Meeting, Corriere e l'equivoco del dialogo
Dalle parole ai fatti: l’asse Teheran-Pechino-Mosca cambia tutto
Padre Rebwar parla dei cristiani perseguitati dall’Islam e fa fatica ad essere accettato al Meeting
Ragioni, fattuali e non ideologiche, per il “no” al referendum sulla Costituzione
La seconda bufala sul “Bambino ferito sul sedile arancione”
A Ventotene va in scena il funerale dell’Ue. Ma perché Berlino invita i tedeschi a fare scorte?
a proposito del Meeting, e di CL
Mi sa che l’orgoglioso “no” laico alla poligamia non durerà molto (questione di burkini)
Che succede dentro CL?
La Costituzione va cambiata, ma non così. Fuori l’elefante dalla cristalleria
Pericoli crescenti per cristiani rifugiati in Germania
Meeting di Rimini. Si chiude l’edizione 2016, in coerenza con l’apertura
Che vadano in Paradiso
La Turchia invade il Nord della Siria, la verità sul “golpe” turco
Utero in affitto: l’India prova a dire basta
Giudicare tutto per «essere felici» (a costo di essere definiti «integralisti»)
Il cardinale Joseph Ratzinger sulla preghiera (non sulla messa) interreligiosa.
Se la fede si riduce a sentimento
Il karma all'Amatriciana: lo stupidario del sisma
L’unico modo di ricostruire dopo il terremoto
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sabato 27 agosto 2016
venerdì 26 agosto 2016
Come eravamo: La carità costruisce sempre
L'intervento di don Luigi Giussani durante l'incontro con alcuni adulti di CL del Friuli, in occasione del decimo anniversario del terremoto (in Luigi Giussani, L'avvenimento cristiano, BUR 2003, p.81-86).
DI FRONTE AL BISOGNO
Ogni uomo di buona volontà, di fronte al dolore e al bisogno, immediatamente si mette in azione, si mostra capace di generosità.
Ma i suoi tentativi di risposta alle necessità del momento rischiano, al di là della generosità pur lodevole, un ultimo velo di autocompiacimento o un'ultima ombra di tristezza. Il contributo dell'uomo di buona volontà risolve, forse, quel momento, ma dopo? Dopo non è impedita la possibilità che un altro dolore o un bisogno nuovo insorgano.
L'uomo può realizzare qualcosa nel momento tragico, ma, se non si lascia trascinare via distratto dall'urgenza dell'azione, capisce che le sue energie sono impotenti di fronte — diciamo la parola vera — al male (perché anche il terremoto è un male, è un male come la morte). Certo, il male ha una radice che precede qualsiasi manipolazione e che si situa nella scompostezza originale, il peccato originale da cui la Bibbia dice siano nati tutti i disagi dell'uomo; tuttavia possiamo facilmente constatare un'altra scompostezza, evidenziata dal fatto che potrebbero essere molto attenuati il dolore dell'uomo, l'angustia e le necessità, solo se fossimo più coerenti, cioè più stretti gli uni agli altri, e anche più coerenti con quello che giudichiamo giusto e ammettiamo come ideale.
UNITÀ DI POPOLO
Questa tristezza ultima deve essere superata, e viene superata di fatto (come la magnifica, complessa e variegata opera del volontariato dimostra) dalla coscienza di un'appartenenza. Nell'appartenenza la persona compie l'esperienza di una coesione, di una coerenza delle cose, in cui la sua vita si situa acquistando un significato. Si tratta proprio di un senso non riconducibile alla breve dimensione del tempo e dello spazio — della nostra esistenza, in fondo — da noi stessi misurabile, ma che la supera infinitamente. Ecco, solo nell'esperienza di questa coesione incomincia ad albeggiare all'orizzonte della nostra coscienza la percezione di un significato del tempo, positivo nonostante tutto, di qualcosa di più grande e di più forte del male e dell'angustia del presente.
