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sabato 16 aprile 2016
Come eravamo: Una nota di don Giussani per l’ASCA. 6 febbraio 1975
Riporto una nota di don Giussani del 6 febbraio 1975 per l’ASCA sul movimento Comunione e Liberazione, in merito al grave episodio di teppismo nel corso del quale due giovani appartenenti al movimento di "Comunione e Liberazione" sono stati selvaggiamente aggrediti.
"Comunione e Liberazione è un movimento ecclesiale la cui preoccupazione fondamentale è quella di dar vita ad ambiti in cui sia possibile una reale esperienza cristiana e un lavoro di educazione alla vita della fede. Noi crediamo che l'esperienza della fede non sia un fatto intimistico, relegabile alla sfera della coscienza privata, ma un principio che tende ad informare di sé ogni aspetto della vita. Anche le scelte culturali e politiche, che pure restano scelte storiche, contingenti e modificabili, non possono non essere determinate in modo dialettico a partire dall'esperienza viva della fede. Il cristianesimo infatti, pur non essendo un discorso politico, ha inevitabilmente una rilevanza politica e un'incidenza sul sociale.
È infatti l'esperienza di un movimento di vita, di una unità di popolo che è presente nei vari ambiti sociali a ne giudica, senza falsi dualismi, le contraddizioni, è proposta per tutti e occasione di solidarietà tra quanti cercano la liberazione.
Noi crediamo che la condizione, perché questo lavoro di presenza cristiana possa avvenire in modo autentico, sia il costituirsi e l'esprimersi di una reale unità fra quanti riconoscono nella fede cristiana il punto di riferimento della loro vita.
Di fronte al ricomporsi di questa unità si sta oggi aggravando l'influenza che l'ideologia del laicismo radical-borghese esercita sulla nostra società. Questa ideologia assunta anche dal "progressismo socialista" sta diventando un fatto dominante. Ci sembra ormai possibile parlare di un nuovo "totalitarismo ideologico" che, se tollera ancora la fede come fatto della coscienza privata, cerca, anche con la violenza, di impedirne ogni emergenza pubblica e ogni incidenza politica. Il nome stesso di cristiano (come ha affermato il card. Poletti commentando i fatti di Roma) è spesso contrastato come se fosse colpa sociale.
Le violenze subite da aderenti a "Comunione e Liberazione", a Roma dal teppismo di destra e a Milano dall'estremismo sedicente di sinistra, non sono che l'espressione più acuta e brutale di una volontà sempre più diffusa: è la volontà di impedire che i cattolici intervengano attivamente nella società civile per apportare il contributo della comunità cristiana.
Chiediamo, per questo, libertà di espressione e rispetto per il nostro movimento e per ogni altra realtà ecclesiale che viva con responsabilità e coerenza la propria esperienza di vita nella fede e cerchi di manifestarla a livello pubblico.
"Comunione e Liberazione è un movimento ecclesiale la cui preoccupazione fondamentale è quella di dar vita ad ambiti in cui sia possibile una reale esperienza cristiana e un lavoro di educazione alla vita della fede. Noi crediamo che l'esperienza della fede non sia un fatto intimistico, relegabile alla sfera della coscienza privata, ma un principio che tende ad informare di sé ogni aspetto della vita. Anche le scelte culturali e politiche, che pure restano scelte storiche, contingenti e modificabili, non possono non essere determinate in modo dialettico a partire dall'esperienza viva della fede. Il cristianesimo infatti, pur non essendo un discorso politico, ha inevitabilmente una rilevanza politica e un'incidenza sul sociale.
È infatti l'esperienza di un movimento di vita, di una unità di popolo che è presente nei vari ambiti sociali a ne giudica, senza falsi dualismi, le contraddizioni, è proposta per tutti e occasione di solidarietà tra quanti cercano la liberazione.
Noi crediamo che la condizione, perché questo lavoro di presenza cristiana possa avvenire in modo autentico, sia il costituirsi e l'esprimersi di una reale unità fra quanti riconoscono nella fede cristiana il punto di riferimento della loro vita.
Di fronte al ricomporsi di questa unità si sta oggi aggravando l'influenza che l'ideologia del laicismo radical-borghese esercita sulla nostra società. Questa ideologia assunta anche dal "progressismo socialista" sta diventando un fatto dominante. Ci sembra ormai possibile parlare di un nuovo "totalitarismo ideologico" che, se tollera ancora la fede come fatto della coscienza privata, cerca, anche con la violenza, di impedirne ogni emergenza pubblica e ogni incidenza politica. Il nome stesso di cristiano (come ha affermato il card. Poletti commentando i fatti di Roma) è spesso contrastato come se fosse colpa sociale.
Le violenze subite da aderenti a "Comunione e Liberazione", a Roma dal teppismo di destra e a Milano dall'estremismo sedicente di sinistra, non sono che l'espressione più acuta e brutale di una volontà sempre più diffusa: è la volontà di impedire che i cattolici intervengano attivamente nella società civile per apportare il contributo della comunità cristiana.
Chiediamo, per questo, libertà di espressione e rispetto per il nostro movimento e per ogni altra realtà ecclesiale che viva con responsabilità e coerenza la propria esperienza di vita nella fede e cerchi di manifestarla a livello pubblico.
don Luigi Giussani
Salmerìa 15.2016
Le trivelle non c’entrano un tubo. Vademecum per un’astensione consapevole
Una strana telefonata a papa Francesco (esclusiva)
La bellezza e il fango
Radio 24 e Mario Adinolfi, sull’aborto
La menzogna dilaga, ma la verità è più forte
Trivelle. Chi vota “no” al referendum fa un favore ai “sì”
Pio XII: chi accusa la Chiesa e la sua morale di durezza e rigidità, accusa in realtà Gesù Cristo
Si parla di donne e medici ma nell'aborto il tema è il bambino
Cosa significa una “presenza originale”? Parte terza
Il referendum no-triv è sbagliato. Astenersi è un diritto
Gender, la lotta continua anche nelle toilettes
E morirono discernendo
ProVita presenta al Senato il “Patto per la famiglia naturale”
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Radio 24 e Mario Adinolfi, sull’aborto
La menzogna dilaga, ma la verità è più forte
Trivelle. Chi vota “no” al referendum fa un favore ai “sì”
Pio XII: chi accusa la Chiesa e la sua morale di durezza e rigidità, accusa in realtà Gesù Cristo
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E morirono discernendo
ProVita presenta al Senato il “Patto per la famiglia naturale”
venerdì 15 aprile 2016
Conversazione al fronte: Intervista a John Waters: come la propaganda opera sulla massa
Qual è la situazione attuale dell'Irlanda dopo il referendum sui finti “matrimoni gay”?
Nei fatti, parlare delle questioni in questi termini non è propriamente accurato. Le campagne per raggiungere questo scopo, i suoi supporter, le comunità LGBT internazionali, celebrità del mondo del cinema e della musica ecc, tutti questi hanno parlato della legalizzazione del matrimonio gay in Irlanda. Ma questa è una descrizione inaccurata, che esprime solo una piccola parte di quello che è successo. Infatti, quello che è stato fatto in Irlanda è stato cambiare la definizione centrale di famiglia, partendo dal matrimonio, per conferire lo stesso valore legale e costituzionale di ciò che fino ad ora era dato ad un uomo e una donna, attraverso il matrimonio, ad una coppia composta da due uomini o due donne. Questa è la forma più radicale di “matrimonio gay” immaginabile. Il risultato è che le protezioni costituzionali che prima erano applicate solo alla famiglia – genitori e figli – basate sul matrimonio e il legame biologico, non sono più ottenibili. Ora i legami biologici, la complementarietà dei sessi ed il significato dell'atto coniugale non sono più valori costituzionali.
Uno dei problemi è stato che molti di quelli che hanno votato per questo emendamento non conoscevano nulla di tutto questo (ndr. come in Italia), non lo volevano sapere o non gli interessava. Questo è un aspetto negativo dell'attitudine politica dei giovani di oggi: trovano i dettagli noiosi. Non sono interessati ad ascoltare concetti che potrebbero interferire con il loro desiderio di esprimere ciò che li riguarda come un sentimento “cool”. Quindi, ora abbiamo una Costituzione che non segue più lo scopo di proteggere la famiglia, il rapporto genitori-figli, che non protegge i figli dalle conseguenze di una separazione, che non limita l'azione dello stato nelle questioni fondamentali. Molte persone non sono a conoscenza di questo, e quelle che lo sono non vengono ascoltate. Avremo quindi una strana pausa, prima che le conseguenze inizino a rivelarsi. Dopo, credo, avremo una sorta di contraccolpo, ma è difficile prevedere cosa accadrà.
Sei venuto in Italia parecchie volte, come il 4 marzo, quando hai parlato alla camera dei deputati, quale idea ti sei fatto della situazione italiana?
Sono stato in Italia centinaia di volte negli ultimi 10 anni. Quello che ho capito della situazione italiana è che è molto meno seria della nostra. Infatti, in Italia sembra che sia stata introdotta (ndr. dal Senato) una misura simile a quella introdotta in Irlanda nel 2010 – unioni civili per le coppie gay ma senza diritto di adozione – che non ha accontentato le lobby LGBT perché ritenuto inadeguato. Quando sono stato a Roma ho previsto questo: in Italia accadrà la stessa cosa che è successa in Irlanda: cercheranno di raggiungere il massimo livello di quello che chiamano “uguaglianza”. Non credo che gli italiani lo apprezzeranno. Certamente molte persone che ho incontrato, in particolare della Chiesa cattolica, sembra che non abbiano idea di ciò che accadrà. Accettano la storiella che tutto questo è solo per il “diritto” delle coppie omosessuali di avere un riconoscimento legale della loro relazione, e quindi di “essere felici”. Certamente questo è uno specchietto per le allodole: dietro a tutto questo vi è un determinato movimento ideologico, che sta cercando di cambiare completamente la natura della realtà umana. Proseguirà fino a che tutto non verrà demolito.
La rivoluzione antropologica che stiamo osservando e che incarna la sua pretesa nei nuovi diritti contiene il rischio di una nuova forma di totalitarismo che irrompe nelle società occidentali?
