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sabato 15 luglio 2017
giovedì 13 luglio 2017
Lettera dal fronte: L'uomo senza Dio è un navigante senza bussola e senza stelle
L'uomo, dal Seicento in qua, vuole fare a meno di Dio e fare di testa sua. Questo per sentirsi libero! Ma questo è l'inganno del maligno!
L'uomo vuol sentirsi libero, ma da cosa? Dai dogmi della religione che lo induce a credere nell'indimostrabile, che non può essere contenuto nella nostra mente limitata e che, quindi, va scartato in quanto irrazionale?
L'ha fatto tante volte e ha sempre fatto danni, per i popoli, e prodotto benefici per i ragni dell'economia mondiale, che "fanno la storia".
L'uomo si libera di Dio, per che cosa? Per buttare alle ortiche la parola di Dio e rendersi schiavo di una rete di regole, frutto della mente umana, limitata e, quindi, soggetta all'errore, che lo opprime, fino a soffocarlo.
La vicenda di Charlie si colloca proprio qui: Charlie ha bisogno di amore (già, ma che senso ha parlare di amore se l'Amore viene escluso dalla nostra vita?) e di cure, ma il suo diritto si scontra con il sapere scientifico (che non è mai definitivo!) di chi ritiene di poter decidere se il bimbo possa continuare a lottare oppure no, senza prendere in considerazione l'eventualità di altre soluzioni che la scienza, tuttavia, pare proporre. Il parere dei medici viene sottoposto all'attenzione di importanti collegi giudicanti, che lo recepiscono e, per Charlie è finita. Ma Dio, come la pensa? No, no! Lasciamo stare Dio! Piuttosto, visto l'interesse mediatico suscitato dalla vicenda, torniamo dagli stessi giudici: chissà che non cambino idea?
L'uomo senza Dio è un navigante senza bussola e senza stelle... meditate gente, meditate...
L'uomo vuol sentirsi libero, ma da cosa? Dai dogmi della religione che lo induce a credere nell'indimostrabile, che non può essere contenuto nella nostra mente limitata e che, quindi, va scartato in quanto irrazionale?
L'ha fatto tante volte e ha sempre fatto danni, per i popoli, e prodotto benefici per i ragni dell'economia mondiale, che "fanno la storia".
L'uomo si libera di Dio, per che cosa? Per buttare alle ortiche la parola di Dio e rendersi schiavo di una rete di regole, frutto della mente umana, limitata e, quindi, soggetta all'errore, che lo opprime, fino a soffocarlo.
La vicenda di Charlie si colloca proprio qui: Charlie ha bisogno di amore (già, ma che senso ha parlare di amore se l'Amore viene escluso dalla nostra vita?) e di cure, ma il suo diritto si scontra con il sapere scientifico (che non è mai definitivo!) di chi ritiene di poter decidere se il bimbo possa continuare a lottare oppure no, senza prendere in considerazione l'eventualità di altre soluzioni che la scienza, tuttavia, pare proporre. Il parere dei medici viene sottoposto all'attenzione di importanti collegi giudicanti, che lo recepiscono e, per Charlie è finita. Ma Dio, come la pensa? No, no! Lasciamo stare Dio! Piuttosto, visto l'interesse mediatico suscitato dalla vicenda, torniamo dagli stessi giudici: chissà che non cambino idea?
L'uomo senza Dio è un navigante senza bussola e senza stelle... meditate gente, meditate...
Paolo Garlando
mercoledì 12 luglio 2017
martedì 11 luglio 2017
Conversazione al fronte: Intervista al presidente di Scienza & Vita: Il “miglior interesse” di Charlie
Da
settimane stiamo assistendo ad un vero miracolo. La grande
mobilitazione per il bene di Charlie Gard, che da due settimane sta
bloccando il delirio di onnipotenza dei giudici della Corte Suprema
Britannica, CEDU e dei medici del Great Ormond Hospital, i quali
giocano a fare i “demiurghi” contro il piccolo e i suoi genitori.
Nel mentre si è potuto anche leggere sul giornale Avvenire
un commento al vetriolo del presidente dell'istituto Luca Coscioni,
rivolto loro.
Per approfondire meglio tutto ciò, abbiamo contattato Alberto Gambino, presidente dell'Associazione Scienza & Vita - che trae la sua origine da quella dell’omonimo Comitato che è stato protagonista, dal febbraio al giugno del 2005, dei referendum sulla legge 40 -. Inoltre, Gambino è professore ordinario di Diritto privato, docente di Filosofia del diritto nella Facoltà di Giurisprudenza e Direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Europea di Roma; Avvocato civilista (dal 1996).
Come giudica le dichiarazioni su Avvenire di Maria Antonietta Farina Coscioni, presidente dell'istituto Luca Coscioni?
Sono dichiarazioni che mescolano tre situazioni molto diverse: il caso Charlie, il caso Englaro e l'obbligo di vaccinazione. Mettere queste tre vicende sullo stesso piano è fallace. Nel caso Charlie siamo davanti ad una richiesta da parte dei medici di interruzione del presidio vitale, ratificata dai giudici. Nel caso Englaro, la richiesta proveniva dal tutore che era anche il padre. Per i vaccini si tratta di un rifiuto di trattamento sanitario obbligatorio. Sono tre situazioni che corrispondono a principi diversi, rispettivamente: una presunta sproporzione della cura; un testamento biologico presunto; un illegittimo rifiuto a trattamento obbligatorio. Metterle insieme significa fare confusione, forse con intenti strumentali.
