sabato 29 luglio 2017

Ricognizione: La responsabilità etica dei cattolici nella comunicazione (terza parte)

Dopo aver riportato l'introduzione e l'intervento di Mauro Carmagnola ed aver dato la parola a Giancarlo Chiapello di seguito viene pubblicato l'intervento di Marco Margrita.


Marco: “È difficile parlare dopo tutte le considerazioni offerte dai colleghi e amici. Facciamo uno sforzo per costruire una dimensione comune del lavoro che stiamo facendo. Allora, tu, Giancarlo hai parlato della centralità della persona umana. Una caratteristica della persona umana è che emette messaggi; qualunque persona emette messaggi. Il primo assioma della scuola di Palo Alto – assioma è una verità evidente nella sua verità – dice che “non si può non comunicare”. E questo ha moltissime implicazioni, tra cui alcune delle cose che i comunicatori fanno quando utilizzano PNL e cose di questo tipo. Ma non è quello di cui parliamo oggi.

Quanto detto rende tutti noi comunicatori? No, ci rende tutti comunicanti. Il comunicatore è chi utilizza scientificamente, ha gli strumenti per utilizzare questa natura, di ogni essere umano, o entrare in rapporto con la natura di ogni essere umano; quindi i messaggi che emette, li emette con un maggiore livello di coscienza e consapevolezza. La consapevolezza tecnica non è necessariamente una consapevolezza morale. Però, non tutto ciò che è possibile è lecito, dal punto di vista morale. Noi siamo immersi in un clima di esplosione comunicativa.

Noi abbiamo una quantità di informazioni come mai nella storia. Mi ricordo di un incontro organizzato dall'associazione Il Laboratorio presso il comune di Buttigliera Alta, ove mi occupavo di comunicazione istituzionale. Qui parlava don Ermis Segati, il quale disse che la biblioteca di Boccaccio non era molto grande, eppure, nonostante ciò, ha prodotto dei capolavori. La questione è che tutte le informazioni, che noi oggi abbiamo, non producano più informazione. Non è che noi siamo più informati.

Voi avete un'idea di quanti comunicati stampa emetta mediamente un'istituzione? Ve lo dico io: ogni istituzione di media grandezza emette ogni giorno tra i 50 e i 100 comunicati. E tendenzialmente questo produce l'ingolfamento della casella postale di chi fa il giornalista. L'unico effetto è questo.

Così, rispetto alla Chiesa, mi viene da riportare le parole che Monsignor Maggiolini espresse in un incontro al Meeting di Rimini: “La Chiesa produce un sacco di documenti”. Questo perché il Papa fa le encicliche e poi ogni vescovo si sente nell'esigenza di realizzare dei propri documenti. Poi c'era anche un particolare vescovo che sentiva l'esigenza di scrivere lettere pastorali per contraddire le encicliche papali, il cardinal Martini per intenderci; che è diventato l'antipapa per tutta una serie di giornalisti. Nessun giudizio sulla persona ma sulla funzione che si assume. Quindi, ogni vescovo scrive numerosi documenti. Poi chiaramente ogni ufficio delle Diocesi scrivono documenti rispetto alla pastorale; ogni parroco scrive l'editoriale del giornale parrocchiale su questi documenti. Come se piovesse e i cattolici cosa fanno, aprono l'ombrello e tirano avanti. Così fanno di fronte a questo profluvio di documenti. Noi siamo in questa grande Babele di emissione di messaggi. Gli uomini di Chiesa si “difendono bene”. Sono capaci, sono consapevoli, parlano a se stessi? Sì, parlano spesso a se stessi. Non pensano più che c'è invece un mondo a cui bisogna parlare. Non c'è un Ettore Bernabei che capisce che ci serve un nuovo media, come la televisione di cui parlava Mauro. Come hanno fatto la Rai in Italia? La fanno così: ad un certo punto la Democrazia Cristiana chiama i più grandi virgulti dell'Azione Cattolica e gli dice dovete fare la televisione. Sapete chi c'era tra questi grandi virgulti? Umberto Eco e Gianni Vattimo... in effetti qualcosa non funzionava già un sacco di tempo fa.