Certamente. Quello che trovi in quella che è chiamata “agenda liberale” è ciò che ha coinvolto le stesse categorie di attivisti in un insieme di errori differenti, ma correlati, che sono stati vagamente raggruppati nella libertà di abortire, nei matrimoni omosessuali, nella maternità surrogata, ecc. La campagna per il matrimonio gay è semplicemente la punta dell'iceberg, che nasconde la volontà di cambiare la vera natura e significato di concetti come “famiglia” e “genitorialità”. L'idea che sostiene il movimento LGBT risale alla scuola di Francoforte, in Germania, del 1920. Più tardi questo gruppo si è mosso a New York, alla Columbia University, dove, a partire dal 1930, iniziarono il processo di infiltrazione di una nuova forma di marxismo – il marxismo culturale – pensato per creare una nuova forma di “dittatura” per ereditare il ruolo storico respinto dai proletari. Questa è realmente la dittatura delle “vittime”, ed è pensata per promuovere le lamentele di chiunque non sia parte di una presunta “egemonia patriarcale”, che è accusata di aver soppresso i diritti delle minoranze in Europa e America, e ora sta per essere rovesciata. Infatti, per la sua definizione, l'unica categoria di esseri umani che non è inclusa nelle “vittime” è l'uomo leale e virile, che per il marxismo culturale è il vero nemico. La maggior parte degli uomini ha questa natura, purtroppo molti di loro sono all'oscuro del pericolo che corrono.
Quell'idea ha ormai permeato i media occidentali, e sta lentamente entrando nel sistema politico. Il marxismo economico è stato giudicato come un fallimento, la scuola di Francoforte ha tentato di reinventare il marxismo come arma culturale diretta alle norme delle relazioni umane, famigliari e genitoriali. In un certo senso il matrimonio gay non è nulla di più che un ariete, usato per demolire i modelli normativi e intellettuali. Sul lungo termine l'obbiettivo è quello di trasferire le cure genitoriali dagli attuali genitori allo stato, che sarà autorizzato a trasferire i bambini ad altri adulti, fino ad arrivare all'obbiettivo finale che è il totale controllo della persona umana. Se ad alcuni questo sembra impossibile, vorrei semplicemente chiedere a queste persone di riflettere su quando hanno iniziato a pensare che il matrimonio gay è un diritto “umano” o “civile” auto-evidente. Oppure di osservare il loro giornale “liberale” preferito per verificare quando ha iniziato a riportare articoli riguardanti il matrimonio gay. La maggior parte delle persone resteranno sorprese dal risultato di questa ricerca. Scopriranno che praticamente nessuno ha parlato di questi temi fino a circa sei o sette anni fa, quando la maggior parte dei politici occidentali scartavano l'idea dei matrimoni gay definendola ridicola, cosa che è andata avanti fino agli ultimi tre o quattro anni; e nessuna di queste organizzazioni mediatiche si comporta come se avesse iniziato a combattere per questi “diritti” solo negli ultimi anni, ma come se avesse combattuto per questi “diritti” per decenni – se non secoli – pubblicando almeno un editoriale a favore dei matrimoni gay.
Non è eccessivo chiamare questo totalitarismo. Il metodo, come ho spiegato nel mio discorso a Roma, è profondamente totalitario, perché si basa sulla propaganda, demonizzando e creando capri espiatori di potenziali dissidenti, corrompendo media e politici, storpiando il significato di parole e concetti basilari, e via di questo passo. Tutte queste armi vengono usate con lo scopo di reinventare l'antropologia umana in una presunta uguaglianza. Infatti, se prenderemo in considerazione la questione per un breve periodo di tempo, noteremo che l'”uguaglianza” è offerta a tutti per ridurre i diritti e le protezioni attualmente estesi alle famiglie normative e al naturale rapporto genitori-figli. Si ha così il quantitativo di “uguaglianza” – un'”uguaglianza” ad un livello molto più basso di prima per quelle persone in una relazione che verrà presto conosciuta come “matrimonio tra persone di sesso opposto”. È come proporre di amputare una gamba sana a tutte le persone che ne hanno due per renderli “uguali” alle persone con una sola gamba. I diritti di ciò che noi chiamiamo matrimonio “tradizionale” verranno diluiti e ridotti, e li ritroveremo ad un nuovo livello, molto più basso di quello originario, affiancati ai nuovi diritti delle “famiglie dello stesso sesso”. Questa è una conseguenza ovvia, e sembra assurdo che non sia ancora stato capito da nessuna società che ha già accettato il matrimonio gay, ma questo è un merito che spetta precisamente al potere totalitario del movimento protagonista ed al suo messaggio.
Cosa possiamo fare per fermare questa minaccia? Un movimento di persone pro-family può essere la soluzione?
L'unico modo per fermare questa minaccia è definirla in modo preciso e parlarne coraggiosamente. Questo movimento per il marxismo culturale è accompagnato dalle più insidiose e pericolose tendenze attraverso il bullismo, la demonizzazione e la creazione di capri espiatori che abbiamo assistito durante questo periodo di pace in Europa. Anche chi è al potere getta la propria sorte nelle mani del più forte o si nasconde, adattandosi a questa agenda di spogliazione delle famiglie dai propri diritti. La chiesa cattolica, dal momento delle dimissioni di papa Benedetto XVI, è stata estremamente ambivalente – nel caso migliore – lasciando messaggi ambigui e confusi. Il risultato è che non c'è più un modo efficace di evidenziare il pericolo per proteggersi e combatterlo. Penso che un qualche tipo di movimento sia essenziale, ma non può assumere una forma tradizionale. Il termine “pro-family” è inadeguato in questo momento. Per prima cosa non ha la connotazione di tutte le preoccupazioni precedenti, e quando ha a che fare, per esempio, con il divorzio, che fa parte dell'agenda del marxismo culturale, è, in ultima analisi, diventato una minaccia proveniente dall'interno della famiglia, e perciò, in un certo senso, nullifica il concetto stesso di “famiglia” in quei contesti dove la minaccia si manifesta. Il divorzio sembrava, in altre parole, diventare una questione di scelta proveniente da uno o entrambi i genitori, cioè apparentemente dall'interno della famiglia. Pertanto, la promessa di fedeltà in queste circostanze appare inutile, visto che almeno uno dei componenti/genitori può decidere di andarsene. Questo fa apparire le idee “pro-family” come una copertura per permettere delle interferenze dall'esterno – su un terreno religioso o ideologico.
La situazione attuale è leggermente diversa e richiede delle risposte diverse. Quello che sta avvenendo è un attacco alla famiglia umana, a tutta essa, attraverso il convenzionale nucleo famigliare che è la molecola della civiltà umana. In questo senso, parliamo di “famiglia“ come sinonimo di “specie”. Anche se qualcuno o molti membri di quella famiglia non vedono i problemi, questo rimane vero. Lo stesso era vero nel caso del divorzio, ma qui vi è meno confusione, trovando abbastanza persone che parlano con chiarezza e coraggio. Abbiamo venduto la menzogna che non vi è nessun interesse nel matrimonio gay, che non ci sono sconfitti. Abbiamo detto ripetutamente che i “diritti famigliari” e il matrimonio non costituiscono un “gioco a somma zero”. Ma lo è, in effetti, un gioco a somma zero, perché i “diritti” che vengono estesi alle coppie gay risultano dall'abbassamento dei diritti e delle protezioni normative famigliari che ho descritto prima.
Ciò che va difeso, quindi, è l'integrità della specie umana, il significato centrale della biologia e della genetica, il diritto dei genitori di decidere per i propri figli. L'attacco del marxismo culturale è sferrato all'uomo attraverso la famiglia, cellula della civiltà. La resistenza necessita di esprimersi in questi termini, piuttosto che in termini che possono essere facilmente accantonati come “tradizionalisti” o “religiosi”. Questa è una battaglia antropologica. L'unico modo per combattere queste tendenze è rendere le persone gradualmente consapevoli del processo e del meccanismo in cui essi sono trascinati senza consapevolezza né ragionevolezza, dove loro accettano cose che gli stanno togliendo il terreno, in cui sono o nel quale sperano di crescere i propri figli, da sotto i piedi. Per questo abbiamo bisogno di una guida, e per permettere questo dobbiamo depurare dalla propaganda molti dei nostri leader attuali, compresi quelli religiosi, che ne sono stati vittime.
La propaganda opera nella società e in ogni individuo che si sente parte di un gruppo o di un popolo. La massa ha una propria psicologia, e questo è sempre più ciò che guida le discussioni pubbliche e ha conseguenze nelle politiche pubbliche e nel diritto. La propaganda sembra essere efficace tanto sulle persone intelligenti quanto su quelle semplici. Dobbiamo prendere coscienza di tutto ciò che accade e guardarne il funzionamento sulla nostra mente e pensieri, e poi trovare il modo di invertirne gli effetti su noi stessi e sugli altri. Abbiamo bisogno di rendere questi fattori visibili a tutti e comprensibili a grandi linee, nonostante la loro complessità. Dato che i media ne sono già stati infettati, questo è una strada in salita. Ma sarebbe un buon inizio se alcuni dei nostri leader smettessero di usare i media per proteggere le proprie spalle, giustificando le proprie idee, promesse, giuramenti e atteggiamenti esteriori, dando sfogo al loro confuso parlare senza riflettere, che rende la gente comune più esposta al funzionamento dell'ideologia e della sua propaganda. A mio avviso, se le persone non sono disposte a scavare in profondità in queste domande, scoprendo tutto ciò che c'è da scoprire, e parlare senza scusarsi circa le loro osservazioni, sarebbe meglio per tutti che non parlassero affatto.
Versione originale in inglese
Nei fatti, parlare delle questioni in questi termini non è propriamente accurato. Le campagne per raggiungere questo scopo, i suoi supporter, le comunità LGBT internazionali, celebrità del mondo del cinema e della musica ecc, tutti questi hanno parlato della legalizzazione del matrimonio gay in Irlanda. Ma questa è una descrizione inaccurata, che esprime solo una piccola parte di quello che è successo. Infatti, quello che è stato fatto in Irlanda è stato cambiare la definizione centrale di famiglia, partendo dal matrimonio, per conferire lo stesso valore legale e costituzionale di ciò che fino ad ora era dato ad un uomo e una donna, attraverso il matrimonio, ad una coppia composta da due uomini o due donne. Questa è la forma più radicale di “matrimonio gay” immaginabile. Il risultato è che le protezioni costituzionali che prima erano applicate solo alla famiglia – genitori e figli – basate sul matrimonio e il legame biologico, non sono più ottenibili. Ora i legami biologici, la complementarietà dei sessi ed il significato dell'atto coniugale non sono più valori costituzionali.
