Immigrazione 2016. La nuova tratta degli schiavi
Il collasso della banche italiane. Come replica dell’8 Settembre.
Contro il dogma del riscaldamento globale
Ladro di doni
Giornata Decisiva, Si Decide se Applicare la BRRD al Monte Paschi o se fare una “Eccezione”
Caffarra: "Schönborn sbaglia, e questo è ciò che vorrei dire al Santo Padre"
Ma se questo un uomo, chi l'animale?
Almeno fatevi delle domande
Sugli immigrati, Fassino scoperchia il vaso di Pandora dell’ipocrisia PD. Mentre in Svezia..
Perché il matrimonio sta scomparendo (non solo quello religioso)
Il governo Renzi lancia il “Portale Nazionale LGBT”
Papato allargato? No, grazie
Sesso al capolinea? Il futuro che ci attende
In caso di bail-in
A tutti gli Schettino di terra, di mare e dell’aria
Banche Italiane, Peggio del Brexit. Lo Dicono Apertamente all’Ecofin…su Twitter
Iowa, Stati Uniti: è la fine della libertà religiosa?
«Santità, la prego risponda a queste tre domande su Amoris Laetitia»
Liturgia, con Sarah il Vaticano "corregge" Ratzinger
Attenzione, l’FMI Attacca le Banche Russe, Hanno Troppi Crediti Dubbi
La vera ragione per cui abbiamo uno stato sociale
Criminalizzare il dissenso e la rabbia, bollandoli di razzismo. Salvo, poi, piangere le vittime di Nizza
Realtà diminuita
Si dimette il vicepresidente degli imam di Francia: «Basta ripetere che l’estremismo islamico non esiste»
Nizza, 14 luglio 2016. Una nuova strage, e l’inganno continua
Se non avete le bombe, uccideteli con colteli e pietre Investiteli con l'auto
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sabato 16 luglio 2016
giovedì 14 luglio 2016
Radio Monte Grappa: Il Popolo Della Famiglia manifesterà con un bavaglio alla bocca contro la censura verso la parola “famiglia”
La nuova giunta di Torino ha annunciato di voler cancellare il termine “famiglia” da tutti gli atti ufficiali (e di sostituirla con il non meglio specificato “famiglie”): il Popolo della Famiglia, in segno di protesta contro quest’arbitraria manomissione della realtà e del linguaggio, manifesterà il 16 luglio con un sit-in silenzioso e con un bavaglio alla bocca, in difesa della famiglia, della Costituzione e della persona dalla prepotenza dello Stato:
• in difesa della famiglia, l’unica realtà in cui ogni essere umano è generato alla vita e che non può essere confusa con nessun’altra forma di aggregazione;
• in difesa della Costituzione, che all'articolo 29 afferma: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”;
• in difesa della persona dalla prepotenza dello Stato, il quale non può riscrivere le coordinate fondamentali della natura umana, ma soltanto riconoscerle e rispettarle.
Invitiamo tutti i cittadini che hanno a cuore la bellezza e l’unicità della famiglia a non trascurare questa ferita istituzionale inferta a Torino: cancellare la parola “famiglia” dal linguaggio ufficiale di una città rappresenta il primo passo per eliminarla poi anche in altre città e poi nelle leggi dello Stato e infine nell'intera società italiana. Se si accetta passivamente questo, come ci si potrà opporre poi ai passi successivi? Non ha senso parlare di “famiglie”: la famiglia - come la persona - o è una o non è; o è quella dove la persona nasce o è puro arbitrio del potere. Ribadiamo quindi l’invito a manifestare sabato 16 luglio alle 15 in piazza Palazzo di Città davanti al Comune, con un sit-in silenzioso e sventolando la Costituzione, perché “di famiglia ce n’è una sola”.
Il Popolo della Famiglia di Torino
• in difesa della famiglia, l’unica realtà in cui ogni essere umano è generato alla vita e che non può essere confusa con nessun’altra forma di aggregazione;
• in difesa della Costituzione, che all'articolo 29 afferma: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”;
• in difesa della persona dalla prepotenza dello Stato, il quale non può riscrivere le coordinate fondamentali della natura umana, ma soltanto riconoscerle e rispettarle.
Invitiamo tutti i cittadini che hanno a cuore la bellezza e l’unicità della famiglia a non trascurare questa ferita istituzionale inferta a Torino: cancellare la parola “famiglia” dal linguaggio ufficiale di una città rappresenta il primo passo per eliminarla poi anche in altre città e poi nelle leggi dello Stato e infine nell'intera società italiana. Se si accetta passivamente questo, come ci si potrà opporre poi ai passi successivi? Non ha senso parlare di “famiglie”: la famiglia - come la persona - o è una o non è; o è quella dove la persona nasce o è puro arbitrio del potere. Ribadiamo quindi l’invito a manifestare sabato 16 luglio alle 15 in piazza Palazzo di Città davanti al Comune, con un sit-in silenzioso e sventolando la Costituzione, perché “di famiglia ce n’è una sola”.
Il Popolo della Famiglia di Torino
mercoledì 13 luglio 2016
martedì 12 luglio 2016
Come eravamo: La sfida agli apparati
Questo testo fa parte di "La politica, per chi, per cosa", supplemento a "il Sabato" n. 22 del 30 maggio 1987, p.86-89
Vaclar Belohradsky, da «L'Altra Europa», novembre-dicembre 1986
Partito e predominio dell'organizzazione
A ben vedere la parola «partito» ha anche un suo specifico pathos: l'uomo si libera della soggezione alla propria famiglia, alla nazione, alla comunità di sangue ed entra in unità con altri uomini sulla base di fini comuni liberamente scelti. Risuona in questa parola il motivo della libertà di aggregazione, che è il fulcro di una democrazia funzionante. Un fine comune è qualcosa di più di una unione familiare o nazionale. Questi uomini si sentono fratelli o compagni all'interno del partito piuttosto che all'interno della famiglia o della nazione.
