

Maria porta in cuor suo il segreto della sua perfetta unione col Dio nascosto e sconosciuto; Giuseppe e Maria camminano verso Betlemme, dove Gesù deve essere loro rivelato.

Noi troviamo sempre in questo viaggio il modello della nostra corsa verso l'eternità.

Anche noi portiamo nei nostri cuori il Dio nascosto e sconosciuto dell'Eucarestia e in questa unione troviamo la forza e la luce necessarie per percorrere la via del tempo. Come sulla strada di Betlemme tutti si dirigono verso il medesimo fine, tutti vanno ad iscriversi, gli uni ridendo e cantando, gli altri piangendo; alcuni agitati, altri tranquilli; alcuni avendo tutte le comodità che mitigano i disagi del viaggio, altri urtandosi alle pietre o graffiandosi alle spine, ma tutto ciò è accessorio; la realtà è che tutti vanno a Betlemme.

Soltanto Giuseppe e Maria sanno il vero scopo del loro viaggio, soltanto essi custodiscono Dio e vanno a Lui.

E noi? noi camminiamo con la folla nella grande strada della vita che conduce alla morte, ossia a Dio. Tutti seguono lo stesso cammino. Lo seguiamo noi con l'ignoranza, l'incuranza di quelli che andavano a Betlemme? o sappiamo, come Giuseppe e Maria, che andiamo incontro a Dio, che la morte ci rivelerà?

O mio Dio! illuminami, fortificami, liberami dai pensieri tormentosi ed inutili. Fa che io cammini oggi sotto il tuo sguardo, ponderando ogni cosa alla luce della fede, giudicandola come nel mio ultimo giorno.






sabato 19 dicembre 2020

IV giorno della Novena di Natale

 

Il sogno di Giuseppe e il viaggio a Betlemme, tra i mosaici dell'esonartece, 
chiesa di San Salvatore in Chora, Instanbul/Costantinopoli



4° flash della NOVENA di NATALE – “O RADIX JESSE…” - a cura di don Fabio Rosini

https://youtu.be/nzi9IjD3NAE



IV Meditazione tratta da Dieci minuti a Dio, del D’Isné


“Giuseppe partì da Nazaret e salì con Maria in Giudea” (San Luca, II, 4).

In questo viaggio di Giuseppe e Maria studiamo ancora una volta ciò che deve essere il modello del nostro passaggio in questo mondo.

Essi portano con sé solo ciò che è necessario per ricevere bene Gesù.

In mezzo ad una folla impacciata da tutto il bagaglio del lusso e del superfluo, essi camminano liberi da ogni cura di ricchezza, liberi da questa sete di far bella mostra, causa di tanti mali presenti; camminano sotto lo sguardo di Dio, preoccupati solo di piacere a Lui. E noi che camminiamo verso Dio, noi che dobbiamo unirlo a noi mediante la Santa Comunione, prima di possederlo colla morte, come attraversiamo le vie che conducono a Lui?

Innanzi tutto, avvicinandosi la festa di Natale, che deve aprirci il Tabernacolo, - nuova culla del Bambino-Dio – lanciamo lontano il triste impedimento delle nostre colpe; non serbiamo nulla che possa turbare la nostra coscienza; sottomettiamo al Ministro del perdono tutto ciò che può essere una nube, un ostacolo fra Gesù e noi… poi cerchiamo ciò che ci arresta nel cammino, nel progresso, nella perfezione, e sacrifichiamo generosamente questo fardello, questo attacco, questa bagatella!

O mio Dio! Illuminami, fortificami; fa che io veda ciò che vuoi da me e concedimi il coraggio di compierlo. Rendimi umile e semplice dinanzi al mondo, come dinanzi a te.


venerdì 18 dicembre 2020

III giorno della Novena di Natale



San Giuseppe accetta la maternità divina di Maria SS., Spello,
 Chiesa di Sant'Andrea, Affresco di Dono Doni, 1565




18 dicembre - terzo flash della Novena di Natale - "O ADONAI...", a cura di don Fabio Rosini:




Meditazione tratta da Dieci minuti a Dio, Y. D'Isné

"Giuseppe partì per dare il nome insieme a Maria" (San Luca, II, 4).


Maria, recandosi a Betlemme, cioè dove la chiama la volontà di Dio, - in mezzo al tumulto delle folle o nella via solitaria - è il modello del nostro ringraziamento dopo la Comunione. Come Maria, noi portiamo il Signore; sia che attraversiamo le strade popolate o i sentieri silenziosi, noi portiamo nei nostri cuori il grande Sconosciuto. Abbiamo il sentimento dell'onore ch'Egli ci fa, cerchiamo che la nostra mente e il nostro cuore restino fedelmente uniti, durante tutto il giorno, all'Ospite divino che ci ha chiesto asilo; e poi, andiamo dove la volontà ci chiama, andiamo senza temere; siamo noi che lo portiamo, ma è Lui che ci conduce. Ah! essa ci invita tutti a Betlemme, all'abbandono, alla rinunzia, all'umiltà, alla dimenticanza di noi stessi, per trovare solo Gesù! Come la Vergine Maria, siamo raccolti e silenziosi, cerchiamo di passare inosservati. Tutte le preoccupazioni di Giuseppe e di Maria erano solo per Gesù, abbandonando a Dio la cura di tutto il resto.

E noi? perfino ai piedi dell'altare portiamo i nostri pensieri vani, i nostri futili desideri, le nostre egoistiche aspirazioni.

O mio Dio! rifammi. Concedimi di comprendere che io sono quaggiù per servire te, te, mio sovrano Padrone; io sono tuo bene, tua opera, tua proprietà e il tuo servizio fa tutta la mia grandezza. Voglio, mio Dio, come diceva Santa Teresa, voglio occuparmi dei tuoi affari, tu occupati dei miei. Te li affido.






Un Noviziato per le Suore Consolatrici del Sacro Cuore di Gesù


Cari lettori,

 vi segnalo una bella opportunità di offrire un prezioso contributo per la "Buona Battaglia" della Chiesa: le Suore Consolatrici del Sacro Cuore hanno bisogno di aiuto per raccogliere 1.150.000 €, allo scopo di recuperare un ex-Convento dei Cappuccini (costruito nel 1600). Una notizia che porta speranza, a maggior ragione se pensiamo che spesso, in questo particolare periodo della storia, accade il contrario in giro per l'Europa: se le chiese, i monasteri e altri edifici della Chiesa, non vengono venduti a investitori pronti a trasformarle in resort, pub (come in Olanda e Belgio), possono essere date a comunità non cattoliche, come ricordava Giulio Meotti nel 2016:

https://www.ilfoglio.it/esteri/2016/04/27/news/in-belgio-meta-delle-chiese-a-rischio-di-essere-chiuse-o-convertite-95442/

Quindi, proviamo a supportare le sorelle, che con fare benedettino desiderano "riedificare" un prezioso assaggio di Paradiso sulla Terra.


Trovate qui di seguito la lettera che le sorelle hanno realizzato per la raccolta fondi:


"Chi Siamo 

Suore Consolatrici

del Sacro Cuore di Gesù

Nel 2014, quando venne in Italia la prima Postulante americana, fu reso omaggio alla Madonna di Guadalupe, intronizzando la Sua immagine. Da quel momento l’afflusso di giovani non s’è più fermato e ora sono 45 membri in tutta la Congregazione: 26 Professe, 8 Novizie e 11 Postulanti, di 7 diverse nazionalità.

