Come evitare che il diavolo ci metta “in saccoccia”. Un ricordo del padre Amorth
A tappe forzate verso la Riforma delle Pensioni. Definitiva. Per eutanasia.
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Disparitarie
Utero in affitto: in Ucraina le schiave abbondano
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In Siria nessuno crede alla strage compiuta «per errore» dagli americani
L’Apartheid autoinflitta
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Non ci va di essere educati dallo Stato
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Sant'Alfonso contro la falsa pace di Assisi
Con il Brexit, Londra si blinda e taglia gli ingressi. Mentre Renzi balla da solo e Soros mesta ancora
Sul matrimonio
Il coraggio dell'impopolarità, come Gesù
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sabato 24 settembre 2016
venerdì 23 settembre 2016
Giornale murale: Le forme della presenza cristiana nella società di oggi: quale testimonianza dell'incontro con Cristo?
Il dibattito dentro Comunione e Liberazione interessa tutta la Chiesa
Evoluzione del Meeting?
Secondo qualcuno da qualche anno il Meeting di Rimini è cambiato. lo stesso nell'agosto 2015 scrivevo che «Un Meeting dal programma cosi attento a non disturbare i manovratori non si era mai visto. Scarse le proposte controcorrente. Scarse le proposte cattoliche. Molti gli incontri aziendali ed economici, molti i rappresentanti delle istituzioni invitati, da Monica Maggioni a Domenico Delrio, dal premier Renzi a Roberto Maroni, da Francesco Rutelli al ministro Gentiloni. Molto composti ed equilibrati gli incontri interreligiosi. Perfino il tema della scuola, tanto caro a Comunione e liberazione, è stato trattato in sordina, affidato a Luigi Berlinguer l'incontro aveva per titolo "statale o paritaria purché sia migliore". In tutto il Meeting non c'è stato un accenno alla libertà di educazione, e perfino il tema della sussidiarietà è stato confinato in un incontro del gruppo interparlamentare per la sussidiarietà. Completamente assenti le grandi sfide di oggi: la vita, la procreazione, la denatalità, le unioni civili, il gender, l'eterologa, le nuove forme di famiglia distruttive della famiglia, l'utero in affitto, la lotta alle leggi ingiuste. Eppoi i grandi applausi per il premier Renzi che con Comunione e Liberazione non si sa cosa ci azzecchi. Dimenticato il suo centralismo statalista, le leggi contro la famiglia, l'assenza del governo sull'eterologa, la discutibilissima legge sulla scuola». Questo scrivevo nel 2015, ma salverei lo stesso dopo l'edizione del Meeting di quest'anno, solo cambiando i nomi e tenendo conto che, purtroppo, nel frattempo è stata approvata la Cirinnà.
Comunione e liberazione e il Family Day
Comunione e liberazione e il Family Day
A proposito di Cirinnà e di Family Day. Qualcuno riteneva che per Comunione e Liberazione l'incontro con Cristo fosse inteso come completamente coinvolgente non solo sul piano personale ma anche, e soprattutto, su quello comunitario, e che a partire a quell'incontro, da viversi nella comunità, Comunione e Liberazione dovesse giudicare tutto e intervenire su tutto, dovesse porsi nella storia e in pubblico, perché nella storia e in pubblico era avvenuto quell'incontro con Cristo, dovesse attuare una presenza di popolo. Ci sono leggi sbagliate da combattere? Comunione e Liberazione non avrebbe mai fatto mancare la sua mancanza. Invece al Family Day del febbraio 2016, ma prima anche a quello del giugno 2015. Comunione e Liberazione non c'era. Come se l'impegno per la difesa del piano naturale anche mediante una presenza pubblica di popolo non fosse di per sé giustificato e fosse altra cosa rispetto all'incontro con Cristo. Comunione e Liberazione ripete che la fede è una "esperienza" di Cristo, è un toccare con mano, un vedere la concreta possibilità che il desiderio di assoluto sia realizzato. Ma questo Cristo che incontriamo in questa "esperienza" non è anche in Logos di Dio? La Sapienza creatrice? E come è possibile separare l'incontro con lui dalla sua difesa in pubblico del Creato, della legge morale naturale, della densità umana del matrimonio e della procreazione?