Oggi però nella parola partito risuona qualcosa di minaccioso. Il partito già da tempo non è più un'unione di persone che hanno in comune un fine, un'idea, a cui intendono consacrare la loro vita. La minaccia contenuta nella parola «partito» oggi è il predominio dell'organizzazione, dell'apparato sull'ideale.
La politica è diventata apologia degli apparati esistenti. Si pensa che tutti i partiti sottostiano a questa logica di apparato, alla loro stessa organizzazione che finisce per considerare solo come ostacoli gli ideali e i valori per la cui realizzazione ci si era organizzati. I funzionari di tutti i partiti si capiscono l'un l'altro, come dimostrano bene le brillanti carriere, in Occidente, dei nostri funzionari comunisti dell'emigrazione. Quello che si intende oggi con la parola «dialogo fra Est e Ovest» non è altro che la reciproca intesa fra i funzionari di tutti i paesi, fra gli apologeti delle organizzazioni esistenti. Il funzionario è neutrale, ma non è né comunista né capitalista, si concentra sull'esercizio delle sue funzioni. Non combatte per il potere, lo amministra. Su questo terreno dell'amministrazione comunisti e capitalisti vanno d'accordo: questa è l'essenza della teoria della convergenza.
L'unità degli uomini che fanno domande
La perdita della politica come dimensione della propria esistenza è una caratteristica dell'epica degli «ultimi uomini». La politica in quest'epoca tecnica si sforza di entrare nella tecnica, si camuffa da tecnica, si spaccia per amministrazione neutrale, per gestione non sottomessa nella sua tecnicità, ad alcuna etica e neppure alla coscienza comune. Patocka e Havel anticipano il grande tema del prossimo millennio quando mostrano che la politica non è tecnica di governo, come credono eurocomunisti e manager, ma ciò che fonda una «unità fra gli uomini che fanno domande». Non l'unità cieca e violenta del totalitarismo, ma l'unità viva degli uomini liberi.
La sostanza della politica è l'esperienza della relatività dei valori che abbiamo considerato come assoluti. Le nostre idee sono esposte al punto di vista di altri uomini all'interno di quella che chiamiamo la «vita pubblica» e si rivelano relative. In questa esperienza si forma il terreno della convivenza fra uomini liberi. La politica dunque appartiene al dialogo.
La politica oggi è ridotta a una sorta di commercio fra apparati di partito, a contraffazione. Questo è il sentimento predominante in tutti gli uomini in Occidente e in Oriente. Il motivo è che la politica oggi fa parte del funzionamento di apparati e di organizzazioni piuttosto che della dimensione drammatica della nostra esistenza, in cui le nostre esperienze si scontrano con le esperienze degli altri e solo in questo scontro si manifesta la relatività dei propri ideali e la loro connessione con la vita degli altri uomini.
La polis parallela
La risposta al dominio degli apparati è quella, che io chiamo «polis», cioè città, parallela; per essa, in Occidente, è fondamentale la libertà di intrapresa, la libertà economica.
A livello di idee ognuno di noi vive una vita diversa e significativa. A livello di idee il socialista vive la sua lotta per l'eguaglianza, il liberale per l'indipendenza dell'uomo dallo Stato e il cattolico per esprimere nella sua vita la Legge che lo oltrepassa infinitamente. A livello di idee ogni posizione politica è degna di rispetto e connessa con le altre. In questo senso, tutti gli uomini che credono che le idee e non le mafie muovono il mondo, sono ugualmente minacciati dal predominio degli apparati.
La «polis parallela» è anche un tentativo di rinnovare la politica in questo senso profondo. Infatti proprio nella politica l'uomo europeo combatte per la cosa più importante della vita, cioè per quello che della sua vita rimane come eredità per le generazioni future. Salvare qualcosa della propria vita, trovare nella sua finitezza un senso è parte essenziale della nostra europeità. È certamente paradossale che gli uomini che vogliono occuparsi della cosa pubblica, prendersi cura della sfera politica, debbano nascondersi nelle abitazioni private, dal momento che la politica è monopolio della polizia. In Occidente, è vero, non dobbiamo nasconderci dalla polizia, ma dobbiamo in qualche modo liberarci del predominio delle organizzazioni e degli apparati che ha inglobato la vita pubblica. La «polis parallela» è il rinnovamento della politica nel nostro secolo. Se la politica sparirà dalla nostra vita, se verrà risucchiata dalla manipolazione delle prescrizioni gestita dal computer, sparirà dalla storia anche la possibilità di fare della propria vita un testamento, tanto significativo e forte da entrare nella vita di tutti come parte del tempo sostanziale. Io temo che molti segni già annuncino un'epoca in cui l'uomo non avrà né il tempo né il luogo per lasciar tracce dietro di sé.
domenica 10 luglio 2016
Come eravamo: Incontro con Enzo: «chiunque pensa che facendo di meno salva di più, sbaglia»
Pubblico ora il testo di un incontro tenuto da Enzo Piccinini a Torino nel 1993, lo proponiamo ora un po' perché ci è capitato tra le mani ora, ma soprattutto perché, anche se non siamo in periodo di elezioni, è stato bello ritrovare quella corrispondenza che si può trovare solo in chi vive ogni circostanza come possibilità di dare le ragioni di un metodo che educa a giudicare e vivere attivamente, senza moralismi e scelte religiose, che affronta la realtà e tutti i suoi fattori: politici culturali e religiosi apertamente.
Tutto questo per riscoprire che «se non c'è impegno con l'ideale in modo adeguato, se uno tergiversa per poter salvare capra e cavoli, perde il gusto e dopo un po' non fa più niente.».
