giovedì 1 marzo 2018

Conversazione al fronte: Intervista a Gianfranco Amato

TERZA PUNTATA DELL’INCHIESTA SUL VOTO CATTOLICO. Gianfranco Amato, segretario del Popolo della Famiglia (nonché presidente di Giuristi per la Vita), spiega che solo il PDF oggi è in grado di condizionare la politica e di essere coerente su quei principi non negoziabili sui quali, invece, tutti gli altri partiti hanno “negoziato” negli ultimi 24 anni. Obiettivo dichiarato? «Mettere il chiodo nella coda del serpente». [A cura dei siti Pepe, The Debater e La Baionetta]



Avvocato Amato, il mettere al centro solo la famiglia non rischia di rendere il PDF un partito monotematico, oppure è davvero “il prisma” attraverso cui considerare l'uomo e le sue esigenze: nel concreto cosa significa; come si può collegare ciò alle varie questioni che un partito deve affrontare per il bene comune: all'economia, all'Europa, alla politica estera, alla sicurezza nazionale...?

Quella del “prisma” è una splendida metafora utilizzata da San Giovanni Paolo II il 31 gennaio 1998 quando parlò ai membri dell’Assemblea e della Giunta del Lazio. In quell’occasione il Santo Padre disse, infatti, che «ogni buon amministratore pubblico, a maggior ragione se egli fa riferimento ad un'etica cristiana, non può non tenere la famiglia quale “prisma”, per così dire, attraverso cui considerare tutti i problemi sociali».

La famiglia è la cellula della società, e quindi tutto passa attraverso di essa. Un giovane non può sposarsi e fare famiglia se non ha un lavoro. Una giovane coppia non può fondare una famiglia se non ha una casa. I figli di una famiglia debbono avere una sana istruzione. L’economia, il lavoro, l’educazione, l’impresa, l’edilizia, il credito, la salute sono tutti aspetti che attraversano la famiglia. Quando siamo apparsi nel panorama politico per la prima volta nel giugno 2016 tutti ci accusavano di essere “monotematici” o addirittura fuori tema. Continuavamo a sentirci ripetere sempre la stessa domanda e la medesima obiezione: «Ma cosa centra la famiglia? I temi che interessano la gente e di cui la politica deve occuparsi sono l’economia, il lavoro, la sicurezza, l’ambiente».

Beh, è davvero una soddisfazione poter constatare che oggi tutti hanno capito. Faccio alcuni esempi. Cominciamo dal candidato premier del movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio: «Noi siamo una forza pragmatica, riconosciamo che la famiglia è una forza del Paese e la sosteniamo, senza farci sopra tanti ricami teorici», e «rispetto alle coalizioni fantasma che ancora non hanno un contenuto da offrire al Paese, noi possiamo dire con forza che la famiglia e la natalità sono il filo rosso che unisce le nostre idee su fisco, scuola, sanità, lavoro». Che dire, poi, dell’ineffabile sottosegretario Maria Elena Boschi, che ha avuto parole per quello che sta diventando il vero punto focale della campagna elettorale: «Il Partito Democratico farà del tema del sostegno alle famiglie una bandiera della campagna elettorale e un argomento centrale per il primo anno di governo. Tornare alla famiglia non deve essere la bandiera identitaria dei cattolici in politica, ma la sfida di tutti i cittadini. Una visione che tenga insieme laici e cattolici sul piano della cittadinanza». Non poteva mancare neppure Matteo Salvini: «La Lega propone di concentrare le risorse sul sostegno alla famiglia e alla natalità», attraverso misure concrete che prevedono «la gratuità degli asili nido sul modello francese, forti assegni per le famiglie di cittadini italiani che danno alla luce figli oltre il secondo e una fiscalità a misura di famiglia». E Giorgia Meloni: «Da sempre Fratelli d’Italia sostiene la necessità di avviare una rivoluzione del welfare che metta al centro la famiglia e consenta alla nostra nazione di invertire i dati demografici. Per questo una volta al governo Fratelli d’Italia metterà in campo il più grande piano a sostegno della natalità mai visto in Italia. Tra i nostri obiettivi: asilo nido gratuito per tutti; istituzione del “reddito bimbo”; quoziente familiare; congedo parentale coperto all’80% fino ai sei anni di età del bambino; incentivi alle aziende che assumono donne in età fertile; progressiva eliminazione dell’IVA sui prodotti dell’infanzia come i pannolini e latte in polvere. Fratelli d’Italia vuole essere il partito di riferimento della famiglia e di chi ha a cuore il futuro dell’Italia». Per finire con Silvio Berlusconi: «meno tasse, meno burocrazia, meno Stato, più persona, più impresa».