Nei decenni scorsi la manualistica distingueva tra una spiritualità della presenza — che veniva identificata soprattutto in Comunione e Liberazione — e una spiritualità della mediazione — che veniva identificata soprattutto nell'Azione Cattolica. Sono due modi molto diversi di intendere la presenza del cristiano nel mondo. La prima prevedeva una presenza pubblica di popolo in quanto il Corpo di Cristo vive in eterno nella storia e quanto è umano sparisce senza l'efficacia storica della fede cristiana, come insegnava Guardini. La seconda invece prevedeva una presenza individuale del cristiano — potremmo dire alla spicciolata —, priva di una identità di fede comunitaria e non solo individuale pubblicamente dichiarata, come insegnavano certe interpretazioni di Maritain. Secondo la prima, la comunità cristiana dà luogo a delle "opere", segno e luogo dell'incontro con Cristo, per la seconda invece nel mondo secolare non possono darsi opere segnate dalla fede.
Per questo motivo l'assenza ufficiale di Comunione e Liberazione al Circo Massimo ha stupito e fatto pensare molti, anche se singoli appartenenti al movimenta da soli o in gruppi, hanno partecipato e in numero anche consistente.
Le tesi di Massimo Borghesi
Uno dei filosofi di riferimento di Comunione e Liberazione è Massimo Borghesi, che nelle sue ultime opere ha sostanzialmente accettato la secolarità e il pluralismo dell'attuale fase storica nella sua irriducibile positività e conclusività. Come se oggi la presenza del Cristiano non dovesse più pensare che ogni elemento della vita ha Dio come fine ultimo ma, al contrario, considerasse questa affermazione come una violenza, una militanza invece che una testimonianza, un proselitismo. Alla costruzione di opere in cui Dio come fine ultimo dell'esistenza potesse essere pubblicamente visibile e toccabile da tutti, viene quindi sostituito il dialogo, l'ascolto, il camminare insieme. Secondo qualcuno si tratta di una sostituzione della logica della presenza con quella della mediazione.
Tutto questo ha suscitato in Comunione e Liberazione un considerevole e serio dibattito, che non è assolutamente lecito derubricare a polemica. Julian Carron ha concesso diverse interviste, due sacerdoti di CL, don Gabriele Mangiarotti e don Matteo Grazioli, hanno pubblicato due lettere aperte in cui sottolineano con rispetto alcune serie difficoltà. I toni duri rispecchiano la gravità del vissuto e denotano l'importanza che questa discussione ha per tutta la Chiesa.
Vita Nuova del 16 settembre 2016
Stefano Fontana
mercoledì 21 settembre 2016
domenica 18 settembre 2016
Come eravamo: Non un "criterio" da apprendere, ma uno "sguardo" da imparare
Durante il Consiglio nazionale del movimento del 21 maggio scorso (1995 ndr) don Ciccio di Catania è intervenuto, offrendo uno spunto autobiografico di fondamentale importanza: esso spiega, infatti, tutta la linea di sviluppo della nostra storia. Per questo gli abbiamo chiesto di riproporre su Tracce quell'intervento.
Partecipando in questi due ultimi anni all'Assemblea Responsabili e, soprattutto, agli Esercizi spirituali degli universitari e della Fraternità che si sono tenuti a Rimini, mi sono ricreduto rispetto alla natura del carisma del movimento.
Partecipando in questi due ultimi anni all'Assemblea Responsabili e, soprattutto, agli Esercizi spirituali degli universitari e della Fraternità che si sono tenuti a Rimini, mi sono ricreduto rispetto alla natura del carisma del movimento.
Mi è parso evidente come non mai che si tratta, piuttosto che di un «criterio metodologico» da apprendere e poi da applicare, di uno «sguardo» da imparare: uno sguardo non lo si finisce mai di imparare.
In fondo, quello che mi ha commosso, soprattutto a Rimini, è stata la sorpresa di trovarmi di fronte a un uomo che guarda la realtà, che ci conduce a poco a poco a guardare le cose, ad una profondità alla quale da soli non si potrebbe mai arrivare.
Non basta pertanto aver affermato più volte un criterio, per esempio che bisogna cercare il bene che c'è in ogni cosa, perché poi, andando via con questo criterio, dall'indomani, diventiamo capaci di trovare tutto il bene che c'è nelle cose. Il «criterio» non basta. Si tratta di uno sguardo, di uno sguardo che non si finisce mai di imparare.
Se non si comprende questo, il rapporto con la fonte del carisma si muta a un certo punto nella pretesa di avere avuto già, e quindi di «possedere», quanto si aveva bisogno per poter cominciare a vivere «in proprio».