Gli uomini di Chiesa spesso parlano a se stessi. Mi sono interrogato sovente su ciò, partendo da quello che faccio. Io dirigo giornali che non sono giornali dichiaratamente cattolici. Come il Moinviso e Dai2006più di imprenditori ove ho portato spesso il Movimento Cristiano Lavoratori

Il giornalismo cattolico ha bisogno di un presupposto, se la persona è al centro, che è il giornalista cattolico. Perché vi sono tanti giornali dichiaratamente cattolici, che in realtà non lo sono più.

Problema che è causato da un certo eclettismo folle, il quale porta a parlare di qualunque cosa, anche di idee pensieri non cattolici, siccome gran parte del mondo cattolico si è autoinserito laddove fa comodo alla narrazione dominante. Noi non dobbiamo avere paura di essere cattolici, provocatori, di essere in ambienti ostili. Pensate che ho citato un autore-filosofo caro agli animatori de La Baionetta, Gustave Thibon, in un editoriale su un giornale di imprenditori, Dai2006più. Questo non ha generato scandalo a nessuno, giacché abbiamo dato una ragione, un messaggio chiaro per fare questa cosa. Della comunicazione noi cattolici non dobbiamo avere paura; anzi, dobbiamo tornare a raccontare storie, come abbiamo fatto con la Rai di allora. Pensiamo all'importanza dei suoi sceneggiati, ripresi dai capolavori della letteratura, quali i Promessi Sposi, che erano il parlare dello spirito di una nazione, erano la capacità di fare una televisione di qualità e originale, erano la capacità di parlare al popolo

Oggi al popolo chi parla? Parlano comunicatori astutissimi, che ci fregano con un uso ideologico di strumenti narrativi come lo story telling, attraverso i quali raccontano un'altra storia. La capacità dei nostri avversari, di essere performativi, è altissima! Anche perché non avendo il principio di verità, che è un limite, che è la salvaguardia dell'umano: il principio di verità e di realismo, possono dire qualunque cosa. Ecco che la loro capacità di raccontare e indicare storie è altissima. Dobbiamo avere paura di questa cosa, dobbiamo essere innamorati di questo mondo della comunicazione? Secondo me, né l'uno né l'altro.

Essere cattolici vuol dire andare verso il popolo, bisogna essere popolari, bisogna anche saper essere intelligentemente nazional-popolari. Noi abbiamo un patrimonio di giornalismo che è raccontare ciò che se non raccontiamo noi non racconta nessuno. Nessuno. I nostri paesi scomparirebbero senza il giornalismo che i cattolici sanno fare con i loro giornali.

Su questa strada si colloca il lavoro che faccio nella redazione di ciascun giornale che dirigo. Porto lì dentro le grandi questioni, perché spesso i collaboratori e i lettori leggono solo quel giornale specifico. E allora, se gli parliamo di Charlie, come ho fatto io al Monviso, per esempio, si scopre che i redattori sono tutti contro l'eutanasia. Nessuno è cattolico, eppure di fronte a questo principio di evidenza naturale c'è un'alleanza. A pranzo, perché noi mangiamo in redazione, parliamo di Fabiano Antonioni, in arte dj Fabo, e la pensiamo tutti allo stesso modo. È una redazione di “uomini vivi”, che quindi capiscono la brutalità della questione. Io con loro discuto gli editoriali: quello su Charlie, sull'“aiutiamoli a casa loro”: in questo caso ho citato padre Piero Gheddo, che conosce davvero la situazione africana, dicendo che vi è un grande problema di educazione pure in Africa.

E in questo nostro mondo, in questa periferia che tutti noi viviamo della comunicazione, il pensiero corto, il fatto che tutto debba stare dentro in uno slogan, non ci aiuta a capire quanto riportato poc'anzi e ancora ciò: che cosa capita solitamente tra noi qui presenti? Una cosa che ricordò Giussani durante il discorso che tenne a Desio per la Democrazia Cristiana, ricordato in un dibattito recente, che ho seguito. Nel suo intervento qualifica il contributo che i cattolici danno alla democrazia. E come? Lo qualifica come difesa del pluralismo. Questa cosa qui la facciamo solo noi cattolici. Perché capiamo che dove c'è una posizione che liberamente si mette in gioco, ecco che c'è più coscienza. Il pensiero unico, la grande omologazione, di cui parlava Pasolini e di cui parlava don Giussani in quel discorso alla DC lombarda dicendo “la profonda comunanza di giudizio, rispetto a questa grande omologazione”. Perché ci sono delle cose che non si possono più dire. Voi che fate La Baionetta avete il coraggio di dire le cose che non si possono più dire. Purtroppo nemmeno in certi ambienti della Chiesa si possono dire. Voi fate un tentativo coraggioso, un blog coraggioso, perché dite delle cose che non è facile dire, senza il registro della provocazione. La Baionetta è il coraggio di dire cose scomode, senza la provocazione fine a se stessa; è il tentativo di ridestare dal torpore, non è carpire un consenso perché è semplice invocare degli slogan ideologici.