Quest’anno ha voluta aggiornare la ricetta: «meno tasse, meno burocrazia, meno Stato, più persona, più impresa, più famiglia, perché Forza Italia, quale partito moderato, si riconosce «nel primato della persona e delle sue libertà, nel privilegio accordato alla famiglia e alla società rispetto allo Stato». Beh, insomma, ora tutti – ma proprio tutti – da destra a sinistra, grillini inclusi, oggi parlano di famiglia.


Dite anche di “voler portare” la Dottrina Sociale della Chiesa in politica: come pensate di riuscirvi?

Applicandone i principi. Ho scoperto, girando in questi anni, che la stragrande maggioranza dei cattolici non sa cos’è il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. Alcuni, male intrepretando il termine “dottrina”, pensano si tratti di questioni religiose, di dogmi, sacramenti, teologia. Il Compendio è invece un vero e proprio programma politico che affronta temi come l’economia, il lavoro, il fisco, la salute, l’immigrazione, l’ambiente, e molto altro. Il Popolo della Famiglia è l’unico partito in Italia che ha assunto ufficialmente, formalmente e integralmente il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa come proprio programma politico valoriale. Noi ci ispiriamo a quei principi e per la prima volta nella storia italiana voglia porre il contenuto del Compendio al centro dell’azione politica.


Non bastavano Lega FI e FdI per contrastare l'attuale deriva antropologica? Perché il voto al PDF non è un voto inutile e non rischia di far vincere il centro-sinistra o il Movimento 5 Stelle?
Che senso ha il Popolo della Famiglia? Perché insistere nella necessità di una nuova formazione politica?

Ci sono due risposte a questa domanda. Una sul piano pragmatico e una sul piano etico.

La prima risposta è che senza una presenza strutturata e visibile all’interno di una coalizione di governo, molti dei temi a noi cari resterebbero delle mere petizioni di principio o semplici promesse elettorali dantesche. Le celebri «lunghe promesse con l’attender corto», di cui parlava il Sommo Poeta nella sua Divina Commedia (Inf. XXVII). Un solo esempio fra tanti. Nel 2008 il programma di Forza Italia contemplava espressamente il cosiddetto “quoziente familiare”. Com’è noto, purtroppo, questa promessa venne sonoramente disattesa da Berlusconi. E non valse a dissuaderlo neppure una petizione popolare di ben 1.071.348 firme. Se questo milione di cittadini italiani fosse stato rappresentato da una forza politica del 3% all’interno della maggioranza, oggi quel tanto auspicato strumento di giustizia fiscale in favore della famiglia sarebbe già un istituto del nostro ordinamento giuridico. Non dobbiamo mai dimenticare, peraltro, che l’attuale compagine elettorale del centrodestra ha già ampiamente governato il nostro Paese con esecutivi granitici e maggioranze bulgare in parlamento. Eppure, facciamo fatica a ricordare provvedimenti legislativi seri in materia di vita, famiglia o educazione. Ricordiamo, ad esempio, che la giovane Giorgia Meloni – il cui impegno politico iniziò venticinque anni fa (1992) – frequenta il parlamento dal 2006 ed è stata pure ministro nel governo Berlusconi dal 2008 al 2011. Facciamo però qualche fatica a veder una pur piccola traccia lasciata da Giorgia su vita, famiglia o educazione. Neppure la larva di una proposta nonostante la sua presenza all’interno del Consiglio dei ministri.

Ora, dopo ventiquattro anni di alternanza alla guida del nostro Paese tra centrodestra e centrosinistra, che garanzie abbiamo che i partiti che hanno già governato l’Italia possano realizzare la prossima volta ciò che non hanno fatto negli ultimi cinque lustri? Nessuna. A meno che non ci sia una forza politica strutturata e visibile in grado di condizionare un futuro governo di centrodestra. Questa è la funzione che Il Popolo della Famiglia si prefigge.

Seconda risposta alla obiezione sulla necessità del nostro partito.

Per noi è semplicemente inconcepibile – se non addirittura immorale – che su quelli che il grande ed indimenticato Benedetto XVI definiva «principi non negoziabili», si possa parlare di libertà di coscienza, di astensione o di fuga pilatesca. Qui sta la vera grande differenza tra il Popolo della Famiglia e gli altri partiti del centrodestra. Un esempio tra tutti. Prendiamo l’ultima nefandezza della legislatura che, fortunatamente, è appena morta: il cosiddetto testamento biologico, alias “eutanasia all’italiana”. Una vera polpetta avvelenata, il colpo di coda della più sciagurata legislatura della storia repubblicana.

