domenica 20 agosto 2017

I classici della truppa: I preti di Stargorod

I preti di Stargorod ” è la narrazione più nota di Nikolaj Semonovic Leskov. Si colloca nei romanzi e racconti di vita ecclesiastica, scritti tra il 1869 e il 1872, dopo “Anni vecchi a Plodomasovo” e “Una famiglia decaduta”. Ambientato in una città immaginaria, si presenta in forma di cronache, incastonate su cinque parti; per questo, in origine aveva il sottotitolo di “Cronaca”.


Non è un caso dunque che le sue parole siano in grado di dare quel trait d’union tanto necessario alle stesse cronache per superare una certa anarchia: d’altra parte, non è facile tenere insieme “dei racconti nel racconto”. Due elementi lo permettono. Il primo vede l’arciprete Savelij Tuberozov, un autentico cristiano, sempre in lotta con l’ipocrisia dei governanti e la burocrazia ecclesiastica; e il sanguigno diacono cosacco Achillà, innamorato filialmente dell’arciprete. Questi vive molte “disavventure”, che danno all’opera una vena di ironia. Diverse le scene in cui lo si vede combattere con gli intellettuali (spesso finti) anticlericali del paese, come “l’idiota” professor Varnava Prepotenski. In realtà, ve ne sarebbe un terzo, il sacerdote Zacharija Benefaktov, solo non fosse così “modesto da occupare semplicemente lo spazio che occupa il suo minuscolo corpo”.

Il secondo elemento, invece, che emerge man mano si procede nella lettura, è rappresentato da un duplice senso: di vitalità tipicamente russo e di morte incombente. Il tutto è raccontato con spirito arguto e humour schietto, attraverso i quali riesce a stemperare i momenti più drammatici. I protagonisti incontrano in Stargorod e dintorni una varietà umana straordinaria, costituita da persone quali la munifica e spietata bojarina Marfa Andreevna Plodomasova, benefattrice dell’arciprete Tuberozov; il suo servo, il nano Nikolaj Afanas’evic. Personaggio indimenticabile, che presenta le caratteristiche migliori del popolo russo: saggio, mite, semplice, rispettoso di chi considera superiore a sé e fedele all’amicizia fino alla morte. Nonostante le umiliazioni, anche senza malizia, della sua benefattrice. Non mancano i personaggi meschini e tragici come Danilka e il malvagio Termosiesov, presente nella Terza parte, che con i suoi crimini e inganni contribuirà alle sofferenze di Tuberozov e di Achillà. Fino agli esiti fatali dell’ultima parte. Tutta l’opera è quindi il semplice racconto della vita delle persone all’interno di una comunità. La Prima parte, ad esempio, offre soprattutto il punto di vista dell’arciprete, attraverso la lettura che egli stesso fa del proprio diario. Qui si inizia a vedere la grande personalità di Tuberozov e l’affetto paterno, giacché l’amata moglie non ha potuto dargli un figlio, che nutre verso Achillà. Un appunto del 15 agosto 1859 conferma: sia l’arciprete che il diacono sono a un banchetto a casa del sindaco. A un certo punto tra il diacono e il medico, altro invitato, si scatena la “disputa sull’ingegno”; litigano perché il secondo ha osato dire che l’arciprete non è dotato di ingegno e, per tutta risposta, il diacono ha reagito incastrandolo su un armadio. Così commenta Tuberozov nel suo diario: “E’ straordinario, che davvero questo diacono cosacco si sia accorto che io gli voglio bene, non sapendo perché io stesso, e che mi ami egli pure senza rendersene conto”.

Leskov affascina con la sua “Cronaca”. Sebbene questo aspetto renda lo scritto disarmonico ed eterogeneo, tali limiti sono superati dalla straordinaria scrittura di Leskov, capace di rendere vitali i personaggi e di descrivere con profondità i momenti poetici di cui è intessuta l'opera. Infatti, lo scrittore Peskov, in arte Maksim Gor’kij, lo definiva mago della parola.

Anche su Il Foglio

Nessun commento:

Posta un commento