Abbiamo invitato Enzo per aiutarci ad approfondire le ragioni per cui facciamo le elezioni. Don Giussani al Centro del Clu ha detto che "approfondire le ragioni significa fare l'esperienza della corrispondenza fra le esigenze del cuore e quello che ci viene proposto". Cosa vuol dire allora che le elezioni sono per noi una possibilità di crescita nell'esperienza del movimento, cioè dell'avvenimento che ci ha toccati?
ENZO:Innanzitutto bisogna dire una cosa sempre chiara: noi, le elezioni, non le abbiamo mai volute e non le vorremmo mai, ma ce le troviamo di fronte. È una scadenza con cui siamo costretti a misurarci. È una cosa cara come un esame. Chi ha voglia di fare le elezioni? Nessuno...
Prima di tutto e innanzitutto, sul serio, sinceramente è una situazione che ci troviamo ad affrontare, non voluta da noi e che perciò fa il verso, ripete, è analogica a tantissime altre situazioni che nella realtà viviamo e dobbiamo affrontare perché ci stanno di fronte, ci interpellano.
Allora, quando la realtà assume questa caratteristica, siamo provocati ad essere in qualche modo quello che siamo. Questo modo di porsi vale per tutto, vale per casa tua, vale per il moroso e la morosa, vale per lo studio, vale per quel passaggio della vita che stringe e che tu non vorresti, vale per il dolore che arriva e che tu non vorresti, vale per tutto. È una circostanza della vita che come tante altre ci interpella. Questo modo è il modo che la realtà più da vicino ci provoca, pro-voca, ci chiama di fronte. Questo è il vero problema.
Siamo in questo momento provocati dalla realtà ad essere in qualche modo quello che siamo. Dobbiamo rispondere.
Anche infischiarsene è una risposta.
Le elezioni, bisogna fare attenzione, proprio perché sono cose non volute, dimostrano più da vicino che razza di personalità abbiamo, perché è la realtà che ci provoca, cioè ci chiama di fronte. Quando la realtà ci provoca cosa siamo costretti ad essere? Siamo costretti ad essere PRESENTI.
Quello che sta succedendo in questo momento, è che questo impegno pubblico ci obbliga ad essere presenti.
Questa è la premessa. Questo bisogna tenerlo presente, perché è uguale per tutto nella vita, quando capita una cosa così, quando la realtà segna da vicino.
Cosi allora ci dà e mi dà l'occasione di chiarire una cosa: che di fronte alla realtà si è presenti in due modi.
(Presenza è la tua persona, non è l'insieme del programma del gruppo).
La presenza può essere REATTIVA o ORIGINALE.
Il primo punto che dobbiamo capire è che come le elezioni, come l'esame che hai tra un mese e che non vorresti mai affrontare, qualunque presenza di fronte alla realtà, o che la realtà provoca a venir fuori, nel grande o nel piccolo, nel gruppo come nella persona, è sempre reattiva od originale.
REATTIVA significa che la risposta che dai, la modalità con cui ti impegni con la realtà è determinata da altri, da quel che dicono altri, da quel che si dice in giro, da come è impostata in sé la modalità di impegno che tutti vorrebbero.
Quindi il nostro modo di muoverci è determinato e risente sostanzialmente del ricatto di quel che tutti vogliono che ci sia. Ma la posizione reattiva ha inevitabilmente due addentellati.
Scrivevamo tempo fa, all'inizio della grande storia che abbiamo fatto insieme: "reattiva significa determinati dai passi del nemico, porsi con iniziative, utilizzare discorsi, realizzare strumenti non generati come modalità totale della nostra personalità nuova, ma suggeriti dall'atteggiamento, dall'uso di parole, dalla realizzazione di strumenti, dalla modalità di comportamento di altri". Degli altri, degli avversari, perfino di coloro che cercano in qualche modo, comunque, che tutto vada come già previsto.
Ma la reattività ha sempre, comunque, due addentellati, due conseguenze:
1) È sempre REAZIONARIA, tenta sempre di eliminare la questione con qualche forma di impegno, ma assolutamente formale o riciclata, e di chiudere la cosa conservando affermazioni e modalità assolutamente senza ragioni da parte nostra.
La reattività è sempre reazionaria, cioè tende a conservare modalità e forme senza una ragione. Ti schieri e chiuso.
2) Non solo è reazionaria, ma tende a diventare MIMESI, imitazione degli altri. E ciò costituisce il primo e fondamentale cedimento nei loro confronti, come giocare in casa loro, accettando la lotta secondo le loro modalità.
Significa che noi per giudicare l'impegno che dobbiamo avere, sentiamo il ricatto di quello che dicono tutti. Allora succede che non abbiamo un criterio nostro, ma cerchiamo di barcamenarci. Il massimo della questione è essere attaccati alle proprie posizioni formali oppure cercare di mimetizzare la questione per sopravvivere, per non avere troppi guai. Invece una presenza è originale quando nasce dalla coscienza della propria identità. Cioè chi siamo e perché esistiamo. Con il diritto di sperare dalla nostra presenza un meglio per la nostra vita e per la vita del mondo. Questo è originale.
Ti giochi tu? Tiri fuori quel che credi, tiri fuori quel che sei, tiri fuori quello che hai incominciato ad abbracciare, allora hai un'ipotesi di lavoro.
Questa posizione ci oppone a due cose che sono ormai la normalità assoluta. Con questa coscienza della propria identità, cioè chi siamo e perché esistiamo, non ci interessa quel che dicono gli altri, se non come paragone per scoprire le ragioni di chi siamo e per che cosa ci stiamo. Che cosa combatte questo? A che cosa si oppone? Al BORGHESISMO. Perché il borghesismo ha un criterio supremo che è l'assicurazione contro il rischio, attenzione, perché questo è il nostro criterio tutti i giorni.