In pochi anni sono aumentate in modo esponenziale e, dato il poco spazio ormai rimasto, pur di non rifiutare le Vocazioni, hanno dovuto mettere letti a castello nelle stanze e letti nel laboratorio e nello studio della Superiora. 

Inoltre altre ragazze chiedono di venire per discernere la Vocazione religiosa, ma non avendo più posti disponibili, urge un luogo abbastanza grande per contenere almeno una ventina di persone, dove cominciare un Noviziato per formare le giovani alla Vita Religiosa.

Le Suore Consolatrici del Sacro Cuore di Gesù furono fondate nel 1961 da P. Basilio Rosati, Passionista, che, nel 1996, poco prima di morire, le affidò alle cure di P. Emanuele du Chalard (FSSPX). La Casa Madre si trova a Vigne di Narni (TR).

La giornata si svolge tra preghiera, studio e lavoro. Si occupano di gestire Cappella, casa e giardino; di formare Novizie e Postulanti; di praticare cucito, ricamo e pittura; insegnano il catechismo ai bambini; si prendono cura delle persone anziane della loro casa di riposo e visitano le persone bisognose del paese.

Nel 2006, la Provvidenza ha dato loro un nuovo apostolato in India con un orfanotrofio. Con l’aiuto di benefattori di tutto il mondo, fu costruita una struttura veramente notevole, che ospita un centinaio di persone. Le 7 Suore indiane si dedicano instancabilmente all’educazione di bambine e ragazze orfane e alla cura di persone anziane, spesso trovate sulla strada in stato miserevole.

Dopo innumerevoli preghiere e lunghe ricerche, San Giuseppe ha fatto una grandissima grazia facendo trovare un ex-Convento di Cappuccini (costruito nel 1600), con 30 camere e 5 ettari di terreno recintati, a 40 minuti da Vigne, con struttura ottima, restaurata nel 2000. Purtroppo non essendo occupato da cinque anni, il convento ha subito degli atti teppistici: grondaie e canale strappate e rubate, quadri elettrici e idraulici danneggiati, vetri rotti, ecc.

Il costo proposto di 1.150.000 € è inaccessibile per la Comunità che vive abbandonata unicamente alla Divina Provvidenza.

La Comunità si rivolge quindi a Voi, cari Benefattori, per chiederVi se potreste essere strumento nelle Mani di Dio per offrire, alle Sue future Spose, un posto dove poter imparare nel silenzio, nell’obbedienza e nella carità fraterna, come essere vere Religiose, che consolano il Cuore di Gesù, diffondendone nel mondo la devozione.

Le Suore assicurano un posto speciale nelle loro preghiere e offerte quotidiane".


Come aiutare?

O seguendo il link al sito che le sorelle hanno realizzato:


https://www.consolatricidelsacrocuore.it/#lp-pom-block-14


Oppure usando direttamente le coordinate bancarie:


Ass.ne Suore Consolatrici del S.

Cuore di Gesù onlus

Via Flaminia Vecchia, 20

05035 Vigne di Narni (TR)

Tel. 0744 796406

e-mail: consolatrici@gmail.com

Intesa San Paolo

IBAN: IT45 C030 6972 7101 0000 0005 705

BIC: BCITITMM

Causale: Donazione per il convento





giovedì 17 dicembre 2020

II giorno della Novena di Natale

 

Maria e Giuseppe in viaggio verso Betlemme per il censimento, 

parte del ciclo di affreschi della chiesa di Santa Maria Foris Portas a Castelseprio (Varese), 

VI-X secolo, anonimo.



17 Dicembre - 2° flash della NOVENA di NATALE – “O SAPIENTIA…” - a cura di don Fabio Rosini: 

https://youtu.be/Mr3PJUw2G2I



II Meditazione tratta da Dieci minuti a Dio, Y. D'Isné


"E tutti andavano a dare il nome, ciascuno nella sua città d'origine" (San Luca, II, 3).

Meditiamo ancora una volta l'abisso che separa i figli di Dio dai figli degli uomini, e vediamo quale errato giudizio regna in questo mondo, intorno agli uni e agli altri. Cesare crede di essere il solo e sovrano promotore del movimento universale, e si compiace in questa generale espressione della sua potenza.

I cortigiani che vivono all'ombra del trono, i governatori che trasmettono e fanno eseguire l'ordine imperiale, i dotti, i potenti, i ricchi, i poveri, commentano, biasimano o lodano, - sempre dal punto di vista terreno, incompleto, oscuro, - questa decisione del monarca. Gli abitanti di Betlemme si rallegrano, pensando che la città di David riprenderà vita, movimento, e accrescerà le sue ricchezze, essendo numerosi quelli che le devono la loro origine. L'interesse, l'orgoglio, la vanità, ecco i moventi degli uomini di quel tempo, ecco la fioca luce che illumina le loro intelligenze e dirige i loro giudizi.

E noi, per quanto facciamo, come siamo imbevuti di questi pregiudizi! Noi crediamo dominarli, giungiamo perfino a professare di non farne alcun conto, ci diamo pose esteriori che affermano che ne siamo emancipati. Scrutiamo sinceramente i nostri cuori; interroghiamo la nostra coscienza: nella pratica della vita ci accorgeremo di rendere un perpetuo omaggio a ciò che abbiamo giurato di disprezzare.

Le pompe e le vanità del mondo, l'interesse personale o collettivo, ci affasciano, ci dirigono, ci assorbono al punto da farci deviare continuamente della via che ci siamo sinceramente scelta: Dio, il suo servizio e la sua gloria!

O mio Dio, illuminami dei tuoi celesti lumi, perché tu sia tutto per me.



mercoledì 16 dicembre 2020

In preparazione del Santo Natale: l'inizio della Novena

 

Storie della Vergine: il viaggio di Maria e Giuseppe verso Betlemme, 

Basilica di San Marco, Venezia


Cari lettori,

per prepararci bene al Santo Natale - con oggi siamo in Novena - vi proporrò ogni giorno, fino al 25 dicembre, una meditazione e un video.

La prima è tratta da "Dieci minuti a Dio" del D'Isné. Si tratta di un libro difficile da trovare - pubblicato da Marietti nel 1944 - ma che meriterebbe una bella ristampa, a causa delle preziose meditazioni quivi contenute; il secondo proviene dal cuore di don Fabio Rosini, celebre sacerdote romano e padre del percorso catechetico dei "10 Comandamenti".

Buona lettura e buon ascolto!


Meditazione per il I giorno di Novena

"Anche Giuseppe partì da Nazaret con Maria" (San Luca, II, 4)".

Uniamoci ai pensieri e alle preghiere di questi due viaggiatori. Ascoltiamo le loro parole.

Essi adorano il Verbo, annientato, velato, sperduto in questa folla rumorosa, ignorata da tutti; e, nei loro cuori ardenti e fedeli, la preghiera è tanto più fervente, in quanto sono soli a conoscerlo e a rendergli omaggio.