Lo sguardo è una intelligenza e un'affezione «in azione», che ti fa penetrare dentro la realtà sempre oltre, più in là di dove arriveresti da te. Questo ti porta ad un «giudizio», ma è un giudizio da superare sempre «dentro» quello sguardo, perché, una volta «formulato», non basta definitivamente per la vita. Se tu continui a farti aiutare da quello sguardo, quel giudizio diventa ancora più maturo.
Tutto l'errore nostro (io lo capisco in me che sono da trentacinque anni dentro questa storia) è che una volta che siamo stati aiutati da quello sguardo ad entrare dentro la realtà, e questo aiuto è divenuto «giudizio» - perché mai come qua dentro lo sguardo diviene giudizio, perché ci abbiamo tenuto molto a non essere sentimentali -, abbiamo a un certo punto ritenuto «sufficiente» il giudizio cui eravamo pervenuti, dimenticandone la fonte, dimenticando che l'uomo è sempre in correzione, ma in correzione «alla presenza» di un altro, perché da sé non si corregge.
E invece: nella misura in cui il rapporto con la sorgente del carisma viene continuamente cercato, tu ti accorgi del fatto che il tuo giudizio, se non è falso, è comunque sempre «insufficiente», perché là c'è uno sguardo che porta ad una profondità che non viene mai raggiunta da tutti i giudizi «formulati».
Chi di noi ha preteso di aver potuto «ridurre» il carisma a «criteri metodologici», già sufficientemente compiuti, è caduto nella presunzione di poter fare da sé.
Francesco Ventorino
Lettera dal fronte: Di amore, ministri e scuola
Leggo l’intervista del Ministro dell’Istruzione Giannini al corriere che titola così: “Insegneremo ai prof come parlare d’amore in classe”.
Leggo l’intervista e penso a tante cose, forse troppe, ma ritengo di poterne sottolineare alcune.
Potrei cominciare ricordando al Ministro che la situazione della accoglienza dei disabili in molte scuole è disastrosa, che le strutture sono inadeguate, che molti genitori non sanno ancora se e quando ci sarà un insegnante per seguire i loro figli. Che non ci sono i soldi per uno straccio di progetto, per pagare le collaborazioni, le ore eccedenti. Potrei ribadire che ho colleghe che per poter lavorare sono dovute venire su dalla Sicilia qui al Nord lontane dai loro cari, senza alcun appoggio e che sanno che torneranno a casa solo nei ponti lunghi oppure a Natale e Pasqua. Potrei anche dire che un ministro della Repubblica con un ruolo pubblico ben definito che si era fatta fotografare in topless sulla spiaggia (cosa in sé già un poco sconveniente visto il ruolo ricoperto), per altro non più giovanissima, magari non è proprio la persona più adatta per parlare di come “insegnare amore”, ma non partirò da qui. Le questioni in ballo sono altre.
La prima è più una domanda: cosa intendiamo dire quando usiamo la parola amore? Sì perché nessun discorso si potrà avviare se prima non ci si chiarisce sul significato che attribuiamo a tale parola. Con amore intendiamo la somma dei sentimenti che proviamo quando abbiamo un’attrazione per qualcuno? Solo attrazione fisica o qualcosa di più? Se l’amore è solo un sentimento allora può finire presto e lascia spazio a che cosa? Ogni sentimento è amore quindi anche ciò che provo per il mio animale domestico lo è? E ancora, in un’epoca in cui più nessuno parla di sacrificio non vale la pena forse dire che l’amore è anche questo? Non vale forse la pena affermare con coraggio che prima di qualsiasi discorso di equità di genere, parità di genere o discriminazione vi è un alleanza fondamentale per la nostra società che è quella di un uomo e di una donna? Due universi così differenti eppure pari in quanto a dignità e i soli capaci di generare, accogliere e custodire la vita? Domande che potranno sembrare banali (e certamente politicamente scorrette), ma in questi ultimi anni sono tanti i progetti contenenti la parola amore che in realtà parlavano di tutt’altro a volte anche rasentando la pornografia, puntando a una sessualizzazione precoce, per non dire precocissima, e pretendendo anche tra i più piccoli di introdurre concetti come aborto e contraccezione (che con l’amore bisognerebbe vedere cosa ci azzeccano).