I genitori di Charlie Gard sono davvero egoisti, perché vogliono tutelare il proprio figlio contro le sentenze dei tribunali e le scelte dei medici?
Affermare che i genitori di Charlie sono "inconsapevolmente" (la sig.ra Coscioni mitiga così il suo giudizio) egoisti ritengo non sia né corretto, né rispettoso. Comunque, risponderei con le parole di Papa Francesco: "Chi sono io per giudicare?".
Che giudizio dà alla scelta del direttore Tarquinio di ospitare sul quotidiano Cei quel commento? Chiedo visto che ha provocato diverse polemiche.
Aldilà dei motivi per cui è stato dato spazio alla signora Coscioni, constato che la risposta del direttore di Avvenire è stata ferma e completa.
Qual è il giudizio di Scienza & Vita su quanto sta accadendo al piccolo Charlie: la sua situazione configura realmente un caso di accanimento terapeutico?
Il giudizio di Scienza & Vita è stato ufficialmente espresso in un Comunicato dove si esprime dissenso con la decisione dei medici, avallata dai giudici inglesi e dalla Corte Europea per i Diritti Umani. Charlie non è un malato terminale, né – a quanto è dato capire – ventilazione, nutrizione e idratazione artificiali sono per lui tanto gravose da consigliarne la sospensione.
Perché, allora, un bimbo gravemente malato, pur avviato ad un esito infausto, dovrebbe essere fatto morire in anticipo sottraendo presidi vitali indispensabili? La giustificazione della irrevocabile sentenza di morte che ha colpito Charlie è che questo sarebbe il suo “miglior interesse”.
Si intravede, dietro questa decisione, un atteggiamento mentale che sta inquinando alle radici la pratica medica, le legislazioni e il sentire diffuso: l'idea che gli esseri umani con bassa qualità di vita abbiano una dignità e un valore inferiore agli altri e che sia irragionevole sprecare per essi preziose risorse che potrebbero essere destinate altrove. È la cultura dello scarto di cui il caso Charlie è diventato tragico simbolo.
Il caso creatosi attorno Charlie Gard suggerisce a noi italiani di non abbassare la guardia di fronte alle DAT? Se sì, per quale motivo?
In effetti dobbiamo fare molta attenzione a quanto sta accadendo in Parlamento: quanto deciso dai giudici della Cedu è esattamente ciò che avverrà anche in Italia con l’applicazione della legge sul biotestamento.
Nell'attuale versione che sta per essere approvata definitivamente dal Senato si è scritto infatti che nel caso di paziente con ‘prognosi infausta a breve termine’ il medico ‘deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure’, ma ostinazione e irragionevolezza sono parametri, ambigui e soggettivi che, in realtà, si possono giudicare solo dopo un tentativo di cura, non prima.
Ritenere, invece, che il medico, in queste situazioni, debba sempre astenersi dalla cura significa che lo deve fare anche contro la volontà del paziente e dei familiari. Tutto questo implicherà, inoltre, che se non si precisano questi termini in modo più rigoroso, ci sarà una evidente deresponsabilizzazione dei sanitari e una spinta verso l’abbandono terapeutico, per di più in un quadro strutturale di una sanità attanagliata dall'esigenza del risparmio dei costi e, dunque, talvolta incline a fare ciniche scelte efficentiste.
Per approfondire meglio tutto ciò, abbiamo contattato Alberto Gambino, presidente dell'Associazione Scienza & Vita - che trae la sua origine da quella dell’omonimo Comitato che è stato protagonista, dal febbraio al giugno del 2005, dei referendum sulla legge 40 -. Inoltre, Gambino è professore ordinario di Diritto privato, docente di Filosofia del diritto nella Facoltà di Giurisprudenza e Direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Europea di Roma; Avvocato civilista (dal 1996).
Come giudica le dichiarazioni su Avvenire di Maria Antonietta Farina Coscioni, presidente dell'istituto Luca Coscioni?
Sono dichiarazioni che mescolano tre situazioni molto diverse: il caso Charlie, il caso Englaro e l'obbligo di vaccinazione. Mettere queste tre vicende sullo stesso piano è fallace. Nel caso Charlie siamo davanti ad una richiesta da parte dei medici di interruzione del presidio vitale, ratificata dai giudici. Nel caso Englaro, la richiesta proveniva dal tutore che era anche il padre. Per i vaccini si tratta di un rifiuto di trattamento sanitario obbligatorio. Sono tre situazioni che corrispondono a principi diversi, rispettivamente: una presunta sproporzione della cura; un testamento biologico presunto; un illegittimo rifiuto a trattamento obbligatorio. Metterle insieme significa fare confusione, forse con intenti strumentali.
I genitori di Charlie Gard sono davvero egoisti, perché vogliono tutelare il proprio figlio contro le sentenze dei tribunali e le scelte dei medici?
Affermare che i genitori di Charlie sono "inconsapevolmente" (la sig.ra Coscioni mitiga così il suo giudizio) egoisti ritengo non sia né corretto, né rispettoso. Comunque, risponderei con le parole di Papa Francesco: "Chi sono io per giudicare?".
Che giudizio dà alla scelta del direttore Tarquinio di ospitare sul quotidiano Cei quel commento? Chiedo visto che ha provocato diverse polemiche.
Aldilà dei motivi per cui è stato dato spazio alla signora Coscioni, constato che la risposta del direttore di Avvenire è stata ferma e completa.