Uno dei problemi è stato che molti di quelli che hanno votato per questo emendamento non conoscevano nulla di tutto questo (ndr. come in Italia), non lo volevano sapere o non gli interessava. Questo è un aspetto negativo dell'attitudine politica dei giovani di oggi: trovano i dettagli noiosi. Non sono interessati ad ascoltare concetti che potrebbero interferire con il loro desiderio di esprimere ciò che li riguarda come un sentimento “cool”. Quindi, ora abbiamo una Costituzione che non segue più lo scopo di proteggere la famiglia, il rapporto genitori-figli, che non protegge i figli dalle conseguenze di una separazione, che non limita l'azione dello stato nelle questioni fondamentali. Molte persone non sono a conoscenza di questo, e quelle che lo sono non vengono ascoltate. Avremo quindi una strana pausa, prima che le conseguenze inizino a rivelarsi. Dopo, credo, avremo una sorta di contraccolpo, ma è difficile prevedere cosa accadrà.
Sei venuto in Italia parecchie volte, come il 4 marzo, quando hai parlato alla camera dei deputati, quale idea ti sei fatto della situazione italiana?
Sono stato in Italia centinaia di volte negli ultimi 10 anni. Quello che ho capito della situazione italiana è che è molto meno seria della nostra. Infatti, in Italia sembra che sia stata introdotta (ndr. dal Senato) una misura simile a quella introdotta in Irlanda nel 2010 – unioni civili per le coppie gay ma senza diritto di adozione – che non ha accontentato le lobby LGBT perché ritenuto inadeguato. Quando sono stato a Roma ho previsto questo: in Italia accadrà la stessa cosa che è successa in Irlanda: cercheranno di raggiungere il massimo livello di quello che chiamano “uguaglianza”. Non credo che gli italiani lo apprezzeranno. Certamente molte persone che ho incontrato, in particolare della Chiesa cattolica, sembra che non abbiano idea di ciò che accadrà. Accettano la storiella che tutto questo è solo per il “diritto” delle coppie omosessuali di avere un riconoscimento legale della loro relazione, e quindi di “essere felici”. Certamente questo è uno specchietto per le allodole: dietro a tutto questo vi è un determinato movimento ideologico, che sta cercando di cambiare completamente la natura della realtà umana. Proseguirà fino a che tutto non verrà demolito.
La rivoluzione antropologica che stiamo osservando e che incarna la sua pretesa nei nuovi diritti contiene il rischio di una nuova forma di totalitarismo che irrompe nelle società occidentali?
Certamente. Quello che trovi in quella che è chiamata “agenda liberale” è ciò che ha coinvolto le stesse categorie di attivisti in un insieme di errori differenti, ma correlati, che sono stati vagamente raggruppati nella libertà di abortire, nei matrimoni omosessuali, nella maternità surrogata, ecc. La campagna per il matrimonio gay è semplicemente la punta dell'iceberg, che nasconde la volontà di cambiare la vera natura e significato di concetti come “famiglia” e “genitorialità”. L'idea che sostiene il movimento LGBT risale alla scuola di Francoforte, in Germania, del 1920. Più tardi questo gruppo si è mosso a New York, alla Columbia University, dove, a partire dal 1930, iniziarono il processo di infiltrazione di una nuova forma di marxismo – il marxismo culturale – pensato per creare una nuova forma di “dittatura” per ereditare il ruolo storico respinto dai proletari. Questa è realmente la dittatura delle “vittime”, ed è pensata per promuovere le lamentele di chiunque non sia parte di una presunta “egemonia patriarcale”, che è accusata di aver soppresso i diritti delle minoranze in Europa e America, e ora sta per essere rovesciata. Infatti, per la sua definizione, l'unica categoria di esseri umani che non è inclusa nelle “vittime” è l'uomo leale e virile, che per il marxismo culturale è il vero nemico. La maggior parte degli uomini ha questa natura, purtroppo molti di loro sono all'oscuro del pericolo che corrono.
Quell'idea ha ormai permeato i media occidentali, e sta lentamente entrando nel sistema politico. Il marxismo economico è stato giudicato come un fallimento, la scuola di Francoforte ha tentato di reinventare il marxismo come arma culturale diretta alle norme delle relazioni umane, famigliari e genitoriali. In un certo senso il matrimonio gay non è nulla di più che un ariete, usato per demolire i modelli normativi e intellettuali. Sul lungo termine l'obbiettivo è quello di trasferire le cure genitoriali dagli attuali genitori allo stato, che sarà autorizzato a trasferire i bambini ad altri adulti, fino ad arrivare all'obbiettivo finale che è il totale controllo della persona umana. Se ad alcuni questo sembra impossibile, vorrei semplicemente chiedere a queste persone di riflettere su quando hanno iniziato a pensare che il matrimonio gay è un diritto “umano” o “civile” auto-evidente. Oppure di osservare il loro giornale “liberale” preferito per verificare quando ha iniziato a riportare articoli riguardanti il matrimonio gay. La maggior parte delle persone resteranno sorprese dal risultato di questa ricerca. Scopriranno che praticamente nessuno ha parlato di questi temi fino a circa sei o sette anni fa, quando la maggior parte dei politici occidentali scartavano l'idea dei matrimoni gay definendola ridicola, cosa che è andata avanti fino agli ultimi tre o quattro anni; e nessuna di queste organizzazioni mediatiche si comporta come se avesse iniziato a combattere per questi “diritti” solo negli ultimi anni, ma come se avesse combattuto per questi “diritti” per decenni – se non secoli – pubblicando almeno un editoriale a favore dei matrimoni gay.
Non è eccessivo chiamare questo totalitarismo. Il metodo, come ho spiegato nel mio discorso a Roma, è profondamente totalitario, perché si basa sulla propaganda, demonizzando e creando capri espiatori di potenziali dissidenti, corrompendo media e politici, storpiando il significato di parole e concetti basilari, e via di questo passo. Tutte queste armi vengono usate con lo scopo di reinventare l'antropologia umana in una presunta uguaglianza. Infatti, se prenderemo in considerazione la questione per un breve periodo di tempo, noteremo che l'”uguaglianza” è offerta a tutti per ridurre i diritti e le protezioni attualmente estesi alle famiglie normative e al naturale rapporto genitori-figli. Si ha così il quantitativo di “uguaglianza” – un'”uguaglianza” ad un livello molto più basso di prima per quelle persone in una relazione che verrà presto conosciuta come “matrimonio tra persone di sesso opposto”. È come proporre di amputare una gamba sana a tutte le persone che ne hanno due per renderli “uguali” alle persone con una sola gamba. I diritti di ciò che noi chiamiamo matrimonio “tradizionale” verranno diluiti e ridotti, e li ritroveremo ad un nuovo livello, molto più basso di quello originario, affiancati ai nuovi diritti delle “famiglie dello stesso sesso”. Questa è una conseguenza ovvia, e sembra assurdo che non sia ancora stato capito da nessuna società che ha già accettato il matrimonio gay, ma questo è un merito che spetta precisamente al potere totalitario del movimento protagonista ed al suo messaggio.
Cosa possiamo fare per fermare questa minaccia? Un movimento di persone pro-family può essere la soluzione?
L'unico modo per fermare questa minaccia è definirla in modo preciso e parlarne coraggiosamente. Questo movimento per il marxismo culturale è accompagnato dalle più insidiose e pericolose tendenze attraverso il bullismo, la demonizzazione e la creazione di capri espiatori che abbiamo assistito durante questo periodo di pace in Europa. Anche chi è al potere getta la propria sorte nelle mani del più forte o si nasconde, adattandosi a questa agenda di spogliazione delle famiglie dai propri diritti. La chiesa cattolica, dal momento delle dimissioni di papa Benedetto XVI, è stata estremamente ambivalente – nel caso migliore – lasciando messaggi ambigui e confusi. Il risultato è che non c'è più un modo efficace di evidenziare il pericolo per proteggersi e combatterlo. Penso che un qualche tipo di movimento sia essenziale, ma non può assumere una forma tradizionale. Il termine “pro-family” è inadeguato in questo momento. Per prima cosa non ha la connotazione di tutte le preoccupazioni precedenti, e quando ha a che fare, per esempio, con il divorzio, che fa parte dell'agenda del marxismo culturale, è, in ultima analisi, diventato una minaccia proveniente dall'interno della famiglia, e perciò, in un certo senso, nullifica il concetto stesso di “famiglia” in quei contesti dove la minaccia si manifesta. Il divorzio sembrava, in altre parole, diventare una questione di scelta proveniente da uno o entrambi i genitori, cioè apparentemente dall'interno della famiglia. Pertanto, la promessa di fedeltà in queste circostanze appare inutile, visto che almeno uno dei componenti/genitori può decidere di andarsene. Questo fa apparire le idee “pro-family” come una copertura per permettere delle interferenze dall'esterno – su un terreno religioso o ideologico.
La situazione attuale è leggermente diversa e richiede delle risposte diverse. Quello che sta avvenendo è un attacco alla famiglia umana, a tutta essa, attraverso il convenzionale nucleo famigliare che è la molecola della civiltà umana. In questo senso, parliamo di “famiglia“ come sinonimo di “specie”. Anche se qualcuno o molti membri di quella famiglia non vedono i problemi, questo rimane vero. Lo stesso era vero nel caso del divorzio, ma qui vi è meno confusione, trovando abbastanza persone che parlano con chiarezza e coraggio. Abbiamo venduto la menzogna che non vi è nessun interesse nel matrimonio gay, che non ci sono sconfitti. Abbiamo detto ripetutamente che i “diritti famigliari” e il matrimonio non costituiscono un “gioco a somma zero”. Ma lo è, in effetti, un gioco a somma zero, perché i “diritti” che vengono estesi alle coppie gay risultano dall'abbassamento dei diritti e delle protezioni normative famigliari che ho descritto prima.
