Il grande retroscena (per capire cosa e’ accaduto e accade in vaticano e nella politica italiana ed europea)
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sabato 18 giugno 2016
Salmerìa 24.2016
Tra Clinton e Trump c’è chi spera nel terzo incomodo
Il grande retroscena (per capire cosa e’ accaduto e accade in vaticano e nella politica italiana ed europea)
Il grande retroscena (per capire cosa e’ accaduto e accade in vaticano e nella politica italiana ed europea)
venerdì 17 giugno 2016
Obice: Ci interessa la verità, non il potere
Cos'è
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Perché
Era tutto troppo serio, noi non siamo fighette da club esclusivi e non aspettiamo altro che l'ultimo arrivato ci smentisca, quello che ci interessa è la verità, non il potere.
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I classici della truppa: La cerchia esclusiva
Tratto da "Le lettere di Berlicche" da pagina 151 a 160.
Nel mentre Boris entrava, il principe Anditi, con gli occhi sprezzantemente socchiusi (con quell'aria particolare di cortese stanchezza che dice chiaramente: se non fosse mio obbligo, non starei a parlare con voi nemmeno per un momento), ascoltava un vecchio generale russo decorato che, quasi in punta di piedi, irrigidito sull'attenti, con un'espressione di ossequio servile e soldatesco sulla faccia paonazza, gli comunicava qualche cosa.
-Benissimo, vogliate aspettare- disse in russo al generale con quell'accento francese con cui era uso parlare quando voleva dare alle sue parole un tono sprezzante e, avendo veduto Boris, senza più badare al generale (che gli correva dietro pregandolo di asciti i tarlo ancora), si volse a Boris con un lieto sorriso, facendogli un cenno del capo.
Boris in quel momento comprese chiaramente ciò che già aveva intuito, e cioè che nell'esercito, oltre a quella subordinazione e disciplina che erano scritte nei regolamenti ed erano note nel reggimento, e a lui, esisteva un'altra subordinazione, più importante, quella che obbligava quel generale, rigido sull'attenti, con la faccia paonazza, ad aspettare rispettosamente, mentre il capitano principe Andrea per suo piacere trovava più comodo discutete col sottotenente Drubezkòi. Più fermamente di quel che avesse fatto fino allora Boris decise di servire, da quel momento in poi, non secondo la subordinazione scritta nei regolamenti, ma secondo quella che non era.
Dal momento che avete invitato un moralista di mezza età a farvi un discorso, devo dedurre, per quanto improbabile possa sembrare, che vi piaccia la maniera di moraleggiare della mezza età. Farò quindi del mio meglio per soddisfarvi. Di fatto vi darò dei consigli riguardo al mondo in cui dovrete vivere. Questo non significa che tenterò di parlare dei cosiddetti «fatti di attualità». Probabilmente voi ne sapete quanto me, al riguardo. E non vi dirò neppure -se non in termini così generali che farete fatica ad accorgervene- quale potrà essere il vostro ruolo nella ricostruzione del dopoguerra. Dopo tutto, non ci sono molte probabilità che qualcuno fra voi abbia occasione, nei prossimi dieci anni, di dare un contributo diretto alla pace e alla prosperità dell'Europa. Sarete troppo occupati a cercare lavoro, a sposarvi, a fare esperienze. Farò invece una cosa molto più all'antica di quanto forse vi aspettiate. Vi darò consigli, rilascerò ammonimenti. Consigli ed ammonimenti su cose così eterne che nessuno le potrà mai chiamare «fatti di attualità».
Naturalmente, tutti possono immaginare contro cosa ammonisca i giovani un moralista di mezza età come me. Li ammonisce contro il Mondo, la Carne, e il Diavolo. Per oggi sarà più che sufficiente dedicare la nostra attenzione a un solo membro di questa triade. Eviterò nella maniera più assoluta di sfiorare l'argomento Diavolo. L'associazione fra lui e me nella mente del pubblico si è già spinta oltre i miei desideri: in certi ambienti ha già raggiunto il livello della confusione, se non della identificazione. Capisco ora quel vecchio proverbio che dice che per cenare con il diavolo ci vuole un cucchiaio ben lungo. Quanto alla Carne, dovreste essere ragazzi molto al di fuori della norma per non saperne quanto me al riguardo. È piuttosto sul Mondo che credo di avere qualcosa da dire.