La seconda questione è se questo ” parlare d’amore” sia un compito primario della scuola (e più in generale dello Stato). Non nel senso che in classe non si debbano assolutamente affrontare determinati argomenti, ma viene lecito chiedersi se questo possa essere fatto bypassando la famiglia. In poche parole si vuole o non si vuole riconoscere la preminenza del ruolo della famiglia in merito a temi così delicati? In questi giorni dove si discute tanto (molto a sproposito) di Costituzione non varrebbe ricordare anche l’art. 30 in cui si riconosce il diritto e il dovere della famiglia di provvedere all’istruzione ed educazione dei figli? Se chi comincia è a metà dell’opera allora è lecito dubitare. Basti osservare come sono state trattate le associazioni dei genitori che chiedevano chiarimenti proprio in merito a questi temi in vista della pubblicazione delle linee attuative della Buona Scuola. Genitori e loro associazioni di rappresentanza trattati a pesci in faccia, con tono sprezzante e senza nemmeno fornire una bozza significativa di tali linee guida. Anche il fatto che non siano ancora state ufficializzate è segno evidente di un certo imbarazzo.
Se poi a questo sommiamo che Presidenza del Consiglio e UNAR hanno riconosciuto per il triennio 2013-2015 come enti accreditati (nella “strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sul l’orientamento sessuale e sull’identità di genere” che riguarda anche l’ambito della scuola) 29 associazioni della galassia LGBT e nessuna rappresentanza di genitori ogni preoccupazione è d’obbligo.
Terza e ultima questione, ma non per importanza, ci si domanda se i veri protagonisti di queste tematiche non debbano essere i bambini e i ragazzi con le loro domande e le loro necessità. In poche parole siamo proprio sicuri di partire da quelle che sono le reali domande del bambino? Da quelle che sono le sue sensazioni, le sue sicurezze e insicurezze e i suoi reali bisogni? Il rischio (ma visti certi programmi vi sarebbe da dire che è una certezza) è che nell’approccio a determinate tematiche non ci sia un vero e proprio prendere per mano l’alunno e accompagnarlo dove si sente pronto, sicuro e accolto e impara a conoscere ciò che è, da dove viene e qual è il suo posto nel mondo, ma che lo si voglia tirare in una direzione che è stata decisa a tavolino, da altri per lui e a prescindere da lui, verso un disegno che ogni giorno che passa assume tratti inquietanti ed in cui nemmeno più padre e madre possono dire la loro. Tutte illazioni? Allora perché si vuole rendere questa nuova “educazione” curricolare? Non si potrà nemmeno chiedere l’esenzione? O un contraddittorio o una attività alternativa?
E poi in ultimo alla Giannini vorrei dire questo. Noi insegnanti abbiamo moltissimo da imparare e certamente dobbiamo continuare a formarci e aggiornarci, ma su una cosa siamo dei professionisti. Siamo esperti dell’umano prima che in qualunque altra materia e siamo immersi nella realtà tutti i giorni, da quella dei più piccoli a quella dei giovani che si affacciano al mondo del lavoro o dell’Università. La conosciamo, la studiamo e a volte anche la subiamo e ne scorgiamo le ferite. Sappiamo che è complessa, variegata, difficile eppure incommensurabilmente ricca, ben più di qualunque becero indifferentismo che si pretende di insegnare a scuola certamente non nell’interesse dei nostri alunni e dei nostri figli.
Leggo l’intervista e penso a tante cose, forse troppe, ma ritengo di poterne sottolineare alcune.
Potrei cominciare ricordando al Ministro che la situazione della accoglienza dei disabili in molte scuole è disastrosa, che le strutture sono inadeguate, che molti genitori non sanno ancora se e quando ci sarà un insegnante per seguire i loro figli. Che non ci sono i soldi per uno straccio di progetto, per pagare le collaborazioni, le ore eccedenti. Potrei ribadire che ho colleghe che per poter lavorare sono dovute venire su dalla Sicilia qui al Nord lontane dai loro cari, senza alcun appoggio e che sanno che torneranno a casa solo nei ponti lunghi oppure a Natale e Pasqua. Potrei anche dire che un ministro della Repubblica con un ruolo pubblico ben definito che si era fatta fotografare in topless sulla spiaggia (cosa in sé già un poco sconveniente visto il ruolo ricoperto), per altro non più giovanissima, magari non è proprio la persona più adatta per parlare di come “insegnare amore”, ma non partirò da qui. Le questioni in ballo sono altre.