La coscienza della propria identità porta inesorabilmente ad un rischio: il rischio di giocare te stesso nella realtà.
Questo è contro il borghesismo, che è l'aria mefitica che respiriamo.
L'assicurazione contro il rischio è il contrario della vita, è il calcolo fatto legge, è il sospetto.
L'altra cosa a cui ci oppone la coscienza della propria identità, è il lamento. Il lamento e l'accusa verso gli altri.
"Noi non possiamo cedere di una virgola a quello che sta succedendo in Italia, perché, prima di tutto non abbiamo il diritto per la storia che ci è stata data, secondo, perché è di fatto un male per il nostro popolo. Perché sarà eliminata la presenza sociale dei cattolici, quella popolare".
La nostra identità, perciò. Ma la nostra identità cos'è?
Dobbiamo partire da questo, perché io voglio partire da questo, cioè chi sono e per che cosa ci sto al mondo! E chi siamo e perché ci stiamo in università come nel mondo! Il resto è svendere me stesso con un credo.
Mi interessa il rischio, perché la libertà trova gusto quando si impegna, non quando calcola. Quando aderisce, non quando si tira indietro.
La nostra identità è essere immedesimati nella storia cristiana, perciò umana, che stiamo vivendo in università. Perciò un'affezione a Cristo, alla Chiesa, al Movimento. Una esperienza nuova dentro di noi e tra di noi: questa è la nostra identità.
"Siamo entrati in università coscienti di portare ciò che salva l'uomo anche in università, come ovunque, che rende vero un uomo e rende autentica la sua ricerca di significato di vero. E perciò è presenza se ha come modalità di espressione, gesti di una soggettività diversa, che si pone usando di tutto: dentro i banchi di scuola, dentro lo studio, dentro il tentativo di riforma dell'università. Gesti di umanità reale, anzi di CARITÀ".
Noi siamo in università e facciamo quel che facciamo come gesto di carità. Perché la carità, non è la carità penosa per gli ultimi, la carità ha un solo significato: la presenza di Cristo.
Non si realizza una realtà nuova facendo dei discorsi, o dei progetti organizzativi, ma vivendo gesti di umanità nuova nel presente.
Carità è presenza di una realtà umana che fa gesti di umanità diversa là dove è. Questa diversità non è stramberia, ma amore all'umano.
Una forza così di umanità diversa, nasce solo da un miracolo, da un incontro, non nasce sicuramente perché tu ti impegni! È stata una storia che è nata con questa identità ed ha continuato ad esprimersi.
“Questo gesto di carità deve diventare anche il tentativo di mandare nei consigli di Facoltà e in Consiglio di Amministrazione della gente che aiuti tutti più umanamente, e non degli avventurieri della politica o degli inetti”.
Un tentativo di esprimere l'ideale che siamo, che morda la realtà, se no di quell'ideale non sappiamo cosa farcene, ed è solo ingombrante perché sono anche regole morali.
È tentativo quello che facciamo, ma non possiamo esimerci da questo tentativo, perché ciò che abbiamo incontrato è un'ipotesi per tutto l'umano.
Il tentativo devi farlo, non ci interessa vincere, ma combattere si, perché ci è stato dato tutto.
"L'università ci interessa, perché Dio ci ha dato questo terreno da coltivare”, non per dire vinciamo.
Chi dice me infischio prende una posizione terrificante, soprattutto nega un'esigenza che gli nasce dal cuore.
Una presenza così ci lascia liberi dalle forme che il nostro agire umano assume, riformabili e cambiabili, perché son tentativi.
Noi ci muoviamo per una cosa che ci è successa dentro e ci porta ad interessarci della realtà, e questo interesse non è accademico; è sempre il tentativo di far sì che la realtà possa in qualche modo esprimere o lasciare esprimere un po' più di umanità.
Seconda questione cerco di specificare cosa vuol dire LAVORO per noi in università, secondo la storia che abbiamo incontrato.
“Il lavoro nella condizione universitaria, di un gruppo come noi, globalmente, dovrebbe essere la ridefinizione del compito che l'università ha e vive. Tale lavoro dipende dal modo con cui la nostra presenza può attaccare nel senso chimico della parola l'università in quello che è e per quello che è". Ciò significa: studio, didattica, rapporti, amministrazione, attività politica, servizi. Per noi l'università è il luogo dove c'è la trasmissione del sapere, ed è un posto dove uno impara. Allora, se è così, il compito, i problemi diventano duplici: che ci sia la possibilità di farlo, e star dentro e non fuori della situazione.
La nostra ridefinizione del compito che è in università, ha una sua modalità. È la modalità di come noi normalmente stiamo in università, cioè noi attacchiamo chimicamente l'università. Stando vicino reagiamo, stando dentro reagiamo.
Il nostro ideale è la realtà che incontriamo, ciò che viviamo è la realtà che incontriamo, cosi uno si accorge del problema che c'è. Occorre una lunga storia come è avvenuto per la cristianità che ha aspettato dei secoli per formare delle università, ma il programma è la presenza di ciò che siamo. Questa presenza sei TU.
Si cresce studiando, come tutti, ma con dentro un'apertura, un interesse, una magnanimità diversa, che è la chiave di volta perché cambi la situazione
Il nostro programma è la presenza di ciò che siamo. Un pezzo di umanità investita da Cristo. Una realtà nuova e presente.
Due caratteristiche fondamentali ha questa presenza cosi com'è:
1) Quella che fa veramente grande, la CERTEZZA. È quello per cui siamo più odiati.
Siamo certi perché abbiamo avuto il DONO di incontrare ciò che è vero in una realtà presente. Non è un discorso, però ha un risvolto interessante:
a) Nella certezza uno deve cercare di essere coerente, ed e più drammatico di tutto, perché è un fatto con cui rapportarsi, non è una serie di buoni criteri e di buoni propositi.
b) Quando invece c'è il relativismo uno può fare anche quello che vuole, ma tutto diventa precario e non costruisce mai.
