venerdì 7 aprile 2017

Lettera dal fronte: «La gloria di Dio è l’uomo vivente»: considerazioni teologiche sulla cultura della vita/01

Iniziamo oggi una piccola rubrica di riflessione teologica che ci guiderà alla partecipazione della prossima Marcia per la Vita che si terrà a Roma il 20 Maggio 2017. Gli articoli cercheranno di rispondere sulle ragioni dell'impegno della Chiesa Cattolica in favore della vita analizzando la questione sia da un punto di vista scritturale, teologico, magisteriale e di “prassi” tradizionale. Speriamo di aiutarvi a comprendere almeno in parte questo grande mistero ed ad invogliarvi a partecipare alla Marcia, coscienti di gridare al mondo un sonoro SI alla Vita.

Attenzione: gli articoli contengono argomenti ed espressioni tipicamente cattolici =)


Lunedì 27 Marzo sono stati diffusi i dati sul consumo in Italia delle cosiddette pillole del giorno dopo considerate e propagandate dai media come anche dall'AIFA non come farmaci abortivi bensì come contraccettivi di emergenza. La pubblicazione di questi dati è stata l'occasione per una riflessione, spontanea quanto profonda, sul significato ed il valore della vita e della cultura della vita cui si contrappone, ovviamente, la cultura della morte di cui parlava a tamburo battente San Giovanni Paolo II: queste riflessioni, di natura teologica, nascono anche dal fatto che, ahinoi, anche buona parte della élite della Chiesa (intesa sia come gerarchia ecclesiastica che come laicato impegnato socialmente) non approfondisce, e forse neanche conosce, la grandezza del mistero della vita accontentandosi di riproporre asetticamente gli enunciati della dottrina relativi al V Comandamento. Non meravigliamoci di quanto ho appena detto in quanto pochi giorni prima della pubblicazione dei dati di cui sopra è venuta a galla una sordida vicenda che ha riguardato l'Università Cattolica di Lovanio (in Belgio, fino a pochi anni fa tra i massimi Istituti culturali di tutta la Chiesa Cattolica): un docente di filosofia avrebbe proposto agli studenti un suo testo sulla vita, riproponendo (ma in chiave strettamente filosofica) la definizione della Chiesa sull'aborto quale «uccisione di un innocente» e «gravissima colpa in quanto l'innocente è anche indifeso»: il professore è stato sospeso per incitamento all'odio ed altre amenità varie ed il dibattito si è animato sempre più in Belgio con marce spontanee in favore della vita ma anche con interventi a mezzo stampa da parte di tutti gli attori coinvolti. Se non fosse chiaro, il professore è stato sospeso dall'insegnamento da un'Università Cattolica per aver espresso in quella sede le medesime posizioni del Catechismo della Chiesa Cattolica; similmente dobbiamo segnalare i numerosi distinguo ed i comunicati ambigui e dai toni irenistici della Conferenza Episcopale belga che sembrano condannare il professore per il suo intervento pur ammettendo che le affermazioni formano parte del patrimonio di fede dei cattolici.

Come potete vedere, la confusione regna sovrana anche in campo cattolico: non ne godiamo, ovviamente, giacché «un nemico ha fatto questo», ma d'altro canto è nostro dovere «giudicare i segni dei tempi» che ci si pongono dinanzi. Fedeli alla Parola di Dio («vagliate tutto, trattenete ciò che è buono») dobbiamo denunciare ma anche riproporre in maniera decisa e sempre più chiara la sana dottrina in questi tempi in cui, sempre con le parole di San Paolo, si fa presto a dare retta a delle favole.

Chiedendovi perdono per questa lunga introduzione passiamo ora a vedere da dove sgorga l'impegno in favore della vita (dal concepimento alla morte naturale, utilizzando il linguaggio appropriato) profuso nel corso dei secoli dalla Chiesa Cattolica: sarà un'analisi teologica e scritturale che potrà anche non essere condivisa da quanti non si riconoscono figli della Chiesa, ma sarà altresì motivo di approfondimento della tematica per tutti i cattolici che – speriamo – saranno invogliati a compiere la loro missione di sale della terra e luce del mondo con la consapevolezza di possedere un carattere peculiare (anche) quando si parla di vita e di morte. La difesa della vita è secondo la Chiesa un tema comune a tutti gli uomini, che fa riferimento cioè al diritto naturale inscritto nel cuore di ogni uomo ma è altrettanto vero che i cattolici hanno il dovere di sostenere queste battaglie con un quid in più, vale a dire anche da un punto di vista della propria fede: non dimentichiamo infatti che, come afferma San Tommaso d'Aquino, «la grazia non toglie nulla ma [tutto] perfeziona». Ovviamente come è possibile fare una riflessione teologica sulla cultura della vita, è altrettanto vero che è possibile parlare teologicamente della cultura della morte: gli argomenti in ballo sono molteplici e su ognuno dovremmo e potremmo parlare per settimane: per facilitarvi la lettura e la comprensione, pertanto, spezzetteremo gli argomenti in diversi articoli.

