mercoledì 18 maggio 2016

Come eravamo: Lavoro e proprietà

Questo testo fa parte di "La politica, per chi, per cosa", supplemento a "il Sabato" n. 22 del 30 maggio 1987, p. 41-42
Leone XIII, Rerum novarum

Una saggia politica sociale a vantaggio dei lavoratori giova a tutta la società
39. I violenti mutamenti sociali hanno prodotto la divisione della società in due classi separate da un abisso profondo. Da una parte una fazione strapotente, perché straricca, la quale, avendo in mano ogni sorta di produzione e commercio, sfrutta per sé tutte le sorgenti della ricchezza, ed esercita pure nell'andamento dello Stato una grande influenza. Dall'altra una moltitudine misera e debole, dall'animo esacerbato e pronto sempre a tumulti. Ora, se in questa moltitudine s'incoraggia l'attività colla speranza di poter acquisire beni stabili, una classe verrà avvicinandosi a poco a poco all'altra, togliendo l'immensa distanza tra la somma povertà e la somma ricchezza.
Oltre a ciò, dalla terra si ricaverà una quantità di prodotti molto maggiore. Quando gli uomini sanno di lavorare in proprio, faticano con più alacrità e ardore, anzi si affezionano al campo coltivato di propria mano, da cui attendono per sé e per la famiglia, non solo gli alimenti, ma una certa agiatezza. Ed è facile capire come questa alacrità giovi moltissimo ad accrescere la produzione del suolo e la ricchezza della nazione.
Ne seguirà un terzo vantaggio cioè l'attaccamento al luogo natio; infatti non si cambierebbe la patria con un paese straniero, se quella desse di che vivere agiatamente ai suoi figli.
Si avverta peraltro che tali vantaggi dipendono da questa condizione, che la privata proprietà non venga oppressa da imposte eccessive. Poiché il diritto della proprietà privata, deriva non da una legge umana, ma da quella naturale, lo Stato non può annientarlo, ma solamente temperarne l'uso ed armonizzarlo col bene comune.E ingiustizia e disumanità esigere dai privati più del dovere sotto pretesto di imposte.

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