Nel brano di Tolstoi che vi ho appena letto, il giovane sottotenente Boris Drubezkòi scopre che nell'esercito esistono due diversi sistemi gerarchici. Uno è codificato in una sorta di albo che chiunque può leggere, ed inoltre è immutabile. Un generale è sempre superiore a un colonnello, e un colonnello a un capitano. Il secondo, invece, non lo troverete stampato in nessun posto. Eppure non si tratta di una società segreta, con cariche e ruoli che verrebbero comunicati dopo l'ammissione. Qui l'ammissione non è formale e riconosciuta esplicitamente. Pian piano, in modo quasi impercettibile, scoprirete che esiste questo ordine e che voi ne siete fuori; poi più tardi, forse, che ne siete dentro. Esiste qualcosa che equivale alle parole d'ordine, ma anche questo è spontaneo e informale. Un gergo particolare, l'uso di particolari soprannomi, una maniera allusiva di conversare, sono i segni di riconoscimento. Ma non sono costanti. Non è facile, in un dato momento, dire con certezza chi sia dentro e chi sia fuori. Alcuni sono evidentemente dentro, altri sono evidentemente fuori, ma ce n'è sempre un mucchio sul confine. E se tornate allo stesso Comando di Divisione o di Brigata, o allo stesso reggimento, o anche alla stessa compagnia dopo un'assenza di sei settimane, vi potrà capitare di trovare questa seconda gerarchia notevolmente alterata. Non ci sono ammissioni o espulsioni formali. C'è chi si crede incluso dopo esserne di fatto stato escluso, o ancor prima di esservi ammesso; e tutto ciò è un vero spasso per chi è dentro davvero. È una cosa senza un nome definito. La sola regola certa è che quelli che sono dentro e quelli che sono fuori la chiamano con nomi diversi. Dall'interno può essere definita, nei casi più semplici, attraverso una pura elencazione: «Io, tu e Tony». Quando l'appartenenza è molto sicura e relativamente stabile, si identifica con «noi». Quando poi deve essere improvvisamente allargata per far fronte a un'emergenza particolare, si chiama «Tutta la gente di buon senso che c'è qui dentro». Dall'esterno, chi dispera di entrarvi la chiama «La combriccola» oppure «Loro», oppure «Il Tale e sua corte» oppure «La Cricca» oppure «la Cerchia esclusiva». Se siete candidato all'ammissione, è probabile che non la chiamiate per niente. Discuterne con gli esclusi vi farebbe sentire un escluso come loro, e parlarne al membro che ne fu già parte e che vi potrebbe essere di aiuto, sempre che la conversazione vada bene, sarebbe pura follia.
Per quanto malamente ve lo possa aver descritto, spero che tutti avrete riconosciuto il fenomeno al quale mi riferisco. Non che siate mai stati arruolati nell'Esercito Russo, e forse neppure vi siete mai arruolati. Ma certo avete conosciuto il fenomeno della Cerchia Esclusiva. Prima della fine del primo trimestre avete scoperto che ne esisteva una nel vostro convitto scolastico. E quando eravate finalmente riusciti a qualificarvi per farne parte, ora della fine del secondo anno, avete forse scoperto che all'interno della Cerchia c'era una Cerchia ancora più esclusiva, la quale a sua volta era una branca della grande Cerchia della scuola, di cui le Cerchie dei convitti non erano che satelliti. È anche possibile che la Cerchia della scuola avesse dei contatti con qualche Cerchia dei professori.
Qui si stanno davvero cominciando ad attraversare gli strati della cipolla. E anche qui in università -mi sbaglio se penso che proprio in questo momento, senza che io lo possa vedere- ci sono parecchie Cerchie -indipendenti o concentriche- radunate in quest'aula? lo vi posso assicurare che in qualsiasi ospedale, corte di giustizia, diocesi. scuola, azienda o università arriverete dopo aver lasciato l'università, troverete ancora Cerchie -quello che Tolstoi chiama «subordinazione non scritta».
Quanto vi vado dicendo è piuttosto ovvio. Mi domando se troverete altrettanto ovvia quest'altra mia affermazione: sono convinto che nella vita di tutti gli uomini ci siano dei periodi, e per molti costituiscono l'intero arco di tempo compreso fra la prima infanzia e la vecchiaia, in cui l'elemento dominante è il desiderio di appartenere alla Cerchia locale, nonché il terrore di esserne esclusi. Questo desiderio, in una delle sue più diffuse manifestazione, è stato più volte ripreso in letteratura. Parlo di quell'atteggiamento che va sotto il nome di snobismo. La minativi vittoriana trabocca di personaggi tormentati dalla brama di entrare a far parte di quella particolare Cerchia che è, o era chiamata, la Società. Ma va sottolineato che la Società, in quell'accezione della parola, non è che une fra cento Cerchie, e che lo snobismo non è che una delle cento manifestazioni del desiderio di essere «dentro».
