venerdì 11 settembre 2020

Cinematografo dell'alpino: Bohemian Rhapsody: Freddy è molto di più!

La necessità di una lettura diversa della pellicola di Singer per ricordarci della vera grandezza di Mercury



"Abbiamo fatto un film su un uomo gay immigrato. Sono figlio di indiani, americano di prima generazione. Abbiamo bisogno di più storie come questa" dichiarava Rami Malek il 9 febbraio 2020, nel suo discorso dopo aver vinto l'Oscar come miglior attore protagonista per Bohemian Rhapsody. Tipiche dichiarazioni della Hollywood antitrumpiana, ma con una pecca grave: in quelle parole Malek (consapevole o meno, questo non possiamo saperlo...) non fa trasparire il senso ultimo del film dedicato alla storia dei Queen, e soprattutto della vita dello stesso Mercury così rappresentata. Perché? Perché la vita del leader della storica band inglese (almeno per come è rappresentata nel film) suggerisce tutto un altro messaggio: non si tratta di raccontare un ennesimo self-made man o di soffermarsi ancora sulle meraviglie del sogno americano (rimodellato negli immaginari delle deluse élite democratiche clintoniane) e tanto meno di una popstar con crisi di identità sessuale. No, niente di tutto questo: la storia di Freddy Mercury, la sua vita (pure se romanzata in un film) è tutta un'altra cosa. Ma che cosa?

Bohemian Rhapsody è come un percorso per trovare la risposta a questa domanda. Si comincia già dalla musica che fa da intro alle scene iniziali: si apre sulle note di "Somebody to love", qualcuno da amare, mentre si susseguono immagini di Mercury che, dopo essersi svegliato, si prepara e si incammina verso lo stadio per il Live Aid. Poi il tuffo nelle alle origini, quindi lo spettatore fa un tuffo nel passato dove Singer riesce a delineare perfettamente il profilo del suo protagonista: Farrokh Bulsara (il futuro Mercury) ha tutti i tratti di un genio benedetto da un grande talento musicale. Già in queste sequenze è descritto come un giovane uomo con i tratti tipici di un grande artista musicale del suo tempo: estroso, sensibile, ribelle e con una grande consapevolezza (quasi cristiana) delle sue doti uniche: bellissimo, per esempio, quando durante il suo primo incontro con May e Taylor spiega "Quattro denti in più significa più spazio nella mia bocca e una maggiore portata vocale".

Altro aspetto, che contraddistingue la sua genialità, è quel suo fuoco dentro, tipico dei grandi artisti, che vuole, deve, essere tirato fuori, divampare dalle sue membra in ogni aspetto. Non è solo l'ego di un interprete: per Mercury è fuoco che dà sapore alla vita in ogni aspetto, dal rapporto con il suo primo amore della sua vita, May Austin, all'amicizia con i membri della sua band fino alla sua passione per la musica lirica, l'Opera in particolare.

Una volta assolto il compito di ritrarre minuziosamente protagonista e comprimari, Singer ci riporta, in maniera non minuziosa ma coinvolgente, la storia della band dall'uscita di Bohemian Rhapsody, focalizzandosi principalmente sulle dinamiche interne dei Queen e soprattutto sull'irrequietezza, inquietudine, di Freddy Mercury. Indaga poi sul suo orientamento sessuale, presentandolo, non esaltandolo, come uno degli aspetti più drammatici del cantante: la storia con Paul Prenter che, come un diavolo tentatore, approfitta della sua fragilità e inquietudine, allontanandolo da chi gli vuole bene e portandolo ad ogni sorta di scelleratezze: droga e serate orgiastiche a sfondo omosessuale, fino alla carriera da solista che porta alla rottura con la band.

Arriva poi la riconciliazione: per Freddy passa ancora una volta attraverso il grande affetto per Mary, la quale gli ricorda che, nonostante tutta quella confusione, ha ancora una sua famiglia, i Queen appunto, e che è amato. Quindi il ritorno con i suoi amici, la scoperta della malattia che lo porterà alla morte, tornando poi alle scene iniziali: il concerto del Live Aid.

Tutta una catena di eventi, ma che si diramano come da un unico solo anello centrale: è l'avere un luogo dove tornare, un piccolo gruppo di persone che ti vogliono bene e sempre pronte a perdonarti. Di fatto, è questo che vediamo nella relazione tra Freddy Mercury e i Queen: per lui non sono soltanto colleghi di lavoro, sono la sua famiglia; sono il luogo dove tutto quel suo fuoco trova esaltazione, sia come artista che come persona. Nella storia raccontata da Singer, quindi, Mercury e i Queen rappresentano una massima molto importante, un universale centrale nella storia di tutti i noi: tutti noi abbiamo bisogno di qualcuno da amare e che ci ami; un rapporto che illumini la nostra vita ne rilanci gli aspetti, anche quelli scabrosi, che ci faccia accettare il destino, anche quello tragico, con serenità e "santa lotta".

Ultima nota, ma importante: Rami Malek è, nonostante il flop politicamente corretto, bravissimo e coglie nella sua interpretazione la complessità della personalità di Mercury, ridando vita, appunto, a quel suo modo di essere benedetto e dannato al tempo stesso, ma centrato sull'affetto di poche persone sincere, dalle quali poteva sempre riprendere forza.


Antonello Di Nunno