Qual è il giudizio di Scienza & Vita su quanto sta accadendo al piccolo Charlie: la sua situazione configura realmente un caso di accanimento terapeutico?
Il giudizio di Scienza & Vita è stato ufficialmente espresso in un Comunicato dove si esprime dissenso con la decisione dei medici, avallata dai giudici inglesi e dalla Corte Europea per i Diritti Umani. Charlie non è un malato terminale, né – a quanto è dato capire – ventilazione, nutrizione e idratazione artificiali sono per lui tanto gravose da consigliarne la sospensione.
Perché, allora, un bimbo gravemente malato, pur avviato ad un esito infausto, dovrebbe essere fatto morire in anticipo sottraendo presidi vitali indispensabili? La giustificazione della irrevocabile sentenza di morte che ha colpito Charlie è che questo sarebbe il suo “miglior interesse”.
Si intravede, dietro questa decisione, un atteggiamento mentale che sta inquinando alle radici la pratica medica, le legislazioni e il sentire diffuso: l'idea che gli esseri umani con bassa qualità di vita abbiano una dignità e un valore inferiore agli altri e che sia irragionevole sprecare per essi preziose risorse che potrebbero essere destinate altrove. È la cultura dello scarto di cui il caso Charlie è diventato tragico simbolo.
Il caso creatosi attorno Charlie Gard suggerisce a noi italiani di non abbassare la guardia di fronte alle DAT? Se sì, per quale motivo?
In effetti dobbiamo fare molta attenzione a quanto sta accadendo in Parlamento: quanto deciso dai giudici della Cedu è esattamente ciò che avverrà anche in Italia con l’applicazione della legge sul biotestamento.
Nell'attuale versione che sta per essere approvata definitivamente dal Senato si è scritto infatti che nel caso di paziente con ‘prognosi infausta a breve termine’ il medico ‘deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure’, ma ostinazione e irragionevolezza sono parametri, ambigui e soggettivi che, in realtà, si possono giudicare solo dopo un tentativo di cura, non prima.
Ritenere, invece, che il medico, in queste situazioni, debba sempre astenersi dalla cura significa che lo deve fare anche contro la volontà del paziente e dei familiari. Tutto questo implicherà, inoltre, che se non si precisano questi termini in modo più rigoroso, ci sarà una evidente deresponsabilizzazione dei sanitari e una spinta verso l’abbandono terapeutico, per di più in un quadro strutturale di una sanità attanagliata dall'esigenza del risparmio dei costi e, dunque, talvolta incline a fare ciniche scelte efficentiste.
lunedì 10 luglio 2017
Conversazione al fronte: Intervista all'avvocato e professor Carmelo Leotta: Una richiesta di archiviazione che minaccia la vita di ogni persona
Il 27 febbraio è morto
in Svizzera nella struttura dell'associazione Dignitas a Forch
Fabiano Antoniani, in arte dj Fabo, a seguito della sua richiesta di
somministrazione di una sostanza letale che ponesse fine alla sua
sofferenza, procurandogli la morte. Nella vicenda ha avuto un ruolo
significativo il leader radicale Marco Cappato che nei giorni
precedenti lo aveva accompagnato in Svizzera con un mezzo attrezzato.
Tornato in Italia, Cappato si è autodenunciato ai carabinieri ed è
stato indagato per il delitto punito dall'articolo 580 del Codice
Penale (istigazione e aiuto al suicidio) per aver agevolato il
suicidio di dj Fabo. In data 2 maggio scorso, i media hanno riportato
la notizia che la Procura di Milano ha fatto una richiesta di
archiviazione del procedimento contro Cappato. Il gip per il momento
non si è espresso, e lo farà soltanto dopo l'udienza del 6 luglio.
Considerando la delicatezza del tema, chiediamo a Carmelo Leotta, avvocato del foro di Torino e professore associato di diritto penale presso l'università Europea di Roma, di illustrarci il contenuto della richiesta d'archiviazione e i rischi che possono derivare qualora le motivazioni su cui tale richiesta si fonda venissero accolte e condivise.
Che cosa dispone l'articolo 580 del Codice Penale e che significato ha?
L’art. 580 punisce chi determina un'altra persona al suicidio, ne rafforza il proposito, oppure agevola in qualsiasi modo il compimento di tale atto. L'art. 580 c.p., così come l’art. 579 c.p. che punisce l’omicidio del consenziente, è un segnale di come, per la legge italiana, la volontà di morte del titolare del bene vita non escluda la responsabilità penale di chi la morte gli procura, ovvero di chi lo aiuta a togliersi la vita.
Prevedere, come fanno gli artt. 579 e 580 c.p., che è penalmente responsabile chi asseconda la volontà di morire di un’altra persona vuol dire affermare che il bene della vita non è solo inviolabile da parte di soggetti terzi, ma è anche un indisponibile da parte del titolare. Indisponibilità vuol dire che se il titolare del bene vita distrugge tale bene non esercita un diritto tutelato dall'ordinamento.
Dal momento che esiste l'art. 580 c.p. che punisce l'aiuto al suicidio, sulla base di quale ragionamento i due Pubblici Ministeri di Milano chiedono l'archiviazione?
I PM milanesi richiedono l’archiviazione poiché, come si legge nella richiesta, a loro dire, «le pratiche di suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile o indegna dal malato stesso».
Cosa può fare, secondo quanto si legge nella richiesta, il malato che ritenga che la sua vita non è più degna?