Può darsi che quelli che si credono liberi, e di fatto lo sono, dallo snobismo, e che leggono con tranquilla superiorità satire sullo snobismo, siano divorati dallo stesso desiderio sotto altre forme. Potrebbe essere proprio l'impellente desiderio di far parte di un'altra Cerchia ad averli immunizzali dalle seduzioni della vita di Società.
Essere invitato da una duchessa sarebbe una ben magra consolazione per un uomo cui brucia ancora l'essere stato escluso da un circolo di artisti o di comunisti. Pover'uomo -quello che vuole non sono ampie sale illuminate, o champagne, o scandali su nobili o ministri: è invece quella sacra soffitta stretta, lo studio, le teste che si avvicinano, la nebbia densa del fumo, e la splendida certezza che noi -questi quattro o cinque ammucchiati intorno alla stufa- siamo i soli a sapere.
Speso il desiderio è così ben mascherino che è difficile perfino riconoscere la soddisfazione di chi finalmente è «ammesso». Gli uomini non fanno che ripetete alle proprie mogli, ma anche a se stessi, che è una tale seccatura trattenersi in ufficio o a scuola per sbrigare un po' di quel lavoro extra, molto importante, che è stato loro affidato, perché non ci sono che loro, e il Tal dei Tali, e gli altri due in tutto l'ufficio a sapere veramente come vanno le cose. Non è vero niente. Certo, è una bella seccatura che la vecchia Fatty Smithson vi tiri da parte e sussurri: «Senti, è assolutamente necessario che tu partecipi a questa ispezione», oppure: «Charles, ed io abbiamo pensato fin dal primo momento che tu debba far parte di questo comitato». Una bella seccatura... ah, ma come sarebbe molto più terribile esserne esclusi! D'accordo, è sfibrante e poco sano sprecare così i pomeriggi del sabato; ma averli liberi perché non si è importanti, sarebbe molto molto peggio.
Freud definirebbe senza dubbio l'intera faccenda come una subdola manifestazione dell'impulso sessuale. Mi domando se a volte non si prenda pan per focaccia: mi chiedo se in questo secolo di promiscuità non ci sia stata più di una ragazza che ha sacrificato la propria virtù non tanto in obbedienza ai richiami di Venere, quanto a quelli della «Cricca». E certo, se la promiscuità è divenuta consuetudine, sono i casti ad essere gli «esclusi». Ignorano qualcosa che gli altri conosco-no. Non sono degli iniziati. Così, per passare ad argomenti più futili, chissà quanti sono quelli che per la medesima ragione hanno fumato la prima sigaretta o si sono presi la prima sbronza.
Ora però è doveroso fare una distinzione. Non sto dicendo che la semplice esistenza delle Cerchie Esclusive sia un male. Certo, è inevitabile che esistano. È naturale che si facciano discussioni riservate, le quali non solo non sono un male, ma sono (in se stesse) un bene, e che nascano amicizie personali fra individui che lavorano insieme. E probabilmente è impossibile che la gerarchia ufficiale, in qualsiasi organizzazione, coincida esattamente con la vera distribuzione del potere. Se le cariche più alte venissero sempre affidate alle persone più esperte e dinamiche, le due cose potrebbero coincidere, ma dal momento che spesso questo non accade, è inevitabile che ci siano dei direttori che in realtà sono dei pesi morti, e dei loro subalterni che sono molto più importanti di quanto ne lascerebbero supporre il livello e l'anzianità. così che il sistema gerarchico secondario ha occasione di espandersi. E inevitabile, e non è necessariamente un male. Ma il desiderio che ci trascina verso le Cerchie Esclusive è un'altra cosa. Un oggetto in sé può essere moralmente neutro, tuttavia il desiderio dello stesso oggetto può essere pericoloso.
Come ha detto Byron: “Sweet is a lagacy, and passing sweet the unexpected death of some old lady” il trapasso indolore di una pia vecchia parente non è un male, tuttavia si considera poco fine che i suoi parenti lo desiderino ardentemente, e la legge scoraggia qualsiasi tentativo, anche il più gentile, di affrettarne il distacco. Se pure possiamo ammettere che le Cerchie Esclusive siano un fatto inevitabile e perfino innocente della vita, per quanto non siano certo uno dei più positivi, come dobbiamo giudicare la brama di farne parte, l'angoscia di esserne esclusi, e il tipo di soddisfazione che proviamo entrandovi?
