venerdì 24 giugno 2016

Obice: Il futuro dell'occidente: Nel modello romano la salvezza dell'Europa, un saggio da custodire


Ogni buon combattente libero e forte che desidera ardentemente la Verità e il bene il bello sublimi che da essa derivano, deve curare una buona raccolta di libri per almeno due motivi. Il I è legato a un celebre detto monastico “Una casa senza libri è come una fortezza senza armi”, il II a un detto attribuito a San Tommaso d'Aquino: “Cave ab homine unius libri: Guardati dall'uomo che ha letto un solo libro”.

Quindi, per non andare contro questi preziosi suggerimenti, sarà cosa buona e giusta leggere e custodire molti libri, soprattutto i testi fondamentali, come il saggio che dà il titolo a questo articolo, che in Italia apparve nel 1998 per i tipi di Rusconi. Si presenta come un agile suggestivo e autorevole saggio, perché autorevole è il suo autore, il filosofo e medievista francese Rémi Brague, il quale già vent'anni fa intuiva i grandi scossoni della contemporaneità, come la crisi identitaria dell'Europa alle prese con l'islam. Questioni più che attuali. La chiave di volta dell'identità europea è il riconoscere la sua “romanità”: «l’Europa non è soltanto greca, né solo ebraica, e nemmeno greco-ebraica. Essa è altrettanto e decisamente romana. Atene e Gerusalemme, certo, ma anche Roma».

Brague è molto chiaro, è nel modello romano che si trova la salvezza dell’Europa. La romanità è al centro della sua tesi, perché è visto come il vero modello culturale dell’Europa; non è quello greco. Ma cosa significa romanità? Anzitutto capacità di ricevere, conservare e trasmettere quello che altri hanno elaborato: «A differenza dei Greci, che del non dover niente a nessuno, del non aver avuto maestri, fanno un punto d’onore, i Romani riconoscono invece volentieri ciò che devono agli altri».

Tale confessione dell'essere debitori e la conseguente apertura all’universale sono il carattere dell’esperienza romana, un modello vitale per l’Europa di oggi. Roma è “vaso” capace di accogliere, conservare e trasmettere, così come il cristianesimo “contiene” l’ebraismo e l’Antica Alleanza.

L'unico ostalo per la verità ricordata dal filosofo è rappresentato dall'attuale cultura europea, che secondo Brague non è in grado di sapersi pensare se non nella categoria della contemporaneità, perché ha scelto di eseguire una cesura con il passato, con le proprie radici classiche. L’Europa sta rischiando sempre più di uscire dal solco di questa “romanità” e di diventare un universo chiuso, autoreferenziale.

È quello che Brague definisce «marcionismo culturale e tecnico». L’eretico Marcione intendeva recidere le radici ebraiche del cristianesimo rigettando in toto l’Antico Testamento. «Ho definito marcionismo culturale l’atteggiamento che pretende una totale rottura col passato, considerato come non più in grado di insegnarci nulla» scrive Brague. «Ora, ci possiamo chiedere se la modernità non sia minacciata in modo molto particolare da questa eresia. È in ogni caso ciò che dovrà succedere se la modernità è veramente inseparabile dall’idea di un progresso che permetterebbe di dare un congedo definitivo a un passato ritenuto oscuro».

Lo stesso rischio è presente nel rapporto che lega l’uomo alla natura: «La tecnica moderna si basa sul postulato secondo cui bisogna rifare il mondo. Significa dunque che il mondo è fatto male. In questo modo la modernità ha accettato una premessa fondamentale della gnosi: il mondo naturale è malvagio, o in ogni caso non buono. [...] È interessante notare che questa visione del mondo coesiste con il marcionismo in alcuni dei suoi rappresentanti più coerenti. Per esempio Spinoza, che riassorbe nelle leggi della natura in generale l’eccezione che l’uomo sembra costituire, è anche l’autore del Trattato teologico-politico, implicante il rigetto dell’Antico Testamento a profitto di ciò che egli chiama il Cristo».

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