Secondo la prospettiva fatta propria dai due PM che chiedono l'archiviazione del procedimento contro Cappato, il malato che ritiene non più tollerabile la propria vita, ha diritto a porre fine alla propria esistenza non solo in via indiretta con la rinunzia alla terapia, ma anche in via diretta, con l’assunzione di una “terapia finalizzata allo scopo suicidario”. In altre parole: se il malato percepisce le proprie condizioni e la propria sofferenza come non più compatibili con il proprio senso di dignità, l’aiuto al suicidio, si legge nella richiesta, “diviene una condotta radicalmente inoffensiva del bene giuridico tutelato dall’art. 580 Codice penale”.
Secondo lei quali conseguenze può portare l'impostazione che sta alla base della richiesta di archiviazione?
L’impostazione alla base della richiesta dei due P.M. – secondo cui non c’è violazione del diritto alla vita se il malato ritiene indegna la propria – presenta, a mio modo di vedere, tre punti di profonda debolezza, sul piano giuridico.
Cominciamo a dire qual è il primo: se si accoglie l'impostazione dei due PM, che riconduce il "se" della tutela della vita ad un concetto di dignità auto-percepita dal titolare del bene, si modifica il fondamento di tutela del bene vita: l’ordinamento non protegge più la vita in sé e per sé, ma il bene vita fintantoché il suo titolare lo vuole.
In questo modo, però, il diritto è solo più l'espressione della volontà individuale e può anche prevalere sul soggetto, distruggendolo.
Quali sono le altre due criticità che, secondo lei, si rinvengono nell'impostazione su cui si fonda la richiesta di archiviazione?
La seconda criticità è una diretta conseguenza della prima: il passaggio dalla tutela della vita, bene oggettivo, alla tutela della volontà di vivere, bene soggettivo e mutevole, pone questo ulteriore dilemma: se il malato non è in grado di dire se la sua vita è degna di essere vissuta, servirà qualcuno che "parli" al posto suo. Proprio come è successo nel caso di Eluana Englaro, in cui il padre-tutore ha espresso la volontà in nome della figlia. Peccato che lo si sia fatto sulla base di una frase pronunciata dalla diretta interessata oltre 17 anni prima.
E la terza criticità in che cosa consiste?
La terza criticità che si rinviene, a mio avviso, nella richiesta di archiviazione è forse la più radicale. I due PM, infatti, non affermano che esiste un diritto generalizzato di disporre della vita, cioè un diritto al suicidio per tutti; titolari di tale presunto “diritto”, sono, invece, solo coloro che si trovano “in situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile o indegna dal malato stesso”.
Secondo me, una simile affermazione che riconosce il diritto al suicidio al malato e non al sano, suona come dirgli: "la tua vita vale meno di quella del sano, perché tu, e solo tu, che sei malato, puoi disporne". Questo comporta una vistosa violazione del principio d'eguaglianza.
Considerando la delicatezza del tema, chiediamo a Carmelo Leotta, avvocato del foro di Torino e professore associato di diritto penale presso l'università Europea di Roma, di illustrarci il contenuto della richiesta d'archiviazione e i rischi che possono derivare qualora le motivazioni su cui tale richiesta si fonda venissero accolte e condivise.
Che cosa dispone l'articolo 580 del Codice Penale e che significato ha?
L’art. 580 punisce chi determina un'altra persona al suicidio, ne rafforza il proposito, oppure agevola in qualsiasi modo il compimento di tale atto. L'art. 580 c.p., così come l’art. 579 c.p. che punisce l’omicidio del consenziente, è un segnale di come, per la legge italiana, la volontà di morte del titolare del bene vita non escluda la responsabilità penale di chi la morte gli procura, ovvero di chi lo aiuta a togliersi la vita.
Prevedere, come fanno gli artt. 579 e 580 c.p., che è penalmente responsabile chi asseconda la volontà di morire di un’altra persona vuol dire affermare che il bene della vita non è solo inviolabile da parte di soggetti terzi, ma è anche un indisponibile da parte del titolare. Indisponibilità vuol dire che se il titolare del bene vita distrugge tale bene non esercita un diritto tutelato dall'ordinamento.
Dal momento che esiste l'art. 580 c.p. che punisce l'aiuto al suicidio, sulla base di quale ragionamento i due Pubblici Ministeri di Milano chiedono l'archiviazione?
I PM milanesi richiedono l’archiviazione poiché, come si legge nella richiesta, a loro dire, «le pratiche di suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile o indegna dal malato stesso».
Cosa può fare, secondo quanto si legge nella richiesta, il malato che ritenga che la sua vita non è più degna?
Secondo la prospettiva fatta propria dai due PM che chiedono l'archiviazione del procedimento contro Cappato, il malato che ritiene non più tollerabile la propria vita, ha diritto a porre fine alla propria esistenza non solo in via indiretta con la rinunzia alla terapia, ma anche in via diretta, con l’assunzione di una “terapia finalizzata allo scopo suicidario”. In altre parole: se il malato percepisce le proprie condizioni e la propria sofferenza come non più compatibili con il proprio senso di dignità, l’aiuto al suicidio, si legge nella richiesta, “diviene una condotta radicalmente inoffensiva del bene giuridico tutelato dall’art. 580 Codice penale”.
Secondo lei quali conseguenze può portare l'impostazione che sta alla base della richiesta di archiviazione?
L’impostazione alla base della richiesta dei due P.M. – secondo cui non c’è violazione del diritto alla vita se il malato ritiene indegna la propria – presenta, a mio modo di vedere, tre punti di profonda debolezza, sul piano giuridico.