Non ho alcun diritto di fare delle illazioni sul grado in cui ciascuno di voi è già compromesso. E non devo nemmeno insinuare che abbiate trascurato, per poi liberarvene, amici che amavate davvero e che avrebbero potuto rimanere tali tutta la vita, per cercare l'amicizia di altri che vi sembravano più importanti, più esclusivi. E tanto meno devo chiedervi se, una volta dentro abbiate mai gioito al pensiero dell'abbandono e dell'umiliazione di chi era rimasto fuori; se vi sia mai capitato di conversare con i compagni di Cerchia in presenza degli esclusi al solo scopo di farvi invidiare da questi; se i metodi grazie ai quali, nei vostri periodi di prova, vi siete propiziati i membri della Cerchia siano sempre stati del tutto ammirevoli. Vi farò solo una domanda -e si tratta naturalmente di una domanda retorica che non richiede alcuna risposta. Ripensando alla vostra vita nel complesso, il desiderio di trovarvi dalla parte giusta di quella barriera invisibile vi ha mai spinto ad atti o parole che nelle fredde ore piccole delle notti insonni potreste ricordare con soddisfazione Se è così, siete molto più fortunati rispetto alla media.
Ma ho promesso di dare dei consigli, e i consigli hanno e che fare col futuro, non con il passato. Ho accennato al passato solo per farvi prendere coscienza di quella che io credo sia la vera natura umana. Non credo che ci siano solo motivazioni economiche od erotiche dietro ogni cosa che accade in quello che noi moralisti chiamiamo «il Mondo». Anche se aggiungessimo l'Ambizione, credo che l'immagine resterebbe incompleta. Il gusto per l'esclusività, la voglia di essere degli iniziati assumono diversi aspetti che non si possono semplicemente definire Ambizione. Non c'è dubbio che penetrando di Cerchia in Cerchia ci aspettiamo dei vantaggi Concreti: potere, denaro, impuniti, esonero dai compiti noiosi, evasione dalla disciplina. Ma tutti questi vantaggi non ci soddiferebbero senza quel delizioso senso di solidarietà che li accompagna Certo è bello sentirsi al riparo da eventuali rimbrotti in pubblico da parte del nostro ufficiale superiore, poiché costui non è che il caro vecchio Percy compare di Cerchia. Eppure inni apprezziamo questa solidarietà solo per la sua convenienza; viceversa apprezziamo le convenienza come conferma della solidarietà.
Lo scopo principale di questo discorso è semplicemente quello di convincervi che questo desiderio è uno dei principali moventi dell'agire umano. E uno dei fattori che contribuiscono a rendere il mondo quale lo vediamo -questa bolgia di lotte, competizioni, confusioni, corruzioni, delusioni e propaganda e, se lo accettiamo conte movente principale, possiamo anche essere certi che, a meno che prendiate delle serie misure di prevenzione, questo desiderio sarà uno dei moventi principali anche della vostra vita, dal primo giorno in cui cercherete la professione fino al giorno in cui sarete troppo vecchi per curarvene. È nell'ordine delle cose: è il tipo di vita che vi aspetta. Qualunque altro genere di vita, se lo avrete, sarà il risultato di uno sforzo consapevole e continuo. Se non farete niente in proposito e vi lascerete marinare dalla corrente, diventerete di fatto un «penetratore di Cerchie». E non dico che lo farete con successo: può darsi. Ma sia che vi struggiate e cuociate al di fuori di Cerchie alle quali non sarete mai ammessi, o che passiate trionfalmente a Cerchie sempre più esclusive, sarete sempre quel genere di uomo.