Prendiamo quello che è successo il 20 aprile 2017 quando alla Camera dei Deputati è stato approvato il testo di legge. Movimento 5 Stelle: 55 deputati presenti, zero contrari, 55 voti granitici per l’eutanasia. Mdp: 24 deputati presenti, zero contrari, 24 voti granitici per l’eutanasia. Sinistra Italiana: 9 deputati presenti, zero contrari, 9 voti granitici per l’eutanasia.

Vediamo adesso come si sono comportati i partiti di centrodestra.

Il capolavoro è riuscito a compierlo Forza Italia: 33 deputati si sono dati alla macchia, mentre i 17 presenti sono riusciti a votare in tutte le maniere. Tre favorevoli, dodici contrari, due astenuti.

Prendiamo, invece, Fratelli d’Italia che secondo alcuni dovrebbe essere la forza politica più vicina ai nostri valori e sulla quale noi dovremmo convergere i nostri voti. Degli undici deputati di quel partito ben sei non si sono presentati, mentre dei restanti cinque uno ha persino votato a favore dell’eutanasia. Ecco, se al posto di Fratelli d’Italia ci fosse stato Il Popolo della Famiglia la situazione sarebbe stata la seguente: 11 deputati, 11 deputati presenti, zero favorevoli e 11 voti granitici contro l’eutanasia. Questa è la differenza! E se qualche deputato del Popolo della Famiglia si fosse sentito male, sarebbe stato accompagnato in ambulanza a Montecitorio e avrebbe votato dalla barella! E, per cortesia, che non si venga a parlare di assenze giustificate o impegni in missioni. Non c’è giustificazione o missione che tenga quando in parlamento si legifera di vita o di morte. Sui principi non negoziabili purtroppo, sinistra e grillini hanno dimostrato di essere molto più seri di quella strana “Arca di Noè” che è il centrodestra.

E per comprendere meglio cosa intendiamo quando parliamo di principi non negoziabili, usiamo le stesse parole pronunciate da Benedetto XVI nel discorso tenuto il 30 marzo 2006 ai partecipanti al convegno promosso dal partito popolare europeo: «Tra i principi non negoziabili emergono chiaramente i seguenti: – protezione della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del suo concepimento fino alla morte naturale; – riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, come unione tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio, e la sua difesa di fronte ai tentativi di far sì che sia giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che in realtà la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo ruolo sociale insostituibile; – la protezione del diritto dei genitori ad educare i loro figli». E lo stesso Ratzinger spiegava, a scanso di equivoci, che difendere quei principi non significa essere dei bigotti: «Questi principi non sono verità di fede anche se ricevono ulteriore luce e conferma dalla fede; essi sono iscritti nella natura umana stessa e quindi sono comuni a tutta l’umanità», per questo l’azione dei cristiani «nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa». E tale azione «è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia stessa».

Non si tratta di essere “fissati” sui temi etici. Si tratta di essere seri con gli elettori che tengono a quei temi, con il popolo che è sceso in piazza per difendere quei temi, con la propria coscienza che crede in quei temi, con la ragione umana che riconosce l’importanza di quei temi, con la verità della persona umana difesa da quei temi, con la propria fede e con Dio. Per chi ci crede.

In politica occorre un partito che su questi principi tenga la barra dritta e costringa un futuro governo ad attuare politiche concrete rispetto alla vita, alla famiglia e alla libertà d’educazione. Il Popolo della Famiglia si candida a questo ruolo di «chiodo piantato nella coda del serpente».


Lei, Adinolfi e gli altri vostri colleghi vi auspicate che dal 5 marzo in poi, qualsiasi risultato ottengano il Comitato Difendiamo i Nostri Figli e il Popolo Della Famiglia, che le due realtà possano tornare a concorre – insieme – al bene comune?

Il 5 marzo, qualunque sarà il risultato ottenuto dal Popolo della Famiglia, accadrà un fatto storico. Nessuno potrà più dire che non esiste un partito di riferimento dei cristiani in Italia. Dobbiamo solo attendere i risultati e poi cominciare tutti insieme a completare il progetto di una presenza strutturata, autonoma e visibile di una forza politica capace di concorrere al bene comune secondo una prospettiva antropologica cristiana.


