giovedì 16 luglio 2020

Lettera dal fronte: Dacci oggi la nostra eresia quotidiana/07bis: La scuola cattolica? Dovrebbe essere completamente gratis, soprattutto per i cattolici.

Lettera aperta a La Nuova Bussola Quotidiana come risposta all'articolo 
«Paritarie povere chiuse, ricche a galla grazie alle statali» di Suor Anna Monia Alfieri del 7/06/2020

Il 20/05 u.s. ci eravamo lasciati con un invito («Torneremo sulla scuola cattolica. Statene certi») ed il presente articolo vuol essere il coronamento di quanto enunciato quel giorno. L’occasione ce l’ha posta su un piatto d’argento Suor Maria Monia Alfieri che in un articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana del 7/06 u.s. ci informa che «Stanno infatti chiudendo molte scuole paritarie con rette basse. Piccoli presidi di libertà educativa che non riescono più ad andare avanti. Si tratta di piccoli presidi sotto i 2.500 euro di retta. Invece si sta verificando un fenomeno curioso e classista: nelle scuole paritarie che hanno rette dai 4.500 euro in su, stanno arrivando richieste di allievi provenienti dalla statale, spaventati dal caos di questi giorni».

Avendo rischiato un colpo apoplettico alla lettura di queste parole, la domanda sorge spontanea.

Egregio Direttore Cascioli, Reverenda Suor Anna Monia: potete spiegare a un povero lavoratore a tempo determinato (ovvero a chiunque abbia un minimo di lavoro sotto i 1500 € netti, ovvero la stragrande maggioranza di essi) con che coraggio dichiarate che le rette sotto i 2500 € sono da considerare basse? E a che titolo dite che quelle da 4500 € in su sono alte? E quelle comprese tra 2501 € e 4499 € come sono? Intermedie?

Ma la questione è ben più grave ed è per questo che ne parliamo in questa rubrica dedicata alle false credenze. Il problema infatti non è economico bensì di tipo teorico, ovvero filosofico e teologico.

Vedete: lo scandalo non è che chiudano le scuole paritarie cattoliche. Il vero scandalo è che esistano scuole paritarie cattoliche che abbiano una retta.

La Nuova Bussola Quotidiana, meritoriamente, ci ricorda pressoché tutti i giorni l’insegnamento di Giovanni Paolo II della Familiaris Consortio circa i divorziati risposati e le situazioni more uxorio ma stranamente non ricorda mai che, nello stesso documento, il Santo Pontefice della famiglia afferma che «Il compito educativo della famiglia cristiana ha perciò un posto assai importante nella pastorale organica: ciò implica una nuova forma di collaborazione tra i genitori e le comunità cristiane, tra i diversi gruppi educativi e i pastori. In questo senso il rinnovamento della scuola cattolica deve riservare una speciale attenzione sia ai genitori degli alunni sia alla formazione di una perfetta comunità educante. Dev'essere assolutamente assicurato il diritto dei genitori alla scelta di un'educazione conforme alla loro fede religiosa. Lo Stato e la Chiesa hanno l'obbligo di dare alle famiglie tutti gli aiuti possibili, affinché possano adeguatamente esercitare i loro compiti educativi. Per questo sia la Chiesa sia lo Stato devono creare e promuovere quelle istituzioni ed attività, che le famiglie giustamente richiedono: e l'aiuto dovrà essere proporzionato alle insufficienze delle famiglie. Pertanto, tutti coloro che nella società sono alla guida delle scuole non devono mai dimenticare che i genitori sono stati costituiti da Dio stesso come primi e principali educatori dei figli, e che il loro diritto è del tutto inalienabile».

Come è parola del Magistero promuovere la necessaria castità delle coppie more uxorio al fine di poter vivere in grazia di Dio, così è parola del Magistero che «lo Stato e la Chiesa hanno l'obbligo di dare alle famiglie tutti gli aiuti possibili, affinché possano adeguatamente esercitare i loro compiti educativi. Per questo sia la Chiesa sia lo Stato devono creare e promuovere quelle istituzioni ed attività, che le famiglie giustamente richiedono: e l'aiuto dovrà essere proporzionato alle insufficienze delle famiglie». Alla luce di queste lapalissiane parole, con che coraggio si definiscono basse le rette fino a 2500 €? E con che coraggio si può parlare di retta in una scuola cattolica?

Per cortesia: non citate le borse di studio della CEI di quest’anno perché stiamo parlando di un intervento straordinario, non destinato a tutti, occasionale e non strutturale.

Come dicevamo sopra, infatti, il problema è filosofico e teologico.