Io credo di aver già abbondantemente sottolineato che ritengo molto meglio che voi non diventiate quel genere di uomini. Voi però avete il diritto di essere neutrali in proposito. Di conseguenza, vi suggerirò due argomenti favore della mia opinione. È educato e generoso, oltre che, vista vostra età, abbastanza ragionevole, supporre che nessuno no voi sia ancora diventato un furfante. D'altra parte, te guardiamo alle semplici statistiche (senza voler negare il libero arbitrio è pressoché sicuro che almeno due o tre di voi prima di morire diventeranno molto simili a furfanti. In questa stanza devono essere presenti gli embrioni di almeno altrettanti traditori senza scrupoli ed egoisti spietati. Avete ancora la possibilità di scegliere, e spero che non interpreterete la durezza delle mie parole su quello che potreste diventare come una mancanza di rispetto per quello che siete ora. E questa è la mio profezia: per nove su dieci di voi l'occasione di diventare un furfante si presenterà, quando si presenterà, in toni niente affatto drammatici. È quasi sicuro che non ci saranno persone smaccatamente disoneste a farvi spudorate minacce o allettamenti. L'occasione balena mentre bevete un bicchierino, o un caffè, mascherata da sciocchezza, infilata fra un paio di battute di spirito, uscendo dalle labbra di un uomo, o di una donna, con cui siete da poco in confidenza e che sperare di arrivare a conoscete meglio, proprio nel momento in cui siete tutto preoccupato di non fare la figura del maleducato, dell'ingenuo, o del presuntuoso. Sarà l'invito a fate qualche cosa che non si accorda esattamente con le regole tecniche del «fair play» o, qualcosa che il pubblico, il romantico, ignorante pubblico, non capirebbe mai: qualcosa su cui farebbero, gran scalpore perfino i vostri colleghi (gli esclusi, però), ma qualcosa, dice il vostro nuovo amico, che «noi -e alla parola «noi» voi vi sforzate di non arrossire di piacere -qualcosa che «noi» abbiamo sempre fatto. E così sarete trascinati, sempre che vi lasciate trascinate, non per avidità di guadagno o di vantaggi, ma solo perché, con la tazza già così vicina alle labbra, sarebbe insopportabile essere di nuovo ricacciati nel freddo mondo di «fuori». Sarebbe davvero spaventoso vedere la faccia di quell'uomo -quel viso geniale, confidenziale, deliziosamente sofistico- diventate improvvisamente fredda e sprezzante, ed accorgersi di non aver superato l'esame di ammissione alla Cerchia. E poi, se vi sarete lasciati trascinare, la settimana dopo si tratterà di qualche altra cosa, di un'inezia un pochino più distante dalle regole, e l'anno prossimo di qualcosa di ancor più lontano, ma tutto sarà fatto con spirito allegro e amichevole. Potrà finire con un fallimento, uno scandalo, una condanna: potrà finire con milioni, un titolo nobiliare; potrà perfino andare a finire che distribuiate premi alle cerimonie di laurea della vostra vecchia scuola. Ma sarete un furfante. Questo era il primo argomento. La passione per le Cerchie Esclusive è, fra tutte le passioni, la più efficace nello spingete ad azioni cattive uomini che unto cattivi non sono.
Il secondo argomento è questo. La tortura inflitta ai Danai nei nell'oltretomba classico, quella di essere costretti a riempire di acqua dei setacci. non simboleggia solo un vizio, ma tutti i vizi. È l'immagine esatta del desiderio perverso di perseguire ciò che non va perseguito. La preoccupazione di essere dentro il confine invisibile delle Cerchie conferma la regola. Finché sarà quel desiderio a dominarvi, non raggiungerete mai la felicità. State cercando di sbucciare una cipolla: se vi riusciste non vi resterebbe niente di umano. Finché non vincerete l'ansia di essere «esclusi», sarete degli «esclusi» voi stessi.
A pensarci bene, è molto evidente. Se desiderate far parte di un certo gruppo per una ragione valida -ammettiamo che vogliate unirvi a una società musicale perché vi piace molto la musica- c'è la possibilità che siate soddisfatti. Ma se tutto quello che vi sta a cuore è di essere «nel giro» il vostro piacere avrà vita breve. Il circolo non può avere da dentro il fascino che aveva da fuori. Proprio per il fatto che vi ha ammesso ha perso l'incanto. Esaurita la novità, i membri del circolo non vi sembreranno più interessanti dei vostri di prima. E perché dovrebbero esserlo? Quello che cercavate non era la rettitudine, o la gentilezza, o la lealtà, o il senso dell'umorismo, o la cultura, o l'arguzia, o qualsiasi altra cosa piacevole. Volevate solo essere «in». E questo è un piacere che non dura. Quando i vostri nuovi compagni, a forza di frequentarli, vi saranno venuti a noia, vi metterete a cercare un'altra Cerchia. E sarà come cercare la coda dell'arcobaleno. La vecchia Cerchia d'ora in poi non sarà che la scialba premessa ai vostri sforzi per entrare in un'altra.