I loro pensieri non sono che una meditazione ininterrotta del mistero di cui serbano il segreto; e le loro parole, rare e pronunciate a voce bassa, hanno per oggetto il Bambino affidato alla loro pia devozione. Essi sono investiti della confidenza divina e vi corrispondono con tutto l'amore del loro cuore.

E noi?... Dopo la Santa Comunione, non portiamo nei nostri cuori il Dio nascosto, sconosciuto, ignorato? E questa ignoranza, questa sconoscenza, quasi universale, ci turba e ci rende tiepidi. Siamo colpiti dall'indifferenza generale: Giuseppe e Maria vi trovano un nuovo alimento alle loro adorazioni, mentre essa, per noi, è come uno scandalo o una scusa della nostra tiepidezza e delle nostre negligenze. Chiediamo a Giuseppe e a Maria una fede viva che dia interamente a Dio, che ci leghi a Lui più fedelmente, che mai ce ne allontaniamo, allorché la voce dei bestemmiatori, degli apostati, degli increduli giunge fino a noi. Ah! se potessimo riparare le loro colpe, soffocare i loro clamori, aver tanto zelo nel ricondurre i traviati, quanto ne spiegano essi per perderli! Almeno che il fervore del nostro ringraziamento consoli il Dio nascosto, che si affida a noi.

O Signore! O Gesù! Più i cuori saranno freddi, increduli, ribelli, più io ti amerò!.


Ed ecco il link al video

https://youtu.be/a50TRc1IQIk


Qual è l'origine della Novena di Natale?

Essa è una preghiera che - sebbene non sia riconosciuta "ufficialmente" dalla Chiesa - è ben raccomandata, oltre che fortemente praticata in questo periodo dell'anno dal popolo cattolico.

Le origini della stessa risalgono al 1720, quando venne eseguita per la prima volta in una casa di missionari vincenziani di Torino nel periodo di Natale. Tra i maggiori promotori di questa serie di orazioni ci fu Gabriella Marolles delle Lanze, marchesa di Caluso. A seguito della sua conversione, nel periodo in cui frequentava la chiesa dell’Immacolata Conzezione (progetatta da Guarino Guarini, in Via Arsenale 20) ascoltò questa Novena e ne restò particolarmente colpita. In procinto di morte stabilì nel suo testamento che si recitasse a ogni Natale questa serie di orazioni, così tramandandola anche alle generazioni successive.

mercoledì 9 dicembre 2020

Reportage dal Mondo Piccolo di Giovannino Guareschi

 Cari "23 lettori" ("25", se facciamo i manzoniani),

 
con il presente post ho il piacere di rendervi idealmente partecipi del viaggio che noi de La Baionetta e altri amici abbiamo fatto nel "Mondo piccolo" guareschiano, tra Roncole Verdi, Parma e Brescello, sabato 10 e Domenica 11 ottobre scorsi.

La prima tappa dell'itinerario è stata la capitale letteraria di quella "fettaccia di terra che sta tra il Po e l'Appennino", ossia Roncole Verdi, nel bussetano o bassa parmense; a pochi chilometri da Fontanelle, la città natale del "subcreatore" di Don Camillo e Peppone; a Roncole Verdi vi è la sua casa-museo e la tomba in cui riposano le sue spoglie mortali. Parma è stata la mèta della seconda tappa.

Il giorno seguente è stato dedicato alla scoperta di Brescello, la capitale cinematografica del Mondo piccolo, nella bassa reggiana. Qui Fernandel diede il volto a Don Camillo e Cervi a Peppone, nei 5 film a essi dedicati, diretti da Julien Duvivier (i primi due), Carmine Gallone (il terzo e il quarto) e Luigi Comencini (l'ultimo). A Brescello, nel raggio pochi m si trovano la chiesa con il "crocifisso parlante" e i musei "Peppone e Don Camillo" e il museo "Brescello e Guareschi il territorio e il cinema". 

Il primo giorno, passato alla storia per i 207 anni dalla nascita del Maestro Giuseppe Verdi e la beatificazione di Carlo Acutis


Roncole Verdi. A pochi metri dalla casa del Verdi e visita alla
Casa Museo e Archivio Giovanni Guareschi

Giovannino, sua moglie Ennia Pallini, Alberto e Carlotta "la pasionaria"


Quell’intervista di Messori per capire veramente Il nome della rosa



Di recente ho avuto modo di visionare la serie televisiva dedicata all’opera di Umberto Eco; e ciò mi ha offerto l’opportunità di ragionare non solo sulla serie, ma anche – e soprattutto - sul significato del libro stesso e altro. Tra il 4 e il 25 marzo 2019 la Rai ha trasmesso la serie dedicata a Il nome della rosa. Un ritorno sugli schermi, dopo trentatré anni dall’uscita del film di Jean-Jacques Annaud, passato non con poche discussioni: indubbiamente l’azienda di Viale Mazzini ha provato a dare un tono di internazionalità, con un cast pregiato per quanto riguarda alcuni interpreti, ma tante sono le discrepanze tra fotografia, dialoghi e scene esasperate ma di poca qualità cinematografica. C’è però un aspetto da non sottovalutare: la serie ha rimesso all’attenzione dei più l’opera di Umberto Eco del 1980 e, forse, potrebbe essere una buona occasione per riprendere alcune riflessioni che passarono in sordina proprio durante l’uscita del libro.

Vale la pena quindi riportare alla memoria alcuni passi di un’intervista fatta da Vittorio Messori allo stesso Eco nel 1982 sulla rivista Jesus. Umberto Eco, per dovere di cronaca, era stato dirigente di Azione Cattolica, e probabilmente della sua “apostasia” di stampo intellettuale aveva fatto il suo marchio di fabbrica, o meglio un cavallo di battaglia con cui costruire una sorta di sua mitologia personale. Un punto questo che lo stesso Messori già all’inizio individua: «Non credo più in Dio, ma forse Dio crede ancora in me. Dunque, manteniamo un certo rapporto». Una delle frasi effetto dette dallo scrittore che il giornalista annotava sul suo taccuino. Messori lo sa: l’intervistato è «Intelligentissimo, coltissimo, furbissimo (nel senso ammirato del termine)», come si scrive nell’articolo. La furbizia, quella di Eco, è stata di individuare il campo con cui diventare l’eroe di quel pensiero radical occidentale post-industriale: l’effimero, il frivolo, però trattato secondo i criteri di un ricco apparato critico e filologico che dava quel senso di autorità che porta il seguito della massa.

C’è molto di più però nella furbizia di Eco. Guardiamo proprio per l’appunto a Il nome della rosa, che, come scriveva Messori: «[…] è libro mirabile nel senso etimologico della parola […] Libro tanto più “velenoso” (sarà lo stesso autore a suggerirmi l’aggettivo) quanto più abile, colto, bello». Ed è su questo veleno che si gioca tutta l’astuzia dell’autore: il mascherare una cosa per un’altra, presentare come elisir, come nuova summa, il veleno di un pensiero ben preciso; renderlo inodore a quelli che, almeno in teoria, dovrebbero essere in grado di riconoscerlo. Commentava sempre Messori al riguardo: «L’eccellente riuscita de Il nome della rosa è proprio nella felicità narrativa che permette anche alle casalinghe di arrivare alla fine divertendosi, appassionandosi alla trama, assorbendone gli umori maliziosi senza neppure accorgersene».