La verità è difatti ben più profonda di una semplice questione pecuniaria: secondo Santa Madre Chiesa, infatti, l’educazione è un’opera di misericordia spirituale (insegnare a chi non sa) e solo per la durezza del cuore degli uomini le istituzioni scolastiche ecclesiastiche (sia esse seminari per la formazione del futuro clero che scuole vere e proprie) hanno richiesto, quando più quando meno, una retta. La scuola non è un business: essa è carità. E poiché è carità è segno visibile della Chiesa che vive dell’amore di Dio. E poiché è carità, viene da Dio ed a Dio ritorna. Non è opera dell’uomo bensì dello Spirito Santo dal quale proviene sempre il primo impulso a fare il bene. La carità cresce, infatti, solamente facendo atti intensivi di carità: non è un’idea, bensì una virtù. E l’atteggiamento della persona caritatevole non si mostra solo verso i poveri materiali, bensì verso tutto l’uomo: la Chiesa insegna che le opere di misericordia sono 14, 7 materiali e 7 spirituali.

Capisco benissimo che mandare avanti una scuola abbia un costo, soprattutto in caso di quelle con un’alta presenza di personale esterno da stipendiare. Ma è altrettanto vero che, da sempre, la Chiesa possiede beni mobili ed immobili che, sulla scorta della parabola dei talenti, ha sempre messo a frutto realizzando anche molti profitti che venivano riversati o sul culto (e l’edificazione delle grandi e splendide chiese in tutto il mondo ne è un esempio cogente) o nelle opere di carità. Avere rendite significa avere liquidità ovvero poter fare del bene poiché, com’è ovvio, non si può dare ciò che non si ha. Le opere di carità costano e producono scarsi utili: ecco perché fino alle politiche anticlericali ed antiecclesiastiche dei secoli XVIII e XIX erano essenzialmente appannaggio (insieme ad un grosso settore della cultura) della Chiesa la quale godeva di due fonti di approvvigionamento: le già menzionate rendite e le donazioni di privati volte (anche) all’acquisto di meriti da presentare in Paradiso una volta defunti.

Ma oggi lo scenario è cambiato: è molto più semplice, infatti, chiedere soldi ai genitori ed al governo di turno per mandare avanti una scuola o un ospedale piuttosto che gestire adeguatamente le proprietà terriere o predicare sui novissimi: se non si crede veramente nel Paradiso, infatti, che senso ha elargire elemosine? Meglio fare una donazione deducibile così da avere immediatamente, qui sulla terra, non in cielo, un guadagno. In Italia l’8*1000 ha fatto il resto dei danni, così si pensa comunemente (soprattutto tra gli ecclesiastici) che basti una misera firma per adempiere all'obbligo di sovvenire alle necessità della Chiesa senza, pertanto, impegnarsi in prima persona in opere di carità (dall'apertura gratuita delle chiese all'insegnamento), pregare (senza di me non potete far nulla) e chiedere continuamente donazioni ed elemosine in proporzione alle proprie necessità (un gran bel diritto/dovere per i laici che potrebbero essere sia egoisti, salvo poi vedersela col Padreterno una volta defunti, sia essere generosissimi volendo andare oltre un semplice obbligo e, sull'esempio della vedova, donare tutto ciò che si ha al tesoro del Tempio.

Non è raro trovare una scuola antica che ha ancora dei beni terrieri che, però, non utilizza mentre preferisce chiedere rette alte e far pagare qualsiasi servizio offerto: facendo un esempio, una celebre scuola cattolica dei Castelli Romani fa pagare persino il servizio doposcuola (gestito non da professionisti esterni ma da novizi, religiosi ed alunni più grandi che racimolano i punti di credito) mentre lascia andare a male un oliveto secolare che, come minimo, può dare ogni anno 500 litri d’olio.

Il problema non è solamente relativo alla gestione dei beni, bensì alla natura della scuola cattolica che, essendo opera della carità, non deve limitarsi ad essere un presidio di libertà (ma cosa significa, di preciso, presidio di libertà? Chi o cosa rende libero un cristiano? Il Sangue prezioso di Cristo o l’avere una scuola?) bensì deve far guadagnare il Paradiso. Ed anche questo è Magistero della Chiesa poiché San Giovanni Paolo II ha affermato che la «Chiesa ha sempre legato la sua stessa sopravvivenza di Chiesa alla realtà della scuola» giacché «la scuola cattolica non è altro che quell’istituzione ecclesiale nella quale e per la quale la Chiesa, educando l’uomo, lo conduce a Cristo, perché lo educa ispirandosi ai principi del Vangelo» (Discorso di Giovanni Paolo II ai rappresentanti delle scuole cattoliche italiane, 28 gennaio 1984).

Bisognerebbe difendere la scuola cattolica non come presidio di libertà bensì come (possibile) causa della salvezza eterna dei giovani, come fucina di vocazioni, come parrocchia che educa ed evangelizza (che grande che è Don Bosco!), come luogo della carità, come opera di misericordia, come espressione evidente del munus docendi della Chiesa. Diciamo bene o diciamo giusto?

Attendiamo inutilmente una risposta dalla Nuova Bussola Quotidiana, ben sapendo che il Direttore Cascioli ignora le lettere di biasimo o di collaborazione da parte di poveri fedeli che vorrebbero aiutare la Chiesa negli apostolati culturali.

Non crediate che abbiamo finito. A presto per la puntata ter de Daccioggilanostraeresiaquotiana dedicata alla scuola.


Il Cardinale del Sacco

Beata Vergine del Carmelo, ora pro nobis!