Ecco perché è fattore prezioso nella storia quella coesione, quella coerenza — quella coscienza di appartenenza — che si chiama «nazione». Così come preziosa è la memoria della tradizione di solidarietà popolare vissuta nel passato: essa conferma l'urgenza che tale coesione e tale coerenza non siano abbandonate. Simile sentimento di popolo è la sorgente più viva, la risorsa più grande per ogni rinascita umana, personale e sociale. E infatti l'unità di popolo che fa storia, ed è la coscienza d'appartenere a essa che conferisce a ogni singolo contributo — anche se tragicamente limitato nella sua impotenza di fronte al male, alla profondità del bisogno o alla gravità di una disgrazia — un senso positivo, non vano. La coscienza dell'appartenenza elimina l'impressione della vanità degli sforzi.
All'azione del volontariato, al gesto di solidarietà, è sottesa una fondamentale domanda: «Per che cosa faccio questo? in nome di che?». La solidarietà è una caratteristica istintiva della natura dell'uomo (poco o tanto); essa tuttavia non fa storia, non crea opera fin tanto che rimane un'emozione o una risposta reattiva a un'emozione; e un'emozione non costruisce. Ciò che costruisce è la risposta cosciente alla domanda: «Per che cosa aderisci a questa urgenza di solidarietà?». E sarà per un'appartenenza ideologica, o per l'appartenenza a una realtà religiosa...; è, per noi, per l'appartenenza al mistero del fatto cristiano nel mondo.
L'appartenenza struttura l'impeto della generosità e ne rende più permanenti gli effetti.
È stato detto a riguardo della ricostruzione del Friuli dopo il terremoto: «Si sono ricreate le mura, ora bisogna ricreare il focolare». Il focolare, immagine-simbolo della cultura e della storia di questo popolo. Ma che fare se molto è stato dissolto, strappato via dal vento tempestoso di cui il terremoto è stato come connivente?
CULTURA E CARITÀ.
Forse la parola cultura è la più indicata per entrare in argomento. Una cultura lega il particolare alla totalità; è «colta» una posizione se tenta di collegare il momento all'orizzonte totale delle cose (perciò, per sua natura, ogni cultura deve tendere a essere cattolica, cioè universale, altrimenti non è vera cultura). In questo punto si colloca il contributo che noi dobbiamo dare con chiarezza, passione e umiltà. Il gesto di solidarietà, che originalmente è un'adesione commovente all'aspetto buono dell'umana natura, si collega a qualcosa di più grande, viene assunto e ricollocato in un orizzonte più vasto.
L'altra parola da dire è carità. Nelle chiese si canta: «Dacci un cuore, Signore, grande per amare»: abbiamo il cuore di Dio fatto uomo come esempio dell'orizzonte cui deve corrispondere la nostra azione. La carità aggiunge alla solidarietà la consapevolezza di una imitazione del mistero dell'essere che è legge per l'uomo, sicché essa dispone la personalità dell'uomo ad agire con tutte le sue forze, con tutta l'intelligenza e l'affezione di cui è capace.
Allora la carità è un'opera. Rende la solidarietà un'opera, in quanto crea un soggetto nuovo. La solidarietà, se rimane legata alla reattività, non crea ancora un soggetto: chiunque, posto di fronte al dolore, istintivamente avverte un senso di pietà, di compassione, ed è mosso alla solidarietà. Ma ciò, di per sé, non crea un soggetto. Solo la coscienza del Destino ultimo, la coscienza dell'ampiezza totale di appartenenza che l'uomo sente in sé, fa di una persona un soggetto.
Soggetto equivale a dire: creatore. L'uomo diventa creatore, cioè immaginatore e realizzatore di opere. L'opera esige un soggetto.
La carità, dunque, riconduce l'uomo alla ragione ultima del suo agire, la quale soltanto conferisce alle cose quella permanenza, quell'eternità senza cui non c'è positività reale, né si dà vera costruzione, non si danno «opere».
EDUCAZIONE ALLA TOTALITÀ
In questa percezione di sé l'individuo, sollecitato nella sua capacità di compassione dall'incontro con un bisogno umano, acquista un'educazione, si stabilizza in un habitus permanente: come si comporta di fronte al bisogno, così incomincia a capire che allo stesso modo deve comportarsi con sua madre, con suo padre, con la moglie, con il marito e con i figli, con tutti. Quando l'impegno con il bisogno non rimane pura occasione di reazione compassionevole, ma diventa carità, l'uomo diviene per l'altro uomo compagno di cammino. Diventa un cittadino nuovo.