Insomma, un perfetto strumento di cultura di massa o, per meglio dire, un perfetto veleno che riesce a farsi strada nella testa delle persone senza farsi riconoscere per quello che veramente è. Fa pensare, d’altronde, come i primi ad accogliere positivamente l’opera furono proprio i cattolici di quel periodo che, a detta dello stesso Eco, dovevano essere i primi a stanare quella tossina. Invece l’opera passa e prende successo (meritato, ma sia chiaro: solo da un punto di vista letterale), anzi peggio, diventerà uno dei peggiori pilastri per una visione negativa del Medioevo. Ma non solo: si insinua il ridimensionamento, parodia, della religione stessa, dei suoi valori, e quindi di Dio stesso.

Una voce fuori da quel coro di ammiratori, cattolici permissivi e non, fu il solo intervento di padre Guido Sommavilla sulla rivista La Civiltà Cattolica, ripreso e menzionato da Messori nella sua intervista e che, stranamente, aveva confortato Eco. Commentava così Sommavilla: «[…] un altro lampante falso storico, tra i tanti di questo libro: tutto costruito a specchi deformanti in serie sistematica e tattica strisciante, a discredito e derisione (anche se poi fa ridere così poco) di tutti i valori della Chiesa, della religione, dell’etica, della civiltà e della vita». Molto duro, ma è certo che il padre individuò i nodi nevralgici che il libro portava. E non è neanche il falso storico il problema di fondo: la consistenza di quel veleno consiste, come individuavano in pieno accordo sia Messori che Eco, nella dimostrazione sibillina che non esiste una verità, tranne la propria (che nello specifico sarà quella dell’autore) personale; citando l’articolo, non c’è differenza tra Cristo e Giuda o tra santo e delinquente, poiché non esiste il termine sicuro di confronto. Questo è il quid del libro: la mancanza di assoluto che toglie quindi possibilità di discernimento tra quello che è bene o male. 

Altro punto dolente (menzionato da Sommavilla, ma non trattato nell’intervista tra i due) sarà poi tutta quell’immagine oscurantista che ricadrà sul periodo medievale: un’era senza ragione, ma permeata di paranoie; il monachesimo come fenomeno di isolamento; la chiesa come istituzione castrante da cui traspare incoerenza, nonché centro promotore delle peggiori e irrazionali superstizioni. Una visione che si è poi incrementata proprio con l’uscita del già citato film di Annaud. La serie Rai su questo non è stata da meno e ha continuato a perpetrare (con tutte le difficoltà che già la caratterizza) luoghi comuni senza la minima storiografia: gli sfondi cupi, le atmosfere tetre, figure ecclesiali abbastanza grottesche nelle varie sfaccettature. Sarebbe giusto ricordare che fu proprio dal monachesimo, e in quel Medioevo tanto bistrattato, che nacque tutta quella serie di esperienze che hanno generato “l’Europa”.

Antonello Di Nunno

domenica 8 novembre 2020

Congedo con onore: In ricordo di Gigi Proietti. Non solo teatro, cinema e televisione nella sua vita, ma anche la nostalgia di Dio


Siccome in molti hanno già sottolineato l'eccezionale talento ed elencato le pregevoli opere di Gigi Proietti... vorrei invitare a considerare altri aspetti importanti, purtroppo poco noti, del grande Proietti, che sono emersi durante il Rito delle Esequie, presso "Santa Maria in Montesanto” meglio nota come chiesa romana degli Artisti. Grazie all'omelia del parroco, don Walter Insero, nonché direttore responsabile dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della diocesi di Roma e cappellano RAI; che conosceva bene l'attore del "Tufello".

Dell'omelia, che vi invito ad ascoltare per intero

   

meritano, a mio avviso, particolare attenzione quei passaggi in cui il parroco ricorda che Proietti era un grande artista non solo dal punto di vista professionale, bensì anche - e soprattutto - da un punto di vista più profondo, alto, ossia spirituale; che non faceva di lui un mero esteta o elitario virtuosista.

Nel suo essere popolare in modo sano sta il segreto del suo notevole successo di pubblico. Attraverso le sue opere sapeva valorizzare, giacché le considerava preziose, le vite di tutte le persone che aveva incontrato e ascoltato per strada, al bar e in altri luoghi. 

Voleva che la missione della chiesa degli Artisti non fosse solo quella di dar loro l'ultimo saluto; ma che divenisse la "casa" dove gli artisti - credenti e non - potessero incontrarsi, dialogare sulla via della Bellezza. E dato che è stata la più grande committente della storia - come mostra la meravigliosa Roma -, la Chiesa deve tornare a esserlo, favorendo l'arte di alto livello per tutti.

Serbava soprattutto un bel ricordo della Santa Messa in latino; la recitava felicemente tutta a memoria, a chi glielo chiedesse. Lui era stato un chierichetto nel periodo pre-conciliare, e come allora continuava ad essere incantato dal Mistero del Sacro, dunque dalla Presenza di Dio.

Sembra proprio (mia aggiunta) che avesse sperimentato quanto asserivano della Messa tridentina due grandi convertiti del XIX secolo, San John Henry Newman: "Nulla è sì consolante, sì penetrante, sì emozionante, sì travolgente, come la Messa, nel modo in cui è celebrata da noi. Potrei attendere la Messa continuamente, e non esserne stanco. Non è semplicemente una formula di parole, è una grande azione, la più grande azione che ci possa essere sulla terra. È... L'evocazione dell'Eterno. Egli si rende presente sull'altare in carne e sangue, davanti al quale gli Angeli si prostrano e i demoni tremano"; e padre Frederick William Faber, anch'esso oratoriano: "È la cosa più bella da questa parte del cielo".

Per questo - ha asserito sempre don Insero - quando ha diretto in qualità di regista "La Tosca", dramma storico di Victorien Sardou reso celebre da Puccini, ha voluto che si recitasse con grande solennità il "Te Deum", poiché è il canto di Lode a Dio, quindi il momento più alto della rappresentazione. Diceva anche che gli attori su palcoscenico non fanno altro che ripetere la profonda poetica della Liturgia.

E ricordava spesso che Dio non va semplicemente studiato, non si può capire, si scopre nel cuore e si sperimenta nella vita.

sabato 3 ottobre 2020

Lettera dal fronte: L’Occidente finisce perché muore il Logos?

Capiterà a tutti di rileggere un proprio vecchio articolo e di non condividerlo più. A me è capitato con questo articolo: L’Occidente finisce perché muore il Logos (e il populismo ne è l’ultimo rantolo?).

Non solo non lo condivido, ma penso che sia proprio sbagliato. Cerco di spiegarmi.

Contrariamente a quanto ho scritto, l’Occidente non è la società permeata dal Logos. Anzi, potremmo quasi dire che l’Occidente è nato in opposizione al Logos.