La prima è più una domanda: cosa intendiamo dire quando usiamo la parola amore? Sì perché nessun discorso si potrà avviare se prima non ci si chiarisce sul significato che attribuiamo a tale parola. Con amore intendiamo la somma dei sentimenti che proviamo quando abbiamo un’attrazione per qualcuno? Solo attrazione fisica o qualcosa di più? Se l’amore è solo un sentimento allora può finire presto e lascia spazio a che cosa? Ogni sentimento è amore quindi anche ciò che provo per il mio animale domestico lo è? E ancora, in un’epoca in cui più nessuno parla di sacrificio non vale la pena forse dire che l’amore è anche questo? Non vale forse la pena affermare con coraggio che prima di qualsiasi discorso di equità di genere, parità di genere o discriminazione vi è un alleanza fondamentale per la nostra società che è quella di un uomo e di una donna? Due universi così differenti eppure pari in quanto a dignità e i soli capaci di generare, accogliere e custodire la vita? Domande che potranno sembrare banali (e certamente politicamente scorrette), ma in questi ultimi anni sono tanti i progetti contenenti la parola amore che in realtà parlavano di tutt’altro a volte anche rasentando la pornografia, puntando a una sessualizzazione precoce, per non dire precocissima, e pretendendo anche tra i più piccoli di introdurre concetti come aborto e contraccezione (che con l’amore bisognerebbe vedere cosa ci azzeccano).
La seconda questione è se questo ” parlare d’amore” sia un compito primario della scuola (e più in generale dello Stato). Non nel senso che in classe non si debbano assolutamente affrontare determinati argomenti, ma viene lecito chiedersi se questo possa essere fatto bypassando la famiglia. In poche parole si vuole o non si vuole riconoscere la preminenza del ruolo della famiglia in merito a temi così delicati? In questi giorni dove si discute tanto (molto a sproposito) di Costituzione non varrebbe ricordare anche l’art. 30 in cui si riconosce il diritto e il dovere della famiglia di provvedere all’istruzione ed educazione dei figli? Se chi comincia è a metà dell’opera allora è lecito dubitare. Basti osservare come sono state trattate le associazioni dei genitori che chiedevano chiarimenti proprio in merito a questi temi in vista della pubblicazione delle linee attuative della Buona Scuola. Genitori e loro associazioni di rappresentanza trattati a pesci in faccia, con tono sprezzante e senza nemmeno fornire una bozza significativa di tali linee guida. Anche il fatto che non siano ancora state ufficializzate è segno evidente di un certo imbarazzo.
Se poi a questo sommiamo che Presidenza del Consiglio e UNAR hanno riconosciuto per il triennio 2013-2015 come enti accreditati (nella “strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sul l’orientamento sessuale e sull’identità di genere” che riguarda anche l’ambito della scuola) 29 associazioni della galassia LGBT e nessuna rappresentanza di genitori ogni preoccupazione è d’obbligo.
Terza e ultima questione, ma non per importanza, ci si domanda se i veri protagonisti di queste tematiche non debbano essere i bambini e i ragazzi con le loro domande e le loro necessità. In poche parole siamo proprio sicuri di partire da quelle che sono le reali domande del bambino? Da quelle che sono le sue sensazioni, le sue sicurezze e insicurezze e i suoi reali bisogni? Il rischio (ma visti certi programmi vi sarebbe da dire che è una certezza) è che nell’approccio a determinate tematiche non ci sia un vero e proprio prendere per mano l’alunno e accompagnarlo dove si sente pronto, sicuro e accolto e impara a conoscere ciò che è, da dove viene e qual è il suo posto nel mondo, ma che lo si voglia tirare in una direzione che è stata decisa a tavolino, da altri per lui e a prescindere da lui, verso un disegno che ogni giorno che passa assume tratti inquietanti ed in cui nemmeno più padre e madre possono dire la loro. Tutte illazioni? Allora perché si vuole rendere questa nuova “educazione” curricolare? Non si potrà nemmeno chiedere l’esenzione? O un contraddittorio o una attività alternativa?
E poi in ultimo alla Giannini vorrei dire questo. Noi insegnanti abbiamo moltissimo da imparare e certamente dobbiamo continuare a formarci e aggiornarci, ma su una cosa siamo dei professionisti. Siamo esperti dell’umano prima che in qualunque altra materia e siamo immersi nella realtà tutti i giorni, da quella dei più piccoli a quella dei giovani che si affacciano al mondo del lavoro o dell’Università. La conosciamo, la studiamo e a volte anche la subiamo e ne scorgiamo le ferite. Sappiamo che è complessa, variegata, difficile eppure incommensurabilmente ricca, ben più di qualunque becero indifferentismo che si pretende di insegnare a scuola certamente non nell’interesse dei nostri alunni e dei nostri figli.
Andrea Musso