Così il cristiano è un cittadino e un compagno di cammino che proprio nella fede e nella speranza ha la sorgente di quel senso di appartenenza grande, la carità, che porta ovunque, in tutte le circostanze e gli impegni della sua vita di relazione.
Un aspetto particolare, ma molto importante, va ancora sottolineato. La solidarietà è impetuosa per sua natura, ed è difficile che non sia unilaterale, è impossibile cioè che non si fissi esclusivamente sul bisogno che l'ha destata. Se invece l'azione buona, se l'offerta di solidarietà è dettata dal senso di appartenenza al mistero di Dio in cui consiste la carità, allora l'intervento cerca di tenere presente la totalità dei fattori in gioco. Simile lealtà con il dato di fatto nella sua interezza non è cosa semplice né istintiva, è una pazienza di cui solo un amore sicuro rende capaci, un amore fondato sulla positività di tutto, sulla certezza che nulla va perso.
Infatti, la carità fa diventare l'impeto umano della solidarietà realmente immaginativo e creativo. Nella carità l'uomo, mosso dal bisogno e dalla necessità in cui la Provvidenza lo fa imbattere, genera opere proprio in quanto la sua azione non si limita al particolare che lo commuove, ma tende a farsi carico in modo più adeguato, più buono e più giusto, della totalità del contesto. E la totalità del contesto è senza misura, ha come orizzonte la totalità stessa dell'uomo.
Quanto più un soggetto è vivo e cosciente, tanto più, sollecitato da qualsiasi bisogno, risponde secondo una preoccupazione totale, cioè una preoccupazione religiosa. Questa dimensione religiosa che sostiene il soggetto e la pazienza di considerare tutti quanti i fattori in gioco, devono essere oggetto della formazione dei giovani.
È assai significativo e commovente l'esempio di continuità che hanno saputo offrire gli amici del Friuli. La continuità è il segno che l'attività acquista la dignità di opera: proviene da un soggetto veramente umano, cioè cosciente dell'ampiezza della sua appartenenza e del suo destino, e incide stabilmente nella storia.
La carità soltanto produce qualcosa che non ha fine. Non soltanto non verrà meno come virtù, come assicura san Paolo, ma ciò che essa compie ha proprio come caratteristica intrinseca di non venir mai meno. La carità dà alla solidarietà una ragione per cui tutta la vita, tutto lo sguardo che l'uomo porta sul cosmo, sulla storia e sull'eterno diventa opera: l'opera di Dio.
È commovente trovarsi fianco a fianco con tanti volontari, tanti uomini generosi che possono non avere questa consapevolezza cristiana. Ma nella consapevolezza cristiana si chiarisce la vera ragione per cui anch'essi si muovono. E così si rinnova l'evidenza del fatto che la fede cristiana è la vera coscienza dell'umanità.
DI FRONTE AL BISOGNO
Ogni uomo di buona volontà, di fronte al dolore e al bisogno, immediatamente si mette in azione, si mostra capace di generosità.
Ma i suoi tentativi di risposta alle necessità del momento rischiano, al di là della generosità pur lodevole, un ultimo velo di autocompiacimento o un'ultima ombra di tristezza. Il contributo dell'uomo di buona volontà risolve, forse, quel momento, ma dopo? Dopo non è impedita la possibilità che un altro dolore o un bisogno nuovo insorgano.
L'uomo può realizzare qualcosa nel momento tragico, ma, se non si lascia trascinare via distratto dall'urgenza dell'azione, capisce che le sue energie sono impotenti di fronte — diciamo la parola vera — al male (perché anche il terremoto è un male, è un male come la morte). Certo, il male ha una radice che precede qualsiasi manipolazione e che si situa nella scompostezza originale, il peccato originale da cui la Bibbia dice siano nati tutti i disagi dell'uomo; tuttavia possiamo facilmente constatare un'altra scompostezza, evidenziata dal fatto che potrebbero essere molto attenuati il dolore dell'uomo, l'angustia e le necessità, solo se fossimo più coerenti, cioè più stretti gli uni agli altri, e anche più coerenti con quello che giudichiamo giusto e ammettiamo come ideale.