E scoprirete che è sempre difficile entrare nelle Cerchie, per un motivo che sapete bene. Voi stessi, una volta dentro, siete i primi a ostacolare i nuovi candidati, proprio come i vecchi membri avevano fatto con voi. È naturale. In ogni sano gruppo di persone che stanno insieme per uno scopo valido, ogni esclusione è in un certo senso accidentale: tre o quanto penane che si mettono Insieme per svolgere un lavoro escludono gli altri perché c'è lavoro solo per quel minino di persone, o perché gli altri non sono in grado di farlo. Il vostro piccolo gruppo di amici della musica limita le iscrizioni perché le aule in cui si raduna sono tutte piccole. Ma la vera ragione di esistere per una Cerchia Esclusiva è l'esclusione. Non ci sarebbe interesse, se non ci fosse chi è escluso. La barriera invisibile non avrebbe senso, se i più non fossero dalla parte sbagliata. L'esclusività qui non è accidentale: è l'essenza del gruppo.
L'anelito alla Cerchia Esclusiva vi spenta il cuore, se voi non lo spezzerete prima. Ma se riuscirete a spezzarlo, l'effetto sarà sorprendente. Se nelle ore di lavoro il vostro scopo sarà il lavoro, vi troverete di fatto, senza rendervene conto, nel solo circolo che conta davvero per la vostra professione. Sarete uno dei validi padroni del mestiere, e gli altri colleghi di valore sapranno apprezzarvi. Questo gruppo di professionisti non si identificherà per niente con a Cerchia Esclusiva, o «la gente che conta», o «la gente che sa». Non sarà responsabile di quella tendenza che contrappone un'intera categoria professionale al pubblico come se fosse «il nemico», e non provocherà gli scandali e le crisi ricorrenti che nascono dalla Cerchia Esclusiva. Ma svolgerà le funzioni che la professione è nata per svolgere e, a lungo andare, sarà responsabile di tutto il rispetto di cui la professione effettivamente gode e che i meri discorsi e la propaganda non sarebbero in grado di tenere in vita. E se nel tempo libero frequenterete solo la gente che vi piacerà scoprirete di nuovo di trovarvi, senza averne avuto l'intenzione, nell'interno caldo e sicuro di una cosa che, vista dal di fuori, altro non sembra che una Cerchia Esclusiva. Ma la differenza sta nel fatto che la sua segretezza è accidentale, e la sua esclusività una conseguenza, e che nessuno dei suoi membri vi è entrato per fascino dell'esclusività, dal momento che si tratta solo di quattro o cinque persone che si piacciono e che si riuniscono per fare cose che piacciono loro. Questa è l'amicizia. Aristotele la pose fra le virtù. È la fonte di una buona metà di tutta la felicità del mondo, e nessuna Cerchia Esclusiva la potrà mai fornire.
Ci è detto nelle Scritture che chi chiede otterrà. Questo è vero, in un senso che non ho tempo per spiegare adesso. Ma in un altro senso c'è anche molta verità nella regola dello scolaretto: «chi chiede non avrà». A un giovane che sta per entrare nella vita il mondo sembra pieno di «interni» traboccanti di confidenze e intimità deliziose, ed egli desidera entrarvi. Ma se segue il suo desiderio non giungerà ad alcun «interno» che meriti davvero di venire raggiunto. La vera strada è in tutt'altra direzione. È come la casa in “Alice attraverso lo specchio”.
mercoledì 15 giugno 2016
Come eravamo: Il soggetto educatore
Questo testo fa parte di "La politica, per chi, per cosa", supplemento a "il Sabato" n. 22 del 30 maggio 1987, p.74-75
Luigi Sturzo da «La libertà di insegnamento»
«Il problema della libertà d'insegnamento è pari e in un certo senso più sentito e più forte: attinge alla profonda concezione di essa si aderge lo stato moderno: lo stato laico latino, lo stato di prima della guerra. Ciò avviene per doppia conseguenza; una logica: dalla concezione panteistica dello stato, sorge e deriva il concetto dello stato unico educatore e insegnante che deve a sua immagine e somiglianza creare i cittadini; l'altro concetto, politico: la difesa che lo stato laico opera contro l'influenza religiosa, che esso si rappresenta come potere nemico, nella gelosia di un predominio morale che gli spetta.
Tutta la nostra legislazione scolastica sull'insegnamento pubblico e privato è tendenziosa: mira a sopprimere o ridurre all'impotenza le iniziative private, e a imporre un tipo unico, uniforme, meccanico di insegnamenti e di programmi, e a centralizzate ogni attività locale e individuale. È andato perduto così il contatto effettivo, educativo, morale della scuola col popolo; si è creato un ambiente professionale e di carriera nell'insegnante; si è eliminato l'elemento religioso come estraneo e ostile; si è spinta la tendenza più che allo studio alla conquista del diploma, come un qualsiasi passaporto per la vita civile ed economica, indipendentemente dalla formazione spirituale e intellettiva della gioventù studiosa».