Ciò che va difeso, quindi, è l'integrità della specie umana, il significato centrale della biologia e della genetica, il diritto dei genitori di decidere per i propri figli. L'attacco del marxismo culturale è sferrato all'uomo attraverso la famiglia, cellula della civiltà. La resistenza necessita di esprimersi in questi termini, piuttosto che in termini che possono essere facilmente accantonati come “tradizionalisti” o “religiosi”. Questa è una battaglia antropologica. L'unico modo per combattere queste tendenze è rendere le persone gradualmente consapevoli del processo e del meccanismo in cui essi sono trascinati senza consapevolezza né ragionevolezza, dove loro accettano cose che gli stanno togliendo il terreno, in cui sono o nel quale sperano di crescere i propri figli, da sotto i piedi. Per questo abbiamo bisogno di una guida, e per permettere questo dobbiamo depurare dalla propaganda molti dei nostri leader attuali, compresi quelli religiosi, che ne sono stati vittime.
La propaganda opera nella società e in ogni individuo che si sente parte di un gruppo o di un popolo. La massa ha una propria psicologia, e questo è sempre più ciò che guida le discussioni pubbliche e ha conseguenze nelle politiche pubbliche e nel diritto. La propaganda sembra essere efficace tanto sulle persone intelligenti quanto su quelle semplici. Dobbiamo prendere coscienza di tutto ciò che accade e guardarne il funzionamento sulla nostra mente e pensieri, e poi trovare il modo di invertirne gli effetti su noi stessi e sugli altri. Abbiamo bisogno di rendere questi fattori visibili a tutti e comprensibili a grandi linee, nonostante la loro complessità. Dato che i media ne sono già stati infettati, questo è una strada in salita. Ma sarebbe un buon inizio se alcuni dei nostri leader smettessero di usare i media per proteggere le proprie spalle, giustificando le proprie idee, promesse, giuramenti e atteggiamenti esteriori, dando sfogo al loro confuso parlare senza riflettere, che rende la gente comune più esposta al funzionamento dell'ideologia e della sua propaganda. A mio avviso, se le persone non sono disposte a scavare in profondità in queste domande, scoprendo tutto ciò che c'è da scoprire, e parlare senza scusarsi circa le loro osservazioni, sarebbe meglio per tutti che non parlassero affatto.
Versione originale in inglese
Conversazione al fronte: Interview with John Waters: how propaganda operates on the mob
What is the current situation of Ireland, after the referendum on the fake "gay marriage"?
In fact, to speak about the question in these terms is not strictly accurate. Those campaigning for the measure, their supporters, the international LGBT community, celebrities in the form of actors and pop singers etc, all these spoke about gay marriage being legalized in Ireland. But this is an inaccurate description, conveying a tiny part of what happened. In fact, what we did in Ireland was that we changed the core definition of family, arising from marriage, to confer the same legal and constitutional entitlements on a couple comprising two men or two women as hitherto were extended to a man and a woman on marriage. This is the most radical form of ‘gay marriage’ imaginable. The result is that the constitutional protections which previously applied to families – parents and children – based on marriage and biology, not longer obtain. There is now no constitutional value in biological connection, or in the complementarity of the sexes, or in the meaning of the conjugal act.
One of the problems was that many of those who voted for the amendment did not know any of this, did not wish to know it, or did not care. This is an unfortunate aspect of the political attitude of young people now: they find details boring. They do not care to hear things that might interfere with their desire to express what they regard as a ‘cool’ sentiment. So, we now have a Constitution that is no longer fit for purpose in as far as protecting families and parent-child relationships – either from the consequences of family breakdown and from encroachment by the state. But most people don’t know about this, and those who do are not listened to. We will therefore have a very strange hiatus before the consequences begin to reveal themselves. Then, I suppose, there will be some kind of backlash, but it is difficult to predict when this will occur.
You came to Italy several times, as on March 4, when you spoke to the Chamber of Deputies, that idea you've had the Italian situation?
I have been to Italy hundreds of times over the past decade or so. My understanding of the Italian situation is that it is – so far – much less serious than ours. In fact, Italy appears to have recently introduced a measure which seems very similar to the one we in Ireland introduced in 2010 – civil unions for gay couples but with no right to adopt – but which was immediately rejected as inadequate by the LGBT lobby. I predicted in Rome that, eventually, the same thing will happen in Italy as happened in Ireland: they will look for the maximum level of what they call ‘equality’. I don’t think people in Italy appreciate this. Certainly, many people I have met within the Catholic Church there appear to have no idea that this is the agenda. They accept the sob stories that this is all about the ‘right’ of gay people to have legally recognized relationships, and therefore to 'be happy'. Of course this is a smokescreen: at the back of all this is a determined ideological movement, which seeks to change completely the nature of human reality. It will go on until everything is demolished.
The anthropological revolution which we are seeing and its claims incarnate in new rights contain the risk of a new form of totalitarianism that bursts in Western societies?
Of course. What you find with what is called the ‘liberal agenda’ is that the same categories of activist happen to be involved in a range of different but related issues which are loosely categorized as ‘freedom; issues: abortion, gay marriage, surrogacy, etc. The gay marriage campaigns are simply one element of a much larger picture, which is essentially about changing the very nature and meaning of concepts like ‘family’ and ‘parenthood’. The ideas underpinning the LGBT movement go back to the Frankfurt School in Germany in the 1920s. Later this group moved to New York, to Columbia University, where from the 1930s onwards they began the process of infiltrating the entirely American university system with a new form of Marxism – Cultural Marxism – designed to create a new kind of ‘dictatorship’ to inherit the historical role which had in effect been spurned by the proletariat. This is really the dictatorship of the ‘victims’, and is designed to promote the grievances of anyone who is not part of the alleged patriarchal hegemony which is supposed to have suppressed the rights of minorities in Europe and America, and which now stands to be overthrown. In fact, by this definition, the only category of human being not included among these 'victims' is the straight, adult, while male, who is ultimately the enemy of Cultural Marxism, but – again – most men who are likely to be affected are completely unaware of this.
These ideas now permeate the media of the West, and are slowing seeping into its political systems. Economic Marxism having been adjudged a failure, the Frankfurt School sought to reinvent Marxism as a cultural weapon directed at norms in human relationships, family and parenting. In a sense, gay marriage is no more than a battering ram which is being used to demolish the normative models and understandings. The longterm objective is to transfer the role of the cure parent from actual parents to the state, which would then be enabled to reallocate children to different adults more or less at will, the ultimate purpose being total control of the human person. If this sounds implausible, I would simply ask people to reflect on when they started to think of gay marriage as a self-evident ‘human’ or ‘civil’ right. Or look at their favorite ‘liberal’ newspaper and run a check on when it started to carry articles about gay marriage. Most people will be very surprised at the outcome of such an investigation. They will find that almost nobody talked about these questions until about six or seven years ago, that most Western politicians dismissed the idea of gay marriage as ridiculous until the last three or four years, and that none of the media organizations currently behaving as if they had championed these 'rights' for decades – if not centuries – carried as much as an editorial advocating gay marriage until about three or four years ago.
It is not an exaggeration to call this totalitarianism. The methodologies, as I explained in my talk in Rome, are profoundly totalitarian, because they rely on propaganda, demonisation, scapegoating of potential dissenters, corruption of media and politics, the mangling of everyday concepts and words, and so forth. All these weapons are being directed at the reinvention of human anthropology, in the guise of ‘equality’. In fact, you only have to consider the question for a short time before you realise that the ‘equality’ being offered amounts to a reduction of the rights and protections currently extended to normative families and natural parent/child relationships. It does, in fact, amount to ‘equality’ – but 'equality' at a much lower level than before for those in what will soon become known as ‘opposite-sex marriages’. It is like proposing that we cut off one healthy leg from every human person who has two, so that they can become 'equal' with a one-legged man. The rights of what we call 'traditional' marriages, will become diluted and reduced, and will find themselves at a new level alongside the new rights of ‘same-sex families’, i.e. at a much lower level than before. This is such an obvious point that it seems bizarre that it has not been understood in any of the societies which have so far accepted gay marriage, but this is a tribute to – precisely – the totalitarian power of the protagonist movement and its message.
What can we do to stop this threat? A pro family movement of people can be a solution?
The only way to stop it is to define it accurately and then to speak about it courageously. This movement for Cultural Marxism is accompanied by the most insidious and ugly tendencies towards bullying, demonizing and scapegoating that we have witnessed in peacetime Europe. Those in power either throw their lot in with the bullies – because it suits their broader agenda of stripping rights away from families – or hide away. The Catholic Church, since the resignation of Pope Benedict XVI, has been extremely ambivalent – at best – sending out messages which are ambiguous and confusing. The result is that there is no longer any effective way for the danger to be highlighted, articulated and warned against. I think a movement of some kind is essential, but it cannot take any of the traditional forms. The term ‘pro-family’ is inadequate to the moment. In the first place, it has connotations of previous concerns, to do with, for example, divorce, which, though itself part of the agenda of Cultural Marxism, ultimately became a threat that emanated from within the family, and therefore, in a sense, nullified the concept of ‘family’ in those contexts where the threat manifested itself. Divorce seemed, in other words, to be a matter of choice coming from one or both parents, i.e. ostensibly from within the family. Therefore, to pledge allegiance to ‘the family’ in those circumstances seemed to be meaningless, since at least one of the members/parents was opting to leave. This made it appear that 'pro-family' ideas were simply a front for interference from outside – on religious or ideological grounds.
The present situation is quite different, and requires different responses. What is being attempted is an attack on the human family, the whole of it, through the conventional nuclear 'family' which is the molecule of human civilisation. In this sense, we speak of 'family' as coterminous with 'species'. Even if some or many members of that family cannot see the issue, this is still true. The same was true for divorce, of course, but here there is less capacity for confusion, provided enough people speak out with sufficient clarity and courage. We have been sold the lie that nothing is at stake in gay marriage – that it is a win-win. We are told repeatedly that 'family rights' and marriage do not amount to 'a zero-sum'game'. But it is, in fact, a zero-sum game, because the 'rights' being extended to gay couples result from the scaling down of the rights and protections of normative families that I have described.