UNITÀ DI POPOLO
Questa tristezza ultima deve essere superata, e viene superata di fatto (come la magnifica, complessa e variegata opera del volontariato dimostra) dalla coscienza di un'appartenenza. Nell'appartenenza la persona compie l'esperienza di una coesione, di una coerenza delle cose, in cui la sua vita si situa acquistando un significato. Si tratta proprio di un senso non riconducibile alla breve dimensione del tempo e dello spazio — della nostra esistenza, in fondo — da noi stessi misurabile, ma che la supera infinitamente. Ecco, solo nell'esperienza di questa coesione incomincia ad albeggiare all'orizzonte della nostra coscienza la percezione di un significato del tempo, positivo nonostante tutto, di qualcosa di più grande e di più forte del male e dell'angustia del presente.
Ecco perché è fattore prezioso nella storia quella coesione, quella coerenza — quella coscienza di appartenenza — che si chiama «nazione». Così come preziosa è la memoria della tradizione di solidarietà popolare vissuta nel passato: essa conferma l'urgenza che tale coesione e tale coerenza non siano abbandonate. Simile sentimento di popolo è la sorgente più viva, la risorsa più grande per ogni rinascita umana, personale e sociale. E infatti l'unità di popolo che fa storia, ed è la coscienza d'appartenere a essa che conferisce a ogni singolo contributo — anche se tragicamente limitato nella sua impotenza di fronte al male, alla profondità del bisogno o alla gravità di una disgrazia — un senso positivo, non vano. La coscienza dell'appartenenza elimina l'impressione della vanità degli sforzi.
All'azione del volontariato, al gesto di solidarietà, è sottesa una fondamentale domanda: «Per che cosa faccio questo? in nome di che?». La solidarietà è una caratteristica istintiva della natura dell'uomo (poco o tanto); essa tuttavia non fa storia, non crea opera fin tanto che rimane un'emozione o una risposta reattiva a un'emozione; e un'emozione non costruisce. Ciò che costruisce è la risposta cosciente alla domanda: «Per che cosa aderisci a questa urgenza di solidarietà?». E sarà per un'appartenenza ideologica, o per l'appartenenza a una realtà religiosa...; è, per noi, per l'appartenenza al mistero del fatto cristiano nel mondo.
L'appartenenza struttura l'impeto della generosità e ne rende più permanenti gli effetti.
È stato detto a riguardo della ricostruzione del Friuli dopo il terremoto: «Si sono ricreate le mura, ora bisogna ricreare il focolare». Il focolare, immagine-simbolo della cultura e della storia di questo popolo. Ma che fare se molto è stato dissolto, strappato via dal vento tempestoso di cui il terremoto è stato come connivente?
CULTURA E CARITÀ.
Forse la parola cultura è la più indicata per entrare in argomento. Una cultura lega il particolare alla totalità; è «colta» una posizione se tenta di collegare il momento all'orizzonte totale delle cose (perciò, per sua natura, ogni cultura deve tendere a essere cattolica, cioè universale, altrimenti non è vera cultura). In questo punto si colloca il contributo che noi dobbiamo dare con chiarezza, passione e umiltà. Il gesto di solidarietà, che originalmente è un'adesione commovente all'aspetto buono dell'umana natura, si collega a qualcosa di più grande, viene assunto e ricollocato in un orizzonte più vasto.
L'altra parola da dire è carità. Nelle chiese si canta: «Dacci un cuore, Signore, grande per amare»: abbiamo il cuore di Dio fatto uomo come esempio dell'orizzonte cui deve corrispondere la nostra azione. La carità aggiunge alla solidarietà la consapevolezza di una imitazione del mistero dell'essere che è legge per l'uomo, sicché essa dispone la personalità dell'uomo ad agire con tutte le sue forze, con tutta l'intelligenza e l'affezione di cui è capace.
Allora la carità è un'opera. Rende la solidarietà un'opera, in quanto crea un soggetto nuovo. La solidarietà, se rimane legata alla reattività, non crea ancora un soggetto: chiunque, posto di fronte al dolore, istintivamente avverte un senso di pietà, di compassione, ed è mosso alla solidarietà. Ma ciò, di per sé, non crea un soggetto. Solo la coscienza del Destino ultimo, la coscienza dell'ampiezza totale di appartenenza che l'uomo sente in sé, fa di una persona un soggetto.
Soggetto equivale a dire: creatore. L'uomo diventa creatore, cioè immaginatore e realizzatore di opere. L'opera esige un soggetto.