Cominciamo a dire qual è il primo: se si accoglie l'impostazione dei due PM, che riconduce il "se" della tutela della vita ad un concetto di dignità auto-percepita dal titolare del bene, si modifica il fondamento di tutela del bene vita: l’ordinamento non protegge più la vita in sé e per sé, ma il bene vita fintantoché il suo titolare lo vuole.
In questo modo, però, il diritto è solo più l'espressione della volontà individuale e può anche prevalere sul soggetto, distruggendolo.
Quali sono le altre due criticità che, secondo lei, si rinvengono nell'impostazione su cui si fonda la richiesta di archiviazione?
La seconda criticità è una diretta conseguenza della prima: il passaggio dalla tutela della vita, bene oggettivo, alla tutela della volontà di vivere, bene soggettivo e mutevole, pone questo ulteriore dilemma: se il malato non è in grado di dire se la sua vita è degna di essere vissuta, servirà qualcuno che "parli" al posto suo. Proprio come è successo nel caso di Eluana Englaro, in cui il padre-tutore ha espresso la volontà in nome della figlia. Peccato che lo si sia fatto sulla base di una frase pronunciata dalla diretta interessata oltre 17 anni prima.
E la terza criticità in che cosa consiste?
La terza criticità che si rinviene, a mio avviso, nella richiesta di archiviazione è forse la più radicale. I due PM, infatti, non affermano che esiste un diritto generalizzato di disporre della vita, cioè un diritto al suicidio per tutti; titolari di tale presunto “diritto”, sono, invece, solo coloro che si trovano “in situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile o indegna dal malato stesso”.
Secondo me, una simile affermazione che riconosce il diritto al suicidio al malato e non al sano, suona come dirgli: "la tua vita vale meno di quella del sano, perché tu, e solo tu, che sei malato, puoi disporne". Questo comporta una vistosa violazione del principio d'eguaglianza.
articolo pubblicato su Vita Diocesana Pinerolese
Dispaccio: Fare comunicazione etica: Il contributo dei cattolici nell'epoca della “post-verità”
Gaudenti annunciamo il IV incontro di studio de La Baionetta. Questa volta si terrà presso la prestigiosa sala conferenze del Palazzo di Cisterna, in via Maria Vittoria 12. Incontro organizzato in sinergia con le associazioni culturali Poesia Attiva, Puzzle-richiami fluidi, Il Laboratorio, con il Movimento Cristiano Lavoratori, la casa editrice Alpina srl. Evento che vede il patrocinio della Città Metropolitana di Torino.
Questa volta interverranno Luca Rolandi e Mariachiara Martina, due autorevoli comunicatori. Modera l'amico e collega Marco Margrita.
La complessa situazione attuale richiede l 'espressione diretta da parte della Chiesa di una informazione e di una comunicazione che sappiano dare risposte alle esigenze spirituali e materiali dell'uomo, attraverso la specifica autenticità del “Fatto” cristiano.
I giornalisti e comunicatori cattolici sono chiamati ad avere uno sguardo realista, per distinguere ciò che è vero da ciò che è falso, ciò ch è bene, da ciò che è male. 'Missione apostolica', per il bene comune, che riguarda i credenti e i non credenti. Di fatti Papa Francesco ha ricordato, nel suo messaggio per la giornata della Comunicazione di quest'anno, citando il filosofo romano Cassiano, che “già i nostri antichi padri nella fede parlavano della mente umana come di una macina da mulino che mossa dall'acqua non può essere fermata. Chi è incaricato del mulino, però, ha la possibilità di decidere se macinarvi la zizzania o grano. La mente dell'uomo è sempre in azione e non può cessare di macinare ciò che riceve, ma sta a noi decidere quale materiale fornire”.
In questo modo gli operatori della comunicazione sono invitati a offrire una sana etica della comunicazione fatta di coscienza critica e di risposte concrete ai bisogni spirituali e materiali delle persone, e ad assicurare la libertà della Chiesa, per contrastare gli effetti della cultura laicista e consumistica, sostenute e diffuse da quelle che oramai sono vere e proprie multinazionali dell'informazione, come Google Facebook, che non agiscono nella più totale trasparenza, e nemmeno nell'interesse dei singoli; anzi, l'intento loro è di indebolire la capacità di giudizio di questi, performandoli ad un “pensiero unico” mainstream; a discapito della libertà di parola e di coscienza.
Divengono sempre più fondamentali la testimonianza e la capacità di dare buone notizie, che difendano la vita umana, dal concepimento fino alla fine, rispettino il dolore, costruiscano bene comune. Cifre dell'unicità del cattolicesimo.
I cattolici, per la propria unicità, devono vigilare sulle possibili manipolazioni dell 'informazione; vigilanza che si inserisce nella tradizione culturale della dottrina sociale della Chiesa e riafferma il principio etico, valido anche per la comunicazione sociale: “Non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente lecito”.
Questa è la base da cui partiranno le riflessioni degli autorevoli ospiti che abbiamo invitato per il IV incontro di studio. Attraverso la loro esperienza, maturata dopo anni di serio e appassionato lavoro, ci sveleranno come si fa buona comunicazione; il contributo prezioso che oggi la presenza cattolica nella stampa, nel sistema editoriale, in internet è in grado di offrire, sebbene sia minoritaria, e le sfide che essa incontra; come tale presenza possa essere presidio territoriale di straordinaria valenza teologica democratica e di buon senso comune. Ci aiuteranno a capire come si può bloccare lo svuotamento progressivo a cui i cristiani si autoconsegnano, con un “accesso esclusivo” ai media di informazione laicista.