Come eravamo: Uno Stato popolare
Questo testo fa parte di "La politica, per chi, per cosa", supplemento a "il Sabato" n. 22 del 30 maggio 1987, p.73
Luigi Sturzo da «L'appello al paese»
«Ad uno stato accentratore, tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente popolare che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali — la famiglia, le classi i comuni, — e che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private.
Questo ideale di libertà non tende a disorganizzare lo stato ma è essenzialmente organico nei rinnovamento delle energie e delle attività che debbono trovare al centro la coordinazione, la valorizzazione la difesa e lo sviluppo progressivo. Energie che debbono comporsi a nuclei vitali, che potranno formare o modificare le correnti disgregatrici».
domenica 12 giugno 2016
Radio Monte Grappa: Alleanza Cattolica: NO al prossimo referendum sulle riforme costituzionali
Care amiche, cari amici
In tesi, di una carta costituzionale si potrebbe fare a meno. Come scriveva Joseph de Maistre, le vere costituzioni non sono scritte, ma stanno nel cuore degli uomini e nel senso comune che li unisce in una storia, facendoli diventare un popolo.
Ma dal 1789 non è così perché la divisione è penetrata dentro i popoli europei, spezzando la loro comunione. E allora servono delle costituzioni che sono il frutto di accordi fra le diverse famiglie ideologiche che sono sorte e si sono combattute nelle nazioni europee.
La nostra Carta Costituzionale nasce nel 1947 all'interno di una Assemblea costituente dove si scontrano forze ideologiche e politiche che oggi non esistono più. In questo senso meriterebbe certamente un aggiornamento.
Tuttavia l'aggiornamento previsto dalla riforma del governo Renzi e che sarà sottoposto a referendum confermativo nel prossimo ottobre va contro il buon senso.
La Costituzione del 1948 garantiva e proteggeva i corpi intermedi, in primis la famiglia, e cercava in molti modi di creare delle forme di equilibrio fra i poteri che impedissero il ripetersi di esperienze autoritarie. Per questo il potere esecutivo viene equilibrato dalla presenza di due Camere aventi eguali poteri e competenze, di diversi corpi intermedi, di un iter legislativo ponderato, forse fin troppo. Ma il senso era e rimane quello di impedire che troppo potere si concentri nelle mani di un uomo solo, come era avvenuto a partire dal 1925.
Oggi il governo Renzi va nella direzione contraria. Ha promosso una riforma a colpi di maggioranza, imponendola allo stesso suo partito. Abolite le province e il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, ridotto il Senato a un luogo di passaggio per consiglieri regionali e sindaci senza poteri, il governo accompagna la riforma a una legge elettorale, l'Italicum, che attribuisce al partito che vincesse le elezioni un premio di maggioranza del 55% dei seggi nella Camera dei deputati.
Un uomo solo al comando di un solo partito e di una sola Camera.
Quindi non si tratta di dire che la Costituzione è la più bella del mondo, ma di impedirne una riforma che concentrerebbe troppo potere nella mani di un solo uomo. Come hanno spiegato i relatori a un seminario organizzato a Roma del Centro studi Livatino venerdì 10 giugno (il Presidente emerito della Corte costituzionale Riccardo Chieppa, il prof. Felice Ancora, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico dell'Università di Cagliari e il prof. Filippo Vari, ordinario di Diritto costituzionale dell'Università europea di Roma, presentati dal vice presidente Alfredo Mantovano), si tratta di opporsi a una contrazione della democrazia e delle libertà in conseguenza di un aumento ingiustificabile del potere esecutivo.
Alleanza Cattolica darà così indicazione di votare no a questa riforma che minaccia la libertà della società di fronte al potere del governo. E questo indipendentemente da chi governi, perché è la dottrina sociale della Chiesa a insegnare il dovere di proteggere e promuovere i corpi intermedi che il Presidente del consiglio vorrebbe invece "disentermediare", come ha dichiarato lui stesso. Voterà no perché giudica negativamente ogni forma di concentrazione del potere in una sola persona. Voterà no anche perché ricorda l'arroganza con cui il capo del governo ha imposto al parlamento e agli italiani le legge sulle unioni civili, già a Costituzione invariata: modello di ciò che accadrà con le nuove norme.
Tuttavia il referendum non è l'ultima battaglia. Se vincesse il no si aprirebbero scenari politici importanti, ma non cambierebbe la crisi morale e demografica, prima che politica, in cui si trova il nostro Paese. Se vincesse il sì non smetteremo di difendere famiglia e vita di fronte al potere arrogante che cercherà di legalizzare le droghe e l'eutanasia.