What stands to be defended, therefore, is the very integrity of the human species, the core significance of biology and genetics, the right of parents to decide for their own children. The attack of Cultural Marxism is made on the human being, via the family, the molecule of civilisation. The resistance therefore needs to express itself in these terms, rather than in terms which can easily be dismissed as ‘traditionalist’ or ‘religious’. This is an anthropological battle. The only way of combating these tendencies is gradually to make people aware of the processes and mechanisms whereby they are drawn into the trance of unreason, in which they agree to things which give away the ground they are standing on, or on which they might hope their children might one day stand. For this we require leadership, and before this can emerge we need to deprogramme many of our existing leaders, including religious leaders, who have themselves fallen prey to the propaganda.
Propaganda operates on the mob, and on that part of each individual which sees itself as belonging to some mob or herd. A mob has a psychology of its own, and this is increasingly what drives public discussions and their consequences in policy and law. Propaganda seems to work as effectively on the intelligent as on the simple. We need to become aware of everything that it happening and watch its operation on our own minds and thoughts, and then find ways of reversing the effects on ourselves and others. We need to make all these factors visible and broadly understood, notwithstanding their complexity. Given that the media have already been corrupted, this is an uphill task. But it would be a good start if some of our leaders stopped using the media to protect their own backs, apologising for ideas which they are pledged by their oaths and cloths to uphold, giving vent to their own confused thinking-out-loud, which renders ordinary people more susceptible to the operation of the ideology and its propaganda. In my view, if people are not prepared to delve deeply into these questions, discovering everything that is to be discovered and speaking unapologetically about their observations, we would all be better off if they did not speak at all.
Versione tradotta in italiano
In fact, to speak about the question in these terms is not strictly accurate. Those campaigning for the measure, their supporters, the international LGBT community, celebrities in the form of actors and pop singers etc, all these spoke about gay marriage being legalized in Ireland. But this is an inaccurate description, conveying a tiny part of what happened. In fact, what we did in Ireland was that we changed the core definition of family, arising from marriage, to confer the same legal and constitutional entitlements on a couple comprising two men or two women as hitherto were extended to a man and a woman on marriage. This is the most radical form of ‘gay marriage’ imaginable. The result is that the constitutional protections which previously applied to families – parents and children – based on marriage and biology, not longer obtain. There is now no constitutional value in biological connection, or in the complementarity of the sexes, or in the meaning of the conjugal act.
One of the problems was that many of those who voted for the amendment did not know any of this, did not wish to know it, or did not care. This is an unfortunate aspect of the political attitude of young people now: they find details boring. They do not care to hear things that might interfere with their desire to express what they regard as a ‘cool’ sentiment. So, we now have a Constitution that is no longer fit for purpose in as far as protecting families and parent-child relationships – either from the consequences of family breakdown and from encroachment by the state. But most people don’t know about this, and those who do are not listened to. We will therefore have a very strange hiatus before the consequences begin to reveal themselves. Then, I suppose, there will be some kind of backlash, but it is difficult to predict when this will occur.
You came to Italy several times, as on March 4, when you spoke to the Chamber of Deputies, that idea you've had the Italian situation?
I have been to Italy hundreds of times over the past decade or so. My understanding of the Italian situation is that it is – so far – much less serious than ours. In fact, Italy appears to have recently introduced a measure which seems very similar to the one we in Ireland introduced in 2010 – civil unions for gay couples but with no right to adopt – but which was immediately rejected as inadequate by the LGBT lobby. I predicted in Rome that, eventually, the same thing will happen in Italy as happened in Ireland: they will look for the maximum level of what they call ‘equality’. I don’t think people in Italy appreciate this. Certainly, many people I have met within the Catholic Church there appear to have no idea that this is the agenda. They accept the sob stories that this is all about the ‘right’ of gay people to have legally recognized relationships, and therefore to 'be happy'. Of course this is a smokescreen: at the back of all this is a determined ideological movement, which seeks to change completely the nature of human reality. It will go on until everything is demolished.
The anthropological revolution which we are seeing and its claims incarnate in new rights contain the risk of a new form of totalitarianism that bursts in Western societies?
Of course. What you find with what is called the ‘liberal agenda’ is that the same categories of activist happen to be involved in a range of different but related issues which are loosely categorized as ‘freedom; issues: abortion, gay marriage, surrogacy, etc. The gay marriage campaigns are simply one element of a much larger picture, which is essentially about changing the very nature and meaning of concepts like ‘family’ and ‘parenthood’. The ideas underpinning the LGBT movement go back to the Frankfurt School in Germany in the 1920s. Later this group moved to New York, to Columbia University, where from the 1930s onwards they began the process of infiltrating the entirely American university system with a new form of Marxism – Cultural Marxism – designed to create a new kind of ‘dictatorship’ to inherit the historical role which had in effect been spurned by the proletariat. This is really the dictatorship of the ‘victims’, and is designed to promote the grievances of anyone who is not part of the alleged patriarchal hegemony which is supposed to have suppressed the rights of minorities in Europe and America, and which now stands to be overthrown. In fact, by this definition, the only category of human being not included among these 'victims' is the straight, adult, while male, who is ultimately the enemy of Cultural Marxism, but – again – most men who are likely to be affected are completely unaware of this.
These ideas now permeate the media of the West, and are slowing seeping into its political systems. Economic Marxism having been adjudged a failure, the Frankfurt School sought to reinvent Marxism as a cultural weapon directed at norms in human relationships, family and parenting. In a sense, gay marriage is no more than a battering ram which is being used to demolish the normative models and understandings. The longterm objective is to transfer the role of the cure parent from actual parents to the state, which would then be enabled to reallocate children to different adults more or less at will, the ultimate purpose being total control of the human person. If this sounds implausible, I would simply ask people to reflect on when they started to think of gay marriage as a self-evident ‘human’ or ‘civil’ right. Or look at their favorite ‘liberal’ newspaper and run a check on when it started to carry articles about gay marriage. Most people will be very surprised at the outcome of such an investigation. They will find that almost nobody talked about these questions until about six or seven years ago, that most Western politicians dismissed the idea of gay marriage as ridiculous until the last three or four years, and that none of the media organizations currently behaving as if they had championed these 'rights' for decades – if not centuries – carried as much as an editorial advocating gay marriage until about three or four years ago.
It is not an exaggeration to call this totalitarianism. The methodologies, as I explained in my talk in Rome, are profoundly totalitarian, because they rely on propaganda, demonisation, scapegoating of potential dissenters, corruption of media and politics, the mangling of everyday concepts and words, and so forth. All these weapons are being directed at the reinvention of human anthropology, in the guise of ‘equality’. In fact, you only have to consider the question for a short time before you realise that the ‘equality’ being offered amounts to a reduction of the rights and protections currently extended to normative families and natural parent/child relationships. It does, in fact, amount to ‘equality’ – but 'equality' at a much lower level than before for those in what will soon become known as ‘opposite-sex marriages’. It is like proposing that we cut off one healthy leg from every human person who has two, so that they can become 'equal' with a one-legged man. The rights of what we call 'traditional' marriages, will become diluted and reduced, and will find themselves at a new level alongside the new rights of ‘same-sex families’, i.e. at a much lower level than before. This is such an obvious point that it seems bizarre that it has not been understood in any of the societies which have so far accepted gay marriage, but this is a tribute to – precisely – the totalitarian power of the protagonist movement and its message.
What can we do to stop this threat? A pro family movement of people can be a solution?
The only way to stop it is to define it accurately and then to speak about it courageously. This movement for Cultural Marxism is accompanied by the most insidious and ugly tendencies towards bullying, demonizing and scapegoating that we have witnessed in peacetime Europe. Those in power either throw their lot in with the bullies – because it suits their broader agenda of stripping rights away from families – or hide away. The Catholic Church, since the resignation of Pope Benedict XVI, has been extremely ambivalent – at best – sending out messages which are ambiguous and confusing. The result is that there is no longer any effective way for the danger to be highlighted, articulated and warned against. I think a movement of some kind is essential, but it cannot take any of the traditional forms. The term ‘pro-family’ is inadequate to the moment. In the first place, it has connotations of previous concerns, to do with, for example, divorce, which, though itself part of the agenda of Cultural Marxism, ultimately became a threat that emanated from within the family, and therefore, in a sense, nullified the concept of ‘family’ in those contexts where the threat manifested itself. Divorce seemed, in other words, to be a matter of choice coming from one or both parents, i.e. ostensibly from within the family. Therefore, to pledge allegiance to ‘the family’ in those circumstances seemed to be meaningless, since at least one of the members/parents was opting to leave. This made it appear that 'pro-family' ideas were simply a front for interference from outside – on religious or ideological grounds.
The present situation is quite different, and requires different responses. What is being attempted is an attack on the human family, the whole of it, through the conventional nuclear 'family' which is the molecule of human civilisation. In this sense, we speak of 'family' as coterminous with 'species'. Even if some or many members of that family cannot see the issue, this is still true. The same was true for divorce, of course, but here there is less capacity for confusion, provided enough people speak out with sufficient clarity and courage. We have been sold the lie that nothing is at stake in gay marriage – that it is a win-win. We are told repeatedly that 'family rights' and marriage do not amount to 'a zero-sum'game'. But it is, in fact, a zero-sum game, because the 'rights' being extended to gay couples result from the scaling down of the rights and protections of normative families that I have described.
What stands to be defended, therefore, is the very integrity of the human species, the core significance of biology and genetics, the right of parents to decide for their own children. The attack of Cultural Marxism is made on the human being, via the family, the molecule of civilisation. The resistance therefore needs to express itself in these terms, rather than in terms which can easily be dismissed as ‘traditionalist’ or ‘religious’. This is an anthropological battle. The only way of combating these tendencies is gradually to make people aware of the processes and mechanisms whereby they are drawn into the trance of unreason, in which they agree to things which give away the ground they are standing on, or on which they might hope their children might one day stand. For this we require leadership, and before this can emerge we need to deprogramme many of our existing leaders, including religious leaders, who have themselves fallen prey to the propaganda.
Propaganda operates on the mob, and on that part of each individual which sees itself as belonging to some mob or herd. A mob has a psychology of its own, and this is increasingly what drives public discussions and their consequences in policy and law. Propaganda seems to work as effectively on the intelligent as on the simple. We need to become aware of everything that it happening and watch its operation on our own minds and thoughts, and then find ways of reversing the effects on ourselves and others. We need to make all these factors visible and broadly understood, notwithstanding their complexity. Given that the media have already been corrupted, this is an uphill task. But it would be a good start if some of our leaders stopped using the media to protect their own backs, apologising for ideas which they are pledged by their oaths and cloths to uphold, giving vent to their own confused thinking-out-loud, which renders ordinary people more susceptible to the operation of the ideology and its propaganda. In my view, if people are not prepared to delve deeply into these questions, discovering everything that is to be discovered and speaking unapologetically about their observations, we would all be better off if they did not speak at all.
