domenica 18 settembre 2016

Come eravamo: Non un "criterio" da apprendere, ma uno "sguardo" da imparare

Durante il Consiglio nazionale del movimento del 21 maggio scorso (1995 ndr) don Ciccio di Catania è intervenuto, offrendo uno spunto autobiografico di fondamentale importanza: esso spiega, infatti, tutta la linea di sviluppo della nostra storia. Per questo gli abbiamo chiesto di riproporre su Tracce quell'intervento.

Partecipando in questi due ultimi anni all'Assemblea Responsabili e, soprattutto, agli Esercizi spirituali degli universitari e della Fraternità che si sono tenuti a Rimini, mi sono ricreduto rispetto alla natura del carisma del movimento.

Mi è parso evidente come non mai che si tratta, piuttosto che di un «criterio metodologico» da apprendere e poi da applicare, di uno «sguardo» da imparare: uno sguardo non lo si finisce mai di imparare. 

In fondo, quello che mi ha commosso, soprattutto a Rimini, è stata la sorpresa di trovarmi di fronte a un uomo che guarda la realtà, che ci conduce a poco a poco a guardare le cose, ad una profondità alla quale da soli non si potrebbe mai arrivare. 

Non basta pertanto aver affermato più volte un criterio, per esempio che bisogna cercare il bene che c'è in ogni cosa, perché poi, andando via con questo criterio, dall'indomani, diventiamo capaci di trovare tutto il bene che c'è nelle cose. Il «criterio» non basta. Si tratta di uno sguardo, di uno sguardo che non si finisce mai di imparare. 

Se non si comprende questo, il rapporto con la fonte del carisma si muta a un certo punto nella pretesa di avere avuto già, e quindi di «possedere», quanto si aveva bisogno per poter cominciare a vivere «in proprio». 

Lo sguardo è una intelligenza e un'affezione «in azione», che ti fa penetrare dentro la realtà sempre oltre, più in là di dove arriveresti da te. Questo ti porta ad un «giudizio», ma è un giudizio da superare sempre «dentro» quello sguardo, perché, una volta «formulato», non basta definitivamente per la vita. Se tu continui a farti aiutare da quello sguardo, quel giudizio diventa ancora più maturo. 

Tutto l'errore nostro (io lo capisco in me che sono da trentacinque anni dentro questa storia) è che una volta che siamo stati aiutati da quello sguardo ad entrare dentro la realtà, e questo aiuto è divenuto «giudizio» - perché mai come qua dentro lo sguardo diviene giudizio, perché ci abbiamo tenuto molto a non essere sentimentali -, abbiamo a un certo punto ritenuto «sufficiente» il giudizio cui eravamo pervenuti, dimenticandone la fonte, dimenticando che l'uomo è sempre in correzione, ma in correzione «alla presenza» di un altro, perché da sé non si corregge. 

E invece: nella misura in cui il rapporto con la sorgente del carisma viene continuamente cercato, tu ti accorgi del fatto che il tuo giudizio, se non è falso, è comunque sempre «insufficiente», perché là c'è uno sguardo che porta ad una profondità che non viene mai raggiunta da tutti i giudizi «formulati». 

Chi di noi ha preteso di aver potuto «ridurre» il carisma a «criteri metodologici», già sufficientemente compiuti, è caduto nella presunzione di poter fare da sé.


Francesco Ventorino 

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