La carità, dunque, riconduce l'uomo alla ragione ultima del suo agire, la quale soltanto conferisce alle cose quella permanenza, quell'eternità senza cui non c'è positività reale, né si dà vera costruzione, non si danno «opere».
EDUCAZIONE ALLA TOTALITÀ
In questa percezione di sé l'individuo, sollecitato nella sua capacità di compassione dall'incontro con un bisogno umano, acquista un'educazione, si stabilizza in un habitus permanente: come si comporta di fronte al bisogno, così incomincia a capire che allo stesso modo deve comportarsi con sua madre, con suo padre, con la moglie, con il marito e con i figli, con tutti. Quando l'impegno con il bisogno non rimane pura occasione di reazione compassionevole, ma diventa carità, l'uomo diviene per l'altro uomo compagno di cammino. Diventa un cittadino nuovo.
Così il cristiano è un cittadino e un compagno di cammino che proprio nella fede e nella speranza ha la sorgente di quel senso di appartenenza grande, la carità, che porta ovunque, in tutte le circostanze e gli impegni della sua vita di relazione.
Un aspetto particolare, ma molto importante, va ancora sottolineato. La solidarietà è impetuosa per sua natura, ed è difficile che non sia unilaterale, è impossibile cioè che non si fissi esclusivamente sul bisogno che l'ha destata. Se invece l'azione buona, se l'offerta di solidarietà è dettata dal senso di appartenenza al mistero di Dio in cui consiste la carità, allora l'intervento cerca di tenere presente la totalità dei fattori in gioco. Simile lealtà con il dato di fatto nella sua interezza non è cosa semplice né istintiva, è una pazienza di cui solo un amore sicuro rende capaci, un amore fondato sulla positività di tutto, sulla certezza che nulla va perso.
Infatti, la carità fa diventare l'impeto umano della solidarietà realmente immaginativo e creativo. Nella carità l'uomo, mosso dal bisogno e dalla necessità in cui la Provvidenza lo fa imbattere, genera opere proprio in quanto la sua azione non si limita al particolare che lo commuove, ma tende a farsi carico in modo più adeguato, più buono e più giusto, della totalità del contesto. E la totalità del contesto è senza misura, ha come orizzonte la totalità stessa dell'uomo.
Quanto più un soggetto è vivo e cosciente, tanto più, sollecitato da qualsiasi bisogno, risponde secondo una preoccupazione totale, cioè una preoccupazione religiosa. Questa dimensione religiosa che sostiene il soggetto e la pazienza di considerare tutti quanti i fattori in gioco, devono essere oggetto della formazione dei giovani.
È assai significativo e commovente l'esempio di continuità che hanno saputo offrire gli amici del Friuli. La continuità è il segno che l'attività acquista la dignità di opera: proviene da un soggetto veramente umano, cioè cosciente dell'ampiezza della sua appartenenza e del suo destino, e incide stabilmente nella storia.
La carità soltanto produce qualcosa che non ha fine. Non soltanto non verrà meno come virtù, come assicura san Paolo, ma ciò che essa compie ha proprio come caratteristica intrinseca di non venir mai meno. La carità dà alla solidarietà una ragione per cui tutta la vita, tutto lo sguardo che l'uomo porta sul cosmo, sulla storia e sull'eterno diventa opera: l'opera di Dio.
È commovente trovarsi fianco a fianco con tanti volontari, tanti uomini generosi che possono non avere questa consapevolezza cristiana. Ma nella consapevolezza cristiana si chiarisce la vera ragione per cui anch'essi si muovono. E così si rinnova l'evidenza del fatto che la fede cristiana è la vera coscienza dell'umanità.
giovedì 25 agosto 2016
Lettera dal fronte: Supplica per la rinascita di un popolo
Venerdì 19 agosto, il giorno dell’apertura dei padiglioni fieristici che ospitano il Meeting di Rimini per l’Amicizia fra i Popoli, secondo una impiegata dello stand della casa editrice Shalom, intervistata da Repubblica, veniva nascosta la statua della Madonna e rimosse le immagini religiose appese nello stand. La richiesta di rimuovere i simboli religiosi sarebbe arrivata appena prima dell’arrivo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, poi passato di fronte allo stand collocato all’ingresso principale della fiera. La casa editrice ha smentito, mentre la direzione del Meeting ha negato la propria responsabilità nell’aver richiesto la rimozione della statua. Resta il fatto che l'impiegata è scomparsa e né la statua né le immagini sacre sono state rimesse al loro posto (il video di Repubblica mostra chiaramente la Madonna, poi scomparsa, in un angolo) e che nessuno ha invitato a ricollocarla dov'era.