La certezza non è un discorso, è la coscienza di appartenere ad una realtà, ad un fenomeno umano popolare. Una realtà umana in movimento: Cristo e ciò che autenticamente ne consegue: la Chiesa, la Comunità, quello che siamo.
Anche chi non fosse cristiano tra noi, si potrebbe ritrovare in questa affermazione, perché Cristo è riconosciuto come ciò che di più umano c'è. Non calcolo, certezza.
2) La GRATUITÀ. Ci è stato dato tutto, dobbiamo ridare tutto alla stessa maniera per essere noi stessi.
Un Fatto, non calcolo, non uno studio di interessi o ricatti. È la posizione che l'uomo ha di fronte all'ideale e al destino; così l'attività politica riguarda la relazione tra gli uomini e come questi possono vivere.
Due cose caratterizzano la personalità:
a) solo se c'è Gratuità c'è SERIETÀ e non viceversa. Perché gratuità significa che quel che fai risponde a qualcuno o a qualcosa non alla tua misura, a un certo tipo di valori o a quello tu pensi o senti. Rispondi a qualcosa di più grande.
Rispondi al destino e all'ideale presente e allora sei serio.
Dedizione a qualcosa di più grande rispondendo ad esso di quel che si fa.
Dire una preghiera vuol dire sconfiggere la voglia come modalità di affronto delle cose. Dire una preghiera vuol dire rispondere a qualcos'Altro di quello che c'è, di quel che sei e di quel che vuoi fare.
Guardate che razza di personalità vien fuori, che attacco alla realtà che viene, anche quella che non piace. È un altro uomo, è un altro tipo di uomo quello che esiste così.
b) La Gratuità dà apertura agli altri.
Come atteggiamento di partenza noi siamo interessati al tentativo di tutti per aiutare il desiderio di vero che c'è nel tentativo che chiunque fa.
In tutte le epoche questo Fatto, di presenza cristiana e cattolica, certo e gratuito ha generato coesioni, trama di rapporti, pezzi di umanità più umana, con tutto quello che gli stava intorno. Noi vogliamo contribuire a questo anche nella piccola frazione di tempo che sono le elezioni universitarie.
Il discorso cristiano con i suoi addentellati di regole morali e comportamentali, regge solo per chi è spostato di testa, va contro natura. Ma quando, invece che luce, diventa solida pietra la nostra esperienza? E cos'è che il cristianesimo ha detto è solido come una roccia? la TESTIMONIANZA.
Non attraverso un discorso si è solidi, ma attraverso la testimonianza.
L'entusiasmo nasce perché ci si gioca, non perché chi si attacca alla difesa, cammin facendo si giudicherà.
Allora tre sottolineature concrete:
1) Se sta quello che si è detto, innanzitutto queste elezioni non possono essere il ripetersi di un rituale, ma un ENTUSIASMO di fronte alla possibilità grande che ci è stata data per testimoniare una possibilità nuova di vita per chi ci sta in università. Comunicare agli altri la bellezza e la grazia di ciò che ci è avvenuto
Cosa fa vivo quello che facciamo tutti giorni?
Fa vivo l'entusiasmo,… per che cosa?
Per quello che ci è successo di fronte alla possibilità grande di tutto quello che c'è. Ci è dato per testimoniare ciò che ci è successo. Comunicare agli altri la bellezza e la grazia di ciò che ci è accaduto. E non muore la voglia.
2) Non c'è macchina elettorale, o meglio ci sarà se ci sarà la persona. Non speriamo che la macchina elettorale, cioè la segreteria, le telefonate, etc... facciano qualche cosa. La macchina elettorale ci sarà se ci sarai tu. Se ciascuno di noi si mette in moto, allora c'è macchina elettorale, dentro e fuori, perciò con gli strumenti che favoriscono la personalizzazione della responsabilità.
Occasione, quindi, per i più giovani di capire di più e per i più vecchi di svegliare una speranza assopita.
3) Si fa per capire, non viceversa. È il metodo che ha imposto Gesù Cristo.
La libertà di adesione, non calcolo o sospetto. Totalità, non centellinare.
C'è una bellissima cosa che scrivevamo tempo fa: "Non si tratta, tutto quello che abbiamo detto, di creare un'atmosfera volontaristica, ma un gusto della vita che è quello di esprimersi. Perciò uno degli aspetti gravi dell'illusione della tentazione che abbiamo tante volte e che facendo di meno salviamo di più il gusto di vivere. È FALSO".
Il gusto del vivere è direttamente proporzionale all'impegno con l'ideale. Per questo se non c'è impegno con l'ideale in modo adeguato, se uno tergiversa per poter salvare capra e cavoli, perde il gusto e dopo un po' non fa più niente.
Allora se un obiettivo c'è, il primo obiettivo che abbiamo è l'entusiasmo, l'ideale con noi.
Il riconoscimento appassionato, sincero e doloroso di fronte alle nostre incapacità, ai nostri tradimenti, alle nostre voglie di non fare, al nostro svincolarci, al nostro borghesismo. È il riconoscimento appassionato e umile del Fatto che ci ha presi. Di quel Fatto nuovo nella storia che si chiama Cristo e che si formula nel tempo fisicamente come storia di unità tra noi.
O la vita è così, o si ingrigisce col tempo che passa; assicurazione contro il rischio.
Il primo obiettivo è l'entusiasmo, che è il riconoscimento che noi siamo come tutti, ma ci è stato fatto un grande DONO.
Rispondendo a questo riprendiamo la voglia e la capacità di mordere nella realtà, chimicamente, cioè standoci, ci proviamo. E chiunque pensa che facendo di meno salva di più, sbaglia.