Versione tradotta in italiano
giovedì 14 aprile 2016
Come eravamo: L'amore alla Chiesa è la forza che permette di vivere e impegnarsi
La risposta (vera e appassionata) di don Giussani a Baget-Bozzo (ndr. Il Nostro Tempo, 9 gennaio 1977)
Ritrovare l'identità cristiana, non in una dottrina astratta, ma nel "fatto"-Chiesa, documentato nel mondo dalla visibile unità dei suoi fedeli - L'alienazione allegra di certa teologia che nasce da una vita di comunione smarrita - Non scambiamo l'amore alla Chiesa per volontà di potere .
Il teologo genovese Baget Bozzo ha scritto recentemente una lettera aperta a don Giussani [cfr. il n. 48 del nostro settimanale], nella quale poneva questa affermazione e questa domanda: «l'identità cristiana nella storia è principalmente un'identità dottrinale. Lei è d'accordo?». Don Giussani risponde a questa e ad altre affermazioni. Ci auguriamo che la risposta porti chiarezza sulla tematiche: fede, cultura e impegno politico dei cattolici e contribuisca a far conoscere meglio il movimento ecclesiale «Comunione e Liberazione».
Caro don Baget Bozzo, io ho un impegno direttamente pastorale e non sono filosofo e teologo competente come lei. Per questo non credo d'essere molto adatto a condurre un dibattito per articoli o lettere sui giornali. D'altra parte la diversità di carismi è per edificare e, grato della sollecitazione di oggi, lo sarò ancor più se mi vorrà assistere, correggere e suggerire secondo modalità generosamente più adeguate a come io vivo.
Lei mi chiedeva se io fossi d'accordo sulla definizione secondo cui «l'identità cristiana nella storia è principalmente una identità dottrinale». Mi sembra semplicemente inadeguato. Per me l'identità cristiana nella storia è principalmente un Fatto, il Fatto di una realtà nuova, di una «nuova creatura» che è la Chiesa, Corpo di Cristo, continuamente generata nel mistero della sua morte e risurrezione, ma documentata e dimostrata nella unità dei suoi fedeli: unità visibile, sociologicamente identificabile, come il segno di quel «crescere» del mistero di Cristo di cui parla il 4° della lettera agli Efesini, come il segno di quel «farsi corpo» di Cristo che appunto vive nella unità dei suoi che credono e lo testimoniano nel mondo.
Cosi la storia della Chiesa è la storia di una «communio». L'ortodossia, come ci ha insegnato la patristica e la sua riscoperta, non scaturisce come dottrina astrattamente intesa, ma come coscienza di una communio vissuta.
E la struttura dell'Evento [talmente è anzitutto un fatto!] implica anche l'organo propriamente espressivo di tale coscienza, cioè l'autorità. La storia della Chiesa quindi non è la storia di un'astratta unita dottrinale, ma è la storia di una vita reale di comunione vissuta ed espressa in riferimento dialogico e sacrificato a quella funzione di guida. Per questo una azione educativa alla fede s'affida molto prima e molto più a tale magistero, che alla teologia. Confesso che sono fortemente portato a credere che la teologia sia soprattutto utile come «materiale» per il magistero, che non come strumento immediato di edificazione dei fedeli: a meno si tratti di teologi veramente intenti ad una vita ecclesiale come lo furono i Padri o S. Tommaso [abbiamo molto diffuso fra noi il libro dello Hayen sulla teologia di S. Tommaso come generata dalla sua coscienza ecclesiale] o taluni moderni. L'attenzione data alla vita comunionale e al magistero riassorbono in partenza tutte le tentazioni di scivolare nella «alienazione allegra» di tanta teologia postconciliare, come perfettamente definisce lei. Ma tale teologia fa perdere il senso della vita ecclesiale proprio perché anzitutto essa è frutto di una vita di comunione smarrita.
Il 24 luglio '75 Paolo VI si chiedeva in un discorso del mercoledì «Dov'è il popolo di Dio, del quale tanto si è parlato, dov'è? ... Bene sappiamo che il popolo di Dio ha ora, storicamente un nome a tutti più familiare: è la chiesa; ... ebbene, chi davvero la conosce, chi la vive?». Questo popolo è nella obbedienza alla autorità, è nell'ascolto della Parola, è nel Sacramento: ma esso vive dentro una appartenenza che è misura della coscienza in ogni azione, e quindi tendenzialmente qualifica tutto. A questa incarnazione la liturgia invita gli sposi perché «esprimano nella loro vita il Sacramento che celebrano nella fede». Non mi pare giusto ridurre ad eticità individualistica tutto ciò; la vita degli sposi è chiamata ad approfondirsi come parte della visibile unità del corpo di Cristo. E non capirei perché la totalità della vita cristiana per il Battesimo non debba tendere ad esprimere visibilmente quella appartenenza corale: e se la manifestazione intera di essa è attesa con grande grido del cuore alla fine del tempo [Apoc. 22], essa nella misura della Grazia e del disegno di Dio già è, come albore, o come «primizia» o come «pegno», e la aspirazione della coscienza cristiana è che essa si dilati agli occhi di tutti. La «pienezza della presenza escatologica nella storia» implica anche il segno di una visibilità di vita comunionale; per cui a me sembra che la santità cattolica debba proprio essere proporzionata al «fervore della invivenza comunitaria», come dice lei, e «all'attaccamento alla Chiesa come società temporale» nel senso di «visibile».
Giudicare volontà di potere la passione per questa unità come criterio di vita mi parrebbe incomprensione ancora più grave del pericolo di tradimento cui spinge la tentazione di strumentalizzarla. Questa insistenza sulla unità, caso mai, vuol essere sete della gloria di Cristo «lo zelo della tua casa mi divora» una casa «di pietre vive». Le vicende storiche di tutto questo le stabilisce il Signore: per cui affermare la gloria di Cristo nel suo corpo, cioè nella unità dei suoi credenti, è abbastanza normalmente [specie di questi tempi] vederla sotto la figura del servo di Javé: non «erat ei aspectus neque decor». Il Signore la può far passare dallo splendore di Salomone alla prigionia di Babilonia; e viceversa. Eppure questa unità, potenza di Dio e fragilità di creta, «apertura crocifissa verso il mondo» e inizio di resurrezione, è al cuore della carità tutti gli altri comandamenti cristianamente si verificano in essa. Tale programma di sacrificio di se per l'Oggetto che la fede vede nella storia, è ben altro che il «calore affettivo di una comunità», anche se la misericordia del Signore può riservare tale dolcezza «ecco quanto è buono e soave che i fratelli vivano insieme».
Noi affermiamo la nostra unità per il mistero di Cristo che c'è in noi e tra di noi. E vorremmo vivere la regola di vita che P. Hamer nel suo «La Chiesa è una comunione» così sintetizza per la prima comunità cristiana: «Tendenza a mettere tutto in comune, sia i beni materiali che spirituali». E ciò, come trama stabile e originale di rapporti, non può non creare il volto di una società sia pure «sui generis», come ricorda il Papa nel citato discorso, il volto di un gruppo sociale. Non è volontà di potenza insisto, questo è un amore al tralucere del volto di Cristo nella unione quotidianamente operante dei fratelli.
Tutto ciò vive nella persona, ed è nei «gesti della persona» che si costruisce. La personalità cristiana nasce dal mistero della comunione ecclesiale, vi si alimenta, in essa si esprime, e tale comunione collabora ad edificare. La comunionalità è «dimensione» della creatura nuova che è il cristiano. E proprio perché l'uomo è uno in se, tale dimensione morde anche il tempo e lo spazio, si dimostra in esso, anche «come comportamenti di gruppo». «Affinché vedano le vostre opere buone...»: l'opera per eccellenza, a me sembra, è la unità visibile dei cristiani. Per analogia ad essa i cristiani si comportano verso tutti gli altri uomini.
La posizione di fronte al fenomeno culturale e politico non è che conseguenza. A me basta il riconoscimento che i gesti del cristiano hanno «una efficacia» culturale e politica. Nessuno di noi pensa di sostenere che l'identità cristiana abbia una determinata forma culturale e politica. Ma la fede non può non generare un modo originale di guardare, interrogare e giudicare i fatti, e quindi, secondo quello che la tradizione ecclesiastica ci mostra fino ad oggi, una fede comunionale vissuta non può non essere generatrice di forme culturali e ispiratrice di comportamenti politici.
La totale contingenza di tali scelte culturali e politiche, e quindi la loro totale opinabilità e riformabilità, non oscura la nettezza dei valori ecclesiali cui esse si debbono ispirare e le sponde critiche entro cui si debbono conservare e la capacità di sacrificio da vivere per riconoscere le urgenze dell'unità: «Nelle cose necessarie - e la salvaguardia della libertà religiosa e una di queste - il sentimento dell'unità di tutti i discepoli di Cristo deve essere più efficace delle pur comprensibili diversità di opinioni», disse il mio Cardinale a Sant 'Ambrogio [cfr anche i documenti della Cel e della CEI del novembre e dicembre 75]. E, ancora una volta son d'accordo con lei, questa efficacia culturale e politica i gesti del cristiano non sperano dalla organizzazione; esattamente come non la sperano da qualsiasi forza propria. Il cristiano in ogni cosa mira alla gloria del mistero di Cristo nella sua Chiesa, a «questa umanità pervasa dal disegno della salvezza» [Paolo VI nel discorso del 9 luglio '76], e che il mondo lo riconosca: ciò attende solo dalla grazia dello Spirito. Ma è disponibile a questo avvenimento con tutte le sue forze, ad esso offre tutti i suoi strumenti, tutto il suo schema umano quindi anche la sua esigenza di organicità in tutti i sensi, e la sua capacità organizzativa. È tendenza contenuta in ogni amicizia idealmente operativa. E non vedo perché anche la capacità organizzativa non debba essere parte di una «offerta a Cristo dei nostri corpi» [Rom. 12,2]. Ciò che è nostro è debole, quanto più naturalmente sembra essere forte perciò l'organizzazione più di tutto. Ma, lo ricorda lei stesso, Dio sceglie [appunto] le cose deboli di questo mondo. Cioè noi, secondo tutto quello che siamo.