Chiediamo dunque preghiera e sacrifici perché si rinnovi l’amore alla verità indebolito dalle luci del potere, che in cambio di qualche briciola ottiene la progressiva scomparsa di una Chiesa fedele alla tradizione. Il nascondere la Madonna è infatti simbolo della sempre più frequente messa da parte della ragione per cui Cl esiste e quindi della sua debolezza: l’affermazione del fatto di Cristo e delle sue conseguenze scandalose nella società entrato nel mondo proprio grazie al "sì" di Sua madre. In mezzo alla grande positività di molte mostre e testimoni (anche se spesso non compresi come padre Rebwar di Aiuto Alla Chiesa che Soffre, contestato per le sue posizioni sull'Isis) presenti al Meeting di Rimini, si assiste al rinnegamento di cui l'episodio è emblematico. Un rinnegamento che è la causa di tutti i conseguenti tentennamenti (vedi posizioni sulle unioni civili e sull’islam), le mezze verità (vedi mostra sull’immigrazione in cui si dice che gli immigrati sono nell’80 per cento cristiani e il 20 di altre fedi, omettendo il fenomeno dell’immigrazione clandestina) le bugie (la politica è solo compromesso, vedi mostra sulla storia della Repubblica) e i tradimenti (nel 2000 Cl ha lottato per una riforma costituzionale in senso sussidiario opposta a quella attuale, oggi valorizzata da più voci interne alla kermesse sebbene si sostenga che Cl non prende posizione in merito) offerti al popolo del Meeting.
A questa lontananza e timore del giudizio controcorrente di Cristo, troppo spesso affermato come un pensiero disincarnato, che affievolisce l’impeto missionario, la libertà e quindi l'amicizia e la letizia, a questo piattume che genera formalismo e stanca, si deve rispondere innanzitutto tornando alla fonte del giudizio nuovo sul mondo, all'incarnazione attraverso Maria. Perciò, mentre Le chiediamo perdono per i nostri tradimenti, domandiamo il suo "sì" incondizionato a Cristo, affinché Egli si comunichi attraverso il Suo corpo storico, la Chiesa portatrice della verità nella tradizione.
Come disse all’inizio degli anni Novanta lo stesso don Luigi Giussani agli universitari: “Pregate, pregate la Madonna di Loreto, fate il pellegrinaggio. Grazie! All’atteggiamento irrazionale dell’uomo può supplire soltanto il miracolo di Dio”. E ancora parlando della lontananza di Cristo dal cuore (esercizi della Fraternità, 1982): "Alla demoralizzazione la nostra compagnia deve sostituire un aiuto affinché la nostra vita porti, nel tempo e nello spazio, la speranza... La speranza è una idea dominante, un sentimento - se volete - dominante più di tutti gli altri, che attraversa tutti gli altri, che qualifica tutti gli altri: «A Dio nulla è impossibile»; non al Dio dei nostri pensieri, ripeto, ma al Dio che si è reso uomo, al Dio vivente che si è reso presenza tra di noi...Com’è bambino, povero di spirito, questo grande maestro dello spirito, la grande figura della storia cristiana dei primissimi secoli che è Efrem il Siro!...: «Ecco che la mia vita declina di giorno in giorno e crescono i miei peccati. O Signore, Dio delle anime e dei corpi, Tu conosci la mia debolezza. Concedimi, Signore, la Tua forza, sostienimi nella mia miseria […]. O Signore, non disdegnare la mia preghiera […] e conservami la Tua benevolenza fino alla fine».
Ricordando l’amore per la Vergine, attraverso cui Dio si fa continuamente carne, del fondatore di Comunione e Liberazione, esperienza da cui la kermesse prende origine, invitiamo alla recita del Rosario e all'offerta di sacrifici in riparazione dei fatti accaduti. E domandiamo la conversione del cuore con la preghiera di Efrem il Siro, affinché il movimento torni alle sue origini riaffermando la propria identità, anche quando ciò significhi derisione, rifiuto o persecuzione da parte del mondo.