In ogni caso non bisogna lasciarsi prendere né dallo scoraggiamento né dall'illusione che si possa facilmente fermare lo tsunami che sta uccidendo l'Occidente. Il mondo storico nel quale viviamo si sta spegnendo, ma muore un mondo, non il mondo. E uno nuovo sta cominciando a vedere la luce.
Marco Invernizzi
In tesi, di una carta costituzionale si potrebbe fare a meno. Come scriveva Joseph de Maistre, le vere costituzioni non sono scritte, ma stanno nel cuore degli uomini e nel senso comune che li unisce in una storia, facendoli diventare un popolo.
Ma dal 1789 non è così perché la divisione è penetrata dentro i popoli europei, spezzando la loro comunione. E allora servono delle costituzioni che sono il frutto di accordi fra le diverse famiglie ideologiche che sono sorte e si sono combattute nelle nazioni europee.
La nostra Carta Costituzionale nasce nel 1947 all'interno di una Assemblea costituente dove si scontrano forze ideologiche e politiche che oggi non esistono più. In questo senso meriterebbe certamente un aggiornamento.
Tuttavia l'aggiornamento previsto dalla riforma del governo Renzi e che sarà sottoposto a referendum confermativo nel prossimo ottobre va contro il buon senso.
La Costituzione del 1948 garantiva e proteggeva i corpi intermedi, in primis la famiglia, e cercava in molti modi di creare delle forme di equilibrio fra i poteri che impedissero il ripetersi di esperienze autoritarie. Per questo il potere esecutivo viene equilibrato dalla presenza di due Camere aventi eguali poteri e competenze, di diversi corpi intermedi, di un iter legislativo ponderato, forse fin troppo. Ma il senso era e rimane quello di impedire che troppo potere si concentri nelle mani di un uomo solo, come era avvenuto a partire dal 1925.
Oggi il governo Renzi va nella direzione contraria. Ha promosso una riforma a colpi di maggioranza, imponendola allo stesso suo partito. Abolite le province e il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, ridotto il Senato a un luogo di passaggio per consiglieri regionali e sindaci senza poteri, il governo accompagna la riforma a una legge elettorale, l'Italicum, che attribuisce al partito che vincesse le elezioni un premio di maggioranza del 55% dei seggi nella Camera dei deputati.
Un uomo solo al comando di un solo partito e di una sola Camera.
Quindi non si tratta di dire che la Costituzione è la più bella del mondo, ma di impedirne una riforma che concentrerebbe troppo potere nella mani di un solo uomo. Come hanno spiegato i relatori a un seminario organizzato a Roma del Centro studi Livatino venerdì 10 giugno (il Presidente emerito della Corte costituzionale Riccardo Chieppa, il prof. Felice Ancora, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico dell'Università di Cagliari e il prof. Filippo Vari, ordinario di Diritto costituzionale dell'Università europea di Roma, presentati dal vice presidente Alfredo Mantovano), si tratta di opporsi a una contrazione della democrazia e delle libertà in conseguenza di un aumento ingiustificabile del potere esecutivo.
Alleanza Cattolica darà così indicazione di votare no a questa riforma che minaccia la libertà della società di fronte al potere del governo. E questo indipendentemente da chi governi, perché è la dottrina sociale della Chiesa a insegnare il dovere di proteggere e promuovere i corpi intermedi che il Presidente del consiglio vorrebbe invece "disentermediare", come ha dichiarato lui stesso. Voterà no perché giudica negativamente ogni forma di concentrazione del potere in una sola persona. Voterà no anche perché ricorda l'arroganza con cui il capo del governo ha imposto al parlamento e agli italiani le legge sulle unioni civili, già a Costituzione invariata: modello di ciò che accadrà con le nuove norme.
Tuttavia il referendum non è l'ultima battaglia. Se vincesse il no si aprirebbero scenari politici importanti, ma non cambierebbe la crisi morale e demografica, prima che politica, in cui si trova il nostro Paese. Se vincesse il sì non smetteremo di difendere famiglia e vita di fronte al potere arrogante che cercherà di legalizzare le droghe e l'eutanasia.
In ogni caso non bisogna lasciarsi prendere né dallo scoraggiamento né dall'illusione che si possa facilmente fermare lo tsunami che sta uccidendo l'Occidente. Il mondo storico nel quale viviamo si sta spegnendo, ma muore un mondo, non il mondo. E uno nuovo sta cominciando a vedere la luce.
Marco Invernizzi