martedì 28 giugno 2016

Obice: Alcune considerazioni sul Gay Pride a Torino

Cari lettori,

desideriamo esprimere forti preoccupazioni nei confronti del “Gay Pride” in programma per sabato 9 luglio a Torino, e per le pressioni che i vertici dell'Università, in particolare del Politecnico, stanno subendo in questi giorni. Preoccupazioni che nascono da alcune considerazioni, che qui di seguito proveremo a condividere.

La prima nasce dopo aver saputo che il Torino Pride, un gruppo di professori e di studenti stanno strumentalizzando i tristi accadimenti di Orlando, ne abbiamo parlato in “PoliTo e Orlando: tratteniamo ciò che vale

La seconda preoccupazione è legata alla natura stessa del “Gay Pride”, dato che spesso è caratterizzata da volgarità e provocazioni. Ci chiediamo pertanto come esse si possano conciliare con la più che legittima richiesta, da parte delle persone con orientamento omosessuale, di non subire nessuna discriminazione? Risulta difficile comprendere ciò che lega l'ostentazione della propria sessualità e la richiesta di rispetto. Crediamo che la spettacolarizzazione del sesso, del proprio corpo siano offensive verso il pudore di ogni persona, al di là del proprio orientamento.

La terza è legata al fatto che con troppa facilità si urla “omofobia” e con altrettanta facilità si ignora la realtà dei fatti. Se non la si ignorasse, forse ci si accorgerebbe che così utile il Gay Pride non è. L'Italia, sul versante del rispetto umano - merito sópra tutto della Chiesa Cattolica, che ha sempre insegnato a separare gli atti intrinsecamente cattivi/disordinati dalla persona, condannando il primo ma amando veramente la seconda - sul versante del rispetto umano, è avanti rispetto alle patrie odierne del politicamente corretto dal 1866, anno in cui l'omosessualità fu depenalizzata: anni dopo arrivarono le altre, la Gran Bretagna nel 1967, la parte comunista della Germania nel 1968, la Norvegia nel 1972, Israele nel 1988.

Poi se vi aggiungiamo: il recente studio (4 giugno 2013) dell'importante Pew Research Center di Washington, secondo il quale il nostro Paese si trova all'ottavo posto per quanto concerne il rispetto per le persone con orientamento omosessuale; i dati dell'OCSE riferiti all'Italia riportano che: nel 2014 su 596 segnalazioni relative a “crimini di odio” solo 27 riguardavano presunti casi di omofobia; il resoconto dell'OSCAD per il 2014-2015, Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori istituito presso il Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno: aveva rilevato che in più di 3 anni fossero pervenute 28 segnalazioni, “segnalazioni non verificate”, all'anno, di discriminazione nei confronti di persone con orientamento omosessuale. Se si aggiunge quanto riportato, emerge in modo lapalissiano: l'Italia non ha un'emergenza “omofobia”.

Certo, anche un solo atto di violenza sarebbe comunque troppo, ma le cifre basse non permettono di parlare di situazione critica. Al contrario, sempre l'OCSE ci ricorda che le discriminazioni per motivi religiosi (contro i cristiani e le altre religioni) sono state 153 nel 2014, cioè sei volte quelli per “omofobia”. Ma chi parla di questi fatti, chi organizza grandi manifestazioni per le vie della città? Non desideriamo sollevare sterili polemiche ma chiedere giustizia, per tutti coloro che sono perseguitati.

Tornando al perché “l'emergenza omofobia” non esiste. Sebbene non siano così necessarie, ormai, ulteriori conferme provengono dalle norme già esistenti: Legge Mancino 25/6/1993 n. 20 contro i crimini d’odio, già vige il reato di ingiuria per chi lede l’onore di una persona (art. 594), la diffamazione (art. 595), la diffamazione per mezzo stampa (art. 596 bis) nonché l’aggravante comune per aver agito per motivi abietti o futili (art. 61).

Infine, vi è un altro aspetto da considerare preoccupante e in grado di aumentare le perplessità sulla necessità del Pride. In molti vi partecipano per chiedere maggiori diritti per le convivenze formate da persone dello stesso sesso, ma in realtà già esistono da prima del ddl Cirinnà e dimostrano la sua inutilità. Vale la pena leggere a riguardo la collazione proposta da “Sì alla Famiglia” e l'utile libro Certi diritti che le coppie conviventi non sanno di avere (Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2012). La preoccupazione che tutto ciò sia taciuto per pretendere (ingiustamente) l'equiparazione di tali realtà al matrimonio e alla famiglia, e le adozioni gay, anche attraverso la barbarie dell'utero in affitto è alta! Spettri minacciosi che emergono dalle dichiarazioni dello stesso Alessandro Battaglia, responsabile del comitato per il Pride Torino.

Da qui emerge che il 9 luglio saranno coinvolti anche dei bambini su un carro, per chiedere il riconoscimento “famiglia” per le coppie formate da persone dello stesso sesso che hanno adottato dei bambini. Senza giri di parole, ciò è la promozione dell'unione tra persone dello stesso sesso equiparata al matrimonio e alla famiglia, della step-child adoption, contenuta nel famoso articolo V del ddl Cirinnà, con annessa l'apertura alla barbarie dell'utero in affitto, perfino aborrita, e bisogna dirlo, dal Partito Comunista Italiano di Marco Rizzo e dalle femministe guidate da Sylvaine Agacinski... ma detto fra noi, basterebbe il buon senso in ognuno di noi per capirlo...

Alla luce di quanto abbiamo condiviso, pur rammentando l’importanza di un adeguato contrasto alle discriminazioni e sottolineando l’assoluta importanza del rispetto per ogni persona, riteniamo che il “Gay Pride” con le su volgarità non incoraggi alcuna forma di rispetto, anzi, ne sia negazione e che “certe pressioni/ricatti con la strumentalizzazione dei più indifesi, i bambini e i morti per strage” siano l'ennesimo “smacco ideologico” alla società e alla sua cellula fondamentale la famiglia formata da madre padre e figli, che ogni istituzione chiamata all'oggettività, Comune e Università di Torino in primis, dovrebbe privilegiare e favorire concretamente. Nel pieno rispetto del bene di ogni uomo, senza discriminazioni, visto che tutti nasciamo da una mamma e da un papà che si amano.

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