Chiediamo dunque preghiera e sacrifici perché si rinnovi l’amore alla verità indebolito dalle luci del potere, che in cambio di qualche briciola ottiene la progressiva scomparsa di una Chiesa fedele alla tradizione. Il nascondere la Madonna è infatti simbolo della sempre più frequente messa da parte della ragione per cui Cl esiste e quindi della sua debolezza: l’affermazione del fatto di Cristo e delle sue conseguenze scandalose nella società entrato nel mondo proprio grazie al "sì" di Sua madre. In mezzo alla grande positività di molte mostre e testimoni (anche se spesso non compresi come padre Rebwar di Aiuto Alla Chiesa che Soffre, contestato per le sue posizioni sull'Isis) presenti al Meeting di Rimini, si assiste al rinnegamento di cui l'episodio è emblematico. Un rinnegamento che è la causa di tutti i conseguenti tentennamenti (vedi posizioni sulle unioni civili e sull’islam), le mezze verità (vedi mostra sull’immigrazione in cui si dice che gli immigrati sono nell’80 per cento cristiani e il 20 di altre fedi, omettendo il fenomeno dell’immigrazione clandestina) le bugie (la politica è solo compromesso, vedi mostra sulla storia della Repubblica) e i tradimenti (nel 2000 Cl ha lottato per una riforma costituzionale in senso sussidiario opposta a quella attuale, oggi valorizzata da più voci interne alla kermesse sebbene si sostenga che Cl non prende posizione in merito) offerti al popolo del Meeting.
A questa lontananza e timore del giudizio controcorrente di Cristo, troppo spesso affermato come un pensiero disincarnato, che affievolisce l’impeto missionario, la libertà e quindi l'amicizia e la letizia, a questo piattume che genera formalismo e stanca, si deve rispondere innanzitutto tornando alla fonte del giudizio nuovo sul mondo, all'incarnazione attraverso Maria. Perciò, mentre Le chiediamo perdono per i nostri tradimenti, domandiamo il suo "sì" incondizionato a Cristo, affinché Egli si comunichi attraverso il Suo corpo storico, la Chiesa portatrice della verità nella tradizione.
Come disse all’inizio degli anni Novanta lo stesso don Luigi Giussani agli universitari: “Pregate, pregate la Madonna di Loreto, fate il pellegrinaggio. Grazie! All’atteggiamento irrazionale dell’uomo può supplire soltanto il miracolo di Dio”. E ancora parlando della lontananza di Cristo dal cuore (esercizi della Fraternità, 1982): "Alla demoralizzazione la nostra compagnia deve sostituire un aiuto affinché la nostra vita porti, nel tempo e nello spazio, la speranza... La speranza è una idea dominante, un sentimento - se volete - dominante più di tutti gli altri, che attraversa tutti gli altri, che qualifica tutti gli altri: «A Dio nulla è impossibile»; non al Dio dei nostri pensieri, ripeto, ma al Dio che si è reso uomo, al Dio vivente che si è reso presenza tra di noi...Com’è bambino, povero di spirito, questo grande maestro dello spirito, la grande figura della storia cristiana dei primissimi secoli che è Efrem il Siro!...: «Ecco che la mia vita declina di giorno in giorno e crescono i miei peccati. O Signore, Dio delle anime e dei corpi, Tu conosci la mia debolezza. Concedimi, Signore, la Tua forza, sostienimi nella mia miseria […]. O Signore, non disdegnare la mia preghiera […] e conservami la Tua benevolenza fino alla fine».
Ricordando l’amore per la Vergine, attraverso cui Dio si fa continuamente carne, del fondatore di Comunione e Liberazione, esperienza da cui la kermesse prende origine, invitiamo alla recita del Rosario e all'offerta di sacrifici in riparazione dei fatti accaduti. E domandiamo la conversione del cuore con la preghiera di Efrem il Siro, affinché il movimento torni alle sue origini riaffermando la propria identità, anche quando ciò significhi derisione, rifiuto o persecuzione da parte del mondo.