Guardiamo su Wikipedia la cartina dell’Occidente


ci sono i paesi scandinavi, tornati al paganesimo pre-cristiano; ci sono i barbari germani che, appena hanno potuto, hanno gettato alle ortiche la superficiale infarinatura logica che avevano; e ci sono i paesi di cultura anglo-sassone. Anzi: per estensione, diremmo che il grosso dell’Occidente corrisponde al Commonwealth, all'anglosfera. Accipicchia: pensavo che l’Occidente fosse una cosa e invece è un’altra. Pensavo che fosse la luce di Massimo Decimo Meridio (cit. Il gladiatore) e invece è l’oscurità barbara. Pensavo che fosse Atene, Sparta e Roma e invece è il suo nemico.

In sostanza, non avevo capito un accidenti. L’Occidente non è la terra del Logos, la società da esso permeata. É la terra e la società che l’hanno rifiutato, il Logos. Ha ragione Magni: l’Occidente è «La civiltà “laica”, caratterizzata dalla separazione fra la politica e la religione. Che poi si parli di religione tradizionale o di nuovi culti ideologici, come il nazismo e il comunismo appunto, importa meno: è il rapporto fra potere politico e potere spirituale che fa la vera differenza. Quella occidentale è l’unica civiltà in cui il potere spirituale e quello politico sono separati, dunque è l’unica in cui si afferma la triade che più la contraddistingue: democrazia, libero mercato e diritti umani» (Fine dell’Occidente? No, fine di ogni dittatura del cervello). In Occidente, quindi, il potere politico è «laico», è separato dalla religione, cioè dal Logos. È così.

Semplicemente, chiamavo Occidente un’altra cosa: l’Europa. L’Europa è, per alcuni, la terra a nord del Mediterraneo; per altri la terra attorno al Mediterraneo. Per Alessandro Magno, la terra tra l’Adriatico e il Danubio. Insomma: l’Europa è la terra del Logos, non l’Occidente. L’Europa è casa mia, non l’Occidente.

Magni ha ragione anche su un’altra cosa: «l’Occidente non è mai morto. Ancora oggi vive e gode di ottima salute». È l’Europa ad essere in agonia. La Grecia, ad esempio, che vive una crisi demografica mai vista a causa del mercato, cioè dell’Occidente. L’Italia, che presto le farà compagnia per le stesse ragioni. Atene e Roma, l’Europa, sono state distrutte dall'Occidente.

Chiedo scusa per l’errore (grave, in effetti). Spero di aver rimediato.


Roberto Marchesini

martedì 15 settembre 2020

Cinematografo dell'alpino: Joker: Tra genialità cinematografica e visione luciferina

Ha conquistato la critica e sbancato i botteghini: dietro il successo del film del 2019 sulle origini dell'anemico di Batman c'è grande arte cinematografica e il fascino di una visione "ironica", ma distorta


È un dato di fatto, inequivocabile: Joker è stato un vero e proprio successo di massa. Probabilmente lo possiamo inquadrare come un cult contemporaneo: una pellicola iconica, dove battute movenze e scene restano impresse nella memoria dello spettatore, e che al tempo stesso diventano un pezzo di storia di tutto il cinema fino ad oggi. È una pellicola che si aggancia al genere dei superhero movie, ma con delle movenze, cadenze, ritmo completamente diverse, uniche nel pantheon del genere. Infatti, non si caratterizza per scene d'azione rocambolesche o per giochi di effetti speciali travolgenti, né tantomeno mette in mostra scene di violenza eclatanti come poteva accadere per il Joker di Nolan interpretato da Ledger. Sia chiaro: la violenza è una dei grandi protagonisti della storia, ma mentre nelle precedenti rappresentazioni (Nolan appunto o Tim Burton) questa si manifestava in mosse e colpi di scena a ritmo incalzante, qui invece e sottesa e silenziosa, ma presente, in un crescendo che va di pari passo con quella che è la "maturazione" del personaggio. Joker quindi è un film lento, graduale, più introspettivo: non cerca l'improvvisazione o l'impatto a colpo d'occhio, preferisce semmai una narrazione quasi "dall'alto"; o ancora meglio: è un ritratto (nel senso prettamente artistico del termine) che si racconta, che ci spiega man mano i passaggi per arrivare al risultato finale. Tutta la pellicola, se da un lato sa anche districarsi in una descrizione dell'ambiente circostante alle vicende del suo protagonista, dall'altro lo mette completamente al centro: ogni personaggio comprimario, ogni panorama, sfondo, scena si riconduce al solo scopo di essere un tratto del Joker, e solo di lui. Il Joker è centro e fine del film: tutto va ricondotto a lui e ha valore perché è un pezzo di lui.

Il merito di questo meraviglioso gioco cinematografico (perché lo spettatore a questo assiste) va indubbiamente ai tre elementi, pilastri, che con ottima sinergia, hanno lavorato a favore di tale successo: la regia del bravissimo Todd Phillips; la magistrale interpretazione di Joaquin Phoenix; il personaggio del Joker stesso. A Philips, va indubbiamente il merito di aver elaborato una strategia cinematografica con i fiocchi, creando un film che (come detto prima) se da un lato doveva chiaramente essere un cinecomic, dall'altro doveva sapersi differenziare. Soprattutto dopo l'evidente strapotere dimostrato negli anni dalla Marvel/Disney, ormai padrona del genere, e cristallizzato con i bellissimi Infinity War ed Endgame, e il fallimento del piano Dc Comics/Warner avvenuto con Justice League (dove non bastarono i successivi buoni risultati ottenuti con Aquaman e Shazam!), si profilava una sfida molto ardua. Da non sottovalutare anche la presenza nelle sale in contemporanea di un altro film di indubbia bellezza: C'era una volta a … Hollywood di Tarantino. Insomma, una pellicola che sa emergere in una situazione molto complessa, e Phillips riesce proprio nell'impresa grazie a una personale «ridefinizione» del genere, donando allo spettatore un film "diverso" dai precedenti. Tutto il lavoro di regia è inoltre impreziosito proprio dallo stesso Phillips che lo arricchisce con la sua pretendete esperienza di documentarista: Joker infatti è un ritratto proprio grazie a questa narrazione stilizzata sul modello dei documentari; la storia si muove insieme alla telecamera stessa che riprende il suo protagonista quasi a estraniarsene e allo stesso tempo immedesimandosi con esso. Altro punto di forza si trova nella stretta collaborazione che il regista trova, per ciò che riguarda la definizione del soggetto (personaggio), con tre mostri sacri del mondo del fumetto Dc Comics: Jerry Robinson, Bill Finger e soprattutto il grande Bob Kane (il creatore di Batman per intenderci).