Il gusto è direttamente proporzionale all'impegno con l'ideale.
Tutto questo per riscoprire che «se non c'è impegno con l'ideale in modo adeguato, se uno tergiversa per poter salvare capra e cavoli, perde il gusto e dopo un po' non fa più niente.».
ENZO:Innanzitutto bisogna dire una cosa sempre chiara: noi, le elezioni, non le abbiamo mai volute e non le vorremmo mai, ma ce le troviamo di fronte. È una scadenza con cui siamo costretti a misurarci. È una cosa cara come un esame. Chi ha voglia di fare le elezioni? Nessuno...
Prima di tutto e innanzitutto, sul serio, sinceramente è una situazione che ci troviamo ad affrontare, non voluta da noi e che perciò fa il verso, ripete, è analogica a tantissime altre situazioni che nella realtà viviamo e dobbiamo affrontare perché ci stanno di fronte, ci interpellano.
Allora, quando la realtà assume questa caratteristica, siamo provocati ad essere in qualche modo quello che siamo. Questo modo di porsi vale per tutto, vale per casa tua, vale per il moroso e la morosa, vale per lo studio, vale per quel passaggio della vita che stringe e che tu non vorresti, vale per il dolore che arriva e che tu non vorresti, vale per tutto. È una circostanza della vita che come tante altre ci interpella. Questo modo è il modo che la realtà più da vicino ci provoca, pro-voca, ci chiama di fronte. Questo è il vero problema.
Siamo in questo momento provocati dalla realtà ad essere in qualche modo quello che siamo. Dobbiamo rispondere.
Anche infischiarsene è una risposta.
Le elezioni, bisogna fare attenzione, proprio perché sono cose non volute, dimostrano più da vicino che razza di personalità abbiamo, perché è la realtà che ci provoca, cioè ci chiama di fronte. Quando la realtà ci provoca cosa siamo costretti ad essere? Siamo costretti ad essere PRESENTI.
Quello che sta succedendo in questo momento, è che questo impegno pubblico ci obbliga ad essere presenti.
Questa è la premessa. Questo bisogna tenerlo presente, perché è uguale per tutto nella vita, quando capita una cosa così, quando la realtà segna da vicino.
Cosi allora ci dà e mi dà l'occasione di chiarire una cosa: che di fronte alla realtà si è presenti in due modi.
(Presenza è la tua persona, non è l'insieme del programma del gruppo).
La presenza può essere REATTIVA o ORIGINALE.
Il primo punto che dobbiamo capire è che come le elezioni, come l'esame che hai tra un mese e che non vorresti mai affrontare, qualunque presenza di fronte alla realtà, o che la realtà provoca a venir fuori, nel grande o nel piccolo, nel gruppo come nella persona, è sempre reattiva od originale.
REATTIVA significa che la risposta che dai, la modalità con cui ti impegni con la realtà è determinata da altri, da quel che dicono altri, da quel che si dice in giro, da come è impostata in sé la modalità di impegno che tutti vorrebbero.
Quindi il nostro modo di muoverci è determinato e risente sostanzialmente del ricatto di quel che tutti vogliono che ci sia. Ma la posizione reattiva ha inevitabilmente due addentellati.
Scrivevamo tempo fa, all'inizio della grande storia che abbiamo fatto insieme: "reattiva significa determinati dai passi del nemico, porsi con iniziative, utilizzare discorsi, realizzare strumenti non generati come modalità totale della nostra personalità nuova, ma suggeriti dall'atteggiamento, dall'uso di parole, dalla realizzazione di strumenti, dalla modalità di comportamento di altri". Degli altri, degli avversari, perfino di coloro che cercano in qualche modo, comunque, che tutto vada come già previsto.
Ma la reattività ha sempre, comunque, due addentellati, due conseguenze:
1) È sempre REAZIONARIA, tenta sempre di eliminare la questione con qualche forma di impegno, ma assolutamente formale o riciclata, e di chiudere la cosa conservando affermazioni e modalità assolutamente senza ragioni da parte nostra.
La reattività è sempre reazionaria, cioè tende a conservare modalità e forme senza una ragione. Ti schieri e chiuso.
2) Non solo è reazionaria, ma tende a diventare MIMESI, imitazione degli altri. E ciò costituisce il primo e fondamentale cedimento nei loro confronti, come giocare in casa loro, accettando la lotta secondo le loro modalità.
Significa che noi per giudicare l'impegno che dobbiamo avere, sentiamo il ricatto di quello che dicono tutti. Allora succede che non abbiamo un criterio nostro, ma cerchiamo di barcamenarci. Il massimo della questione è essere attaccati alle proprie posizioni formali oppure cercare di mimetizzare la questione per sopravvivere, per non avere troppi guai. Invece una presenza è originale quando nasce dalla coscienza della propria identità. Cioè chi siamo e perché esistiamo. Con il diritto di sperare dalla nostra presenza un meglio per la nostra vita e per la vita del mondo. Questo è originale.
Ti giochi tu? Tiri fuori quel che credi, tiri fuori quel che sei, tiri fuori quello che hai incominciato ad abbracciare, allora hai un'ipotesi di lavoro.
Questa posizione ci oppone a due cose che sono ormai la normalità assoluta. Con questa coscienza della propria identità, cioè chi siamo e perché esistiamo, non ci interessa quel che dicono gli altri, se non come paragone per scoprire le ragioni di chi siamo e per che cosa ci stiamo. Che cosa combatte questo? A che cosa si oppone? Al BORGHESISMO. Perché il borghesismo ha un criterio supremo che è l'assicurazione contro il rischio, attenzione, perché questo è il nostro criterio tutti i giorni.
La coscienza della propria identità porta inesorabilmente ad un rischio: il rischio di giocare te stesso nella realtà.