Tutto parte dalle origini, e non potrebbe essere altrimenti: al culmine della creazione, da intendere sia cronologicamente che gerarchicamente, Dio crea la prima coppia di uomini, Adamo ed Eva, affermando che essi sono «cosa molta buona» aggiungendo un aggettivo qualificativo assente nel giudizio su tutto il mondo fisico creato precedentemente («e Dio vide che ciò che aveva fatto era buono»). Fin dalle origini dunque, la vita umana ha agli occhi di Dio un carattere peculiare che non verrà revocato neanche dopo il peccato originale benché il Signore preannunci sofferenze e guai di ogni tipo: è doveroso sottolineare questa cosa in quanto oggigiorno, anche tra i cattolici, non è così chiaro che la vita umana abbia un valore intrinseco ed originario, vale a dire per il semplice fatto di essere. Poiché l'uomo è molto buono, inoltre, è facilmente intuibile perché solo a lui (neanche agli angeli, tanto per fare un esempio) Dio abbia dato il compito di soggiogare la terra, di dare il nome agli animali e di disporre di ogni erba e frutto che è nel Giardino. Non dimentichiamo, poi, che l'uomo è creato «ad immagine e somiglianza di Dio» cosicché, ancora oggi, qualsiasi essere umano che viene alla luce ha un valore sacro agli occhi di Dio ed è per lui perfetto in se stesso, a prescindere da “come è fatto”: noi non lo sappiamo (lo possiamo solo intuire) ma Dio conosce perfettamente il perché ci sono uomini più o meno alti, più o meno magri, biondi o mori, con voce rauca o squillante, portatori di handicap o sani, etc. Anche molte differenze tra gli esseri umani derivano dalle conseguenze del peccato originale – e su questo non ci devono essere dubbi al riguardo – ma permanendo il carattere di molto buono e di immagine e somiglianza con Dio (il quale ama le sue creature dello stesso amore che ha una madre per frutto del suo grembo) dobbiamo sforzarci sempre di vedere il nostro prossimo con gli occhi di Dio, che considera ogni essere umano perfetto e preziosissimo ai suoi occhi per il semplice fatto che esista (cui si sommerà in seguito il valore redentivo del Mistero del Verbo Incarnato che fa si che, citando Sant'Ireneo di Lione, «gli uomini possano diventare dei»).

Il semplice richiamo alla creazione delle origini (sebbene il compimento della Rivelazione da parte di Cristo porta con se nuove verità ancor più profonde) ci aiuta a capire meglio il perché la Chiesa oltre a condannare l'aborto e l'omicidio combatta da sempre ogni commercializzazione e la monetizzazione del corpo umano, insistendo a porre come virtù cardine della vita di tutti gli uomini la pudicizia e la castità. Facciamo un esempio lampante: un uomo, anche se non legato da nessun vincolo o voto, che guardi con desiderio spasmodico ogni donna che gli capita a tiro (buttando gli occhi su altre parti del suo corpo, più o meno in bella vista, diverse dal suo viso) difficilmente potrà capire e vivere il mistero che dicevamo prima in quanto non riuscirà a guardare quella sua sorella con gli occhi di Dio ma solamente con quelli della carne. Similmente, una donna che farà di tutto per mostrare il proprio corpo (ed oggigiorno non è difficile né da immaginare né da vedere per strada) non solo potrà essere occasione di peccato da parte di un suo fratello ma percepirà se stessa come mera carne, senza cioè quel carattere di immagine e somiglianza con Dio proprio della sua essenza. Ovviamente questi sono frutti della concupiscenza, cosicché sarà possibile per chiunque vivere in castità principalmente per mezzo della vita di grazia (cosa valida anche per i viziosi, il cui problema potrebbe dipendere da eventi e convinzioni pregresse una vita di fede degnamente vissuta) ma di certo l'esercizio della temperanza e delle altre virtù in giovane età aiuterà a piegare la volontà di ciascuno creando così un abito di pudicizia e purezza.