Mariachiara Martina è moglie e mamma di 3 figli. Si è laureata in Tecniche della Comunicazione. Gestisce, seleziona, promuove i diritti di programmi TV (documentari e animazioni) da 14 anni proponendoli sul mercato nazionale ed internazionale. Specialista in licenza e distribuzione di contenuti multimediali su base mondiale. Specialista nella comunicazione aziendale, nello sviluppo nella gestione di rapporti commerciali di alto profilo, in nuovi contesti di mercato. Anima creativa e di affari @ Fioredentro ™
Luca Rolandi. Vive e lavora a Torino. Sposato, con Marella Galfrè, papà di Martina, Agnese e Paolo. Si è laureato in Scienze politiche, con una tesi in storia del giornalismo ed ha conseguito il Dottorato di ricerca in Storia sociale e religiosa. Giornalista professionista; ha lavorato in tutti i settori della comunicazione. Firma e collaboratore del portale sul Vaticano de La Stampa. Direttore de La Voce del Popolo dal 2014 al 2016. Ora direttore del sito internet della Diocesi di Torino e coordinatore e responsabile del sito dei giornali diocesani di Torino vocetempo.it
Questa volta interverranno Luca Rolandi e Mariachiara Martina, due autorevoli comunicatori. Modera l'amico e collega Marco Margrita.
La complessa situazione attuale richiede l 'espressione diretta da parte della Chiesa di una informazione e di una comunicazione che sappiano dare risposte alle esigenze spirituali e materiali dell'uomo, attraverso la specifica autenticità del “Fatto” cristiano.
I giornalisti e comunicatori cattolici sono chiamati ad avere uno sguardo realista, per distinguere ciò che è vero da ciò che è falso, ciò ch è bene, da ciò che è male. 'Missione apostolica', per il bene comune, che riguarda i credenti e i non credenti. Di fatti Papa Francesco ha ricordato, nel suo messaggio per la giornata della Comunicazione di quest'anno, citando il filosofo romano Cassiano, che “già i nostri antichi padri nella fede parlavano della mente umana come di una macina da mulino che mossa dall'acqua non può essere fermata. Chi è incaricato del mulino, però, ha la possibilità di decidere se macinarvi la zizzania o grano. La mente dell'uomo è sempre in azione e non può cessare di macinare ciò che riceve, ma sta a noi decidere quale materiale fornire”.
In questo modo gli operatori della comunicazione sono invitati a offrire una sana etica della comunicazione fatta di coscienza critica e di risposte concrete ai bisogni spirituali e materiali delle persone, e ad assicurare la libertà della Chiesa, per contrastare gli effetti della cultura laicista e consumistica, sostenute e diffuse da quelle che oramai sono vere e proprie multinazionali dell'informazione, come Google Facebook, che non agiscono nella più totale trasparenza, e nemmeno nell'interesse dei singoli; anzi, l'intento loro è di indebolire la capacità di giudizio di questi, performandoli ad un “pensiero unico” mainstream; a discapito della libertà di parola e di coscienza.
Divengono sempre più fondamentali la testimonianza e la capacità di dare buone notizie, che difendano la vita umana, dal concepimento fino alla fine, rispettino il dolore, costruiscano bene comune. Cifre dell'unicità del cattolicesimo.
I cattolici, per la propria unicità, devono vigilare sulle possibili manipolazioni dell 'informazione; vigilanza che si inserisce nella tradizione culturale della dottrina sociale della Chiesa e riafferma il principio etico, valido anche per la comunicazione sociale: “Non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente lecito”.
Questa è la base da cui partiranno le riflessioni degli autorevoli ospiti che abbiamo invitato per il IV incontro di studio. Attraverso la loro esperienza, maturata dopo anni di serio e appassionato lavoro, ci sveleranno come si fa buona comunicazione; il contributo prezioso che oggi la presenza cattolica nella stampa, nel sistema editoriale, in internet è in grado di offrire, sebbene sia minoritaria, e le sfide che essa incontra; come tale presenza possa essere presidio territoriale di straordinaria valenza teologica democratica e di buon senso comune. Ci aiuteranno a capire come si può bloccare lo svuotamento progressivo a cui i cristiani si autoconsegnano, con un “accesso esclusivo” ai media di informazione laicista.
Mariachiara Martina è moglie e mamma di 3 figli. Si è laureata in Tecniche della Comunicazione. Gestisce, seleziona, promuove i diritti di programmi TV (documentari e animazioni) da 14 anni proponendoli sul mercato nazionale ed internazionale. Specialista in licenza e distribuzione di contenuti multimediali su base mondiale. Specialista nella comunicazione aziendale, nello sviluppo nella gestione di rapporti commerciali di alto profilo, in nuovi contesti di mercato. Anima creativa e di affari @ Fioredentro ™
Luca Rolandi. Vive e lavora a Torino. Sposato, con Marella Galfrè, papà di Martina, Agnese e Paolo. Si è laureato in Scienze politiche, con una tesi in storia del giornalismo ed ha conseguito il Dottorato di ricerca in Storia sociale e religiosa. Giornalista professionista; ha lavorato in tutti i settori della comunicazione. Firma e collaboratore del portale sul Vaticano de La Stampa. Direttore de La Voce del Popolo dal 2014 al 2016. Ora direttore del sito internet della Diocesi di Torino e coordinatore e responsabile del sito dei giornali diocesani di Torino vocetempo.it
Dispaccio: La responsabilità etica dei cattolici nella comunicazione
Sotto l'impulso di Giovanni Paolo II, evidente soprattutto nel Convegno ecclesiale di Loreto del 1985, i cattolici italiani sono sollecitati ad agire in modo che "la fede cristiana abbia, o recuperi, un ruolo-guida e un efficacia trainante".