Come eravamo: Per la politica senza politici
Questo testo fa parte di "La politica, per chi, per cosa", supplemento a "il Sabato" n. 22 del 30 maggio 1987, p.90-92
Edouard Mounier, da «Rivoluzione personalista», Ed. Comunitaria, 1935
Tuttavia, ad essere franchi, la vita politica interessa molto meno profondamente il destino del'uomo di quanto si creda abitualmente. L'importanza che le si attribuisce mi pare sia solo spiegabile con l'influsso del vecchio mito ottimista, trasferito dall'individuo alle istituzioni. Dopo aver atteso i miracoli dell'uomo nuovo, da una libertà istintiva e anarchica, ora che li aspettiamo da un congegno politico-sociale ritenuto quasi un immenso distributore automatico di giustizia e d'ordine. Ma si aspetta sempre. L'escatologia marxista ha divinizzato quest'attesa. Non ci stancheremo di dire, per evitare crudeli riflussi d'illusione, che non crediamo, dal canto nostro, al miracolo delle istituzioni. Esse possono aver grande importanza nel mantenere l'oppressione ed è per questo che siamo rivoluzionari contro le istituzioni che opprimono. Esse possono avere anche grande influenza nel creare un certo clima, determinati costumi, nel dare una direzione ai nostri gesti, nel far muovere la macchina: per questo siamo impegnati a sostituire quelle che corrompono i costumi e bloccano la macchina. Non sono le istituzioni che fanno l'uomo nuovo, bensì un lavoro personale e insostituibile dell'uomo su se stesso. Le istituzioni nuove possono facilitargli il compito, ma non sostituirsi al suo sforzo. Le stesse facilitazioni che esse gli procurano, se egli non è sostenuto da una forza spirituale e intima, possono condurlo indifferentemente sia all'apatia che a un rinnovamento. Le diverse concezioni politiche giocano con le nostre vigliaccherie. Quanto più ci fanno sperare in un nostro risveglio per opera di un miracolo istituzionale, tanto più ci allontanano dallo sforzo organico che fin d'ora si fa sentire urgente. Esse dovrebbero presentarci la rivoluzione istituzionale come una condizione necessaria per schiacciare le forze avverse e disincagliare la macchina nebbiosa, ma non come la conclusione miracolosa del mondo cattivo, o come la soluzione definitiva delle nostre difficoltà personali, attingendo al tesoro delle virtù pubbliche. Le diverse politiche dovrebbero incitarci a cominciare fin da questo momento su noi stessi un lavoro di conversione in cui l'aiuto istituzionale non sia che un episodio, indispensabile, ma occasionale e secondario.
Da quando le correnti politiche hanno, in tal modo, ridotto la statura dell'uomo a quella di cittadino e impacciato il cittadino con una vita politica peraltro inefficace, tutti i problemi appaiono a molta gente sotto quell'aspetto meschino dato loro dal tempo. Il mezzo ha sostituito il fine. L'istituzione si è dapprima impossessata di quella cura che, per suo tramite, veniva diretta al servizio dell'uomo. Poi la presa del potere ha distolto l'attenzione stessa, rivolta all'istituzione. Quindi, cadendo ancora più in basso, ha favorito il gioco parlamentare, che prelude a questa presa di potere. Non appena ci si dedica senza riserve alla politica, si scivola a poco a poco su quella china. Vogliamo dire che bisognerebbe stare in politica senza mai essere politici: portarvi con sé la nostalgia e la distinzione degli autentici valori e delle più intime familiarità umane, anche quando far politica diventa mestiere e a maggior ragione quando la si esercita solo per provvedere a necessari controlli. In caso contrario, l'aspirazione religiosa che genera tutte le imprese dell'uomo si ripiega sui mezzi, cade sempre più in basso: così s'instaura nei costumi e subito dopo, nelle dottrine, l'idolatria cortigiana dello Stato. Non si lavora più per dimostrare che cosa sia l'uomo, ma si lavora per il successo pubblico. Non si cerca attraverso il gioco politico la verità e la grandezza dell'uomo (anche se il risultato non fosse altro che quello di mantenerle in una condizione di perpetua sconfitta , di perpetua precarietà ma, comunque, perpetuamente rappresentate e vittoriose per la loro sola presenza); si cerca il potere e il mezzo d'imporre la propria individualità, non sapendo far brillare la propria persona al servizio dell'uomo; oppure ci si perde nelle distrazioni del gioco politico.