giovedì 26 maggio 2016

Come eravamo: Il metodo della presenza

Questo testo fa parte di "La politica, per chi, per cosa", supplemento a "il Sabato" n. 22 del 30 maggio 1987, p.62-64
Da «La Chiesa italiana e le prospettive del Paese», documento del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana (24 ottobre 1981) 

Il Paese non crescerà, se non insieme. Ha bisogno di ritrovare il senso autentico dello Stato, della cosa comune, del progetto per il futuro.
Ha bisogno perciò di un buon confronto culturale e di una buona comunicazione sociale. 
Sono così in causa le grandi agenzie che possono creare serio confronto tra i diversi modi di vedere le cose e che devono parlare con verità: la scuola, i centri e le organizzazioni sociali, la stampa, la radio, la televisione, il teatro, il cinema. C'è un crescente rischio che queste agenzie si snaturino e diventino strumenti di manipolazione di destabilizzazione e di conflitto, di incomunicabilità, perfino di disprezzo della realtà popolare, come nel caso della diffusione della pornografia e della provocazione all'intolleranza e alla violenza. 

9) Il Paese non può dare deleghe in bianco a nessuno: ha bisogno e ha il dovere di partecipare. 

14) La santificazione si compie e si alimenta nella Chiesa. Vivere intensamente la comunione ecclesiale è dunque condizione indispensabile per la nostra vocazione e per la nostra presenza nel Paese. In questi ultimi anni noi abbiamo conosciuto nuove imprevedibili energie che lo Spirito ha dato per una presenza vivace dei cristiani nel Paese. Non dobbiamo mortificare i suoi doni, ma impegnarci a spenderli. 

17) C'è innanzitutto da assicurare una nuova presenza di Chiesa. E tale presenza ha un inconfondibile stile evangelico: come Cristo, anche la Chiesa è nel mondo, è per il mondo, ma non del mondo. 
Di qui la purificazione dei nostri comportamenti, restituiti a libertà da pretese o compromessi mondani, per testimoniare il Vangelo nella sua purezza e integrità. 
Non sarà cosa facile né di facile accoglienza, perché è in atto una frattura tra Vangelo e culture, che Paolo VI definiva drammatica (cfr, EN, 20). Ma l'annuncio del Vangelo intero sarà possibile, se andremo al cuore delle culture, cioè fra la gente, dove il dramma rischia di consumarsi e dove tuttavia la parola di Cristo mette più facilmente radici. 

18) Tale evangelizzazione per un mondo più umano ha come inalienabile punto di riferimento il Cristo e l'annuncio esplicito del suo mistero di salvezza di tutto l'uomo. Nello stesso tempo, essa deve oggi cogliere le domande cruciali che la gente spesso soffoca dentro di sé e dire con amore la verità cristiana sui problemi che giocano il suo futuro. E se si esprime nella «capacità di comprensione e di accoglimento, di comunione di vita e di destino con gli altri, solidarietà negli sforzi di tutti per tutto ciò che è nobile e buono» (EN, 21), rivela anche, con coscienza critica della società attuale, che cosa è vita e che cosa è morte, che cosa è bene e che cosa è male, chi sono i figli concepiti, perché si può e si deve vivere un amore stabile e fedele nella famiglia, come e perché si lavora, come si è responsabili per lo sviluppo della giustizia e della pace. 

19) Per queste prospettive, le comunità cristiane devono sempre meglio trasformarsi oggi in permanenti scuole di fede, in cui la parola di Dio corra e si diffonda nella famiglia, nel paese, nel quartiere, tra i gruppi, là dove la gente parla e decide, nel cuore degli avvenimenti quotidiani. 
Si dice che i cristiani sono forza minoritaria in Italia, e per alcuni versi è vero. Ma non lo è per gli aspetti più qualificanti della loro esistenza, perché la forza dello Spirito in chi ha ricevuto il Battesimo e ha conosciuto il Vangelo è sempre feconda e capace di rianimare chi si è arreso. 
Certo, questo non basta a giustificare l'assenteismo o la confusione di alcuno. È piuttosto una provocazione per tanti cristiani a ricordarsi della loro vocazione, a uscire dalle pigrizie e dall'anonimato, per essere nuovamente testimoni del Vangelo in una vera identità cristiana. 

25) Questa identità, a scanso di equivoci, non coincide con i programmi di azione culturale o sociale o politica che i cristiani, singoli o associati, perseguono. Si fonda invece sulla fede e sulla morale cristiana, con il loro preciso richiamo all'insegnamento in campo sociale; si vive nella comunione ecclesiale e si confronta fedelmente con la parola di Dio letta nella Chiesa. È una identità da incarnare, senza rivendicarla solo per sé, nel pluralismo delle situazioni, giorno per giorno quando proprio la fede anima le competenze umane dell'analisi, del confronto, della mediazione e della progettazione. 
Riteniamo particolarmente importanti queste indicazioni sulla identità cristiana dei laici presenti alla vita del Paese. Un chiaro metodo di presenza è infatti indispensabile, sia per l'orientamento delle loro energie sia per far fronte correttamente alle delicate questioni politico-sociali d'oggi.

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