Come detto prima, c'è ovviamente Joaquin Phoenix: Oscar come migliore attore protagonista più che meritato. La sua recitazione è toccante per naturalezza delle espressioni, l'immedesimazione nei gesti pure quelli più semplici (coinvolgente pure quando accende la sigaretta oppure nel guardare la televisione), nel sottendere una continua tensione del personaggio, così da descriverne negli sguardi tutta la sua evoluzione: da animo mite che sopporta le ingiustizie a criminale, quasi un rivoluzionario, soprattutto clown che ironizza sadicamente sulla sua stessa condizione fino alla società stessa. L'interpretazione di Phoenix è magistrale non per un piano meramente estetico (basti pensare che l'attore per interpretare Joker ha perso ben 25 chili di peso!), dalla corporatura alla semplice mimica facciale, ma anche nel farci immergere in un grande paradosso del suo personaggio: una condizione di follia, di malattia mentale che, come evolvendosi, diventa una forma di guarigione. Ne parleremo dopo al fondo di questo, ma, tornando a Phoenix, è notevole come lui riesca in un continuo susseguirsi di sguardi del protagonista a dare spessore e autorità a una trama semplice ma che racchiude tutta la complessità del ritratto del protagonista: Joker è di fatto un ritratto che si delinea in un climax dualistico (ascendente e discendete allo stesso tempo) che si disegna tramite gli sguardi, appunto, del suo interprete; sguardi che Phoenix realizza alla perfezione. È impressionante d'altronde proprio la naturalezza con cui riesce: l'attore lo aveva già dimostrato con il suo Commodo ne Il Gladiatore, ma qui il livello è di gran lunga superiore: lo spettatore fa i conti con un'espressività che è segno distintivo proprio dello stesso Phoenix.

E a chiudere il trittico c'è poi, ovviamente, tutta quella complessità, di paradossi, contraddizioni, dicotomie, che si incontrano proprio nel personaggio del Joker. Apparso per la prima volta sulle pagine di Detective Comics nel 1940, il personaggio non aveva trovato una piena definizione delle sue origini fino al 1988 nella storia di Alan Moore e Brian Bolland The Killing Joke: qui è presentato come un comico fallito che lavora nei locali di seconda e terza categoria come cabarettista, che a seguito di due profondi traumi (la perdita della moglie incinta e una fatidica caduta dentro lo scarico di un'industria chimica che gli deforma il volto) diventa il Joker.

Elementi, quelli di Killing Joke, che fungono da base funzionale all'ideazione della trama e del protagonista del film: Arthur Fleck è un aspirante comico che occasionalmente si esibisce nei piccoli locali; tuttavia vengono introdotti anche elementi nuovi: egli si guadagna da vivere principalmente lavorando come pagliaccio; in più è un individuo alienato, affetto da un disturbo psichico che lo costringe a ridere nei momenti di profonda tensione. Punto però focale, una grande novità rispetto alle varie rappresentazioni del personaggio, è però un suo sotteso desiderio di affettività, di voler essere voluto bene. Arthur infatti sogna ad occhi aperti un abbraccio paterno con il presentatore televisivo Murray Franklin (Robert De Niro) oppure immagina nella sua testa una storia d'amore con la vicina di casa Sophie (Zazie Beetz); addirittura si precipita a villa Wayne quando per un momento crede di essere un figlio illegittimo di Thomas Wayne. Tutto questo, riportato negli sguardi di Phoenix, si raffronta in un tema malinconico oltre che in esiti quasi sempre negativi: nessuno infatti risponde a questo grido di affetto di Arthur. La Gotham City di Joker infatti è realtà perennemente fredda, indisponente, senza inclinazioni al bene se non sotto forma di promesse politiche o visioni molto borghesi. È un po' il cliché (forse unica pecca del film) di un cattivo che emerge inevitabilmente in una società che è allo stesso tempo cattiva.

La pellicola infatti dà quell'impressione di una sorta di determinismo sotteso a cui il protagonista sembra non potersi sottrarre. Eppure, proprio perché abbiamo a che fare con il personaggio Joker, questa dinamica è anche, in parte, accettabile. "In parte" perché è anche vero che il passaggio da Arthur Fleck a Joker è fatto con lucida consapevolezza: il suo passaggio al male è consapevole, è la scelta di chi risponde al male con il male stesso. Va anche precisato che Fleck se da un lato desidera l'affetto, dall'altro si accontenta delle immagini nella sua testa, delle sue fantasie, e anche quando troverebbe le occasioni è indubbiamente rinunciatario. Su questo, vive proprio la condizione diabolica di chi non accetta fino in fondo la durezza della realtà, il «lavoro» dell'affettività (cioè la fatica che gli affetti implicano), ma che da eterno bambino pretende o sogna le forme più disparate. Quindi si patteggia per il Joker per essere umano che desidera il bene, ed è molto facile, ma a riflettere bene si riesce anche a prendere le distanze.

Interessante è anche vedere come la pellicola descrive un'altra convinzione "luciferina": basta desiderare il bene, la vita nuova, per trovare la svolta, o meglio che la domanda stessa sia già la risposta; o ancora che basti una convinzione "borghese" del bene per salvarsi dal male. Ma più di tutte: che l'unica forma di liberazione dal male, da un mondo violento, da un passato violento e menzognero, è il male stesso. Ecco in questo il Joker di Phoenix e sia eroe che antieroe della trama: Fleck da un lato eroe perché vuole essere libero dall'ingiustizia di una menzogna, e in questo anche la sola aspirazione all'affetto, a dei legami buoni, ma alla fine, paradossalmente, aderisce alla menzogna stessa del male, diventando l'antieroe, un'incarnazione della violenza stessa che lui odiava, cioè Joker. Uno che desiderava la vita finisce per diventare uno che desidera toglierla. Un destino che accomuna tanti personaggi tragici, pure antichi: chi non ricorda la follia di Aiace scaturita dall'ingiustizia subita per non aver ricevuto le armi di Achille? Però attenzione: Joker capovolge letteralmente questa dicotomia tra bene e male nell'ingiustizia. Nella sua trasformazione, Fleck sembra assumere una nuova lucidità, consapevolezza, che sa mascherare tutta l'ipocrisia che permea la violenta città di Gotham: una follia che discerne tra verità e bugia, così che arriva ad un'altra diabolica conclusione, cioè che tutti siamo mostri malvagi. Ovviamente anche questa è una visione depravata luciferina, eppure non c'è spettatore che stando dietro alle vicende di Fleck non trovi una certa corrispondenza a quest'ultima … Allora ricordiamo una cosa: è il Joker, cioè un uomo votato alla violenza, e soprattutto un clown nella sua migliore interpretazione: l'interpretazione della vita secondo il male.


Antonello Di Nunno

venerdì 11 settembre 2020

Cinematografo dell'alpino: Bohemian Rhapsody: Freddy è molto di più!

La necessità di una lettura diversa della pellicola di Singer per ricordarci della vera grandezza di Mercury



"Abbiamo fatto un film su un uomo gay immigrato. Sono figlio di indiani, americano di prima generazione. Abbiamo bisogno di più storie come questa" dichiarava Rami Malek il 9 febbraio 2020, nel suo discorso dopo aver vinto l'Oscar come miglior attore protagonista per Bohemian Rhapsody. Tipiche dichiarazioni della Hollywood antitrumpiana, ma con una pecca grave: in quelle parole Malek (consapevole o meno, questo non possiamo saperlo...) non fa trasparire il senso ultimo del film dedicato alla storia dei Queen, e soprattutto della vita dello stesso Mercury così rappresentata. Perché? Perché la vita del leader della storica band inglese (almeno per come è rappresentata nel film) suggerisce tutto un altro messaggio: non si tratta di raccontare un ennesimo self-made man o di soffermarsi ancora sulle meraviglie del sogno americano (rimodellato negli immaginari delle deluse élite democratiche clintoniane) e tanto meno di una popstar con crisi di identità sessuale. No, niente di tutto questo: la storia di Freddy Mercury, la sua vita (pure se romanzata in un film) è tutta un'altra cosa. Ma che cosa?