In questa prospettiva missionaria i media - giornali tv radio internet - assumono una rilevanza senza precedenti per la testimonianza del messaggio cristiano nella società moderna, reagendo alle “teologie” della scelta religiosa, la quale condanna il cattolico all'irrilevanza e all'intimismo; con il rischio di un cristianesimo dis-incarnato e incapace di dare ragione della sua unicità e del suo essere risorsa preziosa per il bene comune.
Non a caso, la specifica dei comunicatori cattolici consiste nell'offrire, all'interno della Babele informativa attuale, una sana etica della comunicazione fatta di coscienza critica e di risposte concrete ai bisogni spirituali e materiali delle persone: in termini di ragione, significato della vita, Speranza, Giustizia, Carità. Ma non solo, essi assicurano la libertà della Chiesa dinanzi al nuovo “consumistico impero globale della sfera” - per usare un'espressione cara a Papa Francesco -, costruito dalle multinazionali dell'informazione, che non agiscono nella più totale trasparenza, e nemmeno nell'interesse dei singoli; anzi, l'intento loro è di indebolire la capacità di giudizio di questi, performandoli ad un “pensiero unico” mainstream; a discapito della libertà di parola e di coscienza; beni sia per i credenti che per i non credenti.
I cattolici, per la propria unicità, devono vigilare sulle possibili manipolazioni dell 'informazione, e ciò si inserisce nella tradizione culturale della dottrina sociale della Chiesa e riafferma il principio etico, valido anche per la comunicazione sociale: “Non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente lecito”.
Perciò, chiederemo ai nostri autorevoli ospiti di riflettere su quanto scritto e di condividere come affrontano le sfide quotidiane. In un'epoca in cui il ruolo della presenza cattolica nella stampa e nel mondo editoriale resta minoritario, nonostante l 'imponenza dello schieramento e il suo radicamento capillare nel territorio e nell 'istituzione ecclesiastica.
Sicuramente Margrita Chiapello e Carmagnola sapranno dimostrarci che raccontare la realtà, contro ogni tentativo ideologico di falsarla, è il dovere etico più importante. Oggi, in cui il senso del limite, la certezza del vero e del bene sono smarriti.
Mauro Carmagnola e’ nato a Torino il 16 settembre 1960, si e’ laureato in Scienze Politiche ed ha conseguito un master in Finanza presso la Scuola di Amministrazione Aziendale di Torino. Giornalista pubblicista dal 1993, e’ direttore responsabile de Il Laboratorio di MCL Notiziario provinciale lavoratori. Presidente del’Unione Regionale MCL del Piemonte e Consigliere Nazionale del movimento e Consigliere Nazionale del movimento ed entra nell’Esecutivo Nazionale MCL. Autore di saggi e libri, tra cui Appello Bianco, redatto assieme a Luca Reteuna, e Perche’ Berlusconi non ci ha liberati dal comunismo.
Giancarlo Chiapello è nato a Torino il 30 agosto 1974, residente a Moncalieri (To). Fin da giovane impegnato nel volontariato parrocchiale nel servizio dell’animazione dei giovani e nell’organizzazione di attività oratoriane si occupa anche della formazione degli animatori. La passione per la politica, intesa come “un’alta forma di esercizio della carità”, l’ha portato negli anni ad essere impegnato nella dirigenza locale e provinciale del Partito Popolare Italiano ed eletto nel 2002 consigliere comunale di Moncalieri dove ha ricoperto le cariche di capogruppo e presidente della Commissione consigliare permanente cultura, giovani, infanzia, pari opportunità. È stato negli anni responsabile dei giovani popolari dopo lo scioglimento del PPI e responsabile nazionale sia propaganda e studi sia organizzativo del movimento laico di ispirazione cristiana «Italia Popolare». Fondatore del Centro Studi Sociali «Mario Becchis». Oltre ai libri curati per Effatà, ha pubblicato Mario Becchis, il Sindaco intellettuale, ed. Iniziative Editoriali (Moncalieri, To), Sulla strada di Gerico. Animatori parrocchiali oggi, ed. Vita. Da marzo 2017 è direttore dell'Ufficio diocesano della Pastorale Sociale e del Lavoro, presso la Diocesi di Pinerolo.
Marco Margrita, che torna per la seconda volta, vive tra Giaveno, Pinerolo, Torino e Roma. È esperto di comunicazione, consulente editoriale per Echos Group, membro del cda della fondazione romana politico-culturale Europa Popolare, legata al Partito Popolare Europeo e al MCL, dirige la comunicazione di Dai-impresa, gruppo di Aziende, Imprenditori, Professionisti, Artigiani e Commercianti radicati a Torino e nella sua Prima Cintura, Val Susa Val Sangone e Pinerolese; cura la comunicazione per alcune importanti realtà del Terzo Settore; conduce con Luca Calcagno, l'approfondimento giornalistico a Radio Italia Uno, dopo aver condotto con Maurizio Berta la trasmissione "Il Sasso nello Stagno", prima su Radio Dora poi su Susa Onda Radio; ha collaborato e collabora con importanti testate locali e nazionali come Vita Diocesana Pinerolese, La Valsusa, il settimanale Tempi, ed è direttore de La Pietra Nello Stagno, giornale online canavesano, di 2006piùMagazine e de Il Monviso, mensile e settimanale storici del Piemonte.