Questo è contro il borghesismo, che è l'aria mefitica che respiriamo.
L'assicurazione contro il rischio è il contrario della vita, è il calcolo fatto legge, è il sospetto.
L'altra cosa a cui ci oppone la coscienza della propria identità, è il lamento. Il lamento e l'accusa verso gli altri.
"Noi non possiamo cedere di una virgola a quello che sta succedendo in Italia, perché, prima di tutto non abbiamo il diritto per la storia che ci è stata data, secondo, perché è di fatto un male per il nostro popolo. Perché sarà eliminata la presenza sociale dei cattolici, quella popolare".
La nostra identità, perciò. Ma la nostra identità cos'è?
Dobbiamo partire da questo, perché io voglio partire da questo, cioè chi sono e per che cosa ci sto al mondo! E chi siamo e perché ci stiamo in università come nel mondo! Il resto è svendere me stesso con un credo.
Mi interessa il rischio, perché la libertà trova gusto quando si impegna, non quando calcola. Quando aderisce, non quando si tira indietro.
La nostra identità è essere immedesimati nella storia cristiana, perciò umana, che stiamo vivendo in università. Perciò un'affezione a Cristo, alla Chiesa, al Movimento. Una esperienza nuova dentro di noi e tra di noi: questa è la nostra identità.
"Siamo entrati in università coscienti di portare ciò che salva l'uomo anche in università, come ovunque, che rende vero un uomo e rende autentica la sua ricerca di significato di vero. E perciò è presenza se ha come modalità di espressione, gesti di una soggettività diversa, che si pone usando di tutto: dentro i banchi di scuola, dentro lo studio, dentro il tentativo di riforma dell'università. Gesti di umanità reale, anzi di CARITÀ".
Noi siamo in università e facciamo quel che facciamo come gesto di carità. Perché la carità, non è la carità penosa per gli ultimi, la carità ha un solo significato: la presenza di Cristo.
Non si realizza una realtà nuova facendo dei discorsi, o dei progetti organizzativi, ma vivendo gesti di umanità nuova nel presente.
Carità è presenza di una realtà umana che fa gesti di umanità diversa là dove è. Questa diversità non è stramberia, ma amore all'umano.
Una forza così di umanità diversa, nasce solo da un miracolo, da un incontro, non nasce sicuramente perché tu ti impegni! È stata una storia che è nata con questa identità ed ha continuato ad esprimersi.
“Questo gesto di carità deve diventare anche il tentativo di mandare nei consigli di Facoltà e in Consiglio di Amministrazione della gente che aiuti tutti più umanamente, e non degli avventurieri della politica o degli inetti”.
Un tentativo di esprimere l'ideale che siamo, che morda la realtà, se no di quell'ideale non sappiamo cosa farcene, ed è solo ingombrante perché sono anche regole morali.
È tentativo quello che facciamo, ma non possiamo esimerci da questo tentativo, perché ciò che abbiamo incontrato è un'ipotesi per tutto l'umano.
Il tentativo devi farlo, non ci interessa vincere, ma combattere si, perché ci è stato dato tutto.
"L'università ci interessa, perché Dio ci ha dato questo terreno da coltivare”, non per dire vinciamo.
Chi dice me infischio prende una posizione terrificante, soprattutto nega un'esigenza che gli nasce dal cuore.
Una presenza così ci lascia liberi dalle forme che il nostro agire umano assume, riformabili e cambiabili, perché son tentativi.
Noi ci muoviamo per una cosa che ci è successa dentro e ci porta ad interessarci della realtà, e questo interesse non è accademico; è sempre il tentativo di far sì che la realtà possa in qualche modo esprimere o lasciare esprimere un po' più di umanità.
Seconda questione cerco di specificare cosa vuol dire LAVORO per noi in università, secondo la storia che abbiamo incontrato.
“Il lavoro nella condizione universitaria, di un gruppo come noi, globalmente, dovrebbe essere la ridefinizione del compito che l'università ha e vive. Tale lavoro dipende dal modo con cui la nostra presenza può attaccare nel senso chimico della parola l'università in quello che è e per quello che è". Ciò significa: studio, didattica, rapporti, amministrazione, attività politica, servizi. Per noi l'università è il luogo dove c'è la trasmissione del sapere, ed è un posto dove uno impara. Allora, se è così, il compito, i problemi diventano duplici: che ci sia la possibilità di farlo, e star dentro e non fuori della situazione.
La nostra ridefinizione del compito che è in università, ha una sua modalità. È la modalità di come noi normalmente stiamo in università, cioè noi attacchiamo chimicamente l'università. Stando vicino reagiamo, stando dentro reagiamo.
Il nostro ideale è la realtà che incontriamo, ciò che viviamo è la realtà che incontriamo, cosi uno si accorge del problema che c'è. Occorre una lunga storia come è avvenuto per la cristianità che ha aspettato dei secoli per formare delle università, ma il programma è la presenza di ciò che siamo. Questa presenza sei TU.
Si cresce studiando, come tutti, ma con dentro un'apertura, un interesse, una magnanimità diversa, che è la chiave di volta perché cambi la situazione
Il nostro programma è la presenza di ciò che siamo. Un pezzo di umanità investita da Cristo. Una realtà nuova e presente.
Due caratteristiche fondamentali ha questa presenza cosi com'è:
1) Quella che fa veramente grande, la CERTEZZA. È quello per cui siamo più odiati.
Siamo certi perché abbiamo avuto il DONO di incontrare ciò che è vero in una realtà presente. Non è un discorso, però ha un risvolto interessante:
a) Nella certezza uno deve cercare di essere coerente, ed e più drammatico di tutto, perché è un fatto con cui rapportarsi, non è una serie di buoni criteri e di buoni propositi.
b) Quando invece c'è il relativismo uno può fare anche quello che vuole, ma tutto diventa precario e non costruisce mai.