È ridestare l'attenzione anche attraverso la pro-vocazione, cioè richiamando la persona ad essere ciò che deve essere. Nel movimento di CL mi hanno insegnato – e spero che lo si insegni ancora – “o si è protagonisti, o si è nessuno; o si dice io o non si è nessuno”, e allora l'uomo è chiamato a dire io.

La capacità di provocare, di ridestare questo protagonismo è fondamentale, oggi, poiché l'omologazione non vuole persone che dicano io. Non credo che servano giornali cattolici. Se ci sono, va bene. Io credo che il punto consista nel fatto che ci siano giornalisti cattolici. Ma i cattolici cosa compiono? Compiono la battaglia che Annah Arendt diceva essere quella di questi tempi: “stare di fronte ai fatti”, e i cattolici stanno di guardia ai fatti. O per dirla con il caro Chesterton “brandiremo le spade per dire che le foglie sono verdi in estate”. Ed è così. Oggi questo è il livello, perché solo il potere può essere anarchico – e cito ancora Pasolini –, solo il potere in forza del suo potere può dire che è vera una cosa che non è vera; questa si chiama propaganda. E la propaganda si trova pure nella legge. Le leggi sono scritte male. I cattolici tra le altre cose avevano aiutato a scriverle bene, assieme alla costituzione, in un buon italiano; cosa che oggi non hanno più fatto, a causa del pesante clima ideologico.

Per chiudere. Servono questi giornalisti cattolici, che siano alleati di tutti coloro che non vogliono l'omologazione. E nel popolo c'è una curiosità, un desiderio di sapere contro ogni ideologia. Dobbiamo andare incontro alle persone che ne fanno parte, come succede al Monviso, qui alla sede del MCL. La comunicazione è un servizio alla Verità se corrisponde a una curiosità che l'omologazione vorrebbe distruggere. Oggi servono operatori della comunicazione che abbiano questo profilo. Nella biografia scritta da Savorana per don Luigi Giussani si trova una citazione molto significativa, collocata negli anni '70, in tempi molto simili a questi (anche se l'ideologia di oggi è diversa): “Ebbi chiaro che il mio compito era suscitare vocazioni al giornalismo”. Perché se noi cattolici dobbiamo difendere la realtà, dobbiamo difendere la comunicazione giornalistica. Una lotta efficace alla propaganda: comunicazione scientificamente fatta in servizio del potere, tra i nostri principali avversari, richiede giornalisti comunicatori cattolici. Poi magari faranno giornali cattolici, ma non è necessario; anzi, se non li fanno è meglio. Non serve che ci siano giornali cattolici, giacché il dissenso sotto uno dei più terribili regimi, che era quello sovietico, si chiama samizdat, che vuol dire editare. Quindi il problema non è che quello che editiamo abbia un'etichetta. Perché come dice benissimo Marta Cartabia nella prefazione al Il Potere dei senza potere “Nasce sempre una grande amicizia tra chi è dissidente rispetto all'isola del potere” qualunque sia la posizione da cui si parte. Poiché l'amicizia nasce nella difesa della libertà. E il giornalismo è questo. Per essere liberi ci deve essere la Verità. Perché se no capita quel fatto che era la battuta dei dissidenti russi. C'erano due giornali in Russia: Pravda e Isvezia; Pravda sta per verità e Isvezia sta per notizia. E allora i dissidenti russi dicevano che in Isvezia non c'era alcuna Pravda, e in Pravda non c'era alcuna Isvezia.

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