lunedì 10 ottobre 2016

Cinematografo dell'alpino: Elvis & Nixon: C’erano una volta un re e il suo presidente…

Elvis e Nixon, un fatto di storia vera americana che può ancora suggerirci qualcosa di importante.


È un fatto di cronaca tra i più strani e, forse, tra i meno conosciuti. Robbie Williams ce lo aveva menzionato nella sua “Advertising Space” quello strano interesse di Elvis Presley per la CIA raramente trattato nei tantissimi servizi televisivi su di lui. Resta tuttavia che è un fatto. Un fatto che la regista Liza Johnson ci racconta nel suo film Elvis e Nixon, ovvero la storia (romanzata ma non tantissimo) di quell'incontro avvenuto il 21 dicembre del 1970.

La forza del film sta in due fattori: il primo è la grande bravura dei due interpreti dotati di abilità e anche di una certa alchimia che (soprattutto durante le scene finali) li rende naturali agli occhi dello spettatore. Nei panni di Nixon c’è l’intramontabile Kevin Spacey (uno che alla Casa Bianca è proprio “di casa” con la sua intepretazione in House of Cards) che non offre al pubblico una nuova chiave di lettura di uno tra i presidenti più iconici della storia americana, anzi ne esprime l’iconografia più classica: burbero, dai modi che vanno dall’arrogante al saccente, disinteressato e fuori luogo. Per il ruolo di Elvis invece abbiamo il bravissimo (perché per questo film se lo merita davvero un “bravissimo”) Michael Shannon: in tutto il pantheon di attori hollywoodiani è sicuramente il meno somigliante fisicamente al Re, ma ciò viene compensato dal suo grande carisma e da un’interpretazione che sa dare dignità, drammaticità e soprattutto complessità al suo personaggio. Degna di nota è anche la prova del giovane Alex Pettyfer che si lascia alle spalle la sua immagine di giovane attore bellissimo da film adolescenziali per entrare in un ruolo meno pomposo e più impegnativo nelle vesti di Jerry Schilling, amico storico di Presley. Nel cast troviamo anche Johnny Knoxvillle, Tate Donovan e Colin Hanks, anche loro molto bravi nel non essere fuori luogo in un film dove le prestazioni di Shannon e Spacey troneggiano, si scontrano e si armonizzano creando una fluidità che rende la storia molto appetibile, leggera agli occhi dello spettatore. Questo grazie anche ad una sceneggiatura che tra dialoghi e gesti cerca di arrivare all'essenziale, senza dimenarsi in inutili pantomime o nel cercare frasi a effetto. Sempre su questo è di grande aiuto l’utilizzo della camera che spesso si focalizza sugli elementi essenziali come può essere uno sguardo malinconico di Elvis o un atteggiamento di Nixon.

Altro punto di forza del film è proprio il senso di dualismo di cui è pervaso, dato da quello che rappresentano i due personaggi e di come questi sono caratterizzati. Qui sta tutto l’aspetto interessante della vicenda: da un lato c’è Elvis presentato come un uomo del suo tempo che vive i grandi problemi che affliggono la società americana degli anni 70 (la droga, la guerra nel Vietnam, gli hippy e i nuovi stili di vita che si affermano tramite altri musicisti, i Beatles in primis) e che vuole fare qualcosa per questa, ma che allo stesso tempo vive dentro di se il dramma di una solitudine causata dal suo essere agli occhi della gente solo un simbolo, un’idea per le persone; dall'altro lato c’è poi un Richard Nixon disinteressato, arrogante e lamentoso, sempre pronto a criticare le cose che ha attorno con un modo di fare che ha quasi dell’infantile. Insomma l’uomo con i problemi che vuole lottare e l’uomo senza problemi che non lotta. In questa dicotomia poi si sviluppano altri aspetti interessanti: la fascinazione di Elvis per i vari gruppi militari che incontra durante il film, quasi a sottolineare il senso di inutilità che prova per la sua carriera da star che non può nulla di fronte ad un’America pervasa dai drammi sociali; l’amicizia sincera di Presley e Schilling, un altro motore della pellicola, che mette in evidenza la necessità tutta umana di avere qualcuno che ci guardi per quello che siamo veramente e non per quello che rappresentiamo. Si arriva poi al nodo centrale del dualismo, che si traduce proprio con la parola “incontro” che vede i due protagonisti faccia a faccia, in un dialogo che nel suo essere strampalato suggerisce qualcosa di molto importante: il borioso presidente americano davanti al desiderio (seppur ingenuo) del Re di rimettere le cose a posto non può fare a meno di rinfrancarsi, di sentirsi meno solo; lo stesso vale per Elvis. Entrambi nella loro diversità trovano moltissimi punti di contatto che una volta scoperti ridanno un certo vigore per ciò che li attende: su questo basta vedere Nixon che si alza dalla sua poltrona e si adopera per soddisfare le ultime richieste di Presley, visto che per tutto il resto del film era rimasto seduto sulla sua poltrona. In sintesi, lo spunto che il film sembra dirci è che solo l’incontro con qualcuno di simile, che condivide le nostre esigenze, può generare in noi un entusiasmo adeguato che ci rimette davanti ciò che ci circonda. È un po’ la grande contraddizione della società america di quegli anni (e probabilmente anche di oggi …) che da un lato promuove l’egocentrismo, il self made man, ma che nella praticità della vita concreta deve accettare di appoggiarsi a qualcuno; nel caso specifico un presidente che si deve appoggiare a un re del rock.


Antonello Di Nunno


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