Ma proviamo a spingerci oltre, e concentriamoci nuovamente sul problema che ci siamo posti dinanzi. Abbiamo detto che Dio, anche dopo il peccato originale, non rinnega la sua parola benché condanni l'uomo (o, meglio: dia all'uomo la pena consona al suo errore) ad una esistenza da vivere in una valle di lacrime: egli infatti non solo promette che la stirpe della donna schiaccerà la testa al serpente ma si fa prossimo delle sue creature mostrandosi o come giudice giusto (come nel caso del diluvio in cui la stirpe umana non è distrutta ed il mondo ripopolato per mezzo dell'Arca) ma anche come un tenero padre per mezzo dei patti di alleanza, prima con Noè e poi con Abramo, che – attenzione! – è sempre Dio a proporre per primo, rivelando così il suo amore sconfinato per le sue immeritevoli creature ed accettando anche la libera scelta dell'uomo di non corrispondervi. L'Antico Testamento rimanda spesso a questa dicotomia dell'uomo: egli è «concepito nel peccato» ma è anche «gloria di Dio». Non per nulla Davide, nel Salmo 8, chiede a Dio «che cosa è l'uomo perché te ne ricordi, e il figlio dell'uomo perché te en curi?» dopo aver osservato le meraviglie della natura cui l'uomo non sembra si possa paragonare e la risposta di Dio, per mezzo delle parole di Davide, è sconvolgente in quanto afferma che «eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato [...] tutto hai posto sotto i suoi piedi».

Quando sentiamo proclamare questi passi della Parola di Dio sentiamo anche noi vibrare le corde più profonde della nostra anima come accadde a Davide mentre scriveva questa suo dialogo con il Signore? Contempliamo anche noi la grandezza di ogni essere umano andando oltre il dato puramente materiale? Riflettiamo che Dio ci ha coronato di gloria e di onore, attributi che sono Suoi e che da noi stessi non possiamo neanche minimamente immaginare?

Ci poniamo queste domande? O siamo dell'idea che l'uomo è un essere autosufficiente, adulto, autoreferenziale e dominatore del mondo? Similmente, ci ricordiamo della nostra relazione e dipendenza assoluta con Dio, come anche della partecipazione di ogni uomo al Suo essere, durante un malattia o una desolazione spirituale? E dinanzi ad una rara bellezza (utilizzando il linguaggio biblico) riusciamo a trascendere il dato puramente carnale ed effimero di tale innegabile splendore? Siamo pronti, noi uomini, ad esempio, a guardare una donna in lingerie con lo stesso sguardo con cui ne osserveremo un'altra avvolta da uno scialle coprente? Saremmo certi di poter trascendere il dato materiale per poter affermare, ed a cuor contento, di non essere i padroni e i consumatori di quella persona? E dinanzi ad un portatore di handicap, oppure ad un mutilato, riusciamo ad avere quello sguardo di pienezza proprio di Dio? Siamo certi che ogni volta che ci mettiamo dinanzi ad uno specchio siamo pronti ad accettarci per quel che siamo e cercare di migliorarci – ovviamente! – per dare gloria a Dio e non solo per cercare quella degli uomini?

Come si può vedere, un discorso teologico sulla cultura della vita e sulla cultura della morte implica una mole di considerazioni troppo ampia: sarebbe banale citare semplicemente il V Comandamento, come anche il solo riportare le enunciazioni del Magistero e del Catechismo su aborto, eutanasia e fecondazione artificiale.

C'è bisogno invero di capire ciò che magari già si sa. E di amare ciò che si conosce per poi vivere ciò che si ama. Vi diamo appuntamento alle prossime puntate di questa rubrica, in cui cercheremo di sviscerare nei limiti delle nostre possibilità questo grandissimo mistero che ci riguarda da vicino in maniera somma in quanto Dio, cioè l'Essere perfettissimo e immenso, ha voluto che la sua gloria coincidesse «con l'uomo vivente».


Francesco Del Giudice

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