Avete ricevuto sostegno anche da uomini di Chiesa? In questo modo non vi è il rischio di “strumentalizzare” le parrocchie?

Ci ha commosso l’appello a sostegno del Popolo della Famiglia sottoscritto da più di duecento sacerdoti, religiose e religiosi. Ci ha commosso anche il sostegno paterno di alcuni Vescovi.

Quest’anno ricorre il settantesimo anniversario del 18 aprile 1948. La domanda che io pongo sempre è questa: «In quella fatidica e storica elezione politica la Chiesa ha fatto bene o ha fatto male ad entrare a gamba tesa nella competizione?». Io credo che abbia fatto bene e che abbia contribuito a scongiurare un grande pericolo per il nostro Paese. Ma allora era in gioco la libertà di un popolo. Ora che, invece, è in gioco la distruzione stessa dell’uomo, mi domando come possa la Chiesa restare indifferente rispetto ad una rivoluzione antropologica che sta avvenendo per via legislativa. Oggi la politica, ed in particolare il parlamento, è il luogo dove si decide la visione antropologica dell’uomo: come nasce (fecondazione artificiale), come muore (eutanasia), chi è (identità di genere), cos’è il matrimonio (nozze gay), e via proseguendo. Come fa uno che ha la grazia della fede a non avvertire l’esigenza di portare in quel luogo, la luce della fede, della Verità, del Vangelo e, direi pure, della ragione?

Per questo ritengo essenziale l’unità dei cristiani in politica. Occorre mettere in atto una controrivoluzione culturale capace di opporsi al tentativo di distruzione dell’uomo.


Tra l'altro, lei ha scritto un significativo libro con don Gabriele Mangiarotti sul servo di Dio don Giussani: Per l'umano e per l'eterno-il dialogo con don Giussani continua. Quanto ritiene importante per la sua formazione e il suo impegno politico l'insegnamento del sacerdote di Desio?

La maturazione della mia fede è avvenuta grazie all’incontro avvenuto quarant’anni fa con don Luigi Giussani. Avevo solo sedici anni e fui affascinato da come quell’uomo di Dio riuscisse a spiegare a degli adolescenti la grandezza dell’esperienza cristiana.

Quattro cose, soprattutto, mi colpirono della sua originale proposta: la ragionevolezza della fede; la capacità di giudicare la realtà e tutto ciò che accade; la differenza tra moralità e moralismo; la dimensione culturale della fede. Ma quello che più mi affascinava era l’impeto militante per la Verità. Don Giussani amava ripeterci che non esistono mai «battaglie perse in partenza», se sono battaglie intraprese «per amore al Vero».

Proprio la dimensione culturale della fede, che ho imparato da Giussani, mi è divenuta ancora più chiara quando lessi un passaggio, poi divenuto celebre, del discorso tenuto da San Giovanni Paolo II il 16 gennaio 1982 ai partecipanti al congresso nazionale del MEIC: «Una fede che non diventa cultura non è pienamente accolta, interamente pensata, fedelmente vissuta». E come mi spiegò un giorno il compianto cardinal Carlo Caffarra – un altro vero Maestro – «la fede non può non generare cultura in quanto non è un fatto privato» ed è «il meridiano che attraversa tutti i paralleli, tutte le grandi esperienze dell’umano quali il lavoro, l’amore tra un uomo e una donna, la società civile, l’esercizio del potere politico», poiché «tutte le grandi esperienze umane c’entrano con la fede». Per questo motivo mi invitò ad essere «ben vigilante» di fronte al grande tentativo oggi in atto di ridurre la fede al fatto privato, una «tendenza molto forte che non bisogna mai accettare». «La Chiesa», mi spiegava sempre quel grande cardinale, «non ha mai scelto volontariamente di andare nelle catacombe; c’è andata e c’è stata nelle catacombe, ma quando l’hanno mandata con la forza, mai di propria scelta, perché il suo Sposo fondatore, Gesù, aveva detto: “Predicate sui tetti ciò che io vi ho detto segretamente. Predicatelo sui tetti”». E Caffarra si lamentava giustamente del fatto che «oggi si tende a tacere, perché così si può andare d’accordo, e non si capisce, però, che il presupposto non è quello di andare d’accordo!». Lui insisteva nel dire che uno dei segni che la fede è viva è rappresentato dal fatto che essa generi fatti culturali straordinari. Ebbene proprio l’idea di una fede che è capace di diventare cultura, che è capace di essere il «meridiano che attraversa tutti i paralleli», ha sempre destato in me il desiderio di intervenire nella realtà, di agire, di operare.

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