Allora il problema non è che la nostra impostazione non sia errata il problema è che essa sia vissuta in purità, nella coscienza dell'effimero e del contingente, nel distacco libero fino all'ironia da tutto ciò cui pur ci dedichiamo con tutto il cuore, nell'interesse profondo alla storia e alla posizione di qualunque altra persona o gruppo, specialmente rispettoso degli stessi fratelli la cui diversità sembra contraddire il nostro ideale. Non faccio certo fatica a riconoscere la difficoltà di una coerente purezza perciò mendico aiuto da padri e fratelli nella fede cattolica, e, se l'aiuto deve essere efficace, sia possibilmente senza accuse incomprensive e generose illazioni.
Ecco pare anche a me di essere tutto disarmato, non soltanto perché incapace di dialettica, ma perché - spero - ricco soltanto di una volontà di fede ecclesiale imparata dai miei maestri di seminario cui sono grato come allora e che amo più di allora.
Mi sento molto lontano solo da un'immagine di Chiesa irresistibilmente ridotta al singolo che «confessa» la fede e si santifica. lo mi sentirei molto lontano da ogni forma di escatologismo individualistico, che tendenzialmente mi sembri rifiutare il compito della incarnazione e della missione nel mondo. E in ciò mi pare di trovare conforto dai Padri antichi al Magistero di oggi.
Quanto ho detto credo proprio rispecchi lo spirito di CL. Di altro [Movimento Popolare, Communio, ecc.] - con buona pace di tutte le polemiche confusioni - rendono conto quelli che ne portano la responsabilità; sono adulti, rispondano per se stessi. Io potrei trovarmi - come spesso mi trovo - diverso, anche profondamente, da loro e da quel che fanno.
Le ho detto «con fiducia la verità cui mi sento legato». Con fiducia: cioè con speranza di compagnia.
Ritrovare l'identità cristiana, non in una dottrina astratta, ma nel "fatto"-Chiesa, documentato nel mondo dalla visibile unità dei suoi fedeli - L'alienazione allegra di certa teologia che nasce da una vita di comunione smarrita - Non scambiamo l'amore alla Chiesa per volontà di potere .
Il teologo genovese Baget Bozzo ha scritto recentemente una lettera aperta a don Giussani [cfr. il n. 48 del nostro settimanale], nella quale poneva questa affermazione e questa domanda: «l'identità cristiana nella storia è principalmente un'identità dottrinale. Lei è d'accordo?». Don Giussani risponde a questa e ad altre affermazioni. Ci auguriamo che la risposta porti chiarezza sulla tematiche: fede, cultura e impegno politico dei cattolici e contribuisca a far conoscere meglio il movimento ecclesiale «Comunione e Liberazione».
Caro don Baget Bozzo, io ho un impegno direttamente pastorale e non sono filosofo e teologo competente come lei. Per questo non credo d'essere molto adatto a condurre un dibattito per articoli o lettere sui giornali. D'altra parte la diversità di carismi è per edificare e, grato della sollecitazione di oggi, lo sarò ancor più se mi vorrà assistere, correggere e suggerire secondo modalità generosamente più adeguate a come io vivo.
Lei mi chiedeva se io fossi d'accordo sulla definizione secondo cui «l'identità cristiana nella storia è principalmente una identità dottrinale». Mi sembra semplicemente inadeguato. Per me l'identità cristiana nella storia è principalmente un Fatto, il Fatto di una realtà nuova, di una «nuova creatura» che è la Chiesa, Corpo di Cristo, continuamente generata nel mistero della sua morte e risurrezione, ma documentata e dimostrata nella unità dei suoi fedeli: unità visibile, sociologicamente identificabile, come il segno di quel «crescere» del mistero di Cristo di cui parla il 4° della lettera agli Efesini, come il segno di quel «farsi corpo» di Cristo che appunto vive nella unità dei suoi che credono e lo testimoniano nel mondo.
Cosi la storia della Chiesa è la storia di una «communio». L'ortodossia, come ci ha insegnato la patristica e la sua riscoperta, non scaturisce come dottrina astrattamente intesa, ma come coscienza di una communio vissuta.
E la struttura dell'Evento [talmente è anzitutto un fatto!] implica anche l'organo propriamente espressivo di tale coscienza, cioè l'autorità. La storia della Chiesa quindi non è la storia di un'astratta unita dottrinale, ma è la storia di una vita reale di comunione vissuta ed espressa in riferimento dialogico e sacrificato a quella funzione di guida. Per questo una azione educativa alla fede s'affida molto prima e molto più a tale magistero, che alla teologia. Confesso che sono fortemente portato a credere che la teologia sia soprattutto utile come «materiale» per il magistero, che non come strumento immediato di edificazione dei fedeli: a meno si tratti di teologi veramente intenti ad una vita ecclesiale come lo furono i Padri o S. Tommaso [abbiamo molto diffuso fra noi il libro dello Hayen sulla teologia di S. Tommaso come generata dalla sua coscienza ecclesiale] o taluni moderni. L'attenzione data alla vita comunionale e al magistero riassorbono in partenza tutte le tentazioni di scivolare nella «alienazione allegra» di tanta teologia postconciliare, come perfettamente definisce lei. Ma tale teologia fa perdere il senso della vita ecclesiale proprio perché anzitutto essa è frutto di una vita di comunione smarrita.
Il 24 luglio '75 Paolo VI si chiedeva in un discorso del mercoledì «Dov'è il popolo di Dio, del quale tanto si è parlato, dov'è? ... Bene sappiamo che il popolo di Dio ha ora, storicamente un nome a tutti più familiare: è la chiesa; ... ebbene, chi davvero la conosce, chi la vive?». Questo popolo è nella obbedienza alla autorità, è nell'ascolto della Parola, è nel Sacramento: ma esso vive dentro una appartenenza che è misura della coscienza in ogni azione, e quindi tendenzialmente qualifica tutto. A questa incarnazione la liturgia invita gli sposi perché «esprimano nella loro vita il Sacramento che celebrano nella fede». Non mi pare giusto ridurre ad eticità individualistica tutto ciò; la vita degli sposi è chiamata ad approfondirsi come parte della visibile unità del corpo di Cristo. E non capirei perché la totalità della vita cristiana per il Battesimo non debba tendere ad esprimere visibilmente quella appartenenza corale: e se la manifestazione intera di essa è attesa con grande grido del cuore alla fine del tempo [Apoc. 22], essa nella misura della Grazia e del disegno di Dio già è, come albore, o come «primizia» o come «pegno», e la aspirazione della coscienza cristiana è che essa si dilati agli occhi di tutti. La «pienezza della presenza escatologica nella storia» implica anche il segno di una visibilità di vita comunionale; per cui a me sembra che la santità cattolica debba proprio essere proporzionata al «fervore della invivenza comunitaria», come dice lei, e «all'attaccamento alla Chiesa come società temporale» nel senso di «visibile».
Giudicare volontà di potere la passione per questa unità come criterio di vita mi parrebbe incomprensione ancora più grave del pericolo di tradimento cui spinge la tentazione di strumentalizzarla. Questa insistenza sulla unità, caso mai, vuol essere sete della gloria di Cristo «lo zelo della tua casa mi divora» una casa «di pietre vive». Le vicende storiche di tutto questo le stabilisce il Signore: per cui affermare la gloria di Cristo nel suo corpo, cioè nella unità dei suoi credenti, è abbastanza normalmente [specie di questi tempi] vederla sotto la figura del servo di Javé: non «erat ei aspectus neque decor». Il Signore la può far passare dallo splendore di Salomone alla prigionia di Babilonia; e viceversa. Eppure questa unità, potenza di Dio e fragilità di creta, «apertura crocifissa verso il mondo» e inizio di resurrezione, è al cuore della carità tutti gli altri comandamenti cristianamente si verificano in essa. Tale programma di sacrificio di se per l'Oggetto che la fede vede nella storia, è ben altro che il «calore affettivo di una comunità», anche se la misericordia del Signore può riservare tale dolcezza «ecco quanto è buono e soave che i fratelli vivano insieme».
Noi affermiamo la nostra unità per il mistero di Cristo che c'è in noi e tra di noi. E vorremmo vivere la regola di vita che P. Hamer nel suo «La Chiesa è una comunione» così sintetizza per la prima comunità cristiana: «Tendenza a mettere tutto in comune, sia i beni materiali che spirituali». E ciò, come trama stabile e originale di rapporti, non può non creare il volto di una società sia pure «sui generis», come ricorda il Papa nel citato discorso, il volto di un gruppo sociale. Non è volontà di potenza insisto, questo è un amore al tralucere del volto di Cristo nella unione quotidianamente operante dei fratelli.
Tutto ciò vive nella persona, ed è nei «gesti della persona» che si costruisce. La personalità cristiana nasce dal mistero della comunione ecclesiale, vi si alimenta, in essa si esprime, e tale comunione collabora ad edificare. La comunionalità è «dimensione» della creatura nuova che è il cristiano. E proprio perché l'uomo è uno in se, tale dimensione morde anche il tempo e lo spazio, si dimostra in esso, anche «come comportamenti di gruppo». «Affinché vedano le vostre opere buone...»: l'opera per eccellenza, a me sembra, è la unità visibile dei cristiani. Per analogia ad essa i cristiani si comportano verso tutti gli altri uomini.
La posizione di fronte al fenomeno culturale e politico non è che conseguenza. A me basta il riconoscimento che i gesti del cristiano hanno «una efficacia» culturale e politica. Nessuno di noi pensa di sostenere che l'identità cristiana abbia una determinata forma culturale e politica. Ma la fede non può non generare un modo originale di guardare, interrogare e giudicare i fatti, e quindi, secondo quello che la tradizione ecclesiastica ci mostra fino ad oggi, una fede comunionale vissuta non può non essere generatrice di forme culturali e ispiratrice di comportamenti politici.