In questa prospettiva missionaria i media - giornali tv radio internet - assumono una rilevanza senza precedenti per la testimonianza del messaggio cristiano nella società moderna, reagendo alle “teologie” della scelta religiosa, la quale condanna il cattolico all'irrilevanza e all'intimismo; con il rischio di un cristianesimo dis-incarnato e incapace di dare ragione della sua unicità e del suo essere risorsa preziosa per il bene comune.
Non a caso, la specifica dei comunicatori cattolici consiste nell'offrire, all'interno della Babele informativa attuale, una sana etica della comunicazione fatta di coscienza critica e di risposte concrete ai bisogni spirituali e materiali delle persone: in termini di ragione, significato della vita, Speranza, Giustizia, Carità. Ma non solo, essi assicurano la libertà della Chiesa dinanzi al nuovo “consumistico impero globale della sfera” - per usare un'espressione cara a Papa Francesco -, costruito dalle multinazionali dell'informazione, che non agiscono nella più totale trasparenza, e nemmeno nell'interesse dei singoli; anzi, l'intento loro è di indebolire la capacità di giudizio di questi, performandoli ad un “pensiero unico” mainstream; a discapito della libertà di parola e di coscienza; beni sia per i credenti che per i non credenti.
I cattolici, per la propria unicità, devono vigilare sulle possibili manipolazioni dell 'informazione, e ciò si inserisce nella tradizione culturale della dottrina sociale della Chiesa e riafferma il principio etico, valido anche per la comunicazione sociale: “Non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente lecito”.
Perciò, chiederemo ai nostri autorevoli ospiti di riflettere su quanto scritto e di condividere come affrontano le sfide quotidiane. In un'epoca in cui il ruolo della presenza cattolica nella stampa e nel mondo editoriale resta minoritario, nonostante l 'imponenza dello schieramento e il suo radicamento capillare nel territorio e nell 'istituzione ecclesiastica.
Sicuramente Margrita Chiapello e Carmagnola sapranno dimostrarci che raccontare la realtà, contro ogni tentativo ideologico di falsarla, è il dovere etico più importante. Oggi, in cui il senso del limite, la certezza del vero e del bene sono smarriti.
Mauro Carmagnola e’ nato a Torino il 16 settembre 1960, si e’ laureato in Scienze Politiche ed ha conseguito un master in Finanza presso la Scuola di Amministrazione Aziendale di Torino. Giornalista pubblicista dal 1993, e’ direttore responsabile de Il Laboratorio di MCL Notiziario provinciale lavoratori. Presidente del’Unione Regionale MCL del Piemonte e Consigliere Nazionale del movimento e Consigliere Nazionale del movimento ed entra nell’Esecutivo Nazionale MCL. Autore di saggi e libri, tra cui Appello Bianco, redatto assieme a Luca Reteuna, e Perche’ Berlusconi non ci ha liberati dal comunismo.
Giancarlo Chiapello è nato a Torino il 30 agosto 1974, residente a Moncalieri (To). Fin da giovane impegnato nel volontariato parrocchiale nel servizio dell’animazione dei giovani e nell’organizzazione di attività oratoriane si occupa anche della formazione degli animatori. La passione per la politica, intesa come “un’alta forma di esercizio della carità”, l’ha portato negli anni ad essere impegnato nella dirigenza locale e provinciale del Partito Popolare Italiano ed eletto nel 2002 consigliere comunale di Moncalieri dove ha ricoperto le cariche di capogruppo e presidente della Commissione consigliare permanente cultura, giovani, infanzia, pari opportunità. È stato negli anni responsabile dei giovani popolari dopo lo scioglimento del PPI e responsabile nazionale sia propaganda e studi sia organizzativo del movimento laico di ispirazione cristiana «Italia Popolare». Fondatore del Centro Studi Sociali «Mario Becchis». Oltre ai libri curati per Effatà, ha pubblicato Mario Becchis, il Sindaco intellettuale, ed. Iniziative Editoriali (Moncalieri, To), Sulla strada di Gerico. Animatori parrocchiali oggi, ed. Vita. Da marzo 2017 è direttore dell'Ufficio diocesano della Pastorale Sociale e del Lavoro, presso la Diocesi di Pinerolo.
Marco Margrita, che torna per la seconda volta, vive tra Giaveno, Pinerolo, Torino e Roma. È esperto di comunicazione, consulente editoriale per Echos Group, membro del cda della fondazione romana politico-culturale Europa Popolare, legata al Partito Popolare Europeo e al MCL, dirige la comunicazione di Dai-impresa, gruppo di Aziende, Imprenditori, Professionisti, Artigiani e Commercianti radicati a Torino e nella sua Prima Cintura, Val Susa Val Sangone e Pinerolese; cura la comunicazione per alcune importanti realtà del Terzo Settore; conduce con Luca Calcagno, l'approfondimento giornalistico a Radio Italia Uno, dopo aver condotto con Maurizio Berta la trasmissione "Il Sasso nello Stagno", prima su Radio Dora poi su Susa Onda Radio; ha collaborato e collabora con importanti testate locali e nazionali come Vita Diocesana Pinerolese, La Valsusa, il settimanale Tempi, ed è direttore de La Pietra Nello Stagno, giornale online canavesano, di 2006piùMagazine e de Il Monviso, mensile e settimanale storici del Piemonte.