Bohemian Rhapsody è come un percorso per trovare la risposta a questa domanda. Si comincia già dalla musica che fa da intro alle scene iniziali: si apre sulle note di "Somebody to love", qualcuno da amare, mentre si susseguono immagini di Mercury che, dopo essersi svegliato, si prepara e si incammina verso lo stadio per il Live Aid. Poi il tuffo nelle alle origini, quindi lo spettatore fa un tuffo nel passato dove Singer riesce a delineare perfettamente il profilo del suo protagonista: Farrokh Bulsara (il futuro Mercury) ha tutti i tratti di un genio benedetto da un grande talento musicale. Già in queste sequenze è descritto come un giovane uomo con i tratti tipici di un grande artista musicale del suo tempo: estroso, sensibile, ribelle e con una grande consapevolezza (quasi cristiana) delle sue doti uniche: bellissimo, per esempio, quando durante il suo primo incontro con May e Taylor spiega "Quattro denti in più significa più spazio nella mia bocca e una maggiore portata vocale".

Altro aspetto, che contraddistingue la sua genialità, è quel suo fuoco dentro, tipico dei grandi artisti, che vuole, deve, essere tirato fuori, divampare dalle sue membra in ogni aspetto. Non è solo l'ego di un interprete: per Mercury è fuoco che dà sapore alla vita in ogni aspetto, dal rapporto con il suo primo amore della sua vita, May Austin, all'amicizia con i membri della sua band fino alla sua passione per la musica lirica, l'Opera in particolare.

Una volta assolto il compito di ritrarre minuziosamente protagonista e comprimari, Singer ci riporta, in maniera non minuziosa ma coinvolgente, la storia della band dall'uscita di Bohemian Rhapsody, focalizzandosi principalmente sulle dinamiche interne dei Queen e soprattutto sull'irrequietezza, inquietudine, di Freddy Mercury. Indaga poi sul suo orientamento sessuale, presentandolo, non esaltandolo, come uno degli aspetti più drammatici del cantante: la storia con Paul Prenter che, come un diavolo tentatore, approfitta della sua fragilità e inquietudine, allontanandolo da chi gli vuole bene e portandolo ad ogni sorta di scelleratezze: droga e serate orgiastiche a sfondo omosessuale, fino alla carriera da solista che porta alla rottura con la band.

Arriva poi la riconciliazione: per Freddy passa ancora una volta attraverso il grande affetto per Mary, la quale gli ricorda che, nonostante tutta quella confusione, ha ancora una sua famiglia, i Queen appunto, e che è amato. Quindi il ritorno con i suoi amici, la scoperta della malattia che lo porterà alla morte, tornando poi alle scene iniziali: il concerto del Live Aid.

Tutta una catena di eventi, ma che si diramano come da un unico solo anello centrale: è l'avere un luogo dove tornare, un piccolo gruppo di persone che ti vogliono bene e sempre pronte a perdonarti. Di fatto, è questo che vediamo nella relazione tra Freddy Mercury e i Queen: per lui non sono soltanto colleghi di lavoro, sono la sua famiglia; sono il luogo dove tutto quel suo fuoco trova esaltazione, sia come artista che come persona. Nella storia raccontata da Singer, quindi, Mercury e i Queen rappresentano una massima molto importante, un universale centrale nella storia di tutti i noi: tutti noi abbiamo bisogno di qualcuno da amare e che ci ami; un rapporto che illumini la nostra vita ne rilanci gli aspetti, anche quelli scabrosi, che ci faccia accettare il destino, anche quello tragico, con serenità e "santa lotta".

Ultima nota, ma importante: Rami Malek è, nonostante il flop politicamente corretto, bravissimo e coglie nella sua interpretazione la complessità della personalità di Mercury, ridando vita, appunto, a quel suo modo di essere benedetto e dannato al tempo stesso, ma centrato sull'affetto di poche persone sincere, dalle quali poteva sempre riprendere forza.


Antonello Di Nunno

giovedì 23 luglio 2020

Podcast EP8 (special): La coppia inattuale e le vittorie di Conte

Questo episodio è una puntata speciale e non prevista, iniziamo con un commento ad un pamphlet consigliatoci direttamente da Elio Paoloni, l'autore, e proseguiamo con un piccolo approfondimento sul recovery fund. 

Se volete contattarci: labaionetta.info@gmail.com 


giovedì 16 luglio 2020

Lettera dal fronte: Dacci oggi la nostra eresia quotidiana/07bis: La scuola cattolica? Dovrebbe essere completamente gratis, soprattutto per i cattolici.

Lettera aperta a La Nuova Bussola Quotidiana come risposta all'articolo 
«Paritarie povere chiuse, ricche a galla grazie alle statali» di Suor Anna Monia Alfieri del 7/06/2020

Il 20/05 u.s. ci eravamo lasciati con un invito («Torneremo sulla scuola cattolica. Statene certi») ed il presente articolo vuol essere il coronamento di quanto enunciato quel giorno. L’occasione ce l’ha posta su un piatto d’argento Suor Maria Monia Alfieri che in un articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana del 7/06 u.s. ci informa che «Stanno infatti chiudendo molte scuole paritarie con rette basse. Piccoli presidi di libertà educativa che non riescono più ad andare avanti. Si tratta di piccoli presidi sotto i 2.500 euro di retta. Invece si sta verificando un fenomeno curioso e classista: nelle scuole paritarie che hanno rette dai 4.500 euro in su, stanno arrivando richieste di allievi provenienti dalla statale, spaventati dal caos di questi giorni».

Avendo rischiato un colpo apoplettico alla lettura di queste parole, la domanda sorge spontanea.

Egregio Direttore Cascioli, Reverenda Suor Anna Monia: potete spiegare a un povero lavoratore a tempo determinato (ovvero a chiunque abbia un minimo di lavoro sotto i 1500 € netti, ovvero la stragrande maggioranza di essi) con che coraggio dichiarate che le rette sotto i 2500 € sono da considerare basse? E a che titolo dite che quelle da 4500 € in su sono alte? E quelle comprese tra 2501 € e 4499 € come sono? Intermedie?

Ma la questione è ben più grave ed è per questo che ne parliamo in questa rubrica dedicata alle false credenze. Il problema infatti non è economico bensì di tipo teorico, ovvero filosofico e teologico.

Vedete: lo scandalo non è che chiudano le scuole paritarie cattoliche. Il vero scandalo è che esistano scuole paritarie cattoliche che abbiano una retta.