La totale contingenza di tali scelte culturali e politiche, e quindi la loro totale opinabilità e riformabilità, non oscura la nettezza dei valori ecclesiali cui esse si debbono ispirare e le sponde critiche entro cui si debbono conservare e la capacità di sacrificio da vivere per riconoscere le urgenze dell'unità: «Nelle cose necessarie - e la salvaguardia della libertà religiosa e una di queste - il sentimento dell'unità di tutti i discepoli di Cristo deve essere più efficace delle pur comprensibili diversità di opinioni», disse il mio Cardinale a Sant 'Ambrogio [cfr anche i documenti della Cel e della CEI del novembre e dicembre 75]. E, ancora una volta son d'accordo con lei, questa efficacia culturale e politica i gesti del cristiano non sperano dalla organizzazione; esattamente come non la sperano da qualsiasi forza propria. Il cristiano in ogni cosa mira alla gloria del mistero di Cristo nella sua Chiesa, a «questa umanità pervasa dal disegno della salvezza» [Paolo VI nel discorso del 9 luglio '76], e che il mondo lo riconosca: ciò attende solo dalla grazia dello Spirito. Ma è disponibile a questo avvenimento con tutte le sue forze, ad esso offre tutti i suoi strumenti, tutto il suo schema umano quindi anche la sua esigenza di organicità in tutti i sensi, e la sua capacità organizzativa. È tendenza contenuta in ogni amicizia idealmente operativa. E non vedo perché anche la capacità organizzativa non debba essere parte di una «offerta a Cristo dei nostri corpi» [Rom. 12,2]. Ciò che è nostro è debole, quanto più naturalmente sembra essere forte perciò l'organizzazione più di tutto. Ma, lo ricorda lei stesso, Dio sceglie [appunto] le cose deboli di questo mondo. Cioè noi, secondo tutto quello che siamo.
Allora il problema non è che la nostra impostazione non sia errata il problema è che essa sia vissuta in purità, nella coscienza dell'effimero e del contingente, nel distacco libero fino all'ironia da tutto ciò cui pur ci dedichiamo con tutto il cuore, nell'interesse profondo alla storia e alla posizione di qualunque altra persona o gruppo, specialmente rispettoso degli stessi fratelli la cui diversità sembra contraddire il nostro ideale. Non faccio certo fatica a riconoscere la difficoltà di una coerente purezza perciò mendico aiuto da padri e fratelli nella fede cattolica, e, se l'aiuto deve essere efficace, sia possibilmente senza accuse incomprensive e generose illazioni.
Ecco pare anche a me di essere tutto disarmato, non soltanto perché incapace di dialettica, ma perché - spero - ricco soltanto di una volontà di fede ecclesiale imparata dai miei maestri di seminario cui sono grato come allora e che amo più di allora.
Mi sento molto lontano solo da un'immagine di Chiesa irresistibilmente ridotta al singolo che «confessa» la fede e si santifica. lo mi sentirei molto lontano da ogni forma di escatologismo individualistico, che tendenzialmente mi sembri rifiutare il compito della incarnazione e della missione nel mondo. E in ciò mi pare di trovare conforto dai Padri antichi al Magistero di oggi.
Quanto ho detto credo proprio rispecchi lo spirito di CL. Di altro [Movimento Popolare, Communio, ecc.] - con buona pace di tutte le polemiche confusioni - rendono conto quelli che ne portano la responsabilità; sono adulti, rispondano per se stessi. Io potrei trovarmi - come spesso mi trovo - diverso, anche profondamente, da loro e da quel che fanno.
Le ho detto «con fiducia la verità cui mi sento legato». Con fiducia: cioè con speranza di compagnia.
Luigi Giussani
mercoledì 13 aprile 2016
martedì 12 aprile 2016
Radio Monte Grappa: Appello a tutti i deputati che hanno a cuore il futuro della Democrazia in Italia
"Votate no alla riforma costituzionale. La recente vicenda dell’approvazione del ddl Cirinnà al
Senato, senza che sia stato possibile un dibattito serio e rigoroso su di una legge estremamente
delicata e divisiva come quella sulle unioni civili, induce ad un comportamento di garanzia nei
confronti della tutela del dibattito democratico parlamentare. Qualora passasse la riforma con
un’unica camera, sentiamo l’enorme pericolo che leggi di grande valore etico e antropologico
potrebbero essere approvate con un atto di imperio da parte del governo (vedi eutanasia,
liberalizzazione delle droghe e riforma delle adozioni). Pertanto facciamo un forte appello a tutti i
deputati perché si oppongano ad una riforma che rederebbe di fatto il governo decisore unico delle
leggi dello Stato. La storia del ddl Cirinnà sia di monito a tutti".
È quanto dichiara Massimo Gandolfini il presidente del Comitato Difendiamo i Nostri Figli promotore dei due Family day di giugno e gennaio scorsi.
Roma, 12 aprile 2016
È quanto dichiara Massimo Gandolfini il presidente del Comitato Difendiamo i Nostri Figli promotore dei due Family day di giugno e gennaio scorsi.
Roma, 12 aprile 2016
Comitato Difendiamo i Nostri figli
Lettera dal fronte: Piccole note e grandi cambiamenti?
Non ho ancora letto per intero l'esortazione sinodale Amoris Laetitia promulgata dal papa alcuni giorni or sono. Ne ho letto solo alcuni stralci a dire il vero molto belli. Tralascio i cori dei servitori di corte che dicono che finalmente la Chiesa parla di Eros e Amore. Mi chiedo semplicemente se costoro abbiano fatto catechismo usando Dylan Dog...
Ma il punto non è questo.
Come ho già accennato prima leggerò l'esortazione (che non è magistero infallibile e vale la pena ricordarlo) però queste note mi ricordano i contratti che Paperon de Paperoni faceva puntualmente firmare allo sfortunatissimo nipote Paolino Paperino...il contratto in sè era ottimo peccato ci fossero le righe in piccolo che facevano sì che il povero firmatario ci rimettesse sempre...
Andrea Musso
Ma il punto non è questo.
Sul capitolo dedicato ai divorziati risposati e alle cosiddette situazioni irregolari mi limito ad osservare che piu del testo mi preoccupano alcune note ad esso correlate dove (ad una prima lettura) pare intravedersi il succo di quella che era stata la posizione su cui erano ripiegati Kasper e compagni avendo visto che la loro prima proposta ancora più esplicita non aveva trovato spazio. In questo senso anche alcuni punti della relazione finale del sinodo che citavano Familiaris Consortio monca di una sua parte fondamentale potrebbero rappresentare una conferma di quanto ho detto.
Come ho già accennato prima leggerò l'esortazione (che non è magistero infallibile e vale la pena ricordarlo) però queste note mi ricordano i contratti che Paperon de Paperoni faceva puntualmente firmare allo sfortunatissimo nipote Paolino Paperino...il contratto in sè era ottimo peccato ci fossero le righe in piccolo che facevano sì che il povero firmatario ci rimettesse sempre...
Andrea Musso
lunedì 11 aprile 2016
domenica 10 aprile 2016
Lettera dal fronte: Piccolo quesito...
Una persona si trova ad affrontare e vivere una situazione difficile. Tale situazione gli impone di fare scelte che riguarderanno il suo futuro e quello dei suoi affetti più cari.
Sa che ci sono delle norme, delle regole che gli imporrebbero di fare un determinato tipo di scelta. Ma la situazione è difficile e comporta un peso non indifferente per cui decide di chiedere consiglio a due confidenti, due amici più vecchi di lui che lo conoscono bene.
Il primo amico lo ascolta paternamente, lo lascia parlare e poi gli dice che lo capisce, che la situazione è difficile e certo gli è chiesto molto. Poi aggiunge che se è vero che c'è una regola Resta anche vero che il suo caso è piuttosto particolare, che già la situazione in sè è molto pesante per cui ci sono delle eccezioni, delle attenuanti che lo riguardano. Lo rassicura dicendo che se quella cosa è troppo grande allora non è giusto chiedergli ancora un di più e che non deve incolparsi se non riesce a rispettare quella regola perché in qualche modo, vista la sua situazione, è come se fosse giustificato.
Il secondo confidente lo ascolta con molta attenzione, lo lascia finire, lo guarda intensamente e gli dice che sì, è proprio vero che è una situazione difficile e di sofferenza. E sì è vero che c'è quella norma che sembra così stringente,così crudele e per certi versi ingiusta, ma è stata messa lì per ricordargli che c'è un bene maggiore più alto cui tendere, che quel male che lo sta ferendo non ha l'ultima parola su di lui e sulla sua vita. Gli ricorda che lui è più del suo problema e che se vorrà tendere a quel bene che sembra così irraggiungibile lui ci sarà e lo sosterrà, nelle fatiche e nelle cadute in cui potrebbe incorrere.
Ed ora il quesito per ognuno di noi: chi dei due confidenti ha cercato il vero bene di quella persona?
Andrea Musso
Sa che ci sono delle norme, delle regole che gli imporrebbero di fare un determinato tipo di scelta. Ma la situazione è difficile e comporta un peso non indifferente per cui decide di chiedere consiglio a due confidenti, due amici più vecchi di lui che lo conoscono bene.
Il primo amico lo ascolta paternamente, lo lascia parlare e poi gli dice che lo capisce, che la situazione è difficile e certo gli è chiesto molto. Poi aggiunge che se è vero che c'è una regola Resta anche vero che il suo caso è piuttosto particolare, che già la situazione in sè è molto pesante per cui ci sono delle eccezioni, delle attenuanti che lo riguardano. Lo rassicura dicendo che se quella cosa è troppo grande allora non è giusto chiedergli ancora un di più e che non deve incolparsi se non riesce a rispettare quella regola perché in qualche modo, vista la sua situazione, è come se fosse giustificato.
Il secondo confidente lo ascolta con molta attenzione, lo lascia finire, lo guarda intensamente e gli dice che sì, è proprio vero che è una situazione difficile e di sofferenza. E sì è vero che c'è quella norma che sembra così stringente,così crudele e per certi versi ingiusta, ma è stata messa lì per ricordargli che c'è un bene maggiore più alto cui tendere, che quel male che lo sta ferendo non ha l'ultima parola su di lui e sulla sua vita. Gli ricorda che lui è più del suo problema e che se vorrà tendere a quel bene che sembra così irraggiungibile lui ci sarà e lo sosterrà, nelle fatiche e nelle cadute in cui potrebbe incorrere.
Ed ora il quesito per ognuno di noi: chi dei due confidenti ha cercato il vero bene di quella persona?
Andrea Musso