La certezza non è un discorso, è la coscienza di appartenere ad una realtà, ad un fenomeno umano popolare. Una realtà umana in movimento: Cristo e ciò che autenticamente ne consegue: la Chiesa, la Comunità, quello che siamo.
Anche chi non fosse cristiano tra noi, si potrebbe ritrovare in questa affermazione, perché Cristo è riconosciuto come ciò che di più umano c'è. Non calcolo, certezza.
2) La GRATUITÀ. Ci è stato dato tutto, dobbiamo ridare tutto alla stessa maniera per essere noi stessi.
Un Fatto, non calcolo, non uno studio di interessi o ricatti. È la posizione che l'uomo ha di fronte all'ideale e al destino; così l'attività politica riguarda la relazione tra gli uomini e come questi possono vivere.
Due cose caratterizzano la personalità:
a) solo se c'è Gratuità c'è SERIETÀ e non viceversa. Perché gratuità significa che quel che fai risponde a qualcuno o a qualcosa non alla tua misura, a un certo tipo di valori o a quello tu pensi o senti. Rispondi a qualcosa di più grande.
Rispondi al destino e all'ideale presente e allora sei serio.
Dedizione a qualcosa di più grande rispondendo ad esso di quel che si fa.
Dire una preghiera vuol dire sconfiggere la voglia come modalità di affronto delle cose. Dire una preghiera vuol dire rispondere a qualcos'Altro di quello che c'è, di quel che sei e di quel che vuoi fare.
Guardate che razza di personalità vien fuori, che attacco alla realtà che viene, anche quella che non piace. È un altro uomo, è un altro tipo di uomo quello che esiste così.
b) La Gratuità dà apertura agli altri.
Come atteggiamento di partenza noi siamo interessati al tentativo di tutti per aiutare il desiderio di vero che c'è nel tentativo che chiunque fa.
In tutte le epoche questo Fatto, di presenza cristiana e cattolica, certo e gratuito ha generato coesioni, trama di rapporti, pezzi di umanità più umana, con tutto quello che gli stava intorno. Noi vogliamo contribuire a questo anche nella piccola frazione di tempo che sono le elezioni universitarie.
Il discorso cristiano con i suoi addentellati di regole morali e comportamentali, regge solo per chi è spostato di testa, va contro natura. Ma quando, invece che luce, diventa solida pietra la nostra esperienza? E cos'è che il cristianesimo ha detto è solido come una roccia? la TESTIMONIANZA.
Non attraverso un discorso si è solidi, ma attraverso la testimonianza.
L'entusiasmo nasce perché ci si gioca, non perché chi si attacca alla difesa, cammin facendo si giudicherà.
Allora tre sottolineature concrete:
1) Se sta quello che si è detto, innanzitutto queste elezioni non possono essere il ripetersi di un rituale, ma un ENTUSIASMO di fronte alla possibilità grande che ci è stata data per testimoniare una possibilità nuova di vita per chi ci sta in università. Comunicare agli altri la bellezza e la grazia di ciò che ci è avvenuto
Cosa fa vivo quello che facciamo tutti giorni?
Fa vivo l'entusiasmo,… per che cosa?
Per quello che ci è successo di fronte alla possibilità grande di tutto quello che c'è. Ci è dato per testimoniare ciò che ci è successo. Comunicare agli altri la bellezza e la grazia di ciò che ci è accaduto. E non muore la voglia.
2) Non c'è macchina elettorale, o meglio ci sarà se ci sarà la persona. Non speriamo che la macchina elettorale, cioè la segreteria, le telefonate, etc... facciano qualche cosa. La macchina elettorale ci sarà se ci sarai tu. Se ciascuno di noi si mette in moto, allora c'è macchina elettorale, dentro e fuori, perciò con gli strumenti che favoriscono la personalizzazione della responsabilità.
Occasione, quindi, per i più giovani di capire di più e per i più vecchi di svegliare una speranza assopita.
3) Si fa per capire, non viceversa. È il metodo che ha imposto Gesù Cristo.
La libertà di adesione, non calcolo o sospetto. Totalità, non centellinare.
C'è una bellissima cosa che scrivevamo tempo fa: "Non si tratta, tutto quello che abbiamo detto, di creare un'atmosfera volontaristica, ma un gusto della vita che è quello di esprimersi. Perciò uno degli aspetti gravi dell'illusione della tentazione che abbiamo tante volte e che facendo di meno salviamo di più il gusto di vivere. È FALSO".
Il gusto del vivere è direttamente proporzionale all'impegno con l'ideale. Per questo se non c'è impegno con l'ideale in modo adeguato, se uno tergiversa per poter salvare capra e cavoli, perde il gusto e dopo un po' non fa più niente.
Allora se un obiettivo c'è, il primo obiettivo che abbiamo è l'entusiasmo, l'ideale con noi.
Il riconoscimento appassionato, sincero e doloroso di fronte alle nostre incapacità, ai nostri tradimenti, alle nostre voglie di non fare, al nostro svincolarci, al nostro borghesismo. È il riconoscimento appassionato e umile del Fatto che ci ha presi. Di quel Fatto nuovo nella storia che si chiama Cristo e che si formula nel tempo fisicamente come storia di unità tra noi.
O la vita è così, o si ingrigisce col tempo che passa; assicurazione contro il rischio.
Il primo obiettivo è l'entusiasmo, che è il riconoscimento che noi siamo come tutti, ma ci è stato fatto un grande DONO.
Rispondendo a questo riprendiamo la voglia e la capacità di mordere nella realtà, chimicamente, cioè standoci, ci proviamo. E chiunque pensa che facendo di meno salva di più, sbaglia.
Il gusto è direttamente proporzionale all'impegno con l'ideale.