La Nuova Bussola Quotidiana, meritoriamente, ci ricorda pressoché tutti i giorni l’insegnamento di Giovanni Paolo II della Familiaris Consortio circa i divorziati risposati e le situazioni more uxorio ma stranamente non ricorda mai che, nello stesso documento, il Santo Pontefice della famiglia afferma che «Il compito educativo della famiglia cristiana ha perciò un posto assai importante nella pastorale organica: ciò implica una nuova forma di collaborazione tra i genitori e le comunità cristiane, tra i diversi gruppi educativi e i pastori. In questo senso il rinnovamento della scuola cattolica deve riservare una speciale attenzione sia ai genitori degli alunni sia alla formazione di una perfetta comunità educante. Dev'essere assolutamente assicurato il diritto dei genitori alla scelta di un'educazione conforme alla loro fede religiosa. Lo Stato e la Chiesa hanno l'obbligo di dare alle famiglie tutti gli aiuti possibili, affinché possano adeguatamente esercitare i loro compiti educativi. Per questo sia la Chiesa sia lo Stato devono creare e promuovere quelle istituzioni ed attività, che le famiglie giustamente richiedono: e l'aiuto dovrà essere proporzionato alle insufficienze delle famiglie. Pertanto, tutti coloro che nella società sono alla guida delle scuole non devono mai dimenticare che i genitori sono stati costituiti da Dio stesso come primi e principali educatori dei figli, e che il loro diritto è del tutto inalienabile».

Come è parola del Magistero promuovere la necessaria castità delle coppie more uxorio al fine di poter vivere in grazia di Dio, così è parola del Magistero che «lo Stato e la Chiesa hanno l'obbligo di dare alle famiglie tutti gli aiuti possibili, affinché possano adeguatamente esercitare i loro compiti educativi. Per questo sia la Chiesa sia lo Stato devono creare e promuovere quelle istituzioni ed attività, che le famiglie giustamente richiedono: e l'aiuto dovrà essere proporzionato alle insufficienze delle famiglie». Alla luce di queste lapalissiane parole, con che coraggio si definiscono basse le rette fino a 2500 €? E con che coraggio si può parlare di retta in una scuola cattolica?

Per cortesia: non citate le borse di studio della CEI di quest’anno perché stiamo parlando di un intervento straordinario, non destinato a tutti, occasionale e non strutturale.

Come dicevamo sopra, infatti, il problema è filosofico e teologico.

La verità è difatti ben più profonda di una semplice questione pecuniaria: secondo Santa Madre Chiesa, infatti, l’educazione è un’opera di misericordia spirituale (insegnare a chi non sa) e solo per la durezza del cuore degli uomini le istituzioni scolastiche ecclesiastiche (sia esse seminari per la formazione del futuro clero che scuole vere e proprie) hanno richiesto, quando più quando meno, una retta. La scuola non è un business: essa è carità. E poiché è carità è segno visibile della Chiesa che vive dell’amore di Dio. E poiché è carità, viene da Dio ed a Dio ritorna. Non è opera dell’uomo bensì dello Spirito Santo dal quale proviene sempre il primo impulso a fare il bene. La carità cresce, infatti, solamente facendo atti intensivi di carità: non è un’idea, bensì una virtù. E l’atteggiamento della persona caritatevole non si mostra solo verso i poveri materiali, bensì verso tutto l’uomo: la Chiesa insegna che le opere di misericordia sono 14, 7 materiali e 7 spirituali.

Capisco benissimo che mandare avanti una scuola abbia un costo, soprattutto in caso di quelle con un’alta presenza di personale esterno da stipendiare. Ma è altrettanto vero che, da sempre, la Chiesa possiede beni mobili ed immobili che, sulla scorta della parabola dei talenti, ha sempre messo a frutto realizzando anche molti profitti che venivano riversati o sul culto (e l’edificazione delle grandi e splendide chiese in tutto il mondo ne è un esempio cogente) o nelle opere di carità. Avere rendite significa avere liquidità ovvero poter fare del bene poiché, com’è ovvio, non si può dare ciò che non si ha. Le opere di carità costano e producono scarsi utili: ecco perché fino alle politiche anticlericali ed antiecclesiastiche dei secoli XVIII e XIX erano essenzialmente appannaggio (insieme ad un grosso settore della cultura) della Chiesa la quale godeva di due fonti di approvvigionamento: le già menzionate rendite e le donazioni di privati volte (anche) all’acquisto di meriti da presentare in Paradiso una volta defunti.

Ma oggi lo scenario è cambiato: è molto più semplice, infatti, chiedere soldi ai genitori ed al governo di turno per mandare avanti una scuola o un ospedale piuttosto che gestire adeguatamente le proprietà terriere o predicare sui novissimi: se non si crede veramente nel Paradiso, infatti, che senso ha elargire elemosine? Meglio fare una donazione deducibile così da avere immediatamente, qui sulla terra, non in cielo, un guadagno. In Italia l’8*1000 ha fatto il resto dei danni, così si pensa comunemente (soprattutto tra gli ecclesiastici) che basti una misera firma per adempiere all'obbligo di sovvenire alle necessità della Chiesa senza, pertanto, impegnarsi in prima persona in opere di carità (dall'apertura gratuita delle chiese all'insegnamento), pregare (senza di me non potete far nulla) e chiedere continuamente donazioni ed elemosine in proporzione alle proprie necessità (un gran bel diritto/dovere per i laici che potrebbero essere sia egoisti, salvo poi vedersela col Padreterno una volta defunti, sia essere generosissimi volendo andare oltre un semplice obbligo e, sull'esempio della vedova, donare tutto ciò che si ha al tesoro del Tempio.

Non è raro trovare una scuola antica che ha ancora dei beni terrieri che, però, non utilizza mentre preferisce chiedere rette alte e far pagare qualsiasi servizio offerto: facendo un esempio, una celebre scuola cattolica dei Castelli Romani fa pagare persino il servizio doposcuola (gestito non da professionisti esterni ma da novizi, religiosi ed alunni più grandi che racimolano i punti di credito) mentre lascia andare a male un oliveto secolare che, come minimo, può dare ogni anno 500 litri d’olio.

Il problema non è solamente relativo alla gestione dei beni, bensì alla natura della scuola cattolica che, essendo opera della carità, non deve limitarsi ad essere un presidio di libertà (ma cosa significa, di preciso, presidio di libertà? Chi o cosa rende libero un cristiano? Il Sangue prezioso di Cristo o l’avere una scuola?) bensì deve far guadagnare il Paradiso. Ed anche questo è Magistero della Chiesa poiché San Giovanni Paolo II ha affermato che la «Chiesa ha sempre legato la sua stessa sopravvivenza di Chiesa alla realtà della scuola» giacché «la scuola cattolica non è altro che quell’istituzione ecclesiale nella quale e per la quale la Chiesa, educando l’uomo, lo conduce a Cristo, perché lo educa ispirandosi ai principi del Vangelo» (Discorso di Giovanni Paolo II ai rappresentanti delle scuole cattoliche italiane, 28 gennaio 1984).

Bisognerebbe difendere la scuola cattolica non come presidio di libertà bensì come (possibile) causa della salvezza eterna dei giovani, come fucina di vocazioni, come parrocchia che educa ed evangelizza (che grande che è Don Bosco!), come luogo della carità, come opera di misericordia, come espressione evidente del munus docendi della Chiesa. Diciamo bene o diciamo giusto?

Attendiamo inutilmente una risposta dalla Nuova Bussola Quotidiana, ben sapendo che il Direttore Cascioli ignora le lettere di biasimo o di collaborazione da parte di poveri fedeli che vorrebbero aiutare la Chiesa negli apostolati culturali.

Non crediate che abbiamo finito. A presto per la puntata ter de Daccioggilanostraeresiaquotiana dedicata alla scuola.


Il Cardinale del Sacco

Beata Vergine